30 -Da qui in poi-
Non sapevo che ore fossero quando le mie palpebre si sollevarono con lentezza e la mia vista sfocata diventava man mano più limpida, ma mi bastò vedere la luce bluastra del cielo per capire che ormai fosse sera inoltrata. Non vi era quel blu intenso della notte, ma una tonalità un poco chiara, alcuni puntini luminosi si mostravano su quel manto diversamente scuro.
La stanza era per lo più in ombra, non si distinguevano gli oggetti e solo dal profilo riconobbi il mio zaino appoggiato vicino alla scrivania.
Nonostante avessi la mente ancora mezza addormentata e sentissi una certa spossatezza pervadermi, la certezza che tu fossi lì con me era ben presente fra i miei pensieri, poichè quella era l'ultima cosa che rammentavo.
Tuttavia, ciò di cui ero convinto, si rivelò una falsità: fu la prima sensazione che avvertii, la tua assenza.
Riacquistai lucidità in pochi secondi e, allungando un braccio per tastare le coperte su cui stavo, non trovai nient'altro che stoffa, solo tessuto sotto i miei palmi e neanche un po' di calore sulla mia pelle ancora memore del tuo peso; sul fianco e su parte del petto sentii come se mancasse qualcosa, o, per meglio dire, tu.
Mi sollevai di fretta, mi misi seduto sul bordo del letto e cercai la tua figura con lo sguardo nell'oscurità che era ormai calata, ma, come avevo intuito, di te non vi era traccia.
Chinai la testa, strinsi le lenzuola fra le dita e le rilassai subito dopo; il fatto che tu non fossi lì con me, come risveglio, mi dava fastidio.
Fu allora che, in un occhiata veloce, notai il filo di luce che percorreva la parte bassa della porta della camera, filtrava nello spiraglio fra il legno di quest'ultima e il pavimento, proveniva sicuramente dal corridoio.
Poi un tonfo, lontano e ovattato, si udì all'improvviso.
Mi alzai facendo attenzione a non inciampare, vista la poca visibilità, mentre mi dirigevo, con la mano tesa, verso la maniglia.
Strinsi l'oggetto freddo e lo abbassai lentamente, permettendo alla luce di invadere l'ambiente. Presi il tempo di abituarmi alla luminosità del corridoio e, come una strana coincidenza, sentii la tua voce iniziare a pronunciare uno dei tuoi discorsi impacciati e agitati.
《M-Mi sono dimenticato di chiamarti, ma non...oh, in realtà è una storia divertente, però...》
Continuavi a parlare ed io mi chiesi a chi ti stessi rivolgendo con tanta ansia nel tono di voce.
《Non è come...》
Finalmente svoltai l'angolo e feci la mia comparsa, come una fatalità voluta dal destino, con la camicia della divisa stropicciata, aria assonnata e uno sguardo confuso mentre due paia di occhi si posavano su di me.
《...pensi.》concludesti deglutendo e percorrendo con le tue iridi il mio corpo che si era appena materializzato nel momento sbagliato, o almeno così mi parve di capire dalla tua espressione, durante una qualche discussione che stavi intrattenendo con tua madre.
Inko stava lì, appoggiata alla cucina, con aria tranquilla, tu parevi il completo opposto con l'idea di tensione che davi.
Notai subito un certo rossore presente sulle tue guance farsi via via più accentuato ogni secondo passato ad osservarmi.
Ti fissai con un sopracciglio alzato.
Eravamo diversi in certe cose: tu vai nel panico per tutto, io no.
《Katsuki, spero non ti dispiaccia rimanere per cena. Mi ha telefonato tua madre, preoccupata del fatto che non ti fossi fatto vivo oggi e, visto che stavate dormendo, ho pensato di dirle che saresti stato nostro ospite.》
In quel momento, quando tua madre finì di parlare, impallidii.
Oh. Ecco perchè parevi in imbarazzo.
