Sei vite a Parigi

Ludovica

Le vacanze di Natale.
Parigi, la città dell'amore.
Mentre il cielo ci regala una cascata di soffici fiocchi di neve.
Credo che non ci sia niente di più bello.
O forse sì.
Aggiungiamo la compagnia degli amici di sempre, quelli da risate di cuore e momenti indimenticabili e l'amore della vita, quello da battito del cuore accelerato ed occhi felici.
Sdraiato a letto, coperto solo da un lenzuolo color pesca che arriva fino alla vita, che lascia a vista il suo petto nudo e la sua pelle color della luna piena. Mentre io mi perdo a guardare il panorama fuori dalla finestra, avvolta nel suo caldo maglione di lana color panna, con un paio di slip addosso ed una tazza di the fumante tra le mani.
Osservo gli artisti di strada che stanno suonando sotto la nostra stanza: un violino ed una chitarra, chissà magari una dedica romantica per una ragazza affacciata qualche terrazzo più in là.
Il cielo sopra Parigi è grigio, nuvoloso, quasi pesante, ma allo stesso tempo così leggero da sembrare finto, con quella soffice neve bianca che cade e si deposita a terra, sulle spalle, sulle panchine e si incastra tra i capelli delle persone che passeggiano, imbiancando le strade e rendendo ancora più magico questo periodo.
"Ti ricorda qualcosa?" mi sussurra Filippo avvicinandosi al mio orecchio, mentre mi avvolge da dietro con le sue braccia forti e poggia le sue labbra sulla piega del mio collo. Mi giro verso di lui e lo abbraccio, cingendolo con le mie braccia e infilando le mani al di sotto del maglione, che ha indossato poco fa. Poggio la testa appena sotto al suo mento e penso che, cazzo, la neve mi ricorda davvero tante cose.
Troppe cose.
Mi ricorda l'emozione di vederla per la prima volta dopo anni, allo studio di registrazione a Monza, la sera in cui Filippo decise di farmi ascoltare 'Irama'. Da Cosa resterà a Semplice, le cuffie sulla testa ed il cielo che piangeva fiocchi di neve. - un po' come i nostri occhi - Il freddo di quella notte di febbraio, le lacrime sul viso ed i nostri corpi che si cercavano spinti da un sentimento talmente forte, da fondersi diventando uno solo. Sono ricordi indelebili, stampati nella mente, nelle ossa, nelle vene.
Nelle cavità più profonde della mia anima.
Poi quel giorno, quell'ormai lontano ventisette gennaio, scolpito nella pietra dei miei ricordi più importanti. Ero a casa, il solito pranzo noioso in famiglia, quando alla televisione comparve il viso di Filippo, nuovo allievo nella scuola di Amici. Ricordo le sensazioni di quel giorno come se le stessi rivivendo proprio ora, sulla mia stessa pelle. Ricordo la rabbia, la delusione, la frustrazione, forse anche quella punta di schifo appena accennata. Ma non dimentico, allo stesso tempo, l'orgoglio nel vederlo prendere in mano il suo sogno e ricominciare a crederci, la soddisfazione nel notare i suoi occhi di nuovo pieni di vita, di musica, di voglia di non arrendersi. Ricordo la chiamata di Lorenzo, io che esco a fumarmi una sigaretta in terrazza e il cielo che decide di mandarmi un segno. La voce del mio amico nelle orecchie e gli occhi lucidi, quasi commossi, nel vedere quei fragili cristalli di neve piovere dal cielo. - destino? Chissà - Non potevo cancellare dalla memoria cosa significava per me e Filippo la neve, non potevo ignorare un segno del destino così forte e chiaro. - anche se forse, a quel tempo, avrei desiderato farlo con tutta me stessa. Chiudere a chiave i sentimenti del mio cuore e voltarmi dall'altra parte -
Ma non l'ho fatto.
Per fortuna non l'ho fatto.
E, sicuramente, salire su quel treno il sabato successivo, fu una delle scelte più giuste della mia intera vita.
Da lì ricominciò tutto.
Fu il nostro nuovo inizio.
"La neve mi parla di te" gli dico guardandolo negli occhi, che ogni volta che accade mi ci perdo e spero di non ritrovare mai la strada del ritorno. "È assurdo questo destino che non fa altro che mandarci segnali" mi sussurra Filippo, appoggiando il suo viso nell'incavo del mio collo e annusando la mia pelle. "Parigi è davvero magica" rispondo, accarezzandogli i capelli.
Lui alza di poco il viso, tornando a guardarmi.
Con quel color giada che mi fa girare la testa.
Io con il tocco dei miei polpastrelli gli accarezzo la superficie delle labbra, sono così perfette che potrei passare ore ed ore a guardarle. Poi si avvicina, fa scontrare i nostri nasi e lascia che le nostre lingue danzino insieme il più bello dei balli.
