Sempre di più, come un tattoo

Ludovica

È qualche giorno che Filippo è strano. Lo vedo assente, sempre con la testa altrove, i pensieri trasformati in risposte a monosillabi, non mi racconta più nulla, quando gli parlo sembra un robot che risponde ad impulsi, non mi cerca, né tantomeno mi chiama. Non ci sono più le videochiamate alla sera con la faccia stanca ed una sigaretta in compagnia nonostante la distanza, non ci sono i messaggi dolci del buongiorno, né quelli in cui mi racconta qualche episodio divertente della giornata o delle sue lezioni all'interno della scuola.
Oggi, in particolare, è proprio sparito. Completamente sparito. Sono ore che lo chiamo, che cerco di comunicare attraverso qualche messaggio, ma lui continua solo a visualizzare e lascia che quelle spunte blu parlino al posto suo.
Isolandosi ancora una volta.
Allontanando tutte le persone che lo potrebbero aiutare.
Lasciando che sia il vuoto a risucchiarlo.

Sento il telefono che squilla e vibra sulla superficie del comodino in legno della mia stanza, guardo il display e rimango stupita nel leggere il nome di Einar. "Pronto?" rispondo con la voce preoccupata, pensando subito al peggio. "Si. - Ciao, sono - sono Einar. Avrei bisogno di parlarti, hai cinque minuti?" mi chiede con la voce imbarazzata e appena sussurrata. "Sì certo, dimmi pure. Solo una cosa: Filippo sta bene?" gli chiedo, con un tono molto preoccupato verso la fine della frase. "È proprio di questo che volevo parlarti." mi dice con la voce che si abbassa sempre di più. Sento che pronuncia un 'Vado giù in cortile, c'è Vale al telefono." e poi solo il rumore della porta della camera che si chiude rumorosamente. "Cazzo Einar mi puoi dire che succede? Dio, sono giorni che è strano, ore che non ho sue notizie e tu dici una parola ogni dieci minuti. -" dico con un tono nervoso e rabbioso. "- Scusa. Si, insomma tu non hai colpe. È solo - solo che - che mi fa impazzire questo suo comportamento infantile. Che ho pianto tutto il giorno perché non l'ho sentito. Che mi sento immobile, ferma, senza possibilità...perché, Cristo, se fosse stato vicino sarei potuta piombargli in casa, avrei potuto guardarlo dritto negli occhi, invece siamo distanti chilometri e non posso fare nulla." gli confido, non so a chi aggrapparmi ora che tutto mi sembra di nuovo nero, di nuovo come mesi fa, di nuovo quell'orribile sensazione di vuoto allo stomaco. "Questa settimana hanno assegnato il compito di scrivere le lettere per l'accesso al serale. Hai presente quella che Maria ha letto per me in puntata? Ecco, una cosa simile. Solo che per Ira non è stato semplice. Si è ridotto all'ultimo momento, gli sono crollati addosso troppi ricordi e ti giuro non l'ho mai visto così. L'ha scritta per lei." mi dice con voce seria, mentre io appoggio la schiena alla parete e crollo sul pavimento di marmo gelido. "Ah." per un istante non riesco a dire altro. Sento il cuore che perde qualche battito al solo pensiero e posso solo immaginare quanto possa aver fatto male a lui, quanto tutto questo l'avrà annientato un'altra volta. "Come sta?" gli chiedo semplicemente. Dall'altra parte nessuna risposta, solo un silenzio gelido. "Ein dimmi la verità, ti prego." lo supplico. "Male. Di merda. Non parla da ore. È stato chiuso in quel camerino per un tempo infinito, quando è uscito era distrutto. Completamente distrutto. -" sospira, mentre io dall'altro capo del telefono faccio la stessa cosa e cerco di trattenere qualche goccia salata che sta per scendere dai miei occhi. "Ho provato a dirgli di parlarne con te, ma sai come è fatto. Si è chiuso in sé stesso e non ha più pronunciato parola. Ho visto il telefono illuminarsi per tutto il giorno, i tuoi messaggi e le chiamate ignorate e ho pensato di cercarti. Sapevo che ti saresti preoccupata tanto e visto che sono qui ho pensato di avvisarti. Domani in puntata non sarà semplice." mi dice, mentre io sbuffo e socchiudo leggermente gli occhi. "Grazie. Grazie davvero Ein, se non ci fossi stato tu non so cosa avrei fatto. Stagli vicino, ti prego, per quanto sia possibile." gli dico, poco prima di salutarlo e augurargli una buona notte.

Irama

Mancano due puntate del pomeridiano. Solo due puntate ed ognuno di noi saprà che sorte gli tocca: dentro o fuori, buio o luce, rimettersi in piedi o essere ad un paio di passi dal sogno.
Da qualche giorno, però, la produzione mi sta assillando: devo scrivere quella dannata lettera e cerco solo di scappare, di non pensarci, di rimandare e fare finta di niente. Marcello sarà passato più di cinque volte ieri a ricordarmelo, a sbattermi davanti alla faccia il fatto che dovessi combattere le mie paure più grandi. Ma io proprio non riesco, non ce la faccio. È come se il mio cervello mi urlasse che non sono abbastanza forte, che crollerò di nuovo in quel baratro, che quell'incubo si prenderà gioco di me ancora una volta. Non riesco a scrivere nemmeno una parola, non riesco a pensare di nuovo a lei, di nuovo a quei ricordi felici perché vengono automaticamente spazzati via in un soffio di vento da quelli terribili, da quelli che fanno ancora male come pugnalate crude al centro dello stomaco, da quelli che vorrei poter dimenticare. - o meglio, non aver mai vissuto -

