Quos amor verus tenuit, tenebit.








Nessuno può realmente immaginare come sia pesante l'eternità, essa pesa come un'armatura, una corazza che tutti vedono come misticamente bella, come un diamante, tutti ne ammirano la bellezza, eppure nessuno si ricorda di come esso sia la cosa più dura e tagliente esistente in questa effimera Terra.

Essere immortale è proprio così, vedi solo la trasparenza e la bellezza della gemma, ma non ti soffermi sulla freddezza e sulla sua spigolosità tagliente, tant'è che all'inizio della trasformazione senti l'euforia spargersi come una scossa elettrica travolgente, ti senti onnipotente, come potresti non farlo, una volta trasformato sei più forte, più veloce, i tuoi sensi sono potenziati e nulla può più sfuggirti, nemmeno i pensieri altrui, tutto ciò ti impedisce vedere il lato negativo della vita eterna.

Sembra tutto perfetto, la cosa che nessuno ti dice, però, è che inevitabilmente tu resterai solo.

Quando te ne accorgi è come un brusco risveglio, torni in te come se ti tirassero all'interno della tua stessa pelle, ti guardi attorno e vedi la caducità di ogni cosa, la fragilità di ogni essere, di come crescano per poi avvizzire e infine sparire.

Tutti, compreso tua madre che ti ha dato alla luce, tuo padre che ti ha insegnato come affrontare il mondo e ti ha tenuto sotto le sue ali, la tua sorellina che ti guardava con gli occhi lucidi quando mangiavi l'ultima porzione della sua pietanza preferita.

Mia mamma, mio papà, mia sorella, morti, ormai divenuti solo cenere, sbiaditi persino nei miei ricordi, ormai annacquati dalle onde dei secoli che mi si sono riversate addosso.

Il punto non è la trasformazione in sé, la questione è la sofferenza che porta, che è così soverchiante e si trascina così a lungo, tanto da anestetizzare in te ogni traccia di emozione, i vampiri dal cuore tenero non sopravvivono e, ad un certo punto, quanto passi l'ennesima 'vita' artificiale tra gli umani e vedi colui che ami spegnersi lentamente, qualcosa scatta; non si è più disposti a lacerarsi l'anima sull'ennesima tomba candida, a consumarsi gli occhi sull'ennesimo epitaffio che sgorga dal cuore gonfio di dolore e rabbia.

Almeno per me fu così, decisi che il mio dolore era abbastanza, presi la risoluzione di frequentare, quando possibile, solo i miei simili e di comparire nei destini umani solo e unicamente per necessità, o per sfamare la mia fame.

Un essere sovrannaturale come me non ha veramente bisogno di rapporti interpersonali, siamo predatori solitari, immuni dal fascino della socializzazione, siamo territoriali e non vogliamo che nessuno entri nel nostro territorio di caccia, sopratutto se non invitato, inoltre trovo le altre persone noiose e i vampiri degni della mia compagnia sono pochi e altamente selezionati dai miei standard rigidi.

Per questo quello che mi è successo mi è incomprensibile, ho creduto di aver chiuso il mio cuore per sempre, invece quando lo incontrai per la prima volta mi resi conto che, forse, non l'avessi donato realmente a nessuno, che non avessi mai amato nessuno quanto io abbia amato Park Jimin. Chiudo gli occhi e mi lascio travolgere dai ricordi di quando lo incontrai, come ormai non riesco più a smettere di fare.

)○(

Era un'altra notte, appena prima del crepuscolo, data la mia età potevo permettermi di svegliarmi appena prima che il sole calasse, per poterlo osservare nostalgico, coperto dall'ombra del grattacielo davanti al gemello in cui risiedevo.

Fu allora che lo vidi, o meglio lo percepii, subito, infatti, sentii il battito forte e regolare del suo cuore ed il mio viso scattò verso la sua direzione, ormai incuriosito. Udii una voce sottile e dolce, espressiva intonare una canzone distrattamente 'I want you to be your light, baby, you should be your light', mi bloccai trovandomi affascinato da essa e desideroso di scoprire di chi fosse, ma appena vidi chi stesse cantando, tutto attorno a me si infranse, inondandomi di sensazioni che non provavo da tempo immemorabile.

Il ragazzo era atletico, non molto alto, i capelli avevano la sfumatura di un rosa aranciato, gli occhi scuri dal taglio orientale, il naso dritto e proporzionato, le labbra erano carnose, peccaminose e rosee, le guance morbide; era coperto da una felpa nera enorme, le maniche gli coprivano le mani dandogli un'aria infantile e tenera, in contrasto con le gambe toniche e atletiche fasciate da jeans strappati.

Deglutii, tutto in quel ragazzo sembrava innocente e sensuale allo stesso tempo, il suo fascino etereo catturò il mio sguardo, mi sentii risucchiare verso di lui, mi chiesi che profumo avesse la sua pelle, come essa potesse essere al di sotto delle mie gelide mani, di come potesse suonare alle mie orecchie la sua risata.

Ebbi subito l'impulso viscerale di avvicinarmi a lui, di affondare il viso nell'incavo del suo collo, ma non per nutrirmene, semplicemente per sentire il suo odore, mi trovai a desiderare di entrare nella sua mente, leggere i suoi pensieri, capire le sue paure e ammirare i suoi sogni.

Mi chiesi come fosse possibile, volli convincermi che forse la mia fame aveva raggiunto livelli molto elevati, tanto da farmi sbandare per un umano; poi successe, fu una frazione di un secondo, ma per chi, come me, aveva centinaia di anni sulle spalle fu come l'ennesima conferma che in realtà le coincidenze non esistono, il ragazzo alzò gli occhi, incatenandoli ai miei, per poi sorridere, uno dei sorrisi più puri e luminosi che avessi mai visto, non seppi a cosa e nemmeno me ne importò allora; dei passerotti mi volarono affianco, inseguiti da un gatto ma tutto in me rimase totalmente immobile.

Non pensai mi servisse altro al mondo se non quel preciso istante, se non quel sorriso, se non quella voce.

L'istinto mi spingeva a correre da lui, chiedergli il nome, un contatto, in modo da poterlo incontrare, ma il mio animo prudente si palesò, avevo paura si potesse spaventare o che potesse addurre un rifiuto, in quel momento decisi che non avrei mai voluto che quelle labbra pronunciassero un no in mia presenza, volevo essere accettato da lui nella mia totalità, volevo che mi amasse, che decidesse di stare con me, per sempre. All'improvviso avrei voluto la possibilità di respirare, il mio cervello stava andando in tilt e il mio cuore, che credevo morto da tempo, sembrò tornare a pulsare.

Molti credono che i vampiri non siano propriamente vivi, non abbiano organi funzionanti e che sopratutto il cuore smetta di battere, in realtà non è così, il corpo di un vampiro rallenta così tanto il suo funzionamento da quasi sembrare immobile, cosicché può nutrirsi meno e bloccare il deterioramento indetto dal tempo che scorre, ma io sapevo, come lo sa ogni vampiro,  che il nostro cuore sarebbe tornato a battere nel momento in cui il tuo compagno, quello dell'eternità, quella che gli umani chiamano anima gemella, avrebbe fatto ingresso nella tua vita.