Fuori il cielo lacrima fiocchi di neve, dentro i nostri corpi caldi si cercano e credo non esista niente di più bello.
Esattamente come quella sera a Monza.
Quel momento solo nostro.
Perfettamente imperfetto come noi.
Come la nostra storia.
Come il filo che lega le nostre vite.

Stasera è una sera strana.
Diversa rispetto alle precedenti.
È il secondo giorno di gennaio, di un anno nuovo, di un libro dalle pagine bianche, ancora tutto da scrivere.
Le ultime ore di tranquillità prima di tornare in territorio italiano e concentrarci su tutto ciò che ci attende nei prossimi mesi.
Per tutto il giorno, il comportamento dei ragazzi è stato strano. Sfuggente, introverso, a tratti apatico. E noi tre ce ne siamo rese conto sin dalla colazione, ma non c'è stato modo di capire cosa avessero.
Ovviamente quando si tratta di nasconderci qualcosa, sanno essere degli attori fenomenali.
Ogni coppia ha deciso di passare quest'ultima sera separata dalle altre, così da viversi appieno, anche dal punto di vista più intimo e romantico, la bellezza di Parigi.
Il tutto organizzato dai nostri fidanzati, ovviamente.

Io e Filippo siamo rimasti in stanza d'albergo. In questi giorni di gelo pungente, si è beccato un raffreddore da campioni e oggi pomeriggio gli è salita pure qualche linea di febbre. Quindi, molto meglio tenerlo al caldo, coperto ed il più possibile a riposo, visto il periodo intenso che ci aspetta.

Occhi chiusi.
Musica ad un livello piacevole, proprio appena percettibile.
Candele profumate ovunque.
E il vapore avvolgente che aleggia nella stanza.
Ho deciso di approfittare di queste ore di riposo per fare un bagno caldo nella meravigliosa vasca di questo hotel, ma dovevo sospettare che il mio momento di relax non sarebbe durato per molto.
La mia testa è appoggiata al bordo della vasca, quando sento la maniglia della porta abbassarsi e il tipico scricchiolio di quando la si apre.
Filippo resta per un po' sul ciglio, appoggiandosi con una spalla allo stipite e accennando un sorriso dei suoi. Lo guardo e scuoto la testa: indossa un pantaloncino in felpa nera e nient'altro, la pelle del suo corpo brilla sotto le luci calde del bagno ed i suoi occhi sembrano diversi, stranamente lucidi ed emozionati.
Forse sarà colpa della febbre.
Probabilmente no.
Mi guarda in un modo particolare, diverso dal solito e non riesco neanche a spiegare cosa provo. Mi sento bella, amata, forse la donna più fortunata di tutto l'universo. Ogni volta che incastra i suoi occhi nei miei, mi fa sentire diversa: più luminosa, più raggiante, qualcosa in più.
Qualcuno con quel qualcosa in più.
E solo lui riesce a farmi sentire così.
Giusta, ecco, dannatamente giusta. 
Non dice una parola, si limita ad appoggiarsi al ripiano del lavandino in marmo, mentre con un gesto sensuale si accende una delle sue immancabili sigarette. "Che hai?" gli chiedo incuriosita, forse anche leggermente preoccupata dalla stranezza dei suoi gesti. Ma lui scuote la testa da una parte all'altra, accennando un timido 'Niente'. Spegne la cicca sotto il flusso dell'acqua del lavandino, poi si abbassa i pantaloni, si sfila i boxer, con un gesto della mano fa partire la sua playlist preferita e si avvicina alla vasca. Entrandoci dentro poco dopo, con il suo petto aderente alla mia schiena ed una sensazione strana sulla pelle.
Che quasi sento i brividi, ma non capisco il perché.
"Hai la febbre, non ti fa bene bagnarti" gli sussurro, ma lui non risponde, mi lascia solo un tenero bacio sulla spalla.
Stiamo appiccicati l'uno all'altra per minuti infiniti, con le sue mani che mi fanno scivolare un po' di acqua calda sulla schiena e le mie che gli accarezzano dolcemente le gambe. Non parliamo ed è davvero strana come cosa, soprattutto per noi due. Non succedeva da secoli: stare così bene, senza il bisogno di dire una parola. Socchiudiamo gli occhi e lasciamo che gli altri sensi viaggino da soli: che il tatto faccia scontrare la pelle, che l'udito si lasci cullare dalle melodie dello stereo, che l'olfatto si faccia entrare dentro quel profumo di rosa vanigliata delle candele, che il gusto faccia esplodere le sue papille grazie al sapore di amore che si sente un po' ovunque.
Non parliamo, ma riusciamo a respirare all'unisono.
