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La scuola più prestigiosa al mondo ha scelto proprio Anastasia. La ragazza più problematica che si possa immaginare. Non è brava a relazionarsi con gli altri e, come se non bastasse, soffre di un disturbo psicologico che le impedisce di concentrarsi. Fin da piccola ha sempre creato problemi, attirando attenzioni indesiderate ovunque andasse. Anastasia è più complessa dell'Ipotesi di Riemann, un enigma matematico che pochi comprendono.
Adesso è in preda al panico. Si tortura nervosamente le unghie mentre, con l'altra mano, tamburella sul telefono. È seduta su una panchina vicino a un parco giochi per bambini, in attesa della sua cara amica Laura, che come al solito è in ritardo per il loro incontro mattutino.
Nonostante l'onore di essere stata scelta da questa scuola, Anastasia non riesce a essere felice. Per tutta la vita è stata etichettata come "distratta" da insegnanti, compagni e perfino dai suoi genitori.
L'ansia le cresce dentro, e gli occhi le scivolano di continuo verso l'orologio sullo schermo del telefono.
<<Ma dov'è finita?>> borbotta tra sé, tamburellando più forte. <<Non ho tutto questo tempo.>>
Proprio mentre si sta alzando per andarsene, la vede. In lontananza, spunta la giacca verde inconfondibile di Laura. La sua amica è alta e robusta, con un viso ovale e pallido, punteggiato da qualche lentiggine qua e là. Ha lunghi capelli castano chiaro che scendono morbidi sulle spalle e un paio di occhiali neri che incorniciano i suoi occhi marroni e le folte ciglia. Laura è una ragazza di diciannove anni dall'aspetto semplice ma affascinante.
<<Scusa per il ritardo, tesoro, mi sono svegliata tardi!>> dice Laura, abbracciandola con calore.
<<Immaginavo...>> sibila Anastasia, staccandosi dall'abbraccio con un sorriso appena accennato. Ormai si è abituata ai ritardi e all'affettuosità quasi esagerata dell'amica.
Laura si guarda intorno, poi esclama: <<Facciamo che oggi ti offro io la colazione!>> Ma la frase si interrompe bruscamente quando si accorge di non avere un soldo in tasca.
<<Ahm, allora...>> ridacchia nervosa.
Anastasia sospira. <<Te la offro io, di nuovo.>>
Laura esulta, battendo le mani. Anastasia non riesce a capire se lo faccia per prenderla in giro o per semplice entusiasmo, ma in fondo non le importa. L'importante è non essere lasciata sola.
Le due si siedono sulle poltrone di un piccolo bar e ordinano due paste al pistacchio, accompagnate da un cappuccino per Laura.
<<Quindi andrai in quella scuola, vero? Quella delle etichette?>> domanda Laura con curiosità, rompendo il silenzio.
Anastasia annuisce, mordendosi di nuovo le unghie. <<Già, e sono un po' in ansia...>> ammette a bassa voce.
<<Ma dai, dicono che sia la migliore scuola mai creata! Anche se... nessuno sa bene come insegnino, no?>> Laura interrompe la frase per ringraziare il cameriere che porta loro l'ordinazione. Si lancia subito sul cibo, parlando con la bocca piena. <<Da quello che ho capito, voi iniziate prima rispetto a noi.>>
<<Sì, è più un'introduzione per i nuovi arrivati. Ci sarà un test e dovranno prendere le misure per le uniformi. Oggi alcuni alluni sono andati a farlo e non possono dire niente al riguardo. E tra un mese inizieranno le lezioni.>>
<<Un test? E c'è qualcosa da studiare?>>
<<No, da quello che mi hanno detto non serve.>>
<<E quando lo farai?>> chiede Laura, divorando un altro pezzo di pasta.
<<Per me e gli altri futuri studenti, sarà domani.>>
Laura si lecca le dita, sorridendo. <<Beh, allora preparati! Questa potrebbe essere l'avventura della tua vita.>>
Anastasia non risponde subito. Alza gli occhi verso il cielo limpido fuori dalla finestra, ma non riesce a scacciare un senso di inquietudine. "Avventura" non è la parola che userebbe. Per lei, tutto questo sembra solo l'inizio di qualcosa di più grande. Di qualcosa che non sa se riuscirà a gestire.