Quando il mio cuore pulsò rimasi attonito, gli occhi ancora fissi su quella delicata creatura che si era piegata ad accarezzare un gatto, mi umettai le labbra per poi nascondermi di più dalla sua vista, smarrito e totalmente confuso dal piccolo battito che scuoteva il mio petto.

Dovevo conoscerlo, dovevo sapere tutto di lui, quel ragazzo mi avrebbe dovuto scegliere e amare per l'eternità.

Fu così che lo seguii, volli capire dove abitasse e come si chiamasse, dentro di me due istinti che si combattevano, quello di palesarmi subito e affascinarlo coi miei poteri o quello di farmi conoscere e conoscerlo piano piano, dentro di me vorticavano sentimenti così contrastanti e forti che mi sentii per la prima volta completamente estraneo a me stesso.

Scoprii che viveva in un piccolo monolocale in un vecchio condominio nelle periferie di Busan, mi trattenni dal portarlo immediatamente via da lì, per immergerlo all'istante in tutti gli agi di cui godevo, ma che erano, per me, totalmente inutili.

Mi annotai l'indirizzo e i nomi al citofono, chiedendomi quale potesse essere il suo, stetti del tempo indefinibile nascosto nell'oscurità a osservare il piccolo edificio, nella speranza uscisse, o semplicemente per sentirmi più vicino a lui, concentrandomi sul suo battito cardiaco, divenuto una musica per me, che ormai sentivo attutito a causa della distanza.

Non appena percepii l'estinguersi della notte percorsi la strada a ritroso, ancora immerso in una sorta di trance, completamente sconvolto dell'importanza di quella notte, quella in cui avevo trovato la mia piccola luce.

Trovare il nome fu poi relativamente facile, nell'era in cui vivevamo tutto era tracciato e internet poteva localizzare chiunque in poco tempo, mi bastò inserire i nomi uno ad uno per rintracciarlo, una volta fatto passai due ore buone ad osservare la foto che era comparsa avendo digitato il suo nome, Park Jimin, ballerino. Il fotografo lo aveva immortalato in una posa plastica, il viso contrito, le labbra umide semichiuse, le mani protese in avanti, mi parve di poter percepire il dolore che voleva trasmettere proprio come se fosse il mio. Le mani mi pizzicarono ed ebbi il desiderio irrefrenabile di scrivere una canzone per lui, di mettermi al piano di nuovo e di vederlo danzare sopra le mie note, cantare i miei testi, guardai il pianoforte a coda nel mio soggiorno come se lo vedessi per la prima volta.

In una delle mie innumerevoli vite ero stato un compositore e in tutte le successive la musica mi accompagnava sempre, unica fedele compagna eterna, come il sottoscritto.

Inutile dire che la notte successiva la passai a comporre e a scrivere testi su di lui, sul nostro, o forse dovrei dire mio, incontro, per poi rimproverarmi che forse avrei dovuto prima vederlo danzare dal vivo per essere più ispirato.

Park Jimin era il primo ballerino del Contemporary Ballet di Busan si esibivano con uno spettacolo   che riprendeva la storia dell'oppressione in chiave moderna, lessi molte critiche positive e complimenti sulla sua performance, ma nessuno di esse mi preparò realmente a ciò che vidi.

Jimin era anima in movimento, quando danzava sembrava entrare in un piano completamente astratto fatto di emozioni tangibili e totalizzanti che ipnotizzavano il pubblico spogliandolo di ogni difesa, catturandolo completamente, catturandomi definitivamente.

I suoi movimenti erano fluidi e perfetti, così espressivi che non si riusciva a percepirne la tecnicità, intuii subito che nella sua vita si fosse allenato molto, sospettai che a volte lo facesse anche fino allo stremo, la passione che traspariva mentre ballava era così intensa da risultarmi reale, tanto da darmi l'impressione di poterla sfiorare con le mani.

Il battito del suo cuore riusciva a sovrastare la musica nelle mie orecchie, andava esattamente a tempo con i suoi passi di danza, conducendomi ineluttabilmente sempre di più tra le sue braccia, senza che lui ne avesse la minima idea.

Fui così sconvolto dalla sua esibizione che rimasi congelato sulla poltroncina del teatro anche quando la sala fu completamente sgombra, furono le maschere a intimarmi di uscire, nel buio totale, scortandomi con le torce.

Passai tutta la notte al piano, di nuovo, ma stavolta con in mente lui, la sua danza e il suo bellissimo sorriso, ci passai due intere notti, col bisogno viscerale di comporre per lui una melodia che potesse tradurre in movimento, che potesse anche cantare con la sua voce unica.

Una volta completata mi trovai a guardare gli spartiti spiazzato, per la prima volta nella vita non sapevo nemmeno cosa fare, avrei potuto seguirlo, leggere la sua mente e scoprire ogni cosa di lui, in modo da costruire l'incontro perfetto e farmi subito breccia nel suo cuore. Vacillai, in me si fece strada l'idea che l'unica cosa che realmente volessi era che Jimin mi scegliesse, decidesse di stare con me di sua spontanea volontà, non indotto in inganno o grazie a sotterfugi. Non desideravo nulla più ardentemente se non che lui mi volesse al suo fianco libero di scegliere mille altre persone, il libero arbitrio umano non mi era mai parso così vitale e importante come in quel momento.

Con i miei poteri avrei potuto ingannarlo, illuderlo e circuirlo, con la mia forza avrei potuto prendermelo e basta, ma avrebbe avuto senso? Mi avrebbe amato poi? L' amore non è la libertà di poter cogliere migliaia di fiori ma decidere di sceglierne solo uno e curarlo con tutto sé stesso?.

Mi morsi il labbro e mi decisi, non avrei più indugiato, velocemente mi preparai, mi feci una doccia e mi vestii, una semplice camicia nera e un paio di jeans, infilai una giacca di pelle, afferrai gli spartiti e lo aspettai all'uscita del grattacielo, sapendo che per arrivare a casa sua sarebbe passato di lì.

Appena lo scorsi mi bloccai, mi umettai le labbra sentendo il mio cuore accelerare il battito, all'improvviso non mi sembrò più una buona idea, quel giorno aveva un cardigan azzurro enorme, la maglia bianca con righe nere sottili e jeans strappati, il borsone che sbatteva sulla sua schiena ad ogni passo, qualsiasi cosa facesse per me era come ricevere un pugno allo stomaco. Chiusi gli occhi e imprecai tra i denti e mi buttai in avanti, iniziando a raggiungerlo, non ero arrivato fino a quel momento per essere spaventato dall'idea di parlare con un ragazzo, anche se egli era la cosa più bella esistente sulla terra.