È tutto il giorno che lo schermo del mio telefono non fa altro che illuminarsi, che leggo il nome di Ludovica e lo ignoro. Giorni che Einar mi osserva, che cerca di parlarmi con gli occhi, come se avesse capito perfettamente che quella lettera non la devo solo finire, ma ancora iniziare e che non riesco a farlo perché ho una fottuta paura di crollare, di lasciar vincere quei potenti demoni in grado di far precipitare i miei ricordi come fragili castelli di carte. Giorni che mi addormento con il suo viso davanti agli occhi e che mi sento un fallito, un emerito idiota che non è riuscito neanche ad avere la decenza di piangere al funerale della persona più importante della sua vita, che non ha avuto la possibilità di salutarla un'ultima volta, che quando aveva l'opportunità di renderla felice l'ha riempita solo di delusioni. - perché sono buono solo a rovinare tutte le cose belle che mi succedono -
"Non posso. Non posso. Non posso." continuo a ripetere tra me e me, mentre mi ritrovo seduto per terra negli spogliatoi della sala relax. Finché non sento una voce famigliare alla mie spalle. "Che succede, Filo?" mi chiede Einar preoccupato, sedendosi accanto a me. "Non posso. Einar non ce la faccio." gli confesso, con la voce vuota, spenta, ormai stanca. "Non hai ancora scritto niente vero?" mi chiede, con lo sguardo di chi sa già la risposta. Io annuisco imbarazzato e abbasso la testa verso il pavimento. - quasi mi vergogno persino di me stesso - "Mi sta uccidendo. Mi devasta completamente, Ein. Non sono abbastanza forte o forse non lo sarò mai. Ho passato gli ultimi giorni ad ultimare la canzone, a raccontare di lei, a rivivere quei maledetti momenti in saletta canto e non posso. Non -" quasi non riesco a continuare, che la rabbia mi sale e mi corrode lo stomaco come il più potente degli acidi. "- È come se non mi potessi più nascondere. Come se Irama non potesse più essere il mio scudo e mettessi a nudo per la prima volta Filippo...e per questo, di certo, non sono ancora pronto." gli confesso, mentre getto la testa all'indietro e la appoggio a contatto con la parete fredda. "Sai quanto possa capirti, lo sai. Però credo che sia arrivato il momento di restare solo e combattere quei demoni bastardi. Non hai pensato a nessun altro destinatario per questa lettera, no? Alla fine potevi scriverla per chiunque e il tuo cuore ha urlato un solo nome, no? Ecco. Devi solo smetterla di nasconderti, prendere quel foglio e riempirlo come quando hai scritto 'Un respiro'. Farà male? Si. Tanto. Però, forse, è proprio quello che ti serve ora, è il dolore che ha bisogno di prendere parola e parlare per Filippo, capisci?" mi chiede. Io sospiro pesantemente e annuisco, con il viso rivolto verso quel foglio bianco appoggiato alle mie cosce. Poi mi alzo, do una pacca sulla spalla di Einar e mi allontano. - forse sarà un punto di partenza -

Sono dentro ad un piccolo camerino, un foglio bianco quasi stracciato appoggiato al tavolo e una penna blu poco distante. Osservo quella pagina bianca e mi guardo in giro per qualche secondo, i miei occhi si perdono ad osservare ogni più piccolo dettaglio, cercando di trovare il coraggio necessario per prendere in mano quella penna e affrontare quel terribile dolore. Tendo sempre a nascondermi: dietro ad Irama che riesce ad essere più aperto, forte e tenace di me, dietro alla mia musica che sputa quella verità che trattengo dentro, dietro alle piume che porto alle orecchie che sono il mio scudo di protezione. Tendo a nascondermi perché è più facile, perché non voglio mostrare le mie ferite, perché farmi vedere fragile dalle persone mi fa sentire uno scemo, un buono a nulla, un fallito. Tendo a nascondermi perché non voglio che le persone mi giudichino, perché voglio che il mio bagaglio di esperienze resti intimo, o forse più semplicemente perché spogliarmi completamente è difficile e farebbe sicuramente più male. Tendo a nascondermi, ma in alcuni casi non riesco. Non sono mai riuscito a nascondermi da mia nonna, perché le bastava uno sguardo per capirmi, mai da Ludovica perché riesce a leggermi dentro l'anima, mai dalla musica perché è l'unica arma che uso per disintegrare i mostri che albergano dentro di me.
Di solito, tendo a nascondermi, ma oggi non posso farlo. Oggi prendo questa penna in mano e vinco i miei demoni, ho bisogno di farlo per andare avanti.

'Cara Adri,
scusa se quel giorno non ho pianto.'

Mentre il foglio si riempie di inchiostro blu, ripenso a quel maledetto giorno. Ripenso alla foschia tra le nuvole, al cielo di quel colore orrendamente grigio, alla pioggia che cadeva incessantemente come lacrime d'acqua, a quel vestito scuro che ero stato costretto ad indossare, allo sguardo stranito dei miei parenti perché i miei occhi non piangevano come i loro, alle lacrime di Ludovica e Lorenzo soffocate in un abbraccio. Ricordo ogni singolo dettaglio: gli sguardi dei presenti all'entrata della chiesa che mi guardavano come fossi un mostro ricoperto di tatuaggi, le parole di quel prete piene di falsa compassione, le lacrime delle persone attorno a me che a stento la conoscevano la mia nonna. Piangevano loro e non io.
Io che con lei avevo un rapporto così speciale, io che avevo trovato in lei una seconda mamma, quella persona in grado di comprendere tutti i casini dentro alla mia testa, l'unica capace di dargli un ordine preciso. Lei con quegli occhi così simili ai miei, due pozze di lago color ghiaccio, mischiate da un'empatia così profonda, che spesso le parole diventavano solo un superfluo contorno.
Poi ripenso a tanti anni fa, quando lei era ancora viva ed io solo un bambino, il ricordo del funerale si offusca leggermente mentre viaggio di ricordo in ricordo. Le parlo di quegli istanti vissuti insieme, di quando passavo le estati da lei in campagna, di quei momenti semplici che mi mancano come l'aria nei polmoni. Ricordo quando mio nonno il sabato pomeriggio guardava 'Amici' in televisione, mentre io e lei chiacchieravamo seduti al tavolo di cucina. Ed ora, mi sembra davvero surreale che lei non ci sia più e che io sia all'interno di questa scuola, in un percorso tutto nuovo che chissà dove mi porterà.
Le parlo anche di quegli anni terribili, di tutte quelle macerie che mi sono crollate addosso e mi hanno tolto fino all'ultimo briciolo di felicità, le parlo di quelle cose che quando era in vita non le ho raccontato, le chiedo scusa per tutte le volte in cui l'ho fatta preoccupare, perché non rispondevo al telefono, perché non mi facevo mai sentire. Ed ora mi sembra tutto così reale, le scrivo come se fosse ancora qui accanto a me, come se potessi ancora sfiorare con il polpastrello la sua guancia, come se potessi ancora vedere le rughe intorno agli occhi quando regalava un sorriso, ma allo stesso tempo mi rendo conto che non ci potrà più essere, che un giorno dimenticherò persino il suono della sua voce e non pensavo che dirle addio mi avrebbe fatto così male.

