5 ~ 4
Daisy riconobbe subito quella voce: era Caleb Montgomery. L'uomo, a detta sua, perfetto per Amanda. Più grande di lei di quasi due anni, sin da bambino le aveva riservato tutte quelle cure e attenzioni che solo un ragazzino con una grande cotta offrirebbe.
«Caleb!» esclamò lei, decisamente sorpresa. Si guardò intorno per cercare di intercettare i suoi figli con lo sguardo, quasi come se li volesse lì, davanti a lei.
«Da quanto tempo non ci vediamo», disse e accorgendosi di Emily e Daisy si affrettò subito a salutarle con un sorriso e un cenno di capo.
«Già...» si limitò a rispondere la figlia di Daisy. Dinanzi a quelle reazioni e a quelle risposte la donna non poté non pensare al fatto che, secondo lei, qualcosa tra i due c'era stato. Da un lato gioì perché aveva sempre pensato che Caleb fosse l'uomo adatto alla figlia, ma dall'altro temeva che bruschi avvenimenti passati tra i due potessero affrettare il ritorno ad Atlanta di Amanda.
«State provando il lancio degli anelli?» domandò Caleb, mentre rivolgeva la sua attenzione ai due piccoli.
«Perspicace...» ribatté Amanda.
Lui non fece neanche caso alla risposta e si rivolse ai due piccoli presentandosi loro e salutandoli affettuosamente.
«Campione, tu non ci hai provato?» domandò a Jason.
Il piccolo annuì e poi disse: «Ho perso. Provaci tu, la mamma non è in grado». Tutti scoppiarono in una fragorosa risata; tutti tranne Amanda, la quale si limitò a spostarsi, guardare verso il basso e allungare la mano per cedere gli anelli a Caleb.
L'uomo non se lo fece ripetere due volte e, utilizzando la tecnica precedentemente adoperata dalla figlia di Daisy, riuscì a centrare sette cubi con i nove anelli che aveva a disposizione, riuscendo ad aggiudicarsi ben due giochi: un peluche a forma di orsacchiotto per Claire e un pallone da basket per Jason.
«Questo è per te, principessina», disse, porgendole l'orsetto bianco che aveva tra le mani. Era decisamente morbido e quel nastro rosa al collo gli conferiva un aspetto così tenero. Daisy pensò che fosse proprio il regalo perfetto per Claire.
«Tieni, campione. Sono convinto che con quell'altezza tu possa avere un grande futuro in questo sport», disse passandogliela tramite palleggio. Il piccolo cominciò subito a farla rimbalzare a terra, per poi riconsegnarla a Caleb.
Questi si esibì, cominciando a passarsi la palla da una mano all'altra attraversando le gambe. La fece rimbalzare sotto la gamba del lato non dominante, per poi prenderla con la mano corrispettiva. Eseguì di nuovo il tutto facendo una doppia finta per creare un attimo di esitazione, invitando così Jason a tentare di afferrarla. Attuò un nuovo cambio e dopo averla presa la fece roteare sul suo dito indice.
«Mi insegni come hai fatto?» domandò girandosi la palla tra le mani, con gli occhi spalancati e l'evidente ammirazione che traspariva.
«Certamente, campione» affermò Caleb.
Tutti erano rimasti a guardarli senza proferire parola. Caleb silenziosamente si aggregò a loro nella ripresa del giro e affrettando il passo affiancò Amanda ed Emily.
«Allora, Manda, cosa fai nella vita?» le domandò.
«Smettila di chiamarmi Manda, Caleb. Il mio nome è Amanda, con la a. A-M-A-N-D-A», rispose lei con un tono di voce abbastanza alto, scandendo ciascuna delle lettere che componevano il suo nome. Era evidentemente irritata e il suo camminare in fretta, cercando di rimanere un passo avanti a lui, sottolineava come la sua presenza lì la infastidisse.
«Ok, Amanda, cosa fai nella vita?» ripeté calcando la prima lettera del suo nome.
Lei non rispose e riprese il passo annunciando: «Si è fatto tardi, andiamo a casa che è meglio». Nel dire quelle parole afferrò la mano di entrambi i suoi figli, ma venne interrotta nella camminata da Caleb che le si parò davanti.
L'uomo fissò Emily, come per chiederle un aiuto, e quella si apprestò a intervenire. «Già, Amanda, neanche io te l'ho chiesto prima. Cosa fai nella vita?»
La donna sbuffò e dopo aver alzato gli occhi al cielo rispose: «Faccio la segretaria per un uomo influente nell'ambito della politica, ad Atlanta».
«Atlanta? Non ti facevo tipa da grandi città», disse Caleb.
«Sai com'è, si cambia nel corso degli anni. Fortunatamente.»
«Davvero fai quel lavoro?» domandò Emily, interrompendo lo scambio di battute, e prima che l'altra potesse anche solo annuire aggiunse: «Mio marito vuole candidarsi come sindaco della Contea e sta proprio cercando una segretaria, visto che quella che aveva assunto ha deciso di trasferirsi. Conosci qualcuno che potrebbe essere interessato?»
Daisy ascoltò con attenzione quella domanda e dentro di sé premeva per gridare un solo nome: Amanda. Lavorare per il sindaco, ritornare nella sua città natia, poter stare a contatto con i suoi amici di vecchia data, averla lì: sarebbe stato il suo sogno e sperava di riuscire a convincere la figlia durante quella breve permanenza.
Amanda scosse la testa, accompagnando il gesto con la frase «No, mi dispiace. Se mai dovessi trovare qualcuno, comunque, te lo farò sapere».