Ci faccio caso quasi per sbaglio, quando concentrandomi su di lui, noto che inspira ed espira proprio quando lo faccio io. Sono quei segni strani,  che apparentemente non hanno nessun senso logico, ma a cui io do un'importanza assoluta.
Quel destino, caso, fortuna, fato o qualsivoglia sinonimo, che con noi due non ne ha mai sbagliata una.

E succede così, come la cosa più delicata e naturale del mondo, ci ritroviamo nudi sotto le coperte, con i respiri ancora affannati ed il cuore che batte ad una velocità inaudita. I suoi occhi ancora liquefatti dall'orgasmo, più limpidi e trasparenti che mai.
La fronte ed il petto imperlati da un sottile velo di sudore.
Le labbra rosate leggermente gonfie per il potere dei baci e i capelli completamente disordinati.
Noto ogni suo più piccolo particolare e mi perdo ad osservare ogni sua espressione, ogni smorfia, ogni piega attorno alle labbra.
Sembra un bambino, due o tre anni scarsi.
Anche se in realtà non è mai stato uomo come adesso, nel pieno della sua virilità, appena dopo aver fatto l'amore con la donna che ama. - con me -
Ha comunque il viso di un bambino, nonostante quel sottile strato di barba, nonostante il passato di esperienze ingombranti, nonostante le mani grandi, le rughette di espressione attorno agli occhi.
Continua ad assomigliare ad un bambino.
Indifeso, minuscolo, troppo piccolo per le paure ed incertezze di un mondo, a tratti spietato e crudele.
E forse è la cosa che amo di più di lui.
Quella che mi ha rapito sin da subito e mi ha rubato il cuore.
Il suo modo di mostrarsi vulnerabile e fragile solo con le persone giuste, quel Filippo che viene fuori quando crollano le maschere e lo scudo piumato si appoggia sul comodino, il suo lasciarsi intenerire dalle cose più semplici.
Quella genuinità che lo contraddistingue.
Quel modo di fare che mi fa letteralmente amare ogni più piccola parte di lui, difetti compresi.
Perché quando siamo insieme, ha quel potere strano di farmi tornare indietro nel tempo ed improvvisamente, sono di nuovo bambina anch'io. So emozionarmi davanti alle piccole cose, so scherzare, ridere, giocare nei modi più bizzarri e semplici che esistono. So farmi coccolare ed amare, imparo di nuovo a prendermi cura di chi amo, so lasciarmi andare, non ho paura di sbagliare, so essere più intraprendente. Ma soprattutto riesco a stupirmi della bellezza della vita, riflessa in ogni cosa che incrocio con lo sguardo.
Al contempo, amo quel suo modo di essere bambino e farmi sentire dannatamente donna, quando prendo coscienza del fatto che è troppo puro e vero per il mondo che lo circonda. Quando mi sale nelle vene quel bisogno di proteggerlo da tutto e tutti, da chi può intaccare la sua purezza, dalle parole che lo possono ferire, dalla cattiveria delle persone. E, a volte, vorrei avere la possibilità di tenerlo sotto una cupola di vetro, per non farlo sfiorare da quel qualcosa o qualcuno che potrebbe fargli del male.
Amo Filippo perché sa essere l'esatto punto di equilibrio che pensavo di avere, ma che in realtà mi mancava per essere completamente me stessa. Lo amo perché sa tirare fuori la versione migliore di me e non ha mai paura di farlo, nemmeno quando scopre i miei difetti peggiori o mi ritrovo ad urlargli contro per proteggere le mie insicurezze, un po' come se ogni tanto sentissi il bisogno di indossare di nuovo la mia armatura.
Tanto finisce sempre che mi guarda negli occhi e fa crollare tutto, certezze comprese.

Irama

Mi stiracchio leggermente e mi sistemo meglio sotto le coperte calde. Gli antidolorifici stanno facendo effetto, ma la gola mi brucia ancora quasi fosse in fiamme e la testa pulsa come in preda a continui bombardamenti.
Nonostante questo però sono felice.
Felice come non sono mai stato in vita mia.
"Mi dici che hai?" mi ripete Ludo con un tono più preoccupato di prima, mentre accarezza la mia pelle nuda al di sotto del lenzuolo in cotone. Io accenno un sorriso e nascondo il viso nel cuscino, non so nemmeno da dove iniziare. Mi rendo conto di essere strano e diverso dal solito, ma è davvero difficile per me trovare il coraggio per lasciarmi andare.
"Filippo, falla finita" aggiunge seria, mentre si tira su e si siede comoda, appoggiando la schiena alla testiera di legno del letto. Ma io continuo a stuzzicarla, evitando di parlare.
E so quanto odia questo mio comportamento.
