Le crisi ~ 9

Terminata la cerimonia tutti quanti ci alzammo dalle panche e la maggior parte delle persone si mosse verso l'uscita, mentre la restante rimase all'interno della chiesa. La bara sarebbe stata lasciata lì, chiusa, per un breve lasso di tempo cosicché chiunque volesse avrebbe potuto dare ad Al un ultimo saluto, prima del suo spostamento verso quel punto del cimitero nel quale sarebbe stato sepolto.

Sollevandomi, sistemai il vestito così da stirare le pieghe che si erano formate rimanendo ferma in quella posizione. Girai, poi, lo sguardo verso mia madre, la quale mi indicò la navata e mi posò la mano sulla schiena per spingermi ad avanzare.

Prima avevo immaginato che non mi avrebbero consentito di andare da lui, a rivolgergli quelle ultime parole di addio, ma dopo averlo realizzato definitivamente mi rattristai. Chinai il capo verso terra e mi incamminai mestamente in direzione dell'uscita. Passo dopo passo, diventava ogni secondo più ovvio il fatto che una volta superata quella porta avrei abbandonato Al per sempre.

Il sole aveva rischiarato da poco quella giornata uggiosa e l'illuminato spazio aperto che si stagliava dinanzi a noi mi indicava come passata la tempesta sarebbe arrivato il sereno. Mi mostrava come sarei dovuta andare avanti, spogliandomi dal dolore per quel lutto, pronta ad affrontare ciò che la vita aveva in serbo per me. Dovevo farlo anche senza la compagnia di quella persona che, oramai, era divenuta speciale.

Avanzavo lenta, stando al passo con i miei genitori e il resto della folla. Quando mia madre tolse la mano dalla mia schiena, però, non resistetti: mi voltai completamente in direzione della bara e a catturare la mia attenzione fu quel raggio di luce che la colpiva.

Partendo dalla finestra, situata nella parte superiore della parete sinistra, scendeva tagliando l'aria. Intravedevo dei granelli di polvere che fluttuavano illuminati da quel fascio e pensai a quel Paradiso di cui avevo tanto udito parlare. Mi chiesi se, in quel momento, lui ci stesse osservando, magari proprio sotto forma di fascio luminoso; uno di quelli soavi, che illuminano la strada da compiere e scaldano il cuore a chi li contempla. Scorsi con lo sguardo ogni suo tratto e finii per posarlo su quel punto della bara che toccava, mimando un leggero: "Addio, amico mio".

Al era quello: un amico. Un uomo che mi aveva accolta nella sua vita e mi aveva mostrato cosa significasse amare qualcuno, perché lui voleva davvero bene a quei fratelli che non erano figli suoi, ma che considerava come tali, e non aveva mai smesso di farlo fino alla fine dei suoi giorni.

Sorrisi nella sua direzione, ricordando le parole di Jeremiah e pensando a tutto ciò che avrei conservato di lui nel mio cuore.

Appena mi voltai per riprendere la camminata verso l'uscita, notai mia madre e mio padre fermi al mio fianco. Non mi avevano interrotta in quel momento e dalla bocca non poté non uscirmi un "Grazie", assolutamente sincero.

Uscimmo tutti e tre assieme dalla chiesa e quei raggi del sole, che da poco avevano fatto la loro comparsa in cielo, si abbatterono su di noi scaldandoci. Sfilai quella giacchetta che avevo messo prima di uscire, così da non rischiare di accaldarmi e nel tentativo di farmi travolgere dai leggeri aliti di vento.

La zona adiacente la chiesa era gremita di persone, la maggior parte erano coloro che avrebbero accompagnato la salma fino a quel punto nel quale sarebbe stata sepolta. Noi non saremmo andati, ma ciò non mi disturbava molto: ero felice di aver potuto assistere alla messa e salutarlo un'ultima volta.

Stavo scrutando la folla alla ricerca di volti noti, ma mi interruppi nel momento in cui sentii mio padre dire: "Buongiorno, pastore Michaelson", e in risposta mi voltai di scatto.

"Salve, signori Sullivan" disse chinando leggermente la testa in segno di saluto; poi, guardando me, aggiunse: "Daisy", compiendo il medesimo gesto e offrendomi anche un sorriso, che prontamente ricambiai.

"È uscito il sole, fortunatamente" iniziò, volgendo lo sguardo al cielo e strizzando gli occhi per via del fastidio provocato dai raggi.

"Già..." rispose mio padre, incapace di aggiungere altro. Sembrava quasi come se non capisse il perché di quelle affermazioni.