<<Quanti sono stati presi nella tua vecchia scuola?>>
Anastasia ci pensa su, ricordando i tabelloni sopra alla sua testa.
<<Sessanta cinque, più tredici che hanno fatto richiesta.>>
<<Parco vacca, sono un sacco di persone. Chissà per le altre scuole.>> Dice, finendo tutto il sua pasta in un boccone.
<<Beh, forse è meglio. Ci togliamo di torno i problematici...>> Finisce la frase con un silenzio imbarazzante alla fine. Guarda Anastasia in silenzio con il capo chino.
<<Non volevo dire.>> Tenta di dire per rimediare al suo errore.
<<Lascia stare, forse è meglio così.>> La interrompe passando la sua pasta all'amica.
<<Non ho fame.>>
Laura è tornata a casa, mentre Anastasia decide di fare un ultimo giro per il quartiere freddo e desolato. Ama la quiete e la solitudine di queste giornate estive, così silenziose da sembrare irreali. L'autunno si sta avvicinando, e nell'aria gelida si percepisce chiaramente. Ha indossato una felpa larga e calda, guanti di pelle e pantaloni beige scuri, cercando conforto in quella morbida barriera contro il freddo.
Si sente davvero bene solo in momenti come questo: sola, spensierata, immersa nei suoi pensieri. La tranquillità è il suo rifugio, l'unico modo per trovare stabilità nella sua mente tormentata. Ma proprio quando si sta lasciando cullare dal silenzio, ecco che arriva ciò che ha sempre temuto. Una presenza oscura, familiare, la sfiora. Una mano invisibile si posa sulla sua spalla, filtrando attraverso la felpa come se il tessuto non esistesse. Rabbrividisce, e con un gesto deciso si scrolla di dosso quell'arto immaginario, cercando di convincersi che fosse solo un riflesso nervoso.
Torna a casa con il cuore che batte veloce. Gli occhi le bruciano, il respiro è affannato. Non riesce a vedere chiaramente, ma almeno sa di essersi lasciata l'ombra alle spalle. Almeno per ora. Sa bene che tornerà, come sempre.
<<Ciao tesoro, ben tornata.>> La saluta sua madre, Svetlana, seduta sul divano del soggiorno. Tiene tra le mani una tazza di tè fumante, e il suo volto ha la consueta espressione serena. Il salotto, spazioso e ordinato, è un contrasto stridente con il caos nella mente di Anastasia.
<<Ciao.>> Risponde semplicemente, gettandosi sul divano accanto a lei.
<<Sei andata a fare colazione con Laura, giusto? Cosa avete mangiato?>> chiede la madre, sorseggiando un altro po' di tè.
<<Una pasta al pistacchio.>> Risponde Anastasia senza entusiasmo.
<<Buona. E dimmi, come sta Laura?>>
<<Bene, come sempre.>>
<<Avresti potuto salutarmela.>> Le dice la Svetlana, allungando una mano sotto il tavolino per passarle una confezione di pillole.
Anastasia la guarda e sorride debolmente, prendendole.
<<Portale sempre con te.>> Le raccomanda, porgendole una bottiglia d'acqua.
Anastasia esegue, ingoiando le sue pillole con un sorso deciso.
<<Hai ragione.>> Un breve silenzio si insinua tra loro, interrotto solo dal rumore dei sorsi di tè caldo. Poi la madre riprende: <<Ah, per domani...>>
<<Mi porterai tu?>> chiede, speranzosa.
<<No, ti accompagnerà tuo padre.>> La interrompe la madre, posando la tazza vuota sul tavolino.
