Capitolo 31

Pov Daniel:

Spiegare cosa stessi provando in questo momento è difficile.
Per una persona normale, partire da dove ero in quel momento, fino ad arrivare in questa città sperduta ci avrebbe messo 16ore in aereo con due scali.
Avrei dovuto metterci un'intera giornata. Ma io non avevo tempo, non potevo arrivare in ritardo. Non questa volta. Usai tutte le mie forze, tutte le mie energie, per attraversare mari e oceani, per arrivare davanti a casa sua, mentre Louis era fermo con la macchina ad attendermi.

«Diventi sempre più veloce.»
«Non ho tempo Louis. Come è possibile non riesci a trovarla?» chiesi arrabbiato.
«Sono andato a prenderla a scuola, ma lei non era lì. Ho chiesto se l'avessero vista in giro, ma alcuni di loro hanno detto di no, così sono andato a casa tua. Al locale dove lavora, ma niente.»
Rimasi fermo a pensare, con quella certezza che si trasformava sempre in paura di non poter far niente.
«Hai detto che a scuola non l'hanno vista uscire?» chiesi, mentre lui confermava. In un attimo sparii, per ritrovarmi davanti alla scuola.
Notai la mia macchina parcheggiata assieme a un'altra, e infine lei. Lei a parlare con uno di quegli stupidi compagni che la prendono in giro. Iniziai a camminare, pronto a dare una lezione a quel deficiente, sicuro che le avesse fatto del male, quando....


Restare Calmo.

Resta Calmo.

Respira!

Col cazzo che respiro! Dissi tra me, mentre lui si allontana lasciando il tempo a lei di voltarsi.
«Daniel!»
«Sali!» far uscire quelle parole fu davvero difficile per me, perchè in quel momento avevo solo voglia di uccidere. Volevo avere il sangue di quel ragazzo sulla mia bocca.
Sentire le sue urla, mentre i miei canini entrano dentro la sua pelle. Iniziai a guidare velocemente, continuando a vedere le immagini delle sue labbra toccate da un altro.

«Daniel» prova a dire, ma accelero ancora di più.
Avevo fretta di arrivare a casa, fretta di esplodere. Uscii dalla macchina e lei fece lo stesso. La feci entrare dentro casa, anche se i suoi passi sembravano essere pesanti.
«Siediti» le dissi, standole il più lontano possibile.
«Preferisco stare in piedi. Daniel, io non avevo idea che tu...»
«Ti stai preoccupando che io abbia visto, quando il realtà problema è un altro?» chiesi incrociando le braccia sul petto.
«Sì» sussurrò.
«Dannazione, non ci credo. Julya, il problema è il bacio! Comprendi questa parola: B A C I O» scandii bene le parole, mentre il suo sguardo cambiava.
«Non è un reale problema, è colpa di Baker, lo ha fatto apposta.»
«Non me ne frega un cazzo del perché l'ha fatto, non ci credo.»
«Lo so, ma sarà uno scherzo per quello che si dice di me a scuola.»
«Beh, se non ti rendi conto che non puoi baciare qualcuno, dopo averne baciato un altro poco prima, forse non hanno tutti i torti.» Urlai per la gelosia che mi stava divorando.

Solo il rumore del suo schiaffo, accompagnato dal dolore nel vedere le sue lacrime, mi fece capire cosa avevo appena detto. Senza dire una parola, si allontanò diretta verso la sua camera da letto.

Stavo per raggiungerla, quando apparve con una borsa, pronta a varcare le porte di questa casa per andarsene.
«Cosa fai?» chiesi avvicinandomi a lei, ma non ricevetti nessuna risposta.
«Julya! Cosa diavolo stai facendo?» urlai ancora, mentre la rabbia iniziò ad aumentare.
«Me ne vado, non lo vedi?»
«Fermati, ascoltami» dissi prendendole la mano.
«Cosa vuoi? Pensi che sia una matta, un'assassina? Cosa vuoi ancora?» urlò, cercando di trattenere le lacrime.
«Cosa non ti è chiaro? Sono geloso, sono dannatamente geloso. Cazzo, immaginare che qualcuno ti abbia sfiorata... merda!» mi trovai a lanciare qualcosa per la rabbia.
«Me ne vado!» disse, cercando di oltrepassarmi.
«No!» mi ritrovai a dire, consapevole che da un momento all'altro avrei vissuto una cosa immaginabile.

"Un vampiro di 1.500 anni che supplica una ragazzina umana che non vuole perdere."

«Ti prego, non andartene.» Sussurrai, vedendo il suo sguardo perso.

«Il resto della roba verrò a prenderla più avanti, professore.» Disse sorpassandomi, mentre io rimasi fermo immobile a guardare un punto fermo.

«Ti prego!» provai a dire, prima di sentire la porta chiudersi.

Uscii fuori, apparendo dietro alle sue spalle, mentre il suono dei suoi singhiozzi erano uno strazio per me.
«Ascolta, non penso che tu sia un'assassina.»
«Basta! Non sai niente, non sai un cavolo di me.» Urlò contro di me.
«Parlami» provai a dire.
Lei gettò la sua borsa venendo verso di me, puntando il suo dito sul mio petto.

«Tutti pensano che me la faccio con il professore. Da assassina, ora sono diventata la troia della scuola. Sono sotto tiro da quando sei partito. Mi hanno scritto e detto di più in questi giorni che negli ultimi due anni! Mi hanno rinchiusa dentro uno sgabuzzino per vendicarsi, sapendo che tu non mi avresti salvata. La professoressa di inglese mi ha abbassato la media, solo perché pensa che io e te andiamo a letto insieme. E tu ti preoccupi per un bacio?
Non ho sentito niente, perché dal giorno in cui le tue labbra toccarono le mie, per me il tempo si è fermato. Ora voglio solo tornare a casa mia. Quindi, lasciami andare.» Dissi iniziando a piangere.

Rimasi fermo ad ascoltare le sue parole che mi avevano colpito. Questo sì che faceva male.
L'aiutai a prendere la sua valigia, anche se mi guardava ancora arrabbiata.
«Ti accompagno a casa.» Fu la sola e unica cosa che dissi, mettendo quel dannato muro tra me e lei ancora una volta.
Quando aprii la portiera per scendere, la fermai facendola voltare verso di me.
«Daniel...» il mio nome uscì come una supplica.

«Ti lascio andare, ma sappi che ci tengo a te Julya. Ci tengo davvero.» Esordii.

«Se ci tieni, lasciami da sola. Ho bisogno di tempo.» Disse, prima di scendere dalla macchina, mentre io mi sentivo divorare dalla rabbia per tutto.

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