"Brutta morte quella di oggi. Però non è la sola, in tutto il Paese sono decedute tantissime persone" continuò il pastore, aspettando che uno dei miei genitori aggiungesse qualcosa per continuare il discorso.

Era una conversazione così imbarazzante, che non riuscivo a comprendere come mai si stesse realizzando, fino a quando non sentii qualcuno afferrami la mano e tirarmi. Mi voltai e vidi Jeremiah che, con quegli occhi profondi come il mare, mi stava supplicando di seguirlo.

Rimasi incantata a fissarlo e sentii crescermi dentro quella voglia di andare con lui in ogni dove. Desideravo poter intrecciare quelle dita con le mie e fuggire ovunque, purché con lui e lontano da tutto ciò che ci circondava.

Spostai lo sguardo verso mio padre e vidi la rabbia nei suoi occhi. Dovevo zittire tutti quei miei desideri e rispettarlo, ma nel momento in cui udii Jeremiah pronunciare la frase: "Ti prego, vieni con me", ogni mio tormento scomparve; era lui quello da seguire.

Mio padre non avrebbe mai fatto una scenata davanti a tutti, specie al pastore Michaelson. Perciò, misi da parte ogni mia paura e, dopo aver deglutito con forza, chiusi gli occhi e trassi un profondo respiro. 

Mossi un piccolo passo nella sua direzione e, in quell'attimo, vidi il suo volto illuminarsi. Annuii lievemente guardandolo, perché avevo deciso di seguire il mio cuore, incurante di tutto ciò che sarebbe potuto accadere. La scelta migliore era andare con lui, ovunque mi volesse portare, perché non sapevo se avrei avuto un'altra occasione per averlo con me anche solo per un istante.

Cominciammo a camminare prima a passo svelto, poi man mano iniziammo ad accelerare, fino a quando non ci trovammo a correre. Muovevo le gambe più veloce che mai e non mi voltai indietro una sola volta, perché facendolo ero consapevole che mi sarei pentita di ogni mia azione. Continuai a correre, cercando di stargli al passo e ringraziai di aver indossato scarpe comode quel giorno.

Non appena superammo il retro della chiesa, lo vidi avanzare verso una sorta di rimessa e, una volta arrivato lì davanti, tirò fuori un mazzo di chiavi con il quale poter aprire la porta.

Nel farlo sembrava agitato, come se temesse che qualcuno potesse raggiungerci e impedirci di stare tranquilli per tutto il tempo necessario. Quel timore che percepivo, si riversò anche su di me e iniziai a guardarmi intorno, scrutando con attenzione ogni singolo punto.

Non appena riuscì a far entrare la chiave nella toppa, girò la maniglia e si fiondò all'interno.

"Possiamo stare poco tempo perché poi devo andare con gli altri a portare la salma al cimitero" affermò, passandosi la mano tra quei ricci che avevo tanta voglia di toccare nuovamente.

Io, in risposta, annuii. Speravo potessimo stare assieme più tempo, ma la mia mente era così annebbiata che, per un attimo, avevo scordato tutto ciò che era accaduto e il luogo nel quale ci trovavamo. Dopotutto, quella era la conseguenza dello stare con Jeremiah: mi portava ad annullare tutto ciò mi stava attorno.

Si voltò per chiudere la porta a chiave, così da evitare che chiunque potesse entrare dentro. Lo osservai da dietro e, per la prima volta in quella giornata, mi accorsi di come anche lui avesse perso molto peso. Il busto si era assottigliato e le braccia, già asciutte di loro, sembravano ancor più magre.

Feci un passo nella sua direzione allungando la mano, ma la ritirai immediatamente perché non avevo il coraggio di chiedergli quanto avesse sofferto in quell'ultimo periodo.

Mentre lui stava ancora armeggiando con le chiavi, borbottando tra sé e sé, cercai una distrazione da quei pensieri e iniziai a far scorrere il mio sguardo sulle pareti. Dal disordine e dallo sporco che regnavano in quel luogo, pensai che nessuno entrasse lì dentro da molto tempo e l'assenza di oggetti di particolare rilievo non faceva altro che avvalorare la mia tesi.

"Fatto. Finalmente!" esclamò, facendo tintinnare il mazzo nel momento in cui lo posò sul tavolino situato al lato della porta. Non feci in tempo a dire qualcosa, che subito mi corse incontro e mi avvolse nelle sue braccia.

Stringendomi forte, come mai aveva fatto prima, posò il mento sopra la mia testa. Restò così per qualche secondo, con il respiro caldo che usciva dalla sua bocca e andava a scontrarsi con i miei capelli.