<<Papà? Ma non doveva provare delle nuove ricette?>>
<<Quella scusa l'accetto solo il sabato sera, quando guardo la mia serie turca. So che va a giocare a calcio. La cucina può aspettare.>>
<<E tu? Non puoi farlo?>>
<<No, ho una riunione troppo importante domani. Il mio capo ci tiene molto.>>
Anastasia si rabbuia. Non le piace l'idea di essere accompagnata da suo padre; preferisce la madre, sempre più paziente e comprensiva. La madre nota la sua espressione delusa e, per tirarle su il morale, le racconta una piccola storia.
<<Sai che il mio capo ha frequentato quella scuola?>> dice con un sorriso. <<Prima era un disastro: pessimi voti, nessuno lo sopportava.>>
<<Davvero? Come fai a saperlo?>>
<<Era il mio compagno di classe. E guarda dove è arrivato adesso: capo della più grande azienda di arredamento del paese. E' cambiato davvero tanto. Prima era un ragazzo cosi solare, adesso è freddo e ingiusto.>>
Anastasia accenna un sorriso. Le parole di sua madre sono un conforto, un piccolo barlume di speranza che si accende dentro di lei.
<<Vedrai che anche tu diventerai la migliore di tutti.>> Dice la Svetlana, accarezzandole la testa con dolcezza.
<<Impossibile.>>
<<Ma no, fidati. Ce la farai.>> Le risponde con un bacio sulla fronte, alzandosi per andare a prendere una scatola di biscotti. Tornata al divano, li offre ad Anastasia, che ne prende uno, sentendo per la prima volta un po' di calore nell'animo.
Forse sua madre ha ragione. Forse quella scuola non sarà così terribile come sembra.
La stanza buia della casa di Zakaria è il luogo perfetto per sfuggire al mondo e immergersi nei videogiochi. È piccola, ma accogliente, con pareti tappezzate di poster di film e serie. L'unica fonte di luce è una lampada da tavolo che diffonde un bagliore soffuso, mentre il resto della stanza rimane avvolto nell'ombra. Ovunque ci sono tracce di giornate passate lì dentro: lattine vuote di bibite gassate, pacchetti di patatine accartocciati, cuffie abbandonate sul pavimento. L'odore è un mix di snack stantii e quella leggera umidità tipica di stanze dove non si apre mai la finestra.
Dmitry Ivanov è seduto al centro della stanza su un vecchio pouf blu. Ha il joystick saldo tra le mani, i pollici che si muovono freneticamente mentre sullo schermo si consuma una battaglia intensa. Il suo volto è un concentrato di frustrazione, un misto di concentrazione e rabbia repressa.
<<No! Merda, merda e un mucchio di merda!>> sbraita all'improvviso, stringendo il joystick con tanta forza da far scricchiolare la plastica.
<<Ho perso, cazzo!>> esclama, buttandosi all'indietro con un'espressione teatrale, come se avesse appena subito un torto personale.
Zakaria, seduto accanto a lui su un pouf giallo, non si scompone. Ha un sorriso divertito che illumina il volto. <<E questa sarebbe una novità?>> commenta senza distogliere lo sguardo dallo schermo, dove il suo personaggio è ancora in piedi, intatto.
Dmitry lo fulmina con lo sguardo. <<Quando la smetterai?>> chiede, irritato.
Zakaria scrolla le spalle, fingendo indifferenza. <<È solo la quarta partita...>> dice con una pausa strategica, poi aggiunge: <<...che perdi. Avevamo detto: una sconfitta per volta.>>
<<Già, ma tu hai vinto ben tredici volte.>>
Zakaria alza le mani in segno di resa, sospira sconfitto, ormai annoiato. <<Sono solo molto bravo,>> dice con una modestia che di sincero non ha nulla.
Un campanello squilla all'improvviso, rompendo il ritmo della loro discussione. È un suono insistente, quasi irritante, come se chiunque fosse alla porta ha l'urgenza di abbatterla.
Dmitry lancia uno sguardo seccato verso Zakaria. <<Che aspetti? Vai a vedere.>>
Zakaria sbuffa, trascinandosi controvoglia verso la porta. <<Arrivo, arrivo,>> borbotta. Attraversa il corridoio fino alla porta d'ingresso e guarda dallo spioncino. Quando vede chi c'è dall'altra parte, apre con un mezzo sorriso.