"Ti ho scritto una lettera, nonna. Prima una canzone e poi una lettera." sussurro tra me e me, appoggiandomi con la schiena alla parete e sospirando pesantemente. "Pensavo che non sarei mai riuscito a farlo, perché -" mi interrompo per un istante. "- perché non sono riuscito mai neanche a versare una lacrima e sto continuando a trattenere quel dolore dentro allo stomaco da quando te ne sei andata. Però qualcosa ti dovevo, mi sono sentito sempre in difetto nei tuoi confronti, sempre un fallito, una persona che non vale niente perché tutti ti hanno dato qualcosa quel giorno, invece io niente.  Tutti hanno provato a lasciarti un pezzettino di loro stessi, ma non io. Niente. Né una fottuta lacrima, né un urlo straziante, né un po' di questo dolore che mi fa tanto male. Niente. Però, oggi, sono riuscito a darti la parte più importante di me stesso: la mia musica. Non sono riuscito a piangere, non sono riuscito a buttar fuori quel dolore, però ho scritto. E allora ho capito. Ho capito che ognuno si sfoga a modo suo, che ognuno sceglie di uccidere quel dolore in milioni di modi diversi e il mio è quello di scrivere, perché la parte più intima e vera di me si riversa in quell'inchiostro blu. Ecco, ti ho donato la parte più bella di me, quella che tu conoscevi bene e che hai amato con tutta te stessa, più di chiunque altro.
Però ti chiedo solo una cosa: stammi vicino. Anche se non fisicamente, anche se sarà difficile, se farò scelte sbagliate, sostienimi sempre, ti prego. E non so come andrà, se prenderò quella felpa verde, se il serale andrà bene, se arriverò in finale, se alzerò quella coppa, so solo che - che sentirò un dolore fortissimo quando avrò il biglietto per un mio concerto tra le mani e non potrò dartelo. Ma sappi, che lo conserverò insieme alle piume che mi hai regalato; che ne conserverò uno a data, solo per te, così sarai sempre lì anche se mi guarderai da una nuvola, da una stella oppure da un posto in prima fila nel mio cuore, che in quegli istanti batterà per te." Finisco di parlare e mi sento un idiota, sento la mia voce che fa eco nel silenzio di quella stanza vuota e mi assale la consapevolezza che lei non c'è. Non c'è più. E mentre la mia mano trema e stringe ancora forte la penna, quei ricordi vengono risucchiati da un enorme buco nero che li porta via con sé, lasciandomi solo e fragile in una stanza che all'improvviso diventa nera, buia, cupa.

Esco da quel camerino, dopo minuti che mi sono sembrati lunghi come giorni, con il peso di un tir sullo stomaco e gli occhi ancora asciutti, che anche questa volta non sono riusciti a versare nemmeno una misera lacrima. Esco con la consapevolezza che forse, da oggi, riuscirò ad andare avanti non senza di lei, ma con il suo ricordo impresso nel cuore. Consegno i fogli sgualciti a Marcello e mi avvio verso l'hotel, non ho voglia di vedere nessuno, né di dover spiegare a qualcuno il perché di quell'umore nero, perché tanto non sarebbero in grado di capire. Nessuno, a parte la persona di cui leggo il nome sul display del mio telefono cellulare, che mi sta chiamando per l'ennesima volta, ma che scelgo di ignorare ancora, come se cercassi di aggrapparmi solo alle mie forze per sopravvivere a questa giornata, come se non volessi pesare su di lei con una cosa che la farebbe soffrire troppo.

Mi rinchiudo in bagno, lascio che il getto dell'acqua calda mi scivoli addosso, che quelle gocce lavino via quella sensazione che sento dentro, che quel vapore riempia quel sentimento di vuoto che alberga nel cuore. Poi, mi butto sul letto, con il piumone che mi copre persino il viso, nelle orecchie una canzone di Guccini sparata ad un volume altissimo. Di sfuggita vedo Einar che sta uscendo con il telefono attaccato all'orecchio, mentre mi dice qualche parola che neanche ascolto, lascio solo che questa canzone parli per me.

'Perché può nascere da un male oscuro
che è difficile diagnosticare
fra il passato appesa e il futuro,
lì presente e pronta a scappare.
E la canzone diventa un sasso
lama, martello, una polveriera
che a volte morde e colpisce basso
e a volte sventola come bandiera.
La urli allora un giorno di rabbia
la getti in faccia a chi non ti piace
un grimaldello che apre ogni gabbia
pronta ad irridere chi canta e tace.
Però alla fine è fatta di fumo
veste la stoffa delle illusioni,
nebbie, ricordi, pena, profumo:
son tutto questo le mie canzoni.'

E queste parole mi entrano dentro come una lama in pieno petto, oggi parlano di me, per me, come forse non hanno mai fatto prima. Una canzone ascoltata e riascoltata, che però non mi ha mai colpito nel profondo come oggi. Appena la musica si affievolisce, il telefono vibra appoggiato al cuscino: è un messaggio di Ludovica. Ed incredibilmente, riesce a farmi andare a dormire con il cuore più leggero.

Ludovica

È sabato, oggi Filippo ha chiesto esplicitamente a me e Lorenzo di assistere alla puntata, di essere presenti per sostenerlo. Così siamo qui, seduti tra i boati del pubblico mentre la conduttrice entra e saluta tutti i presenti.
Dopo le prime esibizioni, Maria lo invita davanti alla commissione per l'accesso al serale e inizia a leggere la sua lettera. "Ti imbarazza, Filippo?" lui alza di poco la testa, mentre pronuncia un timido appena sussurrato. Poi beve un sorso della sua acqua e inizia a schiarirsi la voce, milioni di volte, in un circolo vizioso che quasi mi fa venire voglia di corrergli incontro e abbracciarlo forte. Maria inizia a leggere le parole di Filippo, mentre lui si muove per lo studio, con lo sguardo basso, gli occhi spenti e la linea delle labbra piatta, come se tutta la felicità fosse evaporata in pochi istanti. - ed io credo di non averlo mai visto più vulnerabile di oggi -

'Cara Adri,
scusami se quel giorno non ho pianto. Oggi mi trovo qui, chiuso in un camerino, a scriverti una lettera che non mi va di scrivere. Chissà da cosa deriva questo mio approccio ansiogeno e paranoico alla scrittura...di certo non ho preso da te signora professoressa, ma gli occhi si. Quelli sono identici sii tuoi: freddi come ghiaccio, talmente freddi da ingannare chi li fissa, perché basterebbe solo guardarli nel modo giusto per iniziare a farli diluviare.
Spesso non riesco a farmi capire, cioè mi spiego: vorrei farmi capire, ma ho imparato crescendo che certe cose non vanno dette. Che ironia...pensare che proprio tu quando mi beccasti a rubare quel personaggio di Batman a mio cugino Edoardo mi cazziasti proprio perché l'avevo nascosto senza dirtelo, dicendomi: "devi essere sincero!". Non è così, non sempre ci si può permettere il lusso della sincerità. Lo sono nella musica, completamente. A volte ci rimango male, ci soffro, quando sento dire dalle persone che ero sparito. Sparito. A ventidue anni sparito. Non sono mai sparito. Quel ragazzino con le piume che aveva fatto quelle tre canzoni non poteva parlare più, perché più parlava più rischiava di sparire.
Ho passato un anno di merda, davvero di merda, ma fortunatamente nessuno è riuscito a strapparmi questo bisogno di scrivere canzoni. Oggi mi ritrovo qui, chiuso in un camerino a scriverti una lettera che mi sta facendo sentire il bisogno di parlarti ancora una volta. Ero un disastro, ogni volta che chiamavi ti preoccupavi per me, ma eri buona, anche se combinavo un casino dietro l'altro non te la prendevi mai seriamente. Mi ricordo quella volta che mi tatuai sulle braccia dei serpenti, ti chiesi scherzando se ti piacevano, sapevo che ti facevano impressione, ma piuttosto che rischiare di farmi rimanere male mi dicesti si, che erano fatti bene. Tante cose non te le ho mai dette, ho passato cose, vissuto troppo presto cose più grandi di me, non sono sicuro mi avresti capito, ma se potessi tornare indietro te le direi, perché sono certo che mi avresti ascoltato.
Oggi, sono quasi un uomo e quelle storie che ho vissuto intensamente sono le mie canzoni, una l'ho scritta per te, si chiama 'Un respiro'. Sto facendo un programma televisivo: Amici, quello che nonno guardava sempre mentre tu eri lì, in cucina. Mi sto impegnando, come sempre, solo nelle cose che mi piacciono.
Ho ancora il biglietto per quel concerto a cui non verrai, dammi solo un buon motivo, dammene uno, il perché sei partita senza dirlo a nessuno. Niente di che, mi aspettavo solamente un saluto, siamo io e te a guardarci tra le nuvole e fumo. Vorrei tornare indietro solo per un addio e dirti che il concerto era il mio, per dirti quel concerto era il mio.
Un bacio, da tuo nipote Filippo'