Si alza infastidita, infila un paio di slip in fretta e si avvicina alla finestra, accendendosi una sigaretta e fumandola con il suo solito fare dolce e sensuale. "Ou" le dico con un tono contrariato, quando noto che si siede nuda sul davanzale della finestra e resta tranquilla a fumarsi la sua sigaretta. "Che c'è Fanti? Geloso?" mi chiede lei con un'espressione beffarda in viso, ridendo e buttando leggermente la testa all'indietro. La guardo ed ogni volta mi sembra più perfetta di quella precedente. Il suo corpo non è perfetto, il viso è struccato, i capelli sono in disordine, ma io non riesco a trovarci nemmeno un minimo difetto.
Credo di non aver mai visto nulla di più bello di lei.
Nel quartiere di Montmartre, con la musica degli artisti di strada in sottofondo, appoggiata ad una finestra con il panorama di questa città magnifica dietro, mentre rigira tra le sue dita sottili e piene di anelli una sigaretta che si consuma con calma.
Prendo il telefono dal comodino e le scatto una foto. Una sola, semplice, senza cercare la prospettiva giusta, la luce o la posa più adeguata. Click. Premo il pulsante del telefono con un gesto del polpastrello e viene fuori proprio ciò che volevo. Perché Ludovica è una visione talmente incantevole, da sembrare paradisiaca e nessun filtro è necessario in questi casi.

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"Ho riletto la lettera di mia nonna poco fa, prima di raggiungerti in vasca" le confesso, sistemandomi meglio nel letto e guardando la sua schiena da dietro. Le spalle, la pelle morbida, i nei sparsi da unire per costruire una costellazione. - come quel giochino delle parole crociate - Lei si volta, portando le ginocchia contro il petto e racchiudendosi un po' in se stessa. - non so se per il freddo o per l'argomento che stiamo toccando -
Non dice nulla, aspetta che sia io a proseguire, come se riuscisse persino a tradurre le mie pause, a misurare il tempo necessario di cui ho bisogno per lasciarmi andare completamente. "La porto sempre con me, ma non avevo mai più trovato il coraggio per farlo" aggiungo, deglutendo un po' di saliva e sentendo la mia gola andare letteralmente a fuoco. Lei finisce la sigaretta e la spegne nel posacenere che tiene in mano, senza mai muoversi dalla sua posizione. "So che ti chiederai perché ancora non riesco a fartela leggere, ma voglio mantenere la promessa che ho fatto a lei e che ho fatto a me stesso. Oggi - oggi più che mai" mi ascolta in silenzio, accennando un sorriso di tanto in tanto, come a dirmi 'Io ci sono, quando vorrai mi troverai esattamente al tuo fianco' - ed io improvvisamente mi tranquillizzo -
Sto per dirle la cosa più importante della mia vita e non sarò mai pronto abbastanza. Nonostante i mille ragionamenti inutili che mi sono fatto in testa, le frasi strappalacrime, le parole ripetute all'infinito, i discorsi preparati, i castelli di film mentali che mi sono costruito attorno.
Niente, niente sarà come l'ho immaginato.
Mi alzo e la raggiungo alla finestra, appoggiandomi accanto a lei e osservando la luce dei lampioni riflettersi sulla sua pelle nuda. "Hai presente quando ci siamo ritrovati a fare l'albero di Natale insieme? A casa nostra? Per la prima volta?" le chiedo, la mia voce è già emozionata a livelli assurdi e lei si limita solo ad annuire e ad abbassare il capo, perdendosi nell'intreccio delle nostre mani. "Mi sono ricordato di qualche anno fa, a casa tua. Io che l'atmosfera del Natale non sapevo neanche cosa significasse, il tuo animo da piccolo aiutante di Babbo Natale e quella pasta acciughe e pancetta, salatissima ed immangiabile. Quel giorno mi hai detto 'ti amo' per la prima volta. Ricordi?" lei fa su e giù con la testa, annuendo con gli occhi lucidi e lasciando che quel magnifico ricordo le si insinui nelle pupille.
Fragile e forte, allo stesso tempo.
Come l'amore.