<<Oh, ciao Alexei.>>
Alexei Petrov entra senza dire una parola. Con i suoi capelli biondo platino e la carnagione chiara, sembra quasi un fantasma mentre attraversa l'appartamento con passo deciso. Non si ferma finché non arriva alla stanza, spalanca la porta e accende la luce.
<<Ah! Brutto stronzo!>> sbotta Dmitry, coprendosi gli occhi con un braccio. <<Perché hai acceso la luce?>>
<<Perché non rispondi al telefono! Ti sto chiamando da ore!>> risponde Alexei, ignorando la protesta.
<<Non dire minchiate! Non mi hai chiamato!>> Dice Dmitry, prende il telefono e controlla lo schermo. Quando vede le tredici chiamate perse, si limita a un: <<Ah. Beh, ero occupato.>>
<<A giocare ai videogiochi?>> incalza Alexei.
Zakaria, appoggiato allo stipite della porta. <<Più che altro a perdere,>> aggiunge, lanciando un'occhiata complice a Dmitry.
Alexei, visibilmente irritato, si avvicina alla console, la spegne senza preavviso e stacca i cavi del controller.
<<Ma sei impazzito?>> protesta Dmitry. <<Ti mancavo così tanto che hai deciso di distruggermi il salotto?>>
<<In realtà questa è casa mia.>> Dice Zakaria, intromettendosi.
<<Non fare lo spiritoso,>> replica Alexei, serio. <<Ho bisogno di un favore.>>
Dmitry accende una sigaretta, prendendosi tutto il tempo del mondo per rispondere. <<Che tipo di favore?>> chiede, soffiando il fumo verso il soffitto.
<<Devi portarmi a scuola domani per fare il test. I miei non possono accompagnarmi e non voglio prendere i mezzi pubblici.>>
Dmitry alza un sopracciglio. <<Io e Zaki ci siamo già stati questa mattina, non ho voglia di tornarci domani. E poi hai una macchina. Usala.>>
Alexei distoglie lo sguardo, chiaramente a disagio. <<Non posso.>>
<<Lasciami indovinare: ti hanno ritirato la patente di nuovo?>> Dice, sorridendo malizioso.
Alexei scuote la testa, ma non abbastanza velocemente da sembrare convincente. <<Non è quello.>>
Zakaria lo fissa, aspettando una spiegazione. Alexei si arrende con un sospiro. <<Ho graffiato la macchina cercando di parcheggiare, e mio padre mi ha tolto le chiavi. Dice che non me le ridà finché non pago i danni.>>
Zakaria sorride leggermente, in modo irritante. <<Fammi indovinare: stavi parcheggiando in retromarcia a cento all'ora?>>
<<Non è andata così,>> borbotta, visibilmente irritato.
Dmitry ridacchia, spegnendo la sigaretta. <<Quindi? Ti serve un passaggio?>>
<<Sì,>> conferma, guardandolo con aria supplichevole.
Dmitry fa spallucce. <<Ti porta Zaki.>>
Zakaria lo guarda perplesso. <<Cosa? E perché non tu?>>
Dmitry evita il suo sguardo, cercando di cambiare discorso. Zakaria insiste. <<Non dirmi che non hai la macchina neanche tu.>>
Nella mente di Dmitry è volato il flashback. Era al volante della sua vecchia macchina, un'utilitaria che ormai cigolava ad ogni curva, ma che lui trattava come fosse una Ferrari. Era appena uscito dalla scuola. La radio era a tutto volume, sparando una canzone pop anni '90 che parlava di cuori spezzati e amori estivi. Il ritornello, in particolare, era così orecchiabile che Dmitry non riusciva a trattenersi dal cantare.
<<You are my fire, my one desire!>> cantava a squarciagola, tamburellando le dita sul volante a ritmo di musica.
Lungo il tragitto, si immaginava come in un video musicale: il protagonista di una storia strappalacrime, con il vento che gli scompigliava i capelli (anche se i finestrini erano chiusi) e un'aria di drammatica malinconia. Persino i semafori rossi non riuscivano a spezzare il suo entusiasmo.