Il mio viso è completamente bagnato dalle lacrime, il cuore sembra battere ad un ritmo talmente lento che temo si possa fermare da un momento all'altro, cerco solo di incrociare i suoi occhi, ma il suo sguardo è fisso al pavimento. - come se gli mancassero persino le forze per alzarlo.
"Ora devi cantare, ce la fai?" gli chiede Maria, lui si limita ad annuire. Gli occhi cerulei sono ormai trasparenti pozze di ghiaccio, arrossati e lievemente gonfi nel contorno. Inizia la melodia, quando sento il braccio di Lorenzo sui miei fianchi, che mi avvicina a sé e mi stringe in un forte abbraccio. Io infilo il mio viso nella piega del suo collo, mentre mi lascio andare ad un pianto liberatorio colmo di tristezza, di sofferenza, di quel dolore che ho cercato di soffocare per troppi mesi. E penso che non c'è niente di più bello di un abbraccio di un amico, di quelli che prendono il cuore e cercano di risistemarlo, ci attaccano cerotti, cuciono minuziosamente ogni ferita e lo scaldano teneramente.

'Un respiro,
si toglie solo se il cuore
ti batte di più
o col bacio sul collo di un'altra bottiglia
che butterò giù,
che butterò giù
Con la faccia pulita
e una pelle più sporca dei lividi blu
sempre di più, come un tattoo
Steso a terra ho chiesto a Dio
se c'eri anche tu, ehi ehi ehi
Mi manchi tu, questo è un déjà vu
lo riconosco perché non piango
quel giorno sembravo un mostro,
quel giorno è durato un anno
Le nuvole e il fango
un prete prega bardato per farlo
Nel nome del padre, del figlio e lo spirito, salto
questa messa in scena, me ne vado
mi ricordo un lago, faceva molto freddo
ed io da solo in isolamento
mentre col tempo crescevo con un'isola dentro
Se non hai più parole
e non sei qui con me,
un ricordo banale
è tutto ciò che resterà di te

Ringrazia il mio ego
non so se mi spiego
sono cresciuto pure senza te, ma sai
quanti tagli ormai
che non saprò mai più nascondere, oh no no no
Con al faccia pulita
e la pelle che è sporca dei lividi blu
Non mi manca più il fiato ma mi manchi tu

Oggi è venerdì, scrivo un po' di più
non mi sento giù, non mi sembro io
mentre guardo in sù
stringo dentro gli occhi la tua stessa luce
mentre un ricordo mi strappa il cuore
c'è un altro che lo ricuce
Vita toglie, vita dà
vieni su al solito bar
fingo di aspettarti ma il ghiaccio si scioglierà
So che non tornerai e no che non tornerai
ho ancora il biglietto
per quel concerto a cui non verrai
Dammi solo un buon motivo
dammene uno solo il perché
sei partita senza dirlo a nessuno
niente di che
mi aspettavo solamente un saluto
Siamo io e te
a guardarci tra le nuvole e fumo
Vorrei tornare indietro
solo per un addio
e dirti che il concerto era il mio,
per dirti quel concerto era il mio
Se non hai più parole.'

Lo sguardo di Filippo è rivolto verso il basso, quasi avesse bisogno di riprendere fiato, quasi dietro a quelle palpebre si nascondesse il viso di Adri. I miei occhi si incastrano in quelli di Lorenzo e sembrano parlare da soli, senza il bisogno di futili parole. Quella canzone è poesia, qualcosa di così crudo e intenso da entrarmi come una lama in pieno petto. Ha fatto male, tanto male. Ho rivissuto tutto il dolore di quel giorno orrendo, la perdita di una persona che ormai era diventata una nonna anche per me, ho sentito sulla pelle momenti che speravo di aver dimenticato, sensazioni terribili che pensavo di aver soffocato in un cassetto della mia testa. Mi ha completamente spezzata, tanto che non riesco nemmeno ad emettere un suono, le lacrime scendono inesorabili mentre la voce di Lorenzo mi sussurra un "Stai calma, va tutto bene." nell'orecchio.
"Il primo cartoncino è un no." pronuncia Maria, mentre Filippo nemmeno risponde, si schiarisce la voce e ritorna al suo banco. Ha gli occhi tristi, i denti che si stringono forte in bocca e risaltano la curvatura della mascella, lo sguardo perso nel vuoto e un'espressione di delusione difficile da interpretare. Vorrei solo che la puntata finisse, vorrei corrergli incontro e sussurrargli che sua nonna è fiera di lui, che quella felpa verde sarà sua, che quel concerto lo guarderà dalle stelle e brillerà come la più luminosa. E giungo ad una conclusione: che farei di tutto, darei tutto quello che ho per farla tornare solo per qualche minuto, per fargliela salutare come avrebbe meritato, per togliergli quel rimpianto dal cuore che finirà per lacerarlo per sempre.

Finita la puntata non ho nemmeno il tempo di salutarlo, allora insieme a Lorenzo decidiamo di aspettarlo fuori. Einar, Biondo, Emma e Filippo stanno firmando qualche autografo all'esterno degli studi del pomeridiano, mentre io e Lorenzo abbiamo acceso una sigaretta e ce la stiamo fumando seduti sul solito muretto di cemento. "È la tua fidanzata?" sento la domanda di una ragazza e poi la voce di Filippo che pronuncia un flebile , mentre io mi volto nella sua direzione e gli lancio un'occhiata mista tra l'imbarazzato, il sorpreso e il divertito. Dopo qualche altro minuto sento le braccia di Filippo che mi avvolgono in un tenero abbraccio, poco prima di rubarmi la sigaretta dalle dita. Restiamo per un po' di tempo lì, a raccontarci qualche episodio successo in settimana, a fare quattro chiacchiere, senza però il coraggio di tirare fuori l'argomento canzone. - posso solo immaginare quanto quella ferita stia ancora sputando fuori sangue vivo -
Ci raggiungono anche gli altri tre ragazzi, dopodiché io ed Emma decidiamo di avviarci all'hotel, mentre i componenti maschili del gruppo si dirigono verso la pizzeria per dare inizio al nostro sabato sera.