Non mi scomposi e mantenni la calma, divertito in minima parte dalla situazione di cui tu, probabilmente più di me, eri il protagonista.
Sì, mi sarei gustato io, per una volta, la scena mentre diventavi rosso e sembravi così in imbarazzo.
Mostrai un ghigno mascherato da una maschera d'indifferenza e tu mi rivolgesti una veloce occhiata truce. Colsi un nuovo bagliore nei tuoi occhi che non riuscii a decifrare fin quando un lieve sorriso non si fece spazio sul tuo viso. Eri divertito anche tu dalla situazione in fondo, ma l'inadeguatezza aveva scatenato un tale imbarazzo in entrambi che la parte comica era stata messa da parte.
Forse il giorno dopo avremmo riso, forse avremmo ricordato il sapore degli spaghetti, la consistenza morbida della torta che tua madre ci aveva obbligato a preparare per evitare che la disturbassimo mentre era alle prese con i fornelli, forse avremmo rammentato lo sfiorarsi delle nostre dita sotto il tavolo, forse la tisana che bevemmo dopo cena e che ebbe un profumo dolce di fiori mi avrebbe ricordato i tuoi capelli, forse la mattina dopo mi sarei svegliato con felicità.
Tutte queste probabilità si realizzarono solo per te, lo sai e lo so anch'io: non sarebbero state le nostre ultime incertezze.
Così, eravamo giunti al giovedì di quella settimana. Il numero nove era stampato a caratteri grandi sul calendario appeso sul muro di camera mia, lo fissai stranito prima di ricordarmi che quel giorno, come avevo raccontato a tua madre, avevamo una verifica. La voglia di andare a scuola non era molta, ma il pensiero di rivederti mi spinse a prepararmi e ad uscire di casa, per poi dirigermi verso la stazione. Ero in ritardo, ma tu non mi dicesti nulla, neanche un'osservazione, e quando salimmo sul treno prendesti posto, come avresti preso d'abitudine, al mio fianco.
Una volta scesi, camminare per le strade del centro quel giorno fu diverso.
Il sole, visto dalla fredda città, non trasmetteva il solito calore, io e te abitavamo nella periferia, verso la campagna, ed eravamo ormai troppo abituati a quel piacevole tepore mattutino...tuttavia, come dalla finestra di casa nostra vedevamo spuntare i primi raggi in uno spettacolo colmo di tranquillità e meraviglia, anche fra gli alti palazzi e le vie trafficate la sua luce presentava una bellezza singolare che mi riempiva il cuore fino quasi a colmare la sensazione di vuoto nel mio petto. Ma quella mattina non ci riuscì, non superò un certo limite e per qualche breve istante mi sentii con lo stomaco sotto sopra...solo fino a quando non mi raggiungesti con il tuo passo affrettato, che rallentasti una volta giunto al mio fianco. Sì, tu occupavi lo spazio avanzato dentro di me e ciò era incredibile, davvero. Tu ne eri capace, eri capace di sorprendermi in tutto.
Ti eri fermato poco prima per allacciarti una scarpa e mentre balzavi in avanti per non restare indietro i tuoi capelli sobbalzarono comparendomi vicino.
Andammo avanti nel silenzio delle prime ore del risveglio della città, un odore intenso di focaccia ci accompagnò per un breve tratto quando passammo davanti ad una panetteria. Poche erano le persone sul marciapiede, molti erano già a lavoro, gli studenti raggiungevano veloci la U.A., ma noi restammo indietro di qualche minuto.
Scusami, fu colpa mia se entrammo in ritardo quel giorno.
L'ingresso della scuola si vedeva verso il fondo della strada, eppure non ebbi fretta di raggiungerlo e credo che nemmeno tu ne avesti.
All'ombra di un albero, uno dei tanti che costeggiavano la via, arrestai il mio passo e ti presi il polso, improvvisamente mi sentii percorrere da scariche di tensione lungo tutto il corpo.
Ti fermasti anche tu, un passo più avanti, voltandoti verso di me.