"Sei arrivata all'improvviso, in un momento in cui non cercavo nessuno e non mi aspettavo più niente dalla vita. Ti sei seduta accanto a me e hai saputo far crollare le mie mura impenetrabili con un semplice scambio di sguardi. Perché sei stata l'unica che è riuscita a vedere nei miei occhi freddi come il ghiaccio, il mare di emozioni che trattengo dentro...esattamente come riusciva a fare lei. -" mi interrompo per un istante, che ogni volta che ne parlo mi ritrovo il suo viso davanti ed è sempre un pugno secco allo stomaco. Ludovica sembra rendersene conto, si avvicina di più a me ed inizia ad accarezzare la mia coscia scoperta con gesti dolci. "- Hai saputo accarezzarmi in un modo così giusto, che mi sono sentito Filippo per la prima volta. Con il tuo esercito di emozioni, hai abbattuto la mia armatura, liberandomi dalle paure, dalle insicurezze, dalla rabbia. Anche se, inevitabilmente, ogni tanto tornano a farmi visita. Ti sei sdraiata con me sul pavimento gelido di un bagno e mi hai sollevato da terra, anche quando le mie gambe si rifiutavano di muovere un passo e il mio cervello cercava solo modi per spegnersi per sempre. Ti sei accoccolata tra le mie braccia e hai saputo piangere, sfogarti, urlare, senza mai la sensazione di essere qualcosa di troppo ingombrante, mostrandomi i tuoi rimpianti e donandomi la parte più vera di te. Mi hai baciato, sfiorato, toccato e ho capito che tu eri il pezzo mancante del puzzle della mia vita." lei sta piangendo, io pure, ma adesso non importa. Ci asciughiamo le lacrime a vicenda e ridiamo, imbarazzati, come due adolescenti. "Con te ho avuto la forza di prendere in mano la mia vita e darle un senso in più, quel motivo in più per brillare e per viverla a perdifiato. Ho viaggiato, ho stretto di nuovo tra le mani il mio sogno, ho creduto nelle mie capacità, ho ricominciato a scrivere, ho comprato una macchina tutta mia, ho firmato il contratto per una casa dove andare a vivere insieme, ho deciso di adottare un gatto e realizzare un tuo desiderio, di partecipare di nuovo a Sanremo, di buttarmi a capofitto in un sacco di esperienze. Ho preso le decisioni più strane, assurde e disparate che potessi, ma non mi sono mai sentito tanto realizzato." le confesso, mentre questa volta la sigaretta me l'accendo io.
"Ma dove vuoi arrivare?" mi chiede incuriosita, con la bocca appena piegata in un sorriso. "Non mi interrompere, lo sai che non sono molto bravo in queste cose" le rispondo con un tono ansioso, mentre lei scoppia a ridere e scuote la testa da una parte all'altra. "Lulù, tu sei la mia persona. Non ho mai trovato nessuno che mi facesse sentire come riesci a fare tu. Ma - ma - cazzo, secondo me ci manca qualcosa per essere perfetti, non trovi?" le chiedo, cercando il suo appoggio, ma l'espressione della sua faccia confusa non mi aiuta. "Amore, - Dio, è così difficile - hai voglia di fare un figlio con me?" esce tutto nel giro di un respiro. Veloce e disarmante, come solo le cose belle sanno essere. "Cosa?" mi guarda che le sorridono prima gli occhi delle labbra e, dannazione, è così bella che avrei voglia solo di baciarla fino a perdere i sensi. "Lo so. Lo so. Forse è pura follia. Forse siamo troppo giovani. Forse è troppo presto. Forse non siamo ancora pronti. Forse è una pazzia. Forse tu non vuoi, non ti senti ancora abbastanza matura. Cioè...boh...non so. Forse ho detto una cazzata. Forse era meglio aspettare ancora un po'. Forse -" mi interrompe, zittendomi con un bacio che sa parlare da solo. Lingue che danzano e si fanno la più bella delle promesse.
"Fil -" si interrompe. Quelle due biglie marroni sono così lucide, che non le ho mai viste tanto fragili come in questo momento. Non sa che dire, questa volta l'ho lasciata davvero senza parole. Il mio cuore batte ad una velocità talmente assurda, che ho paura mi stia per scoppiare nel petto.
Io e lei. Un figlio. Una nuova vita.
Se ci penso ho i brividi, mi gira la testa, mi tremano le gambe e a stento riesco a stare in piedi.
In questi anni ho preso le decisioni più disparate che potessi, ma questa è senz'altro la più importante e viscerale. Quella che parte da dentro e non sai spiegare, quella che è irrazionale, ma allo stesso tempo razionalità pura, quella che ti fa sentire il bisogno di essere qualcosa in più, di dare finalmente un senso alla tua vita.
Un figlio, il per sempre più bello che potessi prometterle.
"Facciamo passare il periodo assurdo che ci aspetta: Sanremo, nuovo disco, instore, tour, Forum, altro tour, singolo estivo e tutto il resto. Poi ci concediamo un po' di relax da qualche parte e ci proviamo, va bene?" mi dice, mentre mi accarezza la pelle e mi guarda fisso ed intensamente negli occhi.
Quel marrone corteccia che si riempie di striature dorate. Che prende mille sfumature diverse nel giro di qualche secondo. Che ti entra dentro e si imprime come un tatuaggio.