Siamo in camera dei tre ragazzi, stanza 310 dell'hotel, io ed Emma cerchiamo con nostro tipico istinto femminile di risistemare un po' di quel disastro, ma con risultati davvero poco soddisfacenti. "Filippo is fall in love with you...vero? Si, insomma è innamorato." mi chiede la ragazza maltese, mentre piega dolcemente i calzini di Biondo nel comodino al lato del suo letto. "Beh...non lo dovrei dire io. -" le sorrido imbarazzata, mentre sposto una ciocca dei miei capelli e la porto dietro l'orecchio. "- Cioè credi che sia innamorato?" le chiedo semplicemente. "Si. Quando guarda te it's like vedesse la cosa più wonderful del mondo." mi dice teneramente. Non abbiamo mai parlato tanto, però è una ragazza di una dolcezza assurda, con quel suo modo di mischiare l'inglese con l'italiano e i suoi occhi puri in grado di vedere oltre. "Filippo è la parte migliore di me." le dico, prima che i miei occhi incrocino i suoi e che lei si avvicini per stringermi in un abbraccio, di quelli capaci di parlare senza l'utilizzo di parole.

I ragazzi hanno deciso di andare in discoteca, quindi ognuno è tornato nelle proprie stanze per prepararsi, mentre Filippo ha stranamente rifiutato ed io ho preferito restare qui con lui. È sceso nella sala bar per prendere qualche birra, mentre io sono nella stanza mia e di Lorenzo che lo aspetto. Ho capito subito che c'era qualcosa che non andava, ormai glielo leggo negli occhi e so che oggi non è stata una giornata facile o particolarmente felice. So che il ricordo di sua nonna è tornato a farsi sentire prepotentemente, che si è insinuato come la più insensibile delle lame dritta nello stomaco, che si è riversato negli occhi fino a farli bruciare, ma che quel suo solito bastardo orgoglio ha avuto la meglio.
Torna in stanza e a stento si sente il rumore, si siede sul letto e appoggia la schiena alla testiera, sbattendo una mano sul materasso, mimandomi con le labbra un 'vieni qui'. Restiamo in silenzio per un tempo infinito, lui che osserva il soffitto, mentre le mie mani gli accarezzano il petto. Lui che a stento respira, io che vorrei urlare. Lui che non ha voglia di parlare, io che vorrei avere il coraggio di farlo. Lui che ha bisogno di me, io che mi limito a stargli accanto. "Che faremo?" mi chiede tutto d'un tratto, mentre il mio viso assume un'espressione stranita. "Si. Beh dalla settimana prossima dico. Cioè io -" si interrompe per qualche minuto come se gli facesse quasi male continuare. "Io tornerò a Monza e tu - tu sarai a Milano. E boh mi sembra tutto così strano, ricominciare ancora. Non so -" lo interrompo subito, alzandomi e mettendomi a gambe incrociate davanti a lui. "Ma cosa stai dicendo? La settimana prossima? Tu a Monza? Ma che idee ti frullano in testa, mi spieghi?" gli chiedo con tono duro, quasi infastidito. "È la cazzo di realtà, Ludovica. Non entrerò al serale, punto. Me ne devo fare una ragione e iniziare a pensare che forse la musica non fa per me." mi risponde in tono sprezzante, alzando la voce, quasi cercasse di sputare fuori un mostro che lo sta corrodendo dentro come il più forte degli acidi. Boccheggio leggermente con le labbra, ho timore di parlare troppo presto, ho paura di dargli delle speranze, perché  l'ho visto sfracellarsi al suolo, so cosa significa vederlo annientato, svuotato persino dalla voglia di vivere ed ho una fottuta paura possa succedere ancora. Lui si alza e frettolosamente va ad accendersi una sigaretta, che consuma nel giro di qualche minuto, come se tra il fumo di quella nicotina trovasse un'ancora di salvezza a cui aggrapparsi per non lasciar vincere quella rabbia. "Ho scritto una canzone per lei e ho fallito ancora." sussurra, accasciandosi su una sedia poco distante dal letto. Io mi alzo, lo raggiungo, mi inginocchio davanti a lui: il suo viso appena sopra alla mia testa, mentre con la mano gli accarezzo una guancia e i suoi occhi si socchiudono, quasi beandosi di quel tocco. "Non dire mai più una cosa così. Mai più, Filo. Quella canzone è poesia, è qualcosa di così intenso che a stento riesco a respirare quando la canti. Hai fatto centro un'altra volta ed io lo so quanto è orgogliosa di te." gli dico dolcemente, mentre i suoi occhi si fanno sempre più rossi. "Sono ad un passo così dal mio sogno e si sta per spezzare ancora. Mi sento una merda. Quella lettera poi letta davanti a tutti, boh - Dio, mi sono sentito così vulnerabile che avrei voluto scappare. Odio sentirmi così perché so che quando mostri le tue debolezze più nascoste, alla fine le persone le usano per ferirti, per farti del male ed io non voglio sentire ancora più dolore di questo. Non lo sopporterei." mi dice, mentre la sua voce si spezza leggermente. Io cerco di deglutire e ricacciare indietro le lacrime perché per una volta devo essere quella forte. "Guardami." gli sussurro, mettendo il mio indice sotto al suo mento e alzandolo leggermente, fino a far incrociare i nostri occhi. "Era la parte più reale di te. Non ti devi vergognare di niente. Hai fatto come con una canzone: ti sei messo a nudo ed era arrivato il momento di farlo." gli dico semplicemente. La sua bocca si piega in un sorriso appena accennato, come se dal mio sguardo avesse capito tutto quello che avrei voluto dirgli, ma che mi fa ancora così male che non riesco a tirarlo fuori.
Poi si alza, mi prende una mano e mi fa alzare insieme a lui. Prende il suo portafoglio dalla tasca dei jeans e mi mette tra le mani un foglio di carta bianco, stracciato e pieno di scarabocchi. Io lo apro con molta attenzione, leggo le prime parole e capisco subito di cosa si tratta. "Ti prego tienila tu. È che - che non riesco a lasciarla andare e mi fa ancora così male che -" si interrompe un attimo, poi appoggia la schiena alla parete e piano piano scivola verso il pavimento, accasciandosi al suolo. "- mi manca così tanto, Ludo. Dimmi perché. Perché se n'è andata così? Perché, cazzo? Perché non l'ho potuta nemmeno salutare? Perché non potrà mai assistere ad un mio concerto? Perc -" E succede così, che d'improvviso tutti i ricordi gli crollano addosso e lo fanno tremare. Trema finché i suoi occhi non si riempiono di lacrime salate e scoppia in un urlo che ha il sapore della disperazione, ma allo stesso tempo anche di quella liberazione di cui aveva bisogno. Nasconde la sua testa nel mio grembo, mentre io gli accarezzo i capelli e comincio a piangere, che vederlo così mi fa talmente tanto male che vorrei poter prendermi carico io di quel dolore. Piange, si lascia andare e cerca di uccidere quel dolore a suon di singhiozzi così pesanti da fare male persino a me, come per riflesso. Piange per così tanto tempo che ad un certo punto finiscono anche le lacrime, che quelle gocce salate non escono più dagli occhi e smettono di bagnargli il viso. Alla fine, si alza e mi stringe. Mi attira forte a sé e mi abbraccia come forse non aveva mai fatto, incastra il suo viso nell'incavo del mio collo e si accoccola lì per qualche minuto. - come fossi il suo punto fermo, il mare calmo - "Amore mio." gli sussurro, come se fosse l'unica cosa in grado di farlo sentire al sicuro. "Ce l'ho fatta. Qui, con te, per la prima volta le ho detto addio, l'ho lasciata andare." mi dice con un voce talmente spezzata che mi verrebbe voglia di piangere di nuovo. Cerco di ricacciare indietro le lacrime, che però non mi ascoltano ed escono di nuovo. Allora mi limito a sorridergli, accarezzandogli teneramente una guancia e sussurrandogli "Sei forte vedi? Più di quanto immagini ed io sono così fiera di te..."

