6
Giugno 1975
Le prime luci dell'alba penetrarono tra le fessure della persiana, segnando l'inizio di una nuova giornata d'estate nella Contea di Madison, in Alabama.
Daisy non fece ciò che da adolescente era solita fare, ovvero voltarsi dall'altra parte e coprirsi la testa, ma si stiracchiò, sorridendo a quel raggio di sole che le scaldava il cuore tutte le volte che compariva.
Come tutte le domeniche si alzò e si apprestò a prepararsi per uscire di casa. Il programma era sempre lo stesso: presenziare all'omelia del pastore della Contea, dirigersi al Madison bakery aperto tutte le domeniche per fornire del pane fresco a coloro che andavano a messa, andare dal fiorario a comprare delle margherite e, infine, salutare Jeremiah consegnandogli quel mazzo di fiori profumato.
Nonostante lo scorrere degli anni la routine della domenica sarebbe rimasta sempre la stessa. Probabilmente se non vi fosse stata Amanda a casa avrebbe portato i due piccoli con sé, ma quella mattina sentiva di volerli lasciare riposare fino a quando non sarebbe tornata.
Mentre compiva le solite azioni, cominciò a riflettere su quelle sue abitudini. Daisy non era mai stata una persona dedita alla fede, probabilmente era entrata in contatto con essa come moltissime persone: per via della pratica in famiglia.
Negli ultimi anni, però, aveva cominciato a riscoprirla e sentirla come una sorta di punto di riferimento sul quale poter contare. Sapeva a chi rivolgersi quando si sentiva sola in quella casa e pensarci le consentiva di sognare un luogo nel quale lei e il suo amato, un giorno, avrebbero potuto tornare a vivere assieme. Le mancava Jeremiah a casa e nella sua vita; per quel motivo andava a trovarlo tutte le volte che poteva.
La domenica era un appuntamento fisso che nessun evento al mondo avrebbe potuto interrompere. Certo, uno c'era, ma Daisy sperava che quel momento potesse sopraggiungere tra un bel po' di anni.
Ci impiegò poco a raggiungere la Chiesa e si posizionò nei posti in fondo, come era solita fare sempre. Quella scelta la compiva per il semplice fatto che i genitori, quando era giovane, la portavano avanti per dimostrare quanto fossero una famiglia di bravi cattolici.
Sapeva che quelle decisioni erano una semplice scelta atta a creare una facciata. Di fedele non vi era nulla in quella famiglia, Daisy stessa non andava in Chiesa per volere suo e l'aveva sempre infastidita il fatto che la famiglia la costringesse.
La fede, per lei, era qualcosa che si aveva o non si aveva; che veniva o non veniva. Non si poteva imporre e non poteva essere adoperata per rappresentare una maschera, o un tipo ideale di persona. L'esperienza le aveva insegnato, a tal proposito, che chi prega e frequenta la messa non per forza è buono, così come non va considerato cattivo chi ha preso decisioni differenti.
Lei, perciò, crescendo e avvicinandosi a Dio aveva capito che qualunque punto nel quale si sarebbe posizionata, non avrebbe potuto determinare quel suo sentimento interiore, ma lo stare dietro la aiutava. Non aveva bisogno di dimostrare di essere lì agli abitanti della Contea, era sufficiente che lo sapessero lei e Dio.
Pregò, ascoltò e cantò come era solita fare e una volta terminato il tutto si incamminò e compì la sua routine, sentendo che anche quel giorno era per lei un giorno speciale.
Il ripetersi delle azioni non le dava noia, ma la faceva sentire stabile, ancorata a quella terra che tanto amava e a quella persona che faticava a salutare e abbandonare.
Ritornò a casa con del pane fresco e delle pastine per la colazione. Non appena si diresse in cucina trovò Amanda intenta a bere qualcosa da una tazza fumante.
Vederla con indosso un pigiama, con i capelli spettinati e lo sguardo di chi ha trascorso una notte serena la riempì di gioia. Era strano non vederla composta, sembrava più naturale, meno costruita. In quella circostanza rivide sua figlia e non l'involucro che si era presentato a casa sua il giorno precedente.
«Buongiorno, mamma», le disse, nascondendo quell'accenno di sorriso che le spuntava mentre sorseggiava il contenuto. Daisy non riusciva a stabilire se fosse thé o caffè, ma poco le importava.
Raggiunse il tavolo, vi poggiò sopra la busta e andò a dare un bacio alla figlia.
«Sei andata da papà?»
Daisy annuì. «In chiesa, da papà e a prendere del pane e delle pastine.»
Si bloccò un attimo e rivolse la sua attenzione al corridoio, cercando di capire se vi fossero dei rumori provenienti da altre stanze. Non fu in grado di udire alcun suono perciò domandò ad Amanda: «Jason e Claire sono svegli?»
«No. Ho aperto la porta delle loro camere, ma stavano ancora dormendo profondamente. Il viaggio e il Luna Park devono averli stancati parecchio.»
Si sedette sulla sedia e fissò la figlia.
«Che c'è?» le domandò Amanda.
«Come è andata ieri sera?»
Amanda sorrise e raggiunse il tavolo accomodandosi per poter stare più vicino alla madre. Sembrava quasi come se fossero tornate indietro nel tempo, quando la figlia parlava alla madre delle sue cotte adolescenziali.
«Ci siamo seduti sulla scalinata del portico e abbiamo chiacchierato un po', della nostra vita presente e del nostro passato. È stato bello conoscerlo di nuovo e provare a raccontarmi.»