"Vorrei che avesse i tuoi occhi, sai?" le dico, mentre lei mi sorride e passa un polpastrello sulle mie ciglia. "Dovrebbe avere i tuoi invece, sono qualcosa di meraviglioso" risponde lei, mentre inizia a baciarmi e sale a cavalcioni su di me. I pantaloni si fanno subito più stretti, quando inizia a strusciare la sua intimità su di me e vorrei liberarci subito da quei pochi centimetri di stoffa che ci dividono. Inizio a baciarla ovunque, che le mie labbra prendono subito il sapore della sua pelle ed io rischio di impazzire. Inarca la schiena all'indietro, quando con un gesto improvviso, infilo le mie dita al di sotto del tessuto delle sue mutandine. "F - Fil" riesce a sussurrare ed io credo di non aver mai sentito niente di più bello del mio nome sussurrato dalle sue labbra, che a stento le esce dalla gola, con la voce spezzata ed il respiro affannato. Mi bacia il collo, per poi risalire verso la mia bocca ed infilare una mano tra il ciuffo dei miei capelli. "Non avevamo detto di aspettare un po'?" mi chiede sorridendo, quando nota che ci siamo completamente dimenticati di comprare i preservativi, finiti ieri sera. "Ce la rischiamo?" le chiedo io sicuro, mentre lei all'inizio è un po' titubante. Resto fermo sopra di lei, reggendomi con le mani al materasso e la osservo. Il suo modo di guardarmi dritto negli occhi e mordersi il labbro inferiore, allo stesso tempo. Come se cercasse quella sicurezza che le manca per andare oltre. "Io e te abbiamo sempre rischiato" mi risponde sicura, attirandomi verso di se con un gesto sensuale e veloce.
Non faccio a tempo ad entrare dentro di lei, che il mio telefono inizia a squillare e dei pugni battono contro la porta della nostra stanza. Tentiamo di fare finta di niente, ma diventa impossibile quando le voci insistenti di Francesca e Letizia iniziano a chiamare i nostri nomi. Ludovica sbuffa e si alza, infilandosi in fretta un paio di mutande ed un mio maglione lungo e largo. "Filippo ti vuoi muovere?" mi invita a vestirmi, tirandomi addosso i pantaloni in felpa che indossavo fino a poco fa. Poi si avvicina alla porta, abbassa la maniglia e lascia che le sue amiche entrino in stanza con la stessa potenza di un tornado di emozioni, parole, sorrisi, lacrime. "Giulio e Lorenzo ti aspettano di là!" Letizia mi esorta ad andarmene nel più breve tempo possibile, ma io resto ad osservarle e me la rido di gusto per la loro reazione. "Vai! Filippo, vai!" urla Francesca esaltata, mentre mi spinge con forza fuori dalla porta, aiutata dall'amica.

Busso alla porta della stanza in fondo al corridoio, sono uscito talmente in fretta che ho dimenticato la maglia ed ora sto gelando dal freddo. Adesso che noto, non ho nemmeno un paio di ciabatte o di calze ai piedi.
Bello avere delle amiche.
Davvero bello.
Soprattutto quando ti sbattono fuori a forza dalla tua stessa stanza, in pieno gennaio, con la febbre alta e non lasciandoti nemmeno la possibilità di prendere un maglione per coprirti.
Fortunatamente i due ragazzi mi aprono subito: Lorenzo ha una sigaretta tra le dita e Giulio è sdraiato sul letto a pancia in su, mentre fissa il soffitto sopra la sua testa. Non mi salutano nemmeno, anzi non riesco a capire se ancora respirano. "Quindi?" gli chiedo, spostando il mio sguardo da uno all'altro. "Come è andata?" domando di nuovo, ma i due sembrano essere talmente imbambolati, da vivere in un altro mondo.
A parte.
Tutto loro.
Fatto di unicorni e cuori rosa.
"Ma ce la fate?" chiedo ancora, rubando una sigaretta dal pacchetto di Lorenzo e accendendomela con calma.
"Gliel'ho detto" sussurra Lorenzo. "Gliel'ho chiesto" mormora Giulio, praticamente insieme al moro, mischiando le loro voci. Hanno gli occhi strani: più lucidi, vividi, quasi liquefatti dall'amore. Sono felici e si vede da ogni più piccolo gesto, dal modo di fumare, da quello di ridere, di parlare, di muovere le mani.
Sono felici ed io lo sono con loro, per loro.
Non mi sembra vero di essere arrivato a questo punto, uno al fianco dell'altro, i più grandi sogni realizzati e progetti su progetti, per un futuro tutto da vivere.
Da farsi entrare nella pelle.
Siamo giovani e, forse per la prima volta, stiamo vivendo davvero.
"A giudicare dalle urla delle vostre fidanzate l'avevo capito..." dico, spegnendo il mozzicone di sigaretta nel posacenere accanto a me. Non riesco nemmeno a realizzare quel che sta per succedere, che mi ritrovo sdraiato a terra con i corpi di Giulio e Lorenzo sopra e le loro risate soffocate in un abbraccio.
Fraterno.
Famigliare.
Di qualcosa che è più di un'amicizia, più di un legame di famiglia, qualcosa che ha a che fare con l'amore.