-Park, Park Jimin, giusto?- lo chiamai, la mia voce bassa e roca graffiò l'aria, lui si girò verso di me, l'aria perplessa, lo sguardo intento a scandagliarmi con la precisa intenzione di capire se mi conoscesse.

-Ehm...si, posso fare qualcosa per lei?- domandò titubante, la sua voce dolce e armoniosa mandò scosse elettriche lungo la mia schiena, io gli sorrisi sincero in rimando, già felice di averlo sentito rivolgermi la parola.

-Scusa l'indelicatezza, ma qualche sera fa ti ho visto al Snøhetta's Busan Opera House, volevo farti i miei complimenti, balli veramente benissimo, guardarti danzare è davvero di ispirazione.- gli spiegai, lui si illuminò di un sorriso dolce, un po' impacciato.

-Grazie, davvero, non so bene cosa dire...io, grazie.- balbettò imbarazzato, le piccole mani presero a torturare la tracolla della sacca, era dolce, sorrisi di nuovo a quella vista.

-Sai non scherzavo quando ho detto che sei d'ispirazione, grazie a te ho scritto una canzone, vorrei fartela sentire, magari più avanti, io sono Min Yoongi comunque.- mi presentai, inchinandomi, lui rimase un attimo interdetto per poi ricambiare l'inchino frettolosamente, quando fu di nuovo in piedi mi morsi il labbro -Senti, hai mangiato? Ti va se ci prendiamo qualcosa al market e parliamo un po'?- proposi audacemente, spinto da non so quale impeto, Jimin ricambiò la proposta guardandomi spaesato, stringendo le labbra, l'espressione diffidente.

-Non so, io..- iniziò la frase dubbioso io lo interruppi.

-Davvero solo due minuti, voglio solo conoscerti.- lo pregai, guardandolo intensamente negli occhi, notai le sue guance imporporarsi, si aggiustò il cappuccio, i suoi denti affondarono nelle labbra, inspirai profondamente guardandole, immaginando quanto potessero essere soffici al tatto, lui si dondolò da un piede all'altro.

-D'accordo.- disse solamente e io mi sentii l'essere più felice esistente, mi aveva detto il primo si e io non potevo nemmeno crederci.

Scoprii che Jimin amava i noodles con il kimchi, se li gustò soddisfatto mentre mi descriveva che scuola avesse fatto e che sogno fosse fare parte del Contemporary Ballet, gli occhi gli brillavano e  parlava con un tale entusiasmo che non riuscii a non sentirmi più attratto da lui ad ogni minuto che passava. Adorava gli animali e gli indumenti larghi, gli piaceva il mare e era solo, il mio cuore si strinse, sua madre era morta quando era adolescente e suo padre solo un anno prima, eppure era lì, sorridente e allegro, perché aveva la danza, l'unica cosa a mantenerlo in vita, esattamente come io mi ero aggrappato alla musica. Parlammo per ore e non mi sfuggirono i suoi tentativi di sapere di più di me, dovetti rivelare la solita bugia costruita, un ragazzo che amava la musica, costretto a lavorare nell'azienda del padre, al sentirla fece un broncio adorabile per poi stringermi la mano con la sua per darmi conforto. Jimin era così innocente e angelico che non potevo credere che esistesse davvero, lo accompagnai a casa con la promessa che ci saremmo rivisti, ma tra due giorni, aveva un'esibizione in trasferta l'indomani e non sarebbe stato possibile farlo prima, non vedeva l'ora di sentire la canzone.

In quei due giorni la registrai e gli diedi un titolo, Serendipity; volevo portargli una base da ascoltare, la misi in un mp3 apposito, solo per fargliela ascoltare subito e per poi donarglielo, l'idea che potesse addormentarsi mentre veniva cullato dalla mia musica mi scaldò il cuore.

Per fortuna ebbi qualcosa su cui concentrarmi, anche se per sicurezza controllavo sempre se passasse di lì, che non mi avesse detto una bugia, ero attanagliato dalla sua mancanza che mi circondava di una sensazione di immobilità che mi dava l'idea di costrizione.

Quando arrivò l'ora dell'appuntamento ero al market dove lo avevo accompagnato la prima volta, attesi con ansia, ma lui non arrivava, cominciai a provare una certa preoccupazione, forse non poteva venire o non voleva farlo.

La sola idea mi fece salire la nausea e un senso di inadeguatezza mi invase come mai prima d'allora, finché non udii una voce cristallina urlare il mio nome, affannata, mi girai così veloce che seppi di averlo fatto in maniera totalmente innaturale, non umana, ma Jimin non se ne accorse, aveva le mani sulle ginocchia, gli occhi chiusi e il fiatone cercando di riprendersi dallo sforzo, lo raggiunsi a passo veloce, sentendo le mie labbra piegarsi in un sorriso luminoso, quando lui aprì gli occhi rimase un attimo interdetto, scosse la testa arrossendo leggermente.

-Yoongi perdonami il ritardo, mi sono addormentato, abbiamo dormito pochissimo per le esibizioni e appena ho toccato il letto sono crollato.- si giustificò, la voce lamentosa, ridacchiai.

-Niente Jimin, non ti preoccupare, vieni mangia qualcosa, offro io, devi dirmi come è andata.- replicai, posandogli una mano sulla spalla, facendolo spostare al mio fianco, lui mi sorrise, l'impulso di prenderlo tra le braccia e baciarlo si fece sempre più insistente, ma resistetti e mi limitai solo ad accompagnarlo nella camminata facendo scivolare la mia mano sulla curva della schiena, desideroso comunque di un contatto.

Jimin mi raccontò tutto, entusiasta e sorridente, rivelandomi che grazie a questi spettacoli erano stati scelti per un festival a Seul. Una volta ordinato mi chiese che avessi fatto io, glielo dissi e gli porsi l'mp3, infilò le cuffiette e gli diedi gli spartiti, avvicinandomi a lui, conducendolo attraverso il testo della canzone. Aveva delle incertezze, ma la sua emotività traspariva dalla voce rendendo l'interpretazione coinvolgente. Mi promise che si sarebbe allenato e mi avrebbe reso fiero di lui, come se già non lo fossi stato, per poi darmi appuntamento l'indomani lì.

Ci vedemmo tutti i giorni, per due mesi, io non potevo essere più felice come in quel periodo, conoscendolo attimo per attimo, sostenendolo nella sua vita come un amico, come un vero compagno, mi ricordai quando mi abbracciò la prima volta, emozionato perché mi ero ricordato il suo compleanno e gli avevo regalato il suo manga preferito, lo strinsi forte, poggiando il viso nell'incavo del suo collo, profumava di mare.

Jimin fu così felice che non poté fare a meno di chiedermi quando io compissi gli anni, mi disse che si sentiva in colpa a non averlo chiesto prima, vacillai. Quando nacqui la data di nascita non era così importante se eri un plebeo come lo fui io, andai in panico, non seppi cosa dire, lui si lamentò con un verso carino.