<<Sono invincibile,>> mormorò tra sé, dando un'occhiata al retrovisore per controllarsi i capelli.
Quando il semaforo diventò verde, Dmitry, preso dall'euforia del ritornello, premette il pedale dell'acceleratore... solo che non era il pedale giusto. Era il freno a mano. La macchina fece un balzo, poi uno strano gemito metallico, prima di spegnersi.
<<Oh, no, no, no! Dai, per favore, non ora!>> si lamentò, riaccendendo il motore con il cuore in gola.
Finalmente ripartì, ma la musica continuava a distrarlo. Decise di alzare ancora di più il volume, convinto che un sound più potente l'avrebbe aiutato a concentrarsi.
<<Tell me whyyyy, ain't nothin' but a heartaaaake!>> gridò, alzando una mano per fare un gesto drammatico, quasi dimenticandosi del volante.
E fu in quel momento che accadde. Un rumore sordo, seguito da un piccolo sobbalzo dell'auto. Dmitry sgranò gli occhi. Aveva appena tamponato la macchina davanti.
<<No... ti prego, no...>> sussurrò, mentre il sangue gli gelava nelle vene.
Fece per uscire dalla macchina, ma quando vide l'auto che aveva colpito, il suo cuore si fermò del tutto. Era una volante della polizia.
<<Sono fottuto,>> disse tra sé, rimanendo immobile.
Il poliziotto alla guida scese dall'auto con una calma glaciale, che per Dmitry era ancora più spaventosa di un'esplosione di rabbia. L'agente si avvicinò lentamente, mentre Dmitry, nel panico, cercava disperatamente di spegnere la radio. La canzone continuava a suonare imperterrita:
<<I want it that waaay!>>
Premette tutti i tasti disponibili, ma la musica non si fermava. Schiacciò anche il pulsante dei tergicristalli, che iniziarono a muoversi freneticamente sul parabrezza, nonostante fosse una giornata perfettamente asciutta.
<<Aspetti! Un secondo!>> mimò con la mano al poliziotto, che ormai era arrivato al finestrino. Alla fine, prese a pugni la console centrale, riuscendo finalmente a spegnere la musica.
Abbassò il finestrino con un sorriso forzato. <<Salve, agente! È una giornata fantastica, non trova?>>
L'agente non rispose subito. Si limitò a fissarlo con uno sguardo che mescolava incredulità e pietà. <<Patente e libretto,>> disse con voce monotona.
Dmitry annuì freneticamente. <<Certo, certo! Subito!>> Cominciò a rovistare nel cruscotto con una frenesia che fece cadere fuori di tutto: scontrini vecchi, un sacchetto di patatine ormai vuoto e persino un pacchetto di gomme masticate a metà. Alla fine trovò la patente e gliela porse, ma il poliziotto non sembrava ancora soddisfatto.
<<E il libretto?>>
Dmitry si immobilizzò, fissandolo come se gli avesse chiesto di risolvere un'equazione di fisica quantistica. <<Il... il libretto? Certo, il libretto...>> Iniziò a cercare di nuovo, ma senza sapere davvero cosa stesse cercando.
<<Guardi, agente,>> disse alla fine, cercando di apparire sicuro di sé, <<non so esattamente cosa sia il libretto, ma le posso garantire che sono un cittadino modello.>>
Il poliziotto alzò un sopracciglio. <<Hai bevuto?>>
<<No, signore!>>
<<Allora perché stavi ascoltando quella canzone?>>
Dmitry si morse il labbro, imbarazzato. <<Beh... è orecchiabile.>>
Il poliziotto scosse la testa, visibilmente deluso. <<Dovrei ritirarti la patente solo per il tuo gusto musicale. Ma sai cosa? Ritirartela per guida pericolosa è anche meglio.>>
Dmitry rimase a bocca aperta. <<Ma... ma agente! Non è colpa mia se hanno messo il pedale dell'acceleratore troppo vicino al freno!>>
L'agente lo fissò per un lungo momento, poi sospirò e fece un cenno al collega. <<Annota: patente ritirata per incompetenza generale.>>
Dmitry non riuscì a rispondere. L'unico pensiero che gli passava per la testa era: Sono veramente fottuto.