"Siete due coglioni, porca puttana che botta!" riesco a stento a respirare, ho preso una testata talmente forte contro il pavimento, che credo mi verrà un bernoccolo grande quanto il Monte Bianco. Già l'influenza mi stava spaccando le pareti del cervello, questa botta credo che sarà il colpo finale per un mal di testa da record.
Alzo di poco lo sguardo e vorrei avere il potere di incenerirli, mentre i miei amici stanno ancora ridendo sguaiatamente sopra di me. Poco dopo, noto che la sedia d'arredamento tipicamente parigina, sulla quale ero seduto fino a pochi istanti fa, è completamente spezzata. Non ha più le gambe, o per lo meno le ha, ma ne restano integre soltanto due. Lo schienale è quasi inesistente, o meglio è spaccato a metà. Per non parlare di come è ridotta la seduta. "Porco cazzo!" esclamo, facendo notare ai due con un cenno della testa, cosa abbiamo appena combinato. - anzi, cosa hanno appena combinato - Ma in questo momento nulla li tocca, nessun sentimento negativo li sfiora, ridono e basta.
Come se sapessero fare solo quello.
E alla fine, in fondo in fondo, sono così felice per loro che scoppio a ridere anche io.
Di cuore.
Di gusto.
Di getto.
Che quella sedia costerà almeno trecento euro, che alla reception ci prenderanno per incivili, che probabilmente in futuro dovremmo evitare di tornare in questo hotel, che metteranno all'entrata un cartello con le nostre sei facce con la scritta a caratteri cubitali 'qui non possiamo entrare', ma stasera non importa.
Stasera siamo tre ragazzi che si conoscono da almeno dieci anni, se non di più, che hanno condiviso l'adolescenza,
le cazzate più disparate,
le prime sigarette fumate in un parchetto, le prime cotte,
gli amori che scottano la pelle,
le serate a bere una birra sotto le stelle,
gli accordi di chitarra,
i tasti di un pianoforte,
la passione folle e profonda per la musica,
i momenti belli ed idilliaci,
ma forse più di tutto quelli neri e vuoti, senza emozioni e voglia di vivere.
Siamo tre ragazzi che hanno vissuto insieme tutta la vita, talmente intensamente e profondamente da conoscerci meglio di chiunque altro. Che hanno saputo esserci sempre l'uno per l'altro, a volte mettendo da parte anche se stessi. Che si sono voluti bene nei momenti felici, ma che si sono stati accanto soprattutto in quelli brutti, sostenendosi spalla contro spalla. Che hanno pianto, sorriso, urlato, bevuto, ballato, goduto dei successi o raso al suolo tutto in un momento di rabbia, ma sempre insieme.
Stasera siamo tre ragazzi che sono fratelli e che hanno deciso di diventare grandi, di prendere in mano le proprie vite e renderle qualcosa di più.
"Ho deciso di fare un figlio con Ludovica" dico all'improvviso, mentre i due mi fissano quasi credessero di sognare. - increduli come li ho visti raramente -
L'ho detto davvero.
Adesso, in questa camera d'hotel, guardandoli negli occhi, l'ho detto davvero.
E, forse, l'ho ammesso per la prima volta anche a me stesso.
"Filo..." sussurra Giulio, ma noto che è rimasto talmente sprovvisto di parole, che non sa come continuare. "Bro, sei sicuro? Pensi di essere davvero pronto? Lo sai cosa hai passato con Ro -" interrompo Lorenzo con un gesto della mano.
Non voglio ripensare a quella storia, non di nuovo.
Non adesso.
Rimarrà una ferita incurabile, qualcosa che probabilmente continuerà a macchiare di sangue ogni indumento che indosserò, da qui fino al giorno della mia morte.
Però ho voglia di gettarmela alle spalle. Ho il viscerale bisogno di metterla da parte, di stare meglio, di credere di nuovo, di sperare di sentirmi chiamare papà.
Per la prima volta ho voglia di vedere solo il bello della vita.
"Ho riletto la lettera di mia nonna" sussurro ed i due capiscono all'istante. Sono le uniche persone, insieme ad Alessandro, a sapere di cosa parla la fine di quella lettera e so di non dovergli dare altre spiegazioni.
"Vorrei che fosse davvero una bambina: stessi occhi di Ludo, pensate che meraviglia..." dico con un filo di voce, che ad ammettere queste cose non sono mai stato troppo bravo. I due stanno fumando una sigaretta e, scuotendo le teste, me ne passano una anche a me. I loro sorrisi parlano da sé, non li ho mai visti tanto felici dopo qualcosa detto da me.
Mai come adesso.
Mai. Ed il cuore mi batte forte.