-So che sei più grande di me, non mi importa, non devi vergognarti, davvero.- mi rassicurò con il broncio, io inspirai.

-Nove...nove giugno.- mormorai in risposta, inventando, sapendo solo che apprezzavo il mese di giugno per l'arrivo dell'estate, che faceva percepire il calore del sole anche di notte, lui si illuminò, abbracciandomi di nuovo.

-Non vedo l'ora che arrivi!- esclamò emozionato, io semplicemente annuii, sentendomi male per avergli mentito, per non potergli dire ancora la verità, lo strinsi più forte, chiedendogli perdono nella mia mente.

Qualche notte dopo aveva insistito ad andare al parco, desideroso di farmi vedere una cosa, era agitato e felice allo stesso tempo, mi afferrò la mano e mi guidò nella profondità del giardino, nell'oscurità, mi fece sedere su una panchina, grazie alla mia vista potei vederlo chiaramente, mentre ero perfettamente conscio che lui non potesse farlo. Attorno a noi luccicavano delle lucciole, placide e tranquille, poi la voce di Jimin iniziò a riempire il buio.

Quando mi vedi

Quando mi tocchi

L'universo si è spostato per noi

Non c'è stata nemmeno una piccola mancanza

La nostra felicità era predestinata

Perchè tu mi ami

E io amo te

Intonava la mia canzone, Serendipity, con un'emozione tale che sembrò quasi che essa mi avvolgesse, lui in piedi davanti a me si avvicinò, passo dopo passo, una volta davanti a me sfiorò il mio viso per poi prenderlo tra le mani e mi baciò.

Tutto in me implose, era perfetto, semplicemente unico, le sue labbra erano soffici esattamente come mi aspettavo, risposi al bacio afferrando la sua nuca con una mano, mentre con l'altra lo sospinsi a cavalcioni su di me, spingendolo dai fianchi.

Le nostre lingue si sfiorarono e lui gemette nella mia bocca, mi spinsi contro di lui, continuando a baciarlo con passione, inconsapevolmente iniziò a muoversi su di me, spinto dalla nostra voglia di sentirci più uniti.

Quando il nostro bacio si fece più coinvolgente lui si staccò con il fiatone, lo guardai aggrottando la fronte, non capendo, sperando di non aver fatto nulla di male, in quel momento il mio cuore batteva così forte che quasi feci fatica a sentire qualsiasi altra cosa.

-Yoongi io...possiamo andare piano? Non ho mai fatto nulla del genere...- cercò di spiegarsi, vergognandosi, abbassò lo sguardo, mentre con le manine mi attorcigliava i lembi della maglietta, le guance imporporate.

-Shh, Jimin va tutto bene, sono qui per te. Mi hai appena reso l'essere più felice al mondo, non ho la minima intenzione di forzarti a fare cose che non vuoi. Per me è importante stare al tuo fianco.- dissi sconclusionatamente, afferrandogli il viso a mia volta, con delicatezza, i miei pollici gli accarezzarono le guance, poi lo riempii di baci morbidi, lo sentii sorridere, posò le sue mani sulle mie, di nuovo prese l'iniziativa e portò le sue labbra sulle mie, ancora, dolcemente, per poi stringermi in un abbraccio.

Rimanemmo così per un tempo indefinibile e nemmeno ce ne interessò, in silenzio, con le lucciole che ballavano per noi, in uno stato di completa estasi.

-Le lucciole sono le mie preferite, brillano nel buio e solo quando è davvero buio riesci a vederle.- mormorò sul mio collo, mentre le guardava rapito, gli accarezzai la testa, lui mi strinse più forte, per poi continuare a parlare -Da quando sono tornato ci siamo incontrati tutte le sere, ma io sento il bisogno di vederti ogni giorno, sarebbe bello, che ne so, uscire a pranzo o fare colazione assieme.- confessò, io mi immobilizzai, lo baciai morbidamente sulle labbra, non seppi cosa dire all'inizio, l'idea di mentirgli mi causava la nausea, ma in quel momento era l'unica cosa che potessi fare.

-Jimin anche io, non sai quanto, ma non posso, lavoro fino a tardi e mio padre mi sta con il fiato sul collo. Solo quando esco dall'ufficio sono libero di fare ciò che voglio.- mentii, il cuore si strinse, mi dissi che era per il suo bene, augurandomi con tutto me stesso che una volta scoperto la verità mi avrebbe potuto comprendere e perdonare, lui annuì sul mio petto, lo guardai e dalla sua espressione rattristata intuii che la mia risposta lo aveva in qualche modo ferito, quindi attirai di nuovo la sua attenzione per poterlo guardare nei suoi occhi meravigliosi.

-Domani ci guardiamo un film nel mio appartamento ti va? Per farmi perdonare.- proposi, mordendomi il labbro, volevo fargli capire che non avevo nulla da nascondere o perlomeno nulla di ciò che poteva umanamente sospettare; mi fece un ampio sorriso, annuì e mi baciò con trasporto, ancora e ancora.

Quella sera lo riaccompagnai a casa tenendolo per mano e baciandolo davanti all'ingresso del condominio, da fuori poteva sembrare che fossimo una coppia normale e questo mi piacque immensamente.

La notte successiva, quando Jimin mise piede nella mia dimora passò la serata a guardare tutto quel lusso con gli occhioni luccicanti, dapprima si tenne stretto a sé, titubante, percepii il suo disagio, evidentemente non si era aspettato un divario così netto tra il mio stile di vita e il suo.

Di nuovo non potei spiegargli che in quanto vampiro ebbi molto tempo per risparmiare, molte doti da cui trarre guadagno e nessun effettivo bisogno da soddisfare, quindi fu inevitabile riuscire ad accumulare ricchezze nei secoli, capii ,però, che, agli occhi di un giovane umano che viveva in un monolocale con lo stretto necessario e una cuoci riso come unico lusso, tutto ciò che mi circondava potesse sembrare meraviglioso.

Eppure erano solo cose, cose che avrei barattato per il suo amore in qualsiasi momento, perché era lui la piccola luce di cui io avessi veramente bisogno.

-Mettiti pure comodo, hai mangiato?- domandai, sfilandogli il borsone per poi baciargli la fronte, mi diressi verso l'armadio dell'ingresso per riporre la tracolla al suo interno, non rispose, probabilmente ancora scosso. Quando tornai da lui gli presi la mano, guardandolo con fare interrogativo, lui si morse il labbro e sospirò, affranto.

-Sei ricco da fare schifo.- constatò, con un mormorio basso e incerto, io ridacchiai.

-Potrei e quindi?- lo stuzzicai, lui a disagio si guardò i piedi, già scalzi, erano piccoli e paffuti esattamente come le sue mani.

-Io non...- iniziò ma non gli permisi di continuare, intuendo già dove volesse arrivare, gli presi il viso tra le mani e lo baciai, zittendolo, poi appoggiai la fronte sulla sua.