Non distolsi lo sguardo, non lo feci vagare, osservai ammagliato il quadro chiaro e scuro che proiettava la luce che filtrava attraverso le foglie ed i rami sopra di noi sul tuo viso. Le tue lentiggini sulle guance arrossate, la pelle pallidamente rosea, il naso all'insù, i capelli smossi da una brezza fredda, ma delicata, gli occhi verdi e risplendenti, tutto mi lasciava senza fiato.
La gente si sbaglia, non è scontato e banale dire "È troppo bello per essere vero", no, non lo è per niente, per me non lo era, perchè tutti quei particolari che finalmente potevo osservare senza nascondere le mie vere emozioni erano ciò da cui queste ultime traevano nutrimento, esse crescevano, si radicavano in profondità e mi avvolgevano delicatamente tramutando le mie iridi in due vetri rossi fissi su di te, impossibilitati dal muoversi, erano lo specchio del tuo travolgente riflesso.
Feci scivolare via dalle mie dita il tuo polso ed il tuo braccio si lasciò trasportare dal proprio peso fino al tuo fianco, la mia mano si era spostata verso l'alto, più precisamente sulla tua guancia destra.
La tua pelle era morbida, ma questo, per le poche volte in cui l'avevo sfiorata, lo sapevo già.
Il tuo sguardo si illuminò e ti appoggiasti contro il mio palmo premendo lievemente come ad invitarmi ad andare avanti con ciò che stavo facendo ed io pensai...pensai di non saperlo. Non conoscevo l'obbiettivo delle mie azioni, nè la causa, fatto sta che ero comunque lì, di fronte a te, ad ammirarti e magari esagero con il dire che sarei potuto restare in quella posizione per ore intere.
In quell'incomprensibile scambio di sguardi ci stavamo comprendendo a vicenda, stavamo provando a dirci, non a parole, ciò che sentivamo nei nostri cuori e in qualche modo lo capimmo, riuscimmo nell'intento e presi dall'istinto ci avvicinammo piano l'uno all'altro.
Le nostre carni si toccarono, si sfiorarono ed infine si schiusero scontrandosi lentamente. Le mie labbra si lasciarono trasportare dalle tue in movimenti lenti e privi di insicurezze e quando inspirasti a fondo un'ultima volta seppi che quel bacio stava per diventare uno di quei contatti che, come il primo in una sera di settembre, avrei fatto fatica a dimenticare.
Non si trattava solo della sensazione di calore che mi pervadeva, era molto di più, ma allora non seppi dare definizione alcuna ai pensieri silenziosi che aleggiavano nella mia testa, tutto ciò che ero tenuto a sapere era che parlassero di te.
Il fiato corto, il freddo di ottobre che ci circondava, la felicità, la coscenza del cambiamento a cui eravamo andati incontro, la stretta con cui mi stringesti aggrappandoti alle mie spalle, le tue dita che salirono fino ai miei capelli, sarebbero state tutte cose che avrebbero preso un posto speciale nei miei ricordi.
Eravamo soli in quella strada, immersi in noi stessi, ci riportò alla realtà solo il suono di una campanella in lontananza e, con rammarico, dovemmo separarci, sorriderci, camminare veloci fino a scuola, sopportare gli sguardi straniti dei nostri compagni quando ci videro entrare a tempo e senza battibeccare e prendere posto con un sussulto piacevole dei nostri cuori all'ultimo sfiorarsi delle nostre mani invisibile agli altri, ignari di noi.
Magari prima o poi ci avrebbero visti, magari avrebbero scoperto i nostri sguardi fugaci, ma questo è qualcosa che avremmo affrontato più avanti, insieme.
Ebbene, siamo arrivati alla fine anche di questa settimana. Nella mia scuola è un susseguirsi di interrogazioni e verifiche e giuro di essere vicina ad un esaurimento nervoso, spero che per voi non sia così😅
Vi lascio con l'augurio di un buon weekend❤
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