«Quanto tempo vi fermate qui?» domandò Caleb rivolgendosi ad Amanda, ma anche ai due piccoli.
Jason cominciò a palleggiare e intervenne prima che la madre potesse dire qualcosa. «La mamma fino a domani, mentre io e Claire rimarremo qui qualche settimana.»
«Solo fino a domani, Amanda?» chiese, calcando nuovamente la prima lettera.
Lei annuì e aggiunse: «Bene, Caleb, è stato un piacere rivederti. Ora noi andiamo a casa che è tardi. Buona vita». Lo salutò con la mano, aggiungendo un cenno del capo.
Poi si rivolse a Emily e la abbracciò: «Mi ha fatto davvero piacere rivederti, chissà che prima o poi le nostre strade si incrocino nuovamente». L'amica ricambiò il gesto e si congedò salutando tutti, incamminandosi verso la direzione opposta a quella che avrebbero dovuto percorrere.
I quattro cominciarono ad avanzare e Daisy, nel mentre, si voltò e guardando Caleb mosse la testa verso Amanda, come per invitarlo quasi a non arrendersi. Lui non se lo fece ripetere due volte e, come prima, le si posizionò davanti: «Esci con me domani».
«Come prego?»
«Domani. Vieni a cena con me», ripeté nuovamente, spostandosi per impedirle di oltrepassarlo.
«Non se ne parla nemmeno. Addio, Caleb», affermò mettendo la mano sul suo braccio e cercando di spostarlo, in modo tale da riuscire a superarlo.
«Ma mam...» cominciò Jason. La madre non gli diede neanche il tempo di terminare che affermò: «Non dire nulla, per favore».
La conversazione si chiuse lì e durante il percorso per raggiungere casa nessuno proferì parola. Era evidente che qualcosa fosse avvenuto tra i due, ma forse le reazioni di Amanda testimoniavano che lei aveva subito una grande delusione. Un brutto evento che l'aveva segnata, al punto tale da non volergli dare un'altra occasione.
Non appena giunsero a casa corsero tutti quanti a prepararsi per la notte, ormai prossima, e poco prima di congedarsi ritornarono sul divano. Claire fu la prima a rompere il silenzio.
«Nonna, riesci a raccontarci anche il prossimo quadro?»
Lei guardò l'ora e scosse la testa. «No, tesoro. Tra tutti penso sia il più lungo da raccontare e non vorrei dovermi interrompere nel mezzo. Sarà meglio riprendere domani mattina, quando saremo tutti più freschi, carichi e riposati.»
Jason andò a leggere il titolo: «Le crisi». Si scostò per vedere meglio cosa vi fosse raffigurato. In quella immagine non c'era alcun volto o alcun segno che potesse richiamare i nonni.
Daisy aveva dipinto un treno e, al posto del classico terreno, vi era un letto di monete spezzate in due. I toni dell'intera opera erano notevolmente cupi, così in contrasto con i colori di quasi tutti gli altri dipinti.
«È successo qualcosa di brutto?» chiese Claire, domandando ciò che tutti si stavano chiedendo. La nonna non poté fare a meno di annuire, ma non aggiunse altro. Semplicemente si alzò e si apprestò a salutare tutti con un bacio sulla fronte. Venne interrotta, però, dall'insistente bussare di qualcuno alla porta.
«Amanda, vai a vedere tu?» domandò mentre si avviava lo stesso verso il corridoio per capire chi potesse essere a quell'ora.
«Sì, certo.»
Appena la figlia aprì la porta, comparve la figura alta e possente di Caleb. Sembrava più curato rispetto a prima, quasi come se si fosse dato una rinfrescata e avesse sistemato quell'accenno di barba che compariva sul suo volto.
Teneva tra le mani un mazzo di fiori e, dopo essersi passato la mano tra quei ricci capelli castano chiaro, accennò un semplice «ehm».
«Cosa vuoi ancora?» chiese Amanda, con tono arrogante.
«Ho pensato che presentandomi qui con un mazzo di fiori e un bel portamento dirmi di no sarebbe stato impossibile», affermò porgendoglielo. Erano delle gerbere, tutte dal diverso colore. Amanda afferrò il mazzo e vi avvicinò il volto per sentire se avessero un buon profumo.
Dalla faccia estasiata che fece, la risposta era evidente. Daisy mentalmente si complimentò con Caleb per essersi ricordato i fiori preferiti della figlia.
«Dove li hai presi a quest'ora?»
«Non ha importanza.»
«Di' la verità... erano in un vaso a casa di tua madre?» domandò accennando una risata.
«Forse.» Fece un sorriso un po' storto, sollevando solo uno dei due lati e guardò a terra, quasi come se si vergognasse di quella situazione. Amanda non gli aveva ancora risposto e Daisy temeva che quel suo agire in modo troppo avventato e insistente avrebbe potuto essere deleterio. La figlia, però, dopo aver nuovamente annusato i fiori sorrise e disse: «Va bene».
«Davvero?» domandò Caleb strabuzzando gli occhi.
Daisy, in quel momento, si voltò per vedere dove fossero i due piccoli e se avessero anche loro assistito a tutta la scena, ma quelli erano rimasti sul divano. Avevano una faccia così stanca e, dopo aver udito un flebile «Sì» pronunciato da Amanda, la nonna decise di smettere di spiare e di dirigersi verso i due piccoli.
«Forza, tesori, andate a letto.» Li prese per mano e si incamminò con loro verso le camere, sperando con tutto il cuore che la conversazione tra Caleb e Amanda non si fosse interrotta lì, ma che fosse proseguita nel migliore dei modi.
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