-Sono solo cose Jimin, non voglio che tu ti faccia problemi simili, non con me. Io guardo alla persona, non a ciò che possiede.- mormorai sfiorandogli le labbra con le mie, lui sospirò, per poi annuire impercettibilmente.

-Perdonami Yoongi, veramente, io sono solo confuso mi chiedo perché, tu sei un uomo realizzato io...- provò a spiegarsi, per poi fermarsi, probabilmente non riuscendo a trovare le parole.

-Perché no invece? Tu sei sensibile, intelligente e puro, Jimin, primo ballerino del Contemporary Ballet, non dimenticarlo. Ascolta non c'è un vero motivo in queste cose, accade e basta, non farti domande e vivi il momento.- tentai di rassicurarlo.

-Solo il momento?- chiese con un sussurro impercettibile, impaurito, io ridacchiai, mi avvicinai al suo orecchio e lo mordicchiai.

-Per quanto mi riguarda è un momento che può durare l'eternità.- sussurrai sul suo collo, lui rabbrividì, aggrappandosi poi alla mia maglietta, di scatto mi allontanai, l'odore della sua pelle e la sua vicinanza mi stavano letteralmente dando alla testa, quindi lo condussi in cucina per preparargli qualcosa e chiedergli della sua giornata.

Da quella notte in poi Jimin venne sempre direttamente nel mio appartamento, ogni sera alle otto e mezza in punto, divenne un'abitudine e ciò mi riempì il cuore di una gioia a stento comprensibile per me. Le notti si susseguivano e io ero sempre lì per lui, così come lui lo era per me, non ci volle molto tempo che Jimin, invece che passare solo le serate e andarsene poi a casa a riposare, rimanesse a dormire con me e questo fu una complicazione, seppur dolce.

Non potevo di certo permettere scoprisse che, in realtà, durante il giorno io cadessi in un sonno profondo totalmente innaturale, del tutto simile alla morte, mi vidi costretto a mentirgli, di nuovo, gli dissi che dovevo recarmi al lavoro praticamente all'alba, mentre invece mi nascondevo nella stanza segreta del mio appartamento in cui avevo costruito il mio giaciglio, una stanza-bunker totalmente priva di finestre, dove avevo sempre dormito, anche prima del suo arrivo.

Jimin, innocente e fiducioso, non sospettò nulla, il suo sentimento per me era così puro da renderlo quasi cieco, oppure completamente disposto ad accettarmi interamente e questo mi rese più speranzoso, il momento in cui avrei potuto rivelarmi si faceva sempre più vicino.

Arrivò giugno senza che me ne accorgessi e una sera mi chiese di incontrarci fuori, dapprima mi sorpresi, adorava passare le serate a coccolarci sul divano a parlare, oppure ad ascoltarmi suonare, però capii che ,magari, avesse bisogno di variare, era una necessità umana, dopotutto.

Mi raggiunse sorridendo, mi abbracciò stretto per poi prendermi per mano, iniziando a guidarmi verso una direzione a me sconosciuta.

-Ho una sorpresa.- disse gongolando, lo guardai perplesso.

-Jimin di cosa stai parlando, non dovevi.- tentai di dire, ma lui si girò ridendo, per poi baciarmi la guancia.

-Si invece!- poi mi disse che non sarebbero state accettate altre domande o proteste.

Prendemmo un taxi che si fermò davanti all'ingresso di un luna park estivo, di quelli che gli umani montavano per le fiere di paese, pieno di bancarelle e attrazioni, scendemmo e l'odore di zucchero filato e pop corn permeava l'aria attorno a noi -Buon compleanno Yoongi!- esclamò entusiasta, per poi trascinarmi dentro.

Non avevo mai festeggiato un compleanno, non avevo nemmeno la minima idea di come si facesse, avevo fatto il regalo a Jimin per il suo solo perché mi aveva rivelato quanto gli piacesse festeggiarlo e quanto apprezzasse i regali. Tuttavia la cura con cui Jimin ebbe organizzato la serata e l'entusiasmo che gli faceva rilucere gli occhi la rese una delle notti più preziose della mia vita, in ogni istante aveva il sorriso sulle labbra, il suono della sua risata mi accarezzava le orecchie, solo quelli erano i doni che avrei voluto avere per il resto dei miei giorni.

Una volta vicini alla mezzanotte, dopo essersi abbuffato di caramelle gommose e zucchero filato ed essersi fatto predire il futuro da una macchina e avermi fatto provare ogni attrazione presente, dato che fui sincero nel dirgli di non essere mai stato in un luogo del genere, mi trascinò, di nuovo, stavolta fuori e verso il bosco. Camminammo in salita per un po' per poi appartarci tra gli alberi vicino ad un lago. La luna e le stelle si specchiavano sull'acqua placida, Jimin stese un telo a terra per poi farmi cenno di sedermi al suo fianco, prima che potessi chiedergli che ci facessimo lì, lui iniziò a parlare.

-Non so bene come iniziare, Yoongi, ma so che devo dirti ciò che provo.- si fermò un secondo, stringendo le labbra, mi avvicinai e mi sedetti come mi aveva chiesto, il cuore che mi esplodeva per l'aspettativa -Sono stato solo quasi tutta la vita, Yoongi, non accettavo me stesso perché gli altri, i miei amici e i miei genitori, non lo facevano. Mia madre si era accorta di...del fatto che fossi omosessuale, ma per tutta la vita preferì non parlarne, ignorando la questione. Dopo uno scotto del genere cercai in tutti i modi di non farlo capire a mio padre. Ti risparmio la scena di quando lo scoprì. Così mi rimangiai tutto, non parlai più del mio orientamento, dissi che fu una fase e mi concentrai sulla danza e basta. Quando morirono ero così abituato a fingere che continuai, essere solo non mi liberò dalle paure e da ciò che avevo vissuto. Poi sei arrivato tu.- di nuovo si fermò, per farsi più vicino, io ero totalmente immobile, non finsi nemmeno più di respirare, completamente catturato dallo scintillìo dei suoi occhi, colmi di un sentimento così forte e cristallino che mi fece quasi male comprenderlo e capire che era esattamente ciò che stavo provando io stesso -Io non pensavo nemmeno di poter interessare a qualcuno e nemmeno me ne importava. Ero così immerso nella danza, nel mio sogno, era diventato questione di sopravvivenza, capisci? Era la mia corazza, che hai demolito Yoongi. Ti sei avvicinato e mi hai fatto capire quanto una persona può amarne un'altra solo per come è. Mi hai scritto una canzone, ti rendi conto? Mi hai visto e hai creato qualcosa ispirandoti a me, colui che pensavo essere niente senza la danza. Mi hai fatto capire che sono molto più di quello che credevo e ora mi amo, esattamente come amo te. Sì, lo so che è un discorso con poco senso, ma è così, mi hai fatto vedere chi sono, mi hai insegnato ad amarmi e io ho imparato a farlo a mia volta. Ti amo.- mi confessò, io lo guardai incredulo, mi avvicinai e tentai di baciarlo, ma mi fermò -Scusa non...non ho finito è che sono emozionato e non so come continuare. Ti amo, Min Yoongi, per questo, anche se finisse tra qualche mese o anche domani, per questo io...Yoongi io voglio fare l'amore con te.- mormorò alla fine, arrossendo, abbassò lo sguardo, le mani strette alle mie e il rumore assordante del suo e del mio cuore nelle orecchie.