Irama

Sono uscito per fumare una sigaretta, il mio cuore si sente stranamente leggero ed era una sensazione che mi mancava da troppo tempo. Rientro in stanza e vedo Ludovica sdraiata a letto con una faccia distrutta, mi fa cenno di mettermi accanto a lei. "Ho sonno. Tanto sonno." mi dice accoccolandosi contro il mio petto, mentre con una mano mi accarezza una spalla. "Dormi piccola, io sono qui." le dico, per poi accarezzarle i capelli finché il suo respiro non si fa più pesante e regolare.
Sento il telefono vibrare sul comodino, lo prendo e leggo il nome di Lorenzo scritto sullo schermo.

Mi giro verso di lei e la osservo per qualche secondo. Le accarezzo i capelli, poi una guancia, passo i miei polpastrelli sulle sue labbra appena schiuse, la punta del naso, poi scendo alla spalla, il braccio, il fianco. "Sei così bella." sussurro. "Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata." sussurro di nuovo, mentre i miei occhi si riempiono di lei. "A te che sei, semplicemente sei sostanza dei giorni miei." le canto dolcemente, prima di coprirla con una morbida coperta e tornare nella mia stanza.

Ludovica

Tengo gli occhi chiusi ancora per qualche istante, quelle parole non erano solo un bel sogno ma la più dolce delle realtà, vedo lo schermo illuminarsi mentre il telefono vibra, lo prendo tra le mani e con gli occhi ancora leggermente socchiusi leggo il suo nome.

Infilo la sua felpa rosa sopra alla mia maglietta lunga e mi dirigo verso il terrazzo, mi accendo una sigaretta, mentre volto il viso verso la direzione della sua stanza. Lo vedo lì: illuminato dalla luce di qualche lampione sparso, intento ad aspirare un po' di fumo dalla sua sigaretta, mentre rigira tra le mani il telefono come se aspettasse l'esito più importante della sua vita. Sto lì per qualche minuto, osservo ogni dettaglio: il modo in cui stringe la sigaretta tra le labbra, la forma della nuvola di fumo davanti a lui, il modo di inserirsi una mano tra i capelli, i denti che mordono delicatamente il labbro inferiore, l'indice e il pollice che toccano insistentemente una piuma, il modo in cui il piede batte nervosamente contro il pavimento. Finché i suoi occhi non si alzano ed incrociano i miei e sorride, con un sorriso così bello che sembra illuminare persino il buio. Spengo velocemente la sigaretta nel posacenere e rientro in stanza, chiudo e mi appoggio con la schiena alla superficie fredda del vetro della finestra. Sto lì per qualche secondo, con la testa confusa dai pensieri e quelle due maledette vocine che litigano tra loro e mi mandano completamente in tilt.
I miei piedi che si avvicinano automaticamente alla porta, corrono nel corridoio e si ritrovano quasi per magia davanti alla porta della sua stanza. Ho il respiro affannato e il cuore che batte talmente forte che lo sento in gola. Busso piano, di nuovo, finché non sento il rumore della maniglia e non vedo il suo sorriso che mi accoglie. Mi fiondo su di lui come se non lo vedessi da secoli e tempo qualche secondo faccio scontrare le nostre labbra in un bacio. Lo bacio come non facevo da tempo, con quell'irrazionalità che mi fa sentire viva e sento di nuovo il suo inconfondibile profumo sulle labbra, che quasi l'avevo dimenticato, mi sento a posto con il mondo, con l'intero universo, che quasi tocco il cielo con un dito.

