ÉTERNELLEMENT
Sognavi Parigi anche se non lo volevi ammettere. Me lo dicesti una volta, te lo lasciasti sfuggire e poi ci ridesti sopra, cercasti di dissimulare ma io ti avevo sentita. Ti avevo sentita bene. E da quel momento l'ho sognata con te. La sognavamo ogni notte, e da quando non volevi ammetterlo poi è diventata una costante, un incessante sussurro sulla mia pelle che sanciva quel segreto solo nostro.
Ci svegliavamo la mattina ed eravamo tra le lenzuola bianche e impregnate dell'odore dei nostri corpi legati, tu ti voltavi ancora tra le mie braccia verso quella finestra da cui riuscivi a vedere la punta della Torre Eiffel.
"Mi ci porti oggi?" mi chiedevi, e io annuivo mentre ritrovavo il mio posto tra la pelle del tuo collo e della tua spalla. Ti diedi un bacio e i tuoi capelli mi solleticarono il volto.
Ti avrei dato tutto. E l'ho fatto, ma non è stato abbastanza per tenerti con me. Ma non per noi, perché tu hai resistito e combattuto fino all'ultimo respiro mentre non ti stancavi mai di guardare quella punta e immaginarti me e te abbracciati proprio sulla cima.
Ti ci portavo ogni notte a Parigi, tra quelle lenzuola bianche dove ci promettevamo qualcosa nonostante sapessimo che ci avrebbe diviso. Ma a noi non importava. A te specialmente.
Vivevi e mi vivevi così intensamente durante quegli istanti, quelle notti che poi diventarono giorni, settimane, mesi. Io avrei voluto che diventassero anni, avrei voluto portartici davvero a Parigi, quella che entrambi ci costruivamo intorno a noi nonostante non ne sapessimo niente. Quella Parigi nostra che divenne il nostro posto sicuro, la nostra certezza su troppe incertezze.
Tu eri la mia Parigi. Ché neanche a farlo apposta il tuo nome era Elle. E ché a te il francese non piaceva neanche, quasi lo detestavi. Dicevi che non avresti mai potuto vivere lì soltanto perché non saresti riuscita ad ascoltare quelle parole concise e sputate velocemente ogni secondo di ogni giorno. A volte dicevi che era sopravvalutato, che anche Parigi lo era. Però poi alla fine lo ammettesti che la sognavi. Camminare a piedi nudi e scattare delle foto istantanee, quella sigaretta e quella birra condivisa, il tuo vestito bianco e i tuoi capelli rossi, le stelle e tutto il resto solo nostro.
Ogni mattino sceglievi un posto diverso, anche se poi ci ritrovavamo sempre sotto quella torre.
Eri libera e viva, anche se entrambi sapevamo che mi avresti lasciato andare. Ma tu non mi facevi pesare la colpa di non riuscire a raccoglierti interamente e tenerti con me ancora un po' nella nostra Parigi.
"Ti piace di più stare qui o stare lì?" ti domandai un giorno al tramonto, ero sdraiato accanto a te in quei giardini, proprio a ridosso della torre.
"Intendi se mi piace di più guardarla da qui o starci?"
Io annuii, tu riportasti lo sguardo sul metallo che si costruiva davanti ai nostri occhi. Sapevi già ogni cosa, avevi ogni risposta a ogni singola domanda e io non riuscivo ad amarti di meno per questo.
"Se sto qui vedo solo la torre. Se sto lì vedo tutta Parigi," dicesti poi e tornasti a guardare me. Io non avevo mai smesso. "Quindi sta a te decidere cosa guardare. Qual è il momento adatto a quella prospettiva che potrebbe cambiarti la vita."
"E a te la vita l'ha cambiata?"
Sorridesti. Quel tuo sorriso sincero e dolce, quello in cui mostravi il piccolo ma esistente spazio tra i denti. "Sì, me l'ha cambiata."
A Parigi facevamo l'amore ogni notte, quelle stesse lenzuola conoscevano ogni nostro movimento e ogni respiro sulle parole sussurrate che le tue labbra mi ricordavano. Ogni tuo singolo tocco mi sfiniva e mi completava allo stesso tempo. Perché non ero sicuro di quanto ne avessi ancora con te, e non volevo perdermi niente. Nemmeno guardarti guardare quella torre ogni singolo giorno alla stessa ora, nemmeno ascoltare i tuoi silenzi, o le tue parole. Sapevi sempre quando c'era il bisogno di dire qualcosa e quando le parole non servivano. Sapevi quando bastavano e sapevi sempre cosa dire. Eri la mia cosa giusta, la mia Parigi.
Finché neanche più Parigi è riuscita a tenerti in piedi, a farti correre in quei giardini che tanto amavi e a ridere dal basso della torre e a baciare me dall'alto. Neanche le mie braccia intorno a te sono state abbastanza per non farti portare via. Neanche quelle ciocche dei tuoi capelli rossi lasciate ogni mattino tra quelle stesse lenzuola dove ci eravamo amati.
Avevi lasciato qualcosa di te ovunque, ma avevi lasciato a me quella più grande, quella più dolorosa e quella che mi lacerò il petto quando mi svegliai a Parigi e tu non eri più a guardare la punta di quella torre.
"Mi prometti che poi ci ritorni?" avevi detto tra le mie braccia, le tue dita a tracciare i contorni della mia labbra.
"Dove?" ti chiesi io, continuando a stringerti e a guardarti.
"A Parigi. Che ci ritorni per davvero," sapevo quello che mi stavi chiedendo anche se non lo dicesti esplicitamente. Perché sapevi che io ti avrei capita comunque, perché noi lo facevamo sempre. Non so in quale modo, però lo facevamo.
Non avevi paura di quello che avevi, non avevi paura di ciò che eri e che avevi solo vent'anni. Però io ne avevo per te. Non riuscivo ad immaginare di andare nella nostra Parigi senza te con me. Non avrebbe avuto nessun senso, niente sarebbe stato uguale.
"Per favore," ripetesti con una mano sul mio volto mentre aspettavi una risposta da parte mia. "Promettimi che ci ritorni, ché tanto io starò su quella torre ad aspettarti."
"Te lo prometto," dissi e ti scostai una ciocca di capelli dal volto. "Però ci saliamo insieme su quella torre, ci vediamo sotto."
Tu accennasti un sorriso, le lentiggini sul tuo naso le avrei baciate una ad una. "Perché?"
"Perché anche a me l'ha già cambiata."
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A/N : questa brevissima OS è nata letteralmente dal niente, da una semplice idea che abbozzai qualche tempo fa e che ho ritrovato su questo stesso profilo.
Non credo ci sia molto da dire, spero soltanto che vi sia piaciuta, e che possiate immaginare dove sia andato a finire questo piccolo pezzo di vita come meglio volete.
Un abbraccio,
september199six.
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