Dopodiché, spostò il viso in modo tale da riuscire a darmi un bacio sulla fronte e disse: "Mi sei mancata tantissimo, raggio di sole".

Gli cinsi la vita con le braccia e adagiai il mio orecchio sul punto esatto in cui batteva il suo cuore. Il ritmo svelto era sinonimo di quelle emozioni che lo stavano percuotendo, così forti come quelle che scuotevano me in quell'istante.

Sentivo il bisogno di piangere, di raccontargli tutto quello che mi era successo e di scusarmi con lui per aver infranto la promessa di non abbandonarlo mai. Nel mio cuore l'avevo mantenuta, ma lui quello non aveva potuto saperlo.

Ogni tormento mi morì in gola nell'attimo esatto in cui lui si allontanò leggermente da me e mi sollevò il mento con l'indice. In quel luogo non troppo illuminato riuscii a intravedere ugualmente le sue chiare iridi, incastonate in quel volto cesellato di cui conoscevo ogni spigolo a memoria.

Feci scorrere la mano lungo i suoi tratti e, infine, posai il mio sguardo su quelle labbra, che desideravo tanto poter baciare nuovamente. Il battito del suo cuore era più forte di prima, ma accelerò ancor di più nel momento in cui chinò la testa per portarla più vicino alla mia. Mostrava qualche accenno di esitazione nel compiere quei gesti, a tal punto che le sue labbra si posarono delicatamente sulle mie.

Era un tocco leggero, come se gli bastasse quello per potermi sentire nuovamente lì con lui. Quando si staccò, lo imitai baciandolo come aveva fatto lui con me, perché sentivo che con quello sfioramento soave sarei riuscita a non fargli ancora del male.

"Mi sei mancato tanto anche tu, Jeremiah" sussurrai con una voce talmente flebile che per un attimo temetti non mi avesse sentito.

"Ho sofferto tanto, Daisy. Non lasciarmi mai più, ho bisogno che tu rimanga nella mia vita ora più che mai" confessò, e in risposta mi si mozzò il respiro. Sapevo che mio padre mi avrebbe mandata in collegio e decisi che avrei dovuto tempestivamente dirglielo, perché non potevo essere sicura di avere a disposizione un'altra occasione per farlo.

"Mio padre ha scoperto di noi" iniziai.

"Come ha fatto?"

Stavo per rivelargli il motivo per il quale era riuscito, quando mi ricordai che lui dei quadri non sapeva nulla. Nella mia mente cominciò a nascere un conflitto interiore sulla risposta che avrei potuto dare, ma nel cercare di scovare una bugia capii da sola che la verità sarebbe stata la scelta migliore.

"Jeremiah, io..." cominciai e chinai lo sguardo per l'imbarazzo. "Avevo dipinto dei quadri con noi due in numerose occasioni. Li ha trovati" conclusi.

"Perché non me lo hai mai detto?"

"Una volta che li ha trovati, mi ha costretta a non vederti più. Sono rimasta chiusa a casa tutto il tempo e non sono riuscita a trovare il modo per dirtelo" ribattei farfugliando.

"No, Daisy. Non quello" ammise, per poi correggersi: "Nel senso, anche quello andava bene, però mi stavo riferendo ai quadri. Perché non me ne hai mai parlato o non me li hai mai mostrati?"

"Imbarazzo, probabilmente" affermai, in tutta sincerità.

"Un giorno vorrei vederli" disse, spostandomi una ciocca di capelli dal volto e dandomi un bacio sulla fronte. Tenendomi il viso con le mani, scese a lasciarmene un altro sulla punta del naso e, infine, incontrò la mia bocca. Quella volta non fu un tocco leggero come prima: senza esitazione mi baciò con trasporto. Mi lasciai andare a quella richiesta, perché era ciò che volevo e di cui sentivo la necessità fin da troppo tempo ormai.

Nota dell'autrice

Buongiorno a tutti, cari lettori.

Anche questa volta mi scuso con voi per il ritardo nella pubblicazione. Purtroppo, oltre agli esami universitari, si sono aggiunti alcuni piccoli problemi di salute ed è stato veramente difficile trovare del tempo libero per poter scrivere.

Oggi pubblico questo capitolo e vi prometto che il prossimo uscirà a breve. È già stato quasi tutto scritto, quindi conto di pubblicarlo entro la fine della settimana.

Grazie a chi è rimasto, nonostante i miei ritardi negli aggiornamenti. Siete la mia forza ❤



Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top