Irama

Si aggrappa alla mia maglia con forza, le sue dita sottili stringono forte il tessuto di cotone quasi avesse paura che me ne andassi. Mi sento di nuovo completo, le mie labbra sono proprio dove dovrebbero essere. Ci stacchiamo per qualche istante, con il respiro affannato e sorridiamo contro le labbra dell'altro. Le scosto una ciocca di capelli e la incastro dietro all'orecchio, poi mi perdo a guardarla negli occhi. - e cazzo, vorrei perdermici per sempre - Sento di non voler trovare più la strada del ritorno, perché mai nessun posto profumerà di casa quanto lei. Il cuore quasi mi scoppia nel petto, i frammenti ancora spezzati dal dolore, si ricompongono, ritornano al proprio posto uno ad uno, risaldando pezzo dopo pezzo con quella magica colla d'oro, un po' come la teoria del 'kintsugi'.
"Fil" sussurra tra un bacio e l'altro. E mi chiama di nuovo così, con quella voce dolce. Fil, con quell'accento che solo lei sa dare. Fil, come se non fosse mai successo niente. Fil, come qualche mese fa. Fil, come se non ci fossimo mai lasciati.
Fil. Fil. Fil. Dio, Fil.
Ed io sorrido inevitabilmente come se non fossi mai stato tanto felice.
"Lulù, ti giuro che - che Dio, mi sembra tutto perfetto. Io ho bisogno di te. Ho - ho -" mi interrompe, mettendo il suo indice davanti alle mie labbra ancora socchiuse. "Fil, ho voglia di te." mi sussurra con la bocca arrossata e gonfia dai baci e due occhi talmente belli da sembrare un dipinto. Ed ora sì che ho voglia di sentirla ovunque, dentro il cuore, sulla pelle, tra le labbra, in ogni parte del corpo, fino in fondo all'anima. Perché non è mia da troppo tempo, perché mi è mancata come l'aria e ormai credo di impazzire, non so più resisterle. Mi bacia di nuovo, attirandomi maggiormente verso di sé. E la mente si annebbia così tanto, che ce ne freghiamo se in stanza potrebbero ritornare Einar o Biondo. Se Lorenzo potrebbe rientrare da un momento all'altro e coglierci sul fatto. In questo momento ci siamo solo io e lei, i nostri respiri che si mischiano e un'onda d'amore che ci travolge e ci trascina con sé in mare aperto ed io sono pronto a naufragare su un'isola deserta che profuma di lei, che sa un po' di rose, di vaniglia, di cioccolata, di cocco, di salsedine, che profuma di casa e cose belle.
Le accarezzo una gamba nuda, mentre la sollevo e la faccio poggiare al tavolino all'ingresso della stanza. Ci baciamo senza fermarci mai, con gli occhi socchiusi e una voglia di viverci alle stelle. Lei prende il mio labbro inferiore tra i denti e lo morde delicatamente, insistendo un po' prima di lasciarlo andare, facendomi gemere di piacere, poi avvicina le sue mani alla mia cintura e la slaccia. Passa le sue dita sulla mia erezione, sbottonando i miei jeans neri bottone dopo bottone. - e Dio, devo deglutire perché mi sembra mi manchi l'aria - "Cazzo Ludo. Dio, se continui così -" non riesco nemmeno a terminare la frase, che lei sorride contro le mie labbra e poi mi bacia appassionatamente.
E sento il bisogno vitale di sentire la sua pelle nuda sotto le mie dita, di avere i suoi capelli tra le mani, il profumo del suo collo nelle narici, l'odore del suo respiro in gola. Il bisogno di far scontrare le nostre labbra per sempre, di sentirle pronunciare il mio nome, di vedere il suo sorriso appena sveglia, di credere nel per sempre.
La prendo in braccio e la accompagno sul mio letto, la faccio stendere delicatamente e poi mi metto sopra di lei. La voglio così tanto che non riesco nemmeno a spiegarlo, che a tratti mi manca il respiro, che tremo leggermente e nemmeno riesco a pensare. Continuo a guardarla, come se la sua bellezza fosse in grado di farmi sentire al sicuro, come se fosse la cosa più bella del mondo, come se il vuoto che sento nello stomaco si stesse nutrendo di lei e fosse in grado di farmi sentire di nuovo vivo. Guardo i suoi occhi di nuovo da vicino, mi soffermo in ogni sfumatura, in quel marrone che mi sembra oceano, in quel nocciola che sa di cose buone, in quel dorato che brilla come la più luminosa delle stelle, ci annego dentro e a tratti non respiro, ma allo stesso tempo è come se i miei polmoni si riempissero dell'aria più fresca che mai.
Mi perdo in quegli occhi, o forse finalmente mi ci ritrovo. In quelle pupille che nel momento di massimo piacere diventano lucide, quasi umide e brillano di me, mentre i miei occhi color ghiaccio sembrano infiniti perché vivono di lei.

Che non stiamo più capendo niente,
che sono mesi che lo sogniamo ed ora vorremmo durasse in eterno,
che la testa è confusa, completamente in tilt, in un altro pianeta, in un universo che profuma di felicità,
che lei ripete il mio nome ed io torno a respirare,
che lei sorride e il mondo sembra un posto così bello,
che c'è quella canzone in sottofondo che ci piace tanto, che ci ricorderà sempre questo momento, che ascolteremo a ripetizione per tutta la notte,
che quasi tremo dalla felicità,
che le sue unghie quasi si infilano nella pelle della mia schiena,
che getta la testa all'indietro ed io mi perdo a baciarle il collo,
che sono dentro di lei e non mi sono mai sentito così bene,
che non è la prima volta, che è un po' come se lo fosse, che forse è ancora meglio,
che l'ho desiderato così tanto che quasi vorrei non finisse mai,
che lei è qui, gode sotto ogni mio tocco, che mi guarda e sorride, che è felice ed io penso di aver trovato il mio posto nel mondo.

Che io vivo di lei, di Ludovica.
Che lei vive di me, Filippo.
E forse il mondo torna a girare finalmente nel verso giusto.

Ed è tutto così bellissimo, così dannatamente perfetto che vorrei prendere le lancette e bloccarle per sempre. Il cuore mi scoppia, il petto che batte in modo irregolare, talmente forte da sembrare impazzito. E forse non ho mai visto niente di più bello: la sua testa sul mio petto, il suo profumo sul cuscino, i suoi occhi scintillanti con il ricordo dell'orgasmo nelle pupille, un velo di sudore che le contorna la fronte, il colorito leggermente rosso e questa stanza che non mi è mai sembrata così simile al Paradiso.
"Sei il mio posto felice." mi sussurra lei, mentre si volta verso di me e fa scontrare di nuovo le nostre labbra. E amo avere il suo sapore tra le pieghe della bocca, amo sentire la sua pelle nuda a contatto con la mia al di sotto di questo lenzuolo. Lei non lo sa che è il mio posto nel mondo da due anni e Dio, le paranoie mi assalgono il cervello, ma stanotte me ne frego. Me ne frego se è troppo presto, se rischio di affrettare le cose, se ho paura che sarà difficile, me ne frego anche se ho il timore che dalla settimana prossima potrebbe cambiare tutto, se è la prima volta che facciamo l'amore. Me ne frego di tutto e glielo dico. "Ti amo." le sussurro ad un centimetro dalle labbra. Lei sorride, socchiude gli occhi e allora glielo ripeto di nuovo. "Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo, ma talmente tanto che mi togli il respiro." si mette a cavalcioni su di me, appoggia una mano dietro alla mia nuca, all'attaccatura dei capelli e mi attira verso di sé per baciarmi. Facciamo di nuovo l'amore, come se non ci stancassimo mai, come volessimo replicare quel batticuore magico per tutta la notte, che per dormire c'è tempo, c'è tutta la vita, ma adesso è il momento di vivere.
Di essere giovani e follemente felici.