Ciò che mi stava chiedendo mi colpì così forte che mi lasciò spiazzato per qualche secondo, aprii e chiusi gli occhi incredulo, lui alzò poi lo sguardo incatenandolo al mio, potei vedere un'intera galassia specchiarsi in essi, d'istinto mi gettai sulle sue labbra.

Non fui impetuoso, non potei, fui dolce e delicato, Jimin era prezioso, il mio tocco doveva essere leggero, esattamente come se stessi sfiorando un'opera d'arte, perché era ciò che era, un essere dal valore inestimabile nella sua innocenza.

Le mie mani, dal suo viso, scesero sui fianchi, accarezzandolo dolcemente, lui si fece più vicino, sentii il suo corpo premere sul mio, le sue mani accarezzarmi la schiena, aprì le labbra e le nostre lingue si incontrarono. Ciò che provavo era totalmente indescrivibile, non c'era parola che descrivesse la mia felicità, così come quel sentimento che mi faceva sentire perfettamente al mio posto, ero lì nel momento giusto con la persona giusta, in quell'istante e nei miliardi di secondi successivi della mia eternità, non ci sarebbe stato un momento giusto come quello.

Le mie mani si insinuarono al di sotto della sua maglietta, sfiorando la sua pelle, Jimin trasalì al mio tocco, lasciandosi sfuggire un gemito, interruppi il bacio, per poi guardarlo negli occhi, come per chiedergli il permesso, lui annuì, per poi togliersi da solo i vestiti, rimasi completamente imbambolato, Jimin nudo era qualcosa di meraviglioso, glielo dissi, non riuscendo a trattenermi, lui arrossì all'istante, cosa che ai miei occhi lo rese ancora più bello. Mii spogliai a mia volta, quando anche io fui nudo lui spalancò la bocca, il rossore sulle sue guance aumentò, mi avvicinai e iniziai a baciarlo. Dapprima di nuovo sulle labbra, poi ovunque, sul viso, sul collo, scesi sul petto e poi sull'addome, sulle gambe e l'interno coscia, Jimin ansimava e gemeva sempre di più, lo feci distendere, per poi posizionarmi sopra di lui, che si sporse in avanti, voglioso, regalandomi un bacio bisognoso, mossi il bacino facendo scontrare le nostre intimità e lui emise un gemito acuto, ma non interruppe il bacio, anzi si aggrappò con le braccia alla mia schiena, per poi fare esattamente la stessa cosa che avevo fatto io, alzò il bacino verso il mio, di nuovo i nostri inguini si scontrarono, iniziammo a muoverci l'uno sull'altro, ansimando. L'eccitazione di entrambi crebbe sempre di più, fino a che non riuscii più a resistere, succhiai due mie dita e iniziai a stimolare la sua entrata, mentre con l'altra mano diedi sollievo alla sua intimità, i suoi gemiti si fecero sempre più acuti, con le mani stringeva le mie braccia. Tra un gemito e l'altro mormorava il mio nome e quanto mi amasse, il che mi eccitò più del suo corpo nudo, o delle sue mani sulla mia intimità.

Non resistetti più, mi posizionai tra le sue gambe, i nostri sguardi si incontrarono, i suoi capelli  rosa erano scompigliati e le guance arrossate dalla voglia, il suo petto si alzava e abbassava velocemente, non c'era nessuna poesia che potesse descrivere quanto fosse bello, mi chinai su di lui e gli lasciai un bacio delicato sulle labbra.

-Ho passato anni della mia vita a giurare che non avrei più amato nessuno, Jimin, eppure dal primo momento che ti ho visto ho capito che sei il primo che io abbia mai veramente amato. Hai risvegliato il vero me stesso. Ti amo Jimin, ora e per sempre.- mormorai sulle sue labbra, guardandolo negli occhi, entrai in lui con un movimento attento, lento, premurandomi di non fargli male, Jimin tirò la testa all'indietro con un gemito che mi lanciò scosse per tutta la spina dorsale.

Nella mia eternità pensavo di aver fatto l'amore anche troppe volte, invece mi ero sbagliato, la prima volta che feci l'amore fu esattamente in quell'istante, perché nello stesso momento ero emozionato e terrorizzato, dall'amore e dalla paura di fargli male. In tutti quegli anni non mi ero mai chiesto di come potesse stare il mio compagno, allora fu la mia prima preoccupazione, lo lasciai abituare alla mia presenza dentro di lui, finché non mi implorò con voce strozzata di muovermi non lo feci. Mentre mi spingevo in lui, lo baciai ovunque, ripetendogli quanto lo amassi, quanto fosse unico e quanto mi rendesse felice.

I nostri ti amo sussurrati si perdevano negli ansimi di piacere, baciavo il suo viso con dolcezza, mentre lui, dapprima immobile, iniziò ad andare incontro alle mie spinte, mugolando ed aggrappandosi a me, azzerando le distanze dei nostri corpi. Percepii il suo cuore battere esattamente allo stesso ritmo del mio, potevo sentire il suo sangue scorrere sempre più veloce, ma l'idea di nutrirmi di lui senza che lo volesse mi disgustò come mai prima di allora.

In quel momento non eravamo io un vampiro e lui un umano, non ero più un mostro, in quell'istante noi eravamo due anime unite da ciò che provavamo, amore.

Affondai il viso nell'incavo del suo collo, inspirando il profumo fresco della sua pelle, per poi sentire il suo sussurro voglioso, tra un gemito e un ansimo, più veloce ti prego.

Lo accontentai e mi mossi in lui più velocemente, catturando poi le sue labbra, baciandolo con passione, lasciando che le nostre lingue si sfiorassero, la mia mano accarezzò il suo torace per poi scendere verso la sua intimità, per dargli piacere, Jimin si staccò dal bacio ormai incapace di trattenere gemiti acuti.

Venne poco dopo, sulla mia mano, ansimando, il respiro accelerato, lo seguii, riversandomi in lui, i nostri occhi non si erano separati nemmeno per un secondo, Jimin mi prese il viso fra le mani, sussurrò un ti amo sulle mie labbra e poi mi baciò ancora.

In quell'esatto istante il rumore di uno scoppio, poi una luce dorata riempì il cielo, alzammo lo sguardo contemporaneamente, un fuoco d'artificio fece cadere una pioggia luccicante esattamente sopra il lago, specchiandosi in esso, creando un gioco di luci tale da dare l'impressione di star guardando una cascata di stelle. Il fuoco d'artificio non fece in tempo a spegnersi che ne seguì un altro e poi un altro ancora, finché non ci sembrò di essere letteralmente  immersi nel cielo. Ci avvolsi nella coperta, lui era in posizione fetale, così mi posizionai dietro di lui, per poi abbracciarlo, il viso completamente rapito dallo spettacolo pirotecnico davanti a noi.