<<Ah, che figura di merda...>> Borbotta, tornando al presente.
Zakaria lo guarda incredulo, con un misto di sorpresa e divertimento. <<Aspetta, sei riuscito a fare tutto questo in una sola giornata?>>
Dmitry sfodera il suo solito sorriso spavaldo e alza le spalle. <<Che ci posso fare? Sono un talento naturale.>>
Alexei, seduto sul bordo del divano, scuote la testa, esasperato. <<E con questa sarebbe la terza volta che te la ritirano. Complimenti, campione.>>
Dmitry si accende un'altra sigaretta con un'aria di completa indifferenza. <<Ti accompagna il mio pasticcino al cioccolato, Zaki,>> dichiara con tono affettuoso e ironico, indicando Zakaria con il dito in modo teatrale.
Alexei, ormai stufo, riattacca i cavi della console e gli mostra il dito medio senza alcun tentativo di nascondersi.
<<Forse adesso, Dmitry, imparerai a fare qualcosa oltre a perdere,>> dice Zakaria con un sorriso sarcastico, mentre si alza per seguire Alexei fuori dalla stanza.
Dmitry, senza nemmeno alzare lo sguardo, mormora con un ghigno: <<Zasranec!>> Poi si rimette comodo sul pouf e torna a giocare, concentrandosi sulla schermata di caricamento come se nulla fosse successo.
<<E quindi gli ho detto di smetterla di fare l'incompetente senza palle. Gli avevo offerto una ottima focaccia all'aglio. Una squisitezza!>> Grida, inferocito il padre di Anastasia: Yury. Si sta lontanando di un cliente abituale che giudica sempre il cibo del padre, lo chef. La sta accompagnando per fare il test. Anastasia non ha preso niente con sé, ne uno zainetto ne una borsa, essendo seriamente vietate durante il test.
<<E quel coglione... Non le ha accettate! Ma ti rendi conto tesoro?>>
<<Beh, si posso rendermi conto. Il vecchio Vasily è allergico all'aglio. E tu lo sai.>>
<<Ma non è un buon motivo per schifare le mie focacce.>>
Anastasia si appoggia al finestrino della macchina, cercando di non scoppiare a ridere mentre suo padre continua la sua invettiva contro il povero Vasily.
<<E non è solo l'aglio, sai? Quel vecchio insopportabile trova sempre qualcosa da ridire. Una volta mi ha detto che il borscht era troppo rosso! Troppo rosso! Ma che vuol dire troppo rosso?!>> Yury tamburella sul volante, agitato, mentre sorpassa un camion con un gesto teatrale della mano. <<Forse voleva un borscht beige, azzurro oppure marrone come la mia merd...>>
<<Papà, forse voleva solo un po' meno barbabietola.>> La interrompe per non farlo finire.
<<Meno barbabietola, meno carattere! È così che finiscono per mangiare quella schifezza che servono nei fast food. Non hanno rispetto per la tradizione!>>
<<Sì, perché le focacce all'aglio sono una tradizione millenaria,>> lo prende in giro Anastasia.
Yury si volta verso di lei per un istante, offeso. <<Le mie focacce all'aglio sono arte culinaria, ragazza mia! Arte! Un giorno te ne renderai conto.>>
Anastasia ride, scuotendo la testa. <<Sei impossibile, papà.>>
Yury sorride soddisfatto, come se questo fosse un complimento. <<Lo so, tesoro, lo so. Ma un giorno capirai. Quando gestirai un ristorante tutto tuo e un vecchio testardo rifiuterà di mangiare le tue creazioni, allora capirai il mio dolore.>>
Anastasia si volta verso di lui con un'espressione di finta sorpresa. <<Oh no, papà. Io non gestirò mai un ristorante. Mai. È già abbastanza stressante mangiare nel tuo.>>
<<Ah, ingrata,>> esclama Yury, scuotendo la testa con un sorriso divertito. <<Ti sto preparando per la vita, questo è quello che faccio.>>
Proprio in quel momento, Yury prende una curva troppo stretta, facendo sobbalzare Anastasia nel suo sedile. <<Papà! Puoi concentrarti sulla guida invece che sulle tue lamentele culinarie?>>
<<Sto guidando benissimo, grazie tante. È che questa macchina non capisce il mio stile.>>
<<La macchina non capisce? Davvero?>> Anastasia si lascia andare a una risata incredula.