Ludovica

La luce entra leggermente dalle tapparelle appena alzate, sento il braccio di Filippo che stringe il mio fianco e che mugola qualcosa nel sonno. Mi giro verso di lui e sorrido spontaneamente, quasi i miei occhi a quella vista fossero felici automaticamente. Il lenzuolo gli ricopre la pelle nuda dalle costole in giù, il nero dei tatuaggi che risalta meravigliosamente sul colorito candido della pelle, ha la bocca leggermente schiusa e un braccio a reggergli la testa. Mi avvicino e gli lascio un bacio a fior di labbra, mentre la mia mano si poggia sul suo petto, che continua ad alzarsi ed abbassarsi regolarmente. "Buongiorno." gli sussurro dolcemente, mentre lui mi attira teneramente a sé. "Dai, ancora cinque minuti." mi risponde con la voce ancora teneramente impastata dal sonno, aprendo un occhio e accennando un timido sorriso. Io mi stiracchio delicatamente, poi inizio a lasciargli una scia di baci lungo la superficie della sua calda pelle nuda. Improvvisamente Filippo è di nuovo sopra di me con i capelli arruffati e un sorriso talmente sexy da farmi girare la testa. "Vedo che ti svegli in fretta, Fanti." gli dico, mentre le sue labbra sono poggiate sul mio collo. "Te l'ho detto quanto mi mancava essere svegliato così?" mi sussurra ad un millimetro dal mio orecchio, creandomi una scia di brividi lungo tutta la spina dorsale. Stiamo per approfondire le coccole mattutine, quando sentiamo bussare alla porta e delle voci famigliari urlare: "Vi volete svegliare? Basta fare porcate, è ora di colazione! Noi abbiamo fame quindi o scendete o tempo dieci secondi entriamo in stanza." urlano Einar, Biondo e Lorenzo praticamente in coro. "Dieci minuti e scendiamo!" gli risponde Filippo alzando leggermente la voce. "Si dai, lasciamogli almeno il tempo di una sveltina." dice Lorenzo, mentre gli altri due scoppiano in una sonora risata e si allontanano in corridoio.

Scendiamo nella sala colazioni dove troviamo i nostri amici, io e Filippo siamo mano nella mano e credo di avere un sorriso così bello da fare invidia. "Un applauso ai due piccioncini! Finalmente insieme!" dice Biondo, sbattendo velocemente le mani tra loro, mentre Lorenzo ed Einar si uniscono alla confusione con dei cori da stadio. Io guardo Filippo talmente imbarazzata che le guance mi vanno a fuoco e devo abbassare la testa verso il pavimento. Tutto questo, poco prima che Emma mi prenda per mano e mi trascini a scegliere i cornetti con l'unico intento di sentire le mie sensazioni a caldo.
Pochi secondi dopo, sento il telefono vibrare nella tasca dei jeans, lo sfilo e leggo il suo nome sullo schermo. Alzo di poco la testa e vedo che mi sta fissando con un sorriso da ebete stampato in faccia, scuoto la testa mentre gli mimo un 'ti amo' con le labbra e lui mi risponde facendomi l'occhiolino, poco prima di uscire in veranda con il resto del gruppo.

Irama

Sono seduto al tavolo in veranda con i miei amici, mentre le ragazze sono al tavolo del buffet indecise su cosa mangiare. Osservo ogni suo movimento dall'altra parte del vetro e penso che l'amore esiste ed è più forte di ogni altra cosa, di ogni paranoia, della distanza, del dolore, del carattere, del passato. Talmente forte da cancellare tutto in un attimo come una passata di vernice bianca su una parete da disegnare insieme. "Flacø, ma ce sei?" mi chiede Biondo, mentre io scuoto la testa per tornare nel mondo terrestre. "Allora ce devi dì qualcosa?" chiede il biondo al mio fianco con un'espressione particolarmente marpiona in viso. "Niente di particolare." rispondo sogghignando e rubando l'accendino d'in mano a Lorenzo. "È stato stupendo. Cioè, raga davvero è stata una delle emozioni più intense della mia vita. Stanotte me la sono ritrovata davanti alla porta, con la mia felpa rosa addosso e - Dio, se era bella. Dio, era -" non riesco nemmeno a finire di parlare che il cuore mi esplode nel petto, che i ricordi sono ancora così intensi da crearmi i brividi su ogni centimetro di pelle. Lorenzo mi guarda e sorride come se fosse felice anche lui di riflesso, come se nei miei occhi avesse rivisto quella luce che mancava da troppo tempo. "Sul serio, datemi un pizzicotto, fatemi svegliare perché mi sembra un sogno e sono talmente confuso che non capisco più niente." sussurro, gettando la testa all'indietro e sospirando pesantemente. "Insomma c'avete dato dentro de brutto... E bravo Flacø che non se smentisce mai." pronuncia Biondo mentre tra le labbra tiene la sigaretta, poi si sporge verso di me per darmi una pacca sulla spalla. Io rido imbarazzato, mentre con una mano mi gratto la nuca. "Oddio, mò che ce sto a pensà: il mio letto è salvo vero?" mi chiede il ragazzo con la testa biondo platino con uno sguardo parecchio preoccupato. "Beh diciamo che - Insomma era il più vicino alla porta quindi -" dico io in tono indifferente, mentre al mio amico cade la sigaretta dalle dita e precipita a terra, sotto le risate divertite degli altri. "Che poi anche tu hai poco da ridere -" dico, indicando con un cenno in direzione di Einar. "Anche il tuo letto non è che sia proprio candido ed immacolato." dico, scoppiando in una risata dopo aver visto l'espressione assunta dal viso del mio amico cubano. I due compagni di stanza si guardano per alcuni istanti, poi quasi contemporaneamente dicono: "Vogliamo i danni, Fanti!"
"A volte mi sento così fortunato ad abitare a Monza." sussurra Lorenzo mentre spegne la sua sigaretta nel posacenere con una smorfia particolarmente rilassata. "Perché non sai quante ne abbiamo combinate in casa tua, caro Galli." dico, poco prima che le ragazze ci raggiungano con vassoi pieni di cose buone da mangiare. Ludovica si siede sulle mia gambe e mi lascia un dolce bacio sulle labbra, poi mi passa la parte finale del cornetto facendo ridere tutti gli altri ragazzi, compreso me che quasi non mi strozzo.

Ho da poco accompagnato Lorenzo e Ludovica alla stazione, il loro treno è appena partito direzione Milano ed io sento già la sua mancanza. - forse questa volta un po' di più -
Appena tornato in hotel prendo il telefono e le scrivo un messaggio.

Perché alla fine l'amore è questo: superare i confini, le difficoltà, restare quando tutto ti urla di andartene, soffocare le paranoie che ti attanagliano il cervello, farsi logorare lo stomaco a volte, assumersi rischi, comprendere ogni difetto dell'altro, specchiarsi in altri occhi come se fossero i propri, abbattere muri di insicurezze che sembravano invalicabili, sentirsi protetti tra le braccia dell'altro, con il cuore leggero e le labbra al profumo di casa.
È quel filo rosso invisibile che potrà sfilarsi, rovinarsi, sciuparsi un po', ma non smetterà mai di legare due cuori destinati ad essere felici.

Angolo autrice
Buon sabato a tutti! Eccoci qui con un nuovo capitolo fresco fresco...spero che vi possa piacere, fatemelo sapere nei commenti qui sotto ❤️
Se avete consigli, domande, scleri vari o semplicemente voglia di una bella chiacchierata vi aspetto anche in privato!
Grazie per le visualizzazioni che aumentano di giorno in giorno e per esserci sempre!

Un grossissimo abbraccio,
~R. 🦋

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top