Lo strinsi a me, forte e lui appoggiò la mano sulla mia, per poi intrecciare le nostre dita, appena i fuochi finirono lo sentii sospirare, triste.

-Cosa c'è Jiminie? Qualcosa non va? Ti ho fatto male?- domandai con apprensione, alzando il busto per poterlo guardare negli occhi, lui scosse la testa e mi accarezzò il viso.

-No è che questo fine settimana devo andare a Seul.- il sussurro si fece triste.

-Lo so, cosa ti preoccupa?- mormorai.

-Che dovrò stare lontano da te, mi mancherai.- ammise, le labbra piegate all'ingiù, avvicinai il viso al suo per sfioragli il naso col mio.

-Io non vado da nessuna parte, Jimin, sarò al nostro appartamento ad aspettarti, sempre.- lo rassicurai, sapendo di potergli permettere quel per sempre meglio di chiunque altro, alla definizione nostro spalancò gli occhi, per poi abbracciarmi.

Passammo la notte a guardare le stelle, a ripeterci quanto amore provassimo l'uno per l'altro, il mio cuore provava una felicità tale che non seppi come fece a non esplodere, cercai nel mio passato un'emozione di gioia pura esattamente come quella ma non la trovai, ciò che mi faceva provare Jimin era totalmente unico, esattamente come lo era lui.

Quella mattina, per la prima volta in quella mia lunga e arida esistenza, mi addormentai col sorriso e con il cuore pieno di amore.

La sera prima che partisse per Seul presi una decisionr, lui stava guardando un menù d'asporto appoggiato alla penisola della mia cucina, che prima di lui non aveva avuto alcuna utilità, anzi tutto il mio appartamento non fu una casa, prima del suo arrivo; lo abbracciai da dietro, per poi appoggiare il mento sulla sua spalla.

-Quando torni dovrò parlarti di una cosa, Jimin.- gli dissi, mantenendo il tono più neutro possibile, mentre dentro di me ero terrorizzato, avevo deciso di dirgli della mia natura dopo il suo ritorno, per non pregiudicare la sua esibizione.

-Yoongi non puoi fare così, mi fai preoccupare.- replicò girandosi tra le mie braccia per fronteggiarmi, un broncio di fastidio impresso sul volto, adorabile.

-Non devi davvero, stai tranquillo.- cercai di minimizzare, sentendo sempre di più il peso della menzogna sulla bocca dello stomaco.

-Ti devi trasferire?- domandò, cercando di mascherare il panico, io gli lasciai un bacio sul naso, sorridendo.

-No Jimin, no.- lo rassicurai, lui espirò, mettendosi una mano sul petto, sollevato, poi si morse il labbro e mi guardò di sottecchi.

-E' perché sei malato?- chiese mormorando, io mi bloccai, spalancando gli occhi, lui mi guardò teneramente

-Cosa...- iniziai spaesato, non capendo cosa intendesse, ma lui riprese a parlare.

-Sei sempre pallido e hai sempre la pelle gelida, non mangi mai, quindi ho immaginato che tu avessi, non lo so, una sorta di malattia. Non ho mai insistito affinché me lo dicessi perché ho intuito quanto ci potessi stare male.- mi spiegò, poi afferrò il mio viso con le sue piccole mani -Non ti preoccupare io ti amo lo stesso, Micetto.- mi lasciò un bacio a stampo sulle labbra, per poi girarsi di nuovo e riprendere nella sua scelta.

Io rimasi bloccato, sconvolto, effettivamente non potevo sperare non se ne accorgesse, Jimin era innocente e spesso ingenuo, ma era un grande osservatore, chiusi gli occhi e gli baciai dolcemente la base del collo.

-E non hai fatto domande? Se fossi stato contagioso?- chiesi, la voce poco più che un sussurro sulla sua pelle, lui rabbrividì per la carezza del mio respiro su si sé, poi alzò il viso verso il soffitto

-Yoongi tu non mi avresti mai fatto del male, me ne avresti parlato prima se fosse stato un pericolo per me.- rispose dolcemente, tutta quella fiducia in me fece quasi male, sapendo come stessi nascondendo la mia vera natura.

Per un secondo ebbi la voglia irrefrenabile di dirgli tutto, perché il sentimento che univa le nostre anime era così puro e coinvolgente che ero totalmente certo che lui mi avrebbe capito e seguito senza batter ciglio, esattamente come si era fidato di me pur avendo intuito che qualcosa non andasse, ma non lo feci.

Volevo davvero che vivesse Seul al massimo delle sue capacità, non potevo permettere che un mio egoismo rovinasse i suoi sacrifici durati tutta una vita, quindi lo baciai e cambiai argomento.

La notte della sua partenza la passai totalmente immobile, nel bunker, incapace di affrontare le ore senza di lui; feci così anche il giorno successivo, riuscendo a riprendermi solo la notte in cui sarebbe tornato da me.

Ero agitato perché sapevo avrei dovuto rivelargli la mia natura, ero in uno stato emotivo così labile che non riuscii a identificare effettivamente come stessi, da un lato ero terrorizzato dal rifiuto, dall'altro ero convinto che Jimin mi avrebbe accettato.

Il momento in cui avrei potuto rivelarmi si faceva sempre più vicino, cosicché avrei potuto trasformarlo e averlo sempre al mio fianco, faticavo a crederci.

Provai a pensare a cosa dire a Jimin, come cercare di fargli capire cosa fossi senza spaventarlo e l'indurlo ad accettare la mia natura, sapevo che era presto, ma la mia mente viaggiava senza apparente controllo, l'idea poi di bere il suo sangue per donargli il mio per la trasformazione mi eccitava particolarmente, sarebbe stata l'unione completa ed io non anelavo nient'altro, che lui accettasse di farmi bere il suo sangue e passare l'eternità al mio fianco, il mio cuore non faceva altro che battere all'impazzata.

Camminavo distrattamente per l'appartamento provando frasi su frasi, la televisione accesa mi rispondeva con i titoli del telegiornale, nel mentre ripensavo che, effettivamente, quella notte non gli avrei detto tutto, ma magari gli avrei accennato qualcosa, per poi baciarlo e rifare l'amore per il resto della sera, perché mi era mancato terribilmente, dei frammenti di un servizio del telegiornale emersero tra i miei pensieri e mi immobilizzai.

Autobus, Contemporary Ballet di Busan, incidente, scarpata, nessun sopravvissuto.

Di scatto mi voltai verso lo schermo, totalmente scioccato e incredulo, delle immagini di pompieri intenti a recuperare corpi mi violentarono le cornee, la scritta della compagnia di ballo di Jimin sul bus riverso mi fece urlare.

Mi precipitai fuori dall'appartamento ancora a petto nudo e pantaloni del pigiama totalmente scalzo, diretto alla sua scuola, così veloce che mi ci vollero pochissimi secondi.