Mentre il paesaggio cambia, Yury rallenta un po' e il tono della conversazione si abbassa. Dopo un momento di silenzio, lui parla con una voce più calma. <<Ma parliamo di te, ora.>>
<<Di me? E cosa c'è da dire su di me?>> Anastasia lo guarda di sbieco, cercando di anticipare cosa potrebbe dire.
Yury si schiarisce la gola, mantenendo gli occhi sulla strada. <<Questo test. Voglio che tu sappia che non è niente di cui preoccuparsi.>>
Anastasia sospira. <<Lo so, papà. Me l'hai già detto.>>
<<Sì, ma voglio che tu lo capisca davvero,>> insiste Yury, guardandola per un attimo prima di tornare a concentrarsi sulla strada. <<Credo che questo test non è per giudicarti. Non è per dirti se sei brava o meno. Secondo me serve solo a loro per conoscerti. Per capire chi sei, come pensi, cosa ti motiva.>>
<<E se scoprono che sono una pigra senza speranza?>> scherza Anastasia, cercando di alleggerire il momento.
<<Non sei una pigra senza speranza,>> ribatte Yury, con una serietà che sorprende Anastasia. <<Sei una ragazza intelligente, creativa e più forte di quanto tu creda. E voglio che tu lo sappia, a prescindere da cosa succede oggi.>>
Anastasia abbassa lo sguardo, sorpresa e un po' imbarazzata. <<Grazie, papà.>>
Yury sorride e torna al suo tono scherzoso. <<E ricorda: se tutto va male, puoi sempre aprire un ristorante di focacce all'aglio con me.>>
<<Oh certo,>> risponde lei, ridendo. <<Così potremo insultare i clienti insieme.>>
Yury ride di gusto mentre parcheggia davanti alla scuola. <<Esattamente! Ora vai e fagli vedere di che pasta sei fatta. E ricorda: niente paura. Sono solo persone, come te, ma probabilmente meno simpatiche.>>
Anastasia scende dall'auto, scuotendo la testa ma con un sorriso sul volto. <<Grazie, papà. Sei un genio, lo sai?>>
<<Lo so, lo so,>> risponde lui, facendo un gesto teatrale con la mano. «Ni puha ni pera, zolotse!»
Anastasia si avvia verso il cancello della scuola, sentendosi un po' più leggera.
La mattina seguente, Alexei si trova davanti ai cancelli della Scuola Internazionale di Opportunità, un edificio imponente e austero che domina l'orizzonte moscovita. L'intera struttura sembra progettata per impressionare e intimorire allo stesso tempo: mura alte di pietra scura, decorate con intricati motivi che richiamano l'architettura zarista, si stagliano contro il cielo plumbeo. Le finestre a ogiva, protette da eleganti grate in ferro battuto, lasciano appena intravedere l'interno della scuola, mentre i tetti sono sormontati da guglie sottili e imponenti che puntano dritte verso il cielo.
Un largo cancello nero, ornato con un elaborato emblema d'oro che raffigura un'aquila a due teste circondata da rami d'alloro, separa il vasto cortile dalla strada. Oltre il cancello, un lungo viale in pietra conduce all'entrata principale, un portale monumentale incorniciato da colonne corinzie e da una scalinata di marmo. Ai lati del viale, aiuole perfettamente curate si alternano a statue in bronzo raffiguranti figure di studenti e insegnanti intenti nello studio o nell'insegnamento.