«Hai dato delle risposte scontrose al Luna Park. È successo qualcosa di tanto grave in passato?» domandò Daisy. Era sincera, non voleva vedere la figlia soffrire e sicuramente dinanzi a un brutto episodio si sarebbe messa da parte.
«Sì. Ad ogni modo non è niente che non si possa risolvere, mamma. Sembra cambiato», rispose Amanda.
«Questa sera uscite allora?»
«Mi porta a mangiare fuori a pranzo. All'ora di cena dovrò già essere in macchina per ritornare ad Atlanta, visto che domani devo lavorare. Gli ho chiesto se potevamo vederci a quell'ora e ha accettato.» Fece una breve pausa e poi riprese, con un tono di voce più basso, affermando: «Spero non ti dispiaccia».
«Assolutamente no. L'unica cosa che mi mette tristezza è il fatto che tu te ne debba andare da qui», rispose Daisy avvinandosi ad Amanda e spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
La figlia, capendo di avere un aspetto trasandato, mollò tutto e cominciò ad aggiustarsi meglio che poteva, partendo dai capelli. Daisy la fermò subito. «No, lasciali così. Mi piace vederti naturale.»
Amanda fece un sorriso imbarazzato e disse: «Ti voglio bene, mamma».
«Anche io, tesoro mio. Tanto», concluse Daisy sollevandosi dalla sedia, seguita a ruota dalla figlia.
Sarebbe stato meglio fare colazione subito, in modo tale da riuscire a cominciare il racconto il più presto possibile. Amanda sarebbe dovuta uscire con Caleb e Daisy era intenzionata a raccontarle il più possibile della storia sua e di Jeremiah. Ormai non mancavano molti quadri e sperava di riuscire a terminarli in giornata.
«Mamma, aspetta.» Amanda prese Daisy per un braccio e, assicurandosi che i figli stessero ancora dormendo, sussurrò: «A loro cosa devo dire? Sto uscendo con un uomo che non è il loro padre».
«Tesoro, non preoccuparti. Per loro sarà un amico, anche perché non sai cosa può accadere tra di voi», rispose Daisy. Era stata sincera, magari l'uscita tra i due poteva rivelarsi isolata e quindi non ci sarebbe stato motivo di preoccuparsi. Il come rivelare un'eventuale frequentazione era un argomento che andava affrontato solo in futuro, dinanzi a una certezza.
«Hai ragione», rispose muovendo la testa, come per confermare ciò che aveva detto con un cenno affermativo.
Andarono a svegliarli e videro che Claire stringeva tra le braccia l'orsetto che Caleb aveva vinto per lei. Amanda nel salutarla diede un bacio alla figlia sulla fronte e accarezzò il peluche, quasi come se potesse rivolgere quel gesto alla persona che l'aveva regalato.
«Coraggio, piccoli. Giù ci sono dei dolci che vi aspettano», sussurrò Amanda sapendo che quella frase li avrebbe portati a sbrigarsi.
Così fu, si alzarono di scatto e andarono a mangiare ciò che Daisy aveva loro comprato. Una volta terminato e dopo essersi puliti la faccia da tutti i residui di briciole e cioccolato, andarono ad accomodarsi sul divano.
«Che dite? Comincio il racconto o volete fare qualcos'altro?» domandò la nonna.
«Racconto!» esclamarono in coro Jason e Claire.
La nonna annuì, toccandosi nervosamente le mani. Non sapeva se sarebbe stata in grado di affrontare tutto di nuovo, ma si fece forza. Ormai aveva cominciato a narrare la sua storia e quella di Jeremiah, non poteva interrompersi lì.
Daisy aveva rivelato loro che sarebbe stato un racconto molto lungo, quindi dovevano prepararsi ad affrontare al meglio quella storia che stava per riprendere dal punto in cui si era interrotta la sera precedente.
«Considerate che Le crisi è ambientato in autunno, e più precisamente ad ottobre. Tre mesi dopo il racconto del quadro nel quale avvenne il bacio», chiarì Daisy.
«E cosa è successo nei mesi in mezzo?» chiese la piccola Claire, come sempre la più curiosa tra tutti.
«Semplicemente ci innamorammo sempre di più. Continuammo a frequentarci, a uscire specialmente al Rock Pond o al Jazz Band Club. Erano diventati i nostri luoghi, in pratica. Passavamo anche ore nel mio studio, nei posti in cui sapevamo essere soli o con i nostri amici», cominciò a dire.
«La giornata al Luna Park ve l'ho raccontata e non è successo nient'altro di particolare; solo classiche giornate di due adolescenti innamorati», concluse ridendo.
Amanda la seguì pensando che la madre intendesse che passava le giornate a scambiarsi effusioni con il padre, ma non disse niente.
«Bene, detto ciò, posso partire?» domandò per un'ultima volta.
I tre annuirono e il racconto riprese.
Nota dell'autrice
Come avete potuto notare dalle notifiche che vi sono arrivate, ho deciso di dividere la storia in più parti.
Sfrutterò quei capitoli inserendo degli avvisi (se mai li avrò) così da tenervi aggiornati su eventuali sviluppi/contrattempi/qualunque-altra-cosa.
Questo capitolo è solamente di passaggio e mi dispiace se vi ha annoiato, ma era indispensabile per introdurci a Le crisi.
Volevo usare questa nota autrice anche per farvi notare che questo capitolo inizia esattamente come il primo capitolo della storia. I raggi di sole saranno sempre più importanti e il tutto vuole sottolineare la ripetitività delle giornate di Daisy.
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