C'era pieno di genitori, disperati, che in realtà stavano aspettando l'arrivo dell'autobus, una donna, che intuii essere una delle insegnanti, annunciava che i ballerini erano morti, urlai che no, non era possibile, la gente si girò a guardarmi, gli occhi colmi del mio stesso dolore. La donna, con a fianco un poliziotto, confermò ancora e io non avrei voluto mai sentirlo.

All'inizio non capii, il mio cervello non volle realmente registrare la notizia, Jimin è morto mi ripetei a vuoto, quelle parole persero di significato, non volli più dargli quell'interpretazione, quella parola non esisteva più per me, non era possibile fosse vero.

No, non poteva essere, solo due giorni prima lui era davanti a me, intonava Serendipity , la mia canzone, guardandomi dritto negli occhi, ciò che stava accadendo era uno scherzo, doveva esserlo.

Mi appoggiai al muro completamente perso, la testa iniziò a girarmi come non faceva da tempo incalcolabile, tanto che non compresi realmente cosa stesse accadendo in quel frangente.

Inspirai in preda al panico, come se mi servisse realmente aria nei polmoni, l'insegnante di Jimin cercò di avvicinarsi, ma la scostai, non poteva capire il mio dolore, nessuno poteva.

L'uomo che amavo era morto, non potevo più sentirlo ridere, né guardarlo mentre osservava gli uccellini con lo sguardo intenerito, non potevo più sentirlo raccontare di una coreografia difficile né vederlo ballare o sentirmi finalmente completo facendo l'amore con lui e avrei dovuto passare l'intera eternità con questa sofferenza straziante a lacerarmi il petto. Corsi via, fuggii, ma non potei realmente fuggire dalla cosa che mi tormentava l'animo come una lama incandescente, mi fermai e alzai lo sguardo. Era il parco, gli occhi mi caddero su quella panchina e urlai, chiamai il suo nome come se potessi davvero evocarlo, lì davanti a me c'era il luogo dove ci eravamo baciati e io non avrei avuto nessun altro ricordo da aggiungere, perché lui non c'era più.

Caddi in ginocchio davanti a quella panchina, gli occhi colmi di lacrime sanguigne, continuavo a domandarmi come fosse possibile, non riuscendo a trovare una risposta, volevo che piovesse, doveva farlo, l'intero mondo doveva piangere la mia perdita, invece intravidi delle piccole luci, lucciole. Le lucciole sono le mie preferite, brillano nel buio e solo quando è davvero buio riesci a vederle. Fu troppo, il dolore fu decisamente troppo, quasi credetti di rompermi in mille pezzi, anzi volevo rompermi in mille pezzi, qualunque sofferenza fisica sarebbe stata meglio di ciò che stavo provando in quel momento, pura e profonda disperazione e fu essa a condurmi alla risoluzione.

)○(

Il mio ricordo si interrompe, non so nemmeno quante volte ho rivissuto la nostra storia in queste ore, ormai è mattina presto, cammino sul prato davanti al lago con calma, mentre osservo l'aria schiarirsi gradualmente, preannunciando l'arrivo del sole.

Osservo l'est come se fosse un'ancora che mi porterà esattamente nel liquido oblio di cui ho bisogno.

Mentre guardo il blu notte stemperarsi, diventando sempre più azzurrino mi rendo improvvisamente conto che nella vita da vampiro un'altra cosa a cui è difficile abituarsi è sicuramente l'oscurità, non per la questione della vista, ovviamente, dato che una volta che decidi di fare il passo nella via vampirica vieni dotato di tutte le capacità per affrontare il buio più totale, ma è proprio la mancanza del sole a incombere ogni notte sulle spalle.

La stella lucente e calda che illumina tutto il globo manca, mancano i suoi raggi tiepidi che sfiorano la pelle, che accarezzano i colori rendendoli più accesi e vivi, del sole rimane solo il riflesso splendete che si infrange sulla superficie lunare, che è bianco e freddo, non illumina con la stessa intensità e forse per questo fa fuoriuscire la parte più buia e istintiva delle creature, quella più pericolosa, più affascinate.

Eppure io, anche se per un tempo insulsamente breve, avevo trovato qualcuno che aveva sopperito a questa mancanza, a tutte le mie mancanze e a ciò che non pensavo di poter provare mai, la mia piccola luce, Jimin.

Per questo ho deciso di farlo così, nel calore del sole che mi manca come mi manca lui, ridacchio amaramente, ben sapendo che la sua assenza mi colpisce in un modo assolutamente non quantificabile né comparabile.

Ho deciso di farlo nel luogo dove lui mi ha donato tutto sé stesso, anima e corpo, il solo ricordo mi dà la sensazione soffocante di affogare nella mia stessa sofferenza.

Il mio cuore ha ancora la malsana idea di battere per lui anche se lui non è più qui e io non riesco a sopportarlo.

Sono un vampiro ormai da settecentottantatré anni, mi trasformarono all'età di ventiquattro anni, nell'estate del 1236 e quella fu una mia scelta, non direi di rimpiangerla, sinceramente, arrivati a questo punto, non penso riuscirei nemmeno a concepire la mia esistenza in modo diverso da come l'ho affrontata, tuttavia ora sulla riva del lago, mentre aspetto il giungere del sole, nella mia mente e nel mio cuore ho solo una volontà: baratterei ogni cosa pur di donargli la mia eternità, per far sì che sia il suo cuore a battere e il suo sorriso a illuminare le giornate a qualcuno, anche se non fossi io, non mi importerebbe, avrei voluto solo la sua felicità e invece ora mi ritrovo qui, ancora più solo e arido. Il mio cuore smetterà di battere di nuovo, ma la sola idea che potrà farlo per qualcun altro mi disgusta, questa volta Min Yoongi non andrà avanti, questa volta io non posso lasciare tutto alle spalle e nemmeno lo voglio, questa volta aspetterò il sole che finalmente mi scalderà le membra e le renderà cenere, ma farà comunque meno male del continuare a vivere sapendo che lui non potrà essere al mio fianco.

Chiudo gli occhi per l'ultima volta, apro le braccia e appena la luce solare mi colpisce non riesco nemmeno a percepire il dolore, nel buio riesco solo a vedere le immagini di Jimin, in un film che si ripete lacerandomi pezzo per pezzo. Se ho un anima, se essa esiste davvero prego che raggiunga quella di Jimin anche solo per un secondo prima di finire all'Inferno. Sento il calore ustionante diffondersi in me, ma non urlo, piango solamente e non per il dolore della morte, ma per la sofferenza che mi buca il petto.

Ci siamo, ormai è quasi finita, in un ultimo spasmo apro gli occhi e la luce mi acceca e lo vedo, Jimin, vestito di bianco, che mi porge la mano, prima che io finisca in cenere, la afferro, la sua voce riempie la mia anima, facendola vibrare.

Yoongi, mi sei mancato.

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