"Cazzo raga, stiamo crescendo" se ne esce Lorenzo, aspirando un po' di fumo e buttandolo fuori poco dopo. "È tempo di diventare uomini" scherza Giulio, sospirando ed accodandosi al mio amico. "A noi e alle nostre nuove vite!" concludo io, portando in avanti la mia sigaretta per farla scontrare con quella di loro due.
Un brindisi a qualcosa che deve ancora cominciare, ma che ci rende già follemente felici.

giulionenna ha aggiunto contenuti alla sua storia

Ludovica

Le ragazze sono talmente emozionate che non fanno altro che parlare a raffica, da quando Filippo è uscito dalla stanza. - o meglio da quando l'hanno sfrattato a forza -
Fin qui tutto bene. Insomma tutto nella norma.
Il problema è che lo stanno facendo insieme, urlando a perdifiato come due bambine sulle montagne russe, in un albergo di lusso, in piena notte. Credo che ci sbatteranno tutti fuori tra poco, a forza, insieme alle nostre valige e ci lasceranno all'addiaccio per strada.
"Vi volete dare una calmata?" urlo in preda al panico, sgranando gli occhi e prendendo una sigaretta dal pacchetto che il mio fidanzato ha lasciato qui. Non faccio a tempo ad avvicinarla alla mia bocca, che Francesca la prende e se l'accende. "Da quando fumi, scusa?" le chiedo sconvolta, ma per lei sembra il gesto più naturale del mondo. "Stasera tutto è concesso!" risponde al suo posto Letizia, rubandomene un'altra e accendendosela a sua volta. La tosse di Francesca per uno dei primi tiri di sigaretta della sua vita, frena per un qualche istante l'entusiasmo delle due, facendoci ridere a crepapelle. È paonazza in viso e continua a raschiarsi la gola per il fastidio, credo di non aver mai riso così tanto.
Ma la pacchia dura ben poco.
Passa un minuto scarso, forse, che le mie amiche ricominciano a parlare tra loro, dicendo frasi senza senso unite ad urletti sguaiati da oche. Io le guardo e, divertita, continuo a scuotere la testa.
Ormai mi sono arresa.
Quando vorranno mi racconteranno. - o meglio, quando riusciranno a calmarsi e a recuperare quel minimo di sanità mentale che dovrebbero avere -
"Lorenzo mi ha chiesto di andare a vivere insieme" dice, all'improvviso e tutto d'un fiato, Francesca.
"Giulio mi ha chiesto di sposarlo" le voci delle due si sovrappongono tanto che, nel tempo di un respiro, anche Letizia butta fuori tutto.
Due delle notizie più importanti e belle della mia vita. - di quella che ormai è la nostra vita -
Inizio ad urlare anch'io, correndo verso il letto e buttandomi su di loro. Ci abbracciamo talmente forte che forse ci manca persino il fiato, che le costole si scontrano con altre costole e fanno male, che non ci interessa in che posizione siamo, quanto sia scomoda, quanto la schiena ci faccia male, quanto la gamba stia formicolando.
Restiamo così per tutto il tempo necessario.
Per dieci minuti, forse venti, che importa.
Ci stringiamo come forse non abbiamo mai fatto, come quando durante l'adolescenza abitavamo lontane chilometri e dovevamo sentirci nel cuore.
In quell'angolino nascosto e solo nostro.
Dove essere semplicemente noi stesse, senza paure, senza incertezze, senza muri.
Francesca, Letizia e Ludovica.
Basta.
Sono qui in questo letto, abbracciata alle mie migliori amiche, in un momento della mia vita in cui mi sembra di avere tutto e di essere quasi pienamente felice. Inevitabilmente, ripenso a quando ci siamo conosciute, quando eravamo troppo giovani e immature per farci andare bene tutti quei chilometri di distanza, quando passavamo le notti a fare le videochiamate, ore ed ore senza dirci nulla, ma in realtà dicendoci tutto. Quando addirittura finivamo per addormentarci insieme, anche se separate, ma con i cuori sempre uniti. Quando ridevamo per qualsiasi cosa, quando bastava uno sguardo per capirci, quando la nostra complicità era qualcosa di tangibile anche a centinaia di chilometri. Quando non smettevamo mai di parlare, quando i ricordi spaccavano le pareti del cuore e avevamo bisogno le une delle altre. Quando ci succedeva qualcosa e non vedevamo l'ora di raccontarcela, quando passavamo le notti a piangere, quando sentivamo una canzone e le parole ci parlavano di noi. Quando non importavano gli impegni o i mille imprevisti, facevamo una valigia, salivamo su un treno e ci vedevamo a casa di una delle tre.
Queste e altre mille cose,
altri mille aneddoti,
altri mille ricordi.
Così, per anni ed anni.
Lunghissimi, infiniti, difficili.
Per poi ritrovarci per caso ad abitare tutte e tre a Milano.
Chi per lavoro, chi per studio, chi per una pazzia d'