Alexei osserva tutto con un misto di soggezione e curiosità, il cuore che batte più forte del normale. Intorno a lui ci sono altri ragazzi, alcuni con lo sguardo basso, altri palesemente irritati per essere lì. Essere ammessi in questa scuola, per molti, significa una cosa sola: essere stati etichettati come falliti o problematici. Ma Alexei la vede diversamente. Per lui, questa è un'opportunità, una possibilità di dimostrare che anche chi ha sbagliato può cambiare. Si sistema il cappotto, sorride tra sé e sé e si avvicina per dare un'occhiata più da vicino.
Mentre si avvicina al cancello, urta accidentalmente una ragazza. Lei è leggermente più bassa di lui, ha i capelli marroni mossi che ricadono sulle spalle, un viso delicato senza trucco, ciglia lunghe, labbra carnose e occhi marroni profondi che sembrano scrutare il mondo con una certa diffidenza. Indossa vestiti larghi dai toni scuri, che la fanno sembrare quasi volersi nascondere dal resto del mondo. "E' identica!" Pensa sbalordito.
<<Oh, scusa!>> esclama Alexei, alzando le mani in segno di scuse.
<<Non importa,>> mormora lei, senza nemmeno guardarlo negli occhi, cercando di allontanarsi velocemente.
Alexei, non volendo rimanere solo come ogni primo giorno di scuola, allunga una mano verso di lei. <<Aspetta un attimo!>> dice, il tono volutamente leggero per rompere il ghiaccio.
Anastasia si ferma, stringendo la felpa al petto, come fossero uno scudo. Il ragazzo davanti a lei è alto, con un viso dai tratti armoniosi e due occhi che sembrano studiati apposta per mettere a disagio chiunque li incroci. La sua espressione è tranquilla, quasi timida, ma il modo in cui l'ha avvicinata è qualcosa che Anastasia non riesce a comprendere.
<<Ahm, scusa. Sai, non mi piace stare da solo. Ti va di...>> Il ragazzo si interrompe, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre cerca le parole. <<Fare conoscenza?>>
Anastasia lo fissa, confusa. "Perché?" si chiede. "Perché proprio con me?"
Nella sua mente si accavallano pensieri come onde in tempesta. Nessuno si è mai avvicinato a lei in questo modo, tantomeno un ragazzo, e un ragazzo così... bello.
Per un istante, si convince che dev'esserci uno scherzo dietro, una telecamera nascosta o qualche amico che lo sta osservando da lontano.
Lui la guarda con aspettativa, ma non sembra avere secondi fini. Ha un sorriso appena accennato, e Anastasia si accorge che sta aspettando una risposta.
Il problema è che non riesce a darla. Le parole si bloccano in gola. "Non posso sembrare stupida, non posso dire qualcosa di sbagliato," si ripete. E se la sua voce risultasse troppo tremante? E se dicesse qualcosa di banale che lui ricorderebbe per sempre come 'quella risposta imbarazzante della ragazza timida'?
La sua insicurezza la paralizza. Si sente piccola, insignificante, incapace di sostenere quella situazione surreale.
Il sorriso del ragazzo svanisce un po', e Anastasia si accorge di aver fatto passare troppo tempo. Lui abbassa lo sguardo per un momento, grattandosi nervosamente la nuca. <<Va bene, scusa. Forse ti sto mettendo a disagio. Non volevo forzarti, davvero. Non importa.>>
Il suo tono è gentile, ma c'è una nota di delusione che fa male ad Anastasia più di quanto avrebbe pensato. Lo vede fare un mezzo passo indietro, come per lasciarla andare, e una parte di lei si sente in colpa.
"Non posso lasciarlo andare così," pensa. Raccolto tutto il coraggio che ha, fa un respiro profondo.
<<Aspetta!>> esclama, più forte di quanto volesse.
Il ragazzo si ferma e la guarda di nuovo, sorpreso. Anastasia abbassa lo sguardo, sentendo il viso diventare rosso, ma si forza a parlare. <<Io... sono Anastasia. Anastasia Smirnova.>>
"Bingo!" Pensa sodisfatto.
Un sorriso torna a illuminare il volto del ragazzo, sincero e rassicurante. <<Piacere, Anastasia. Io sono Alexei. Alexei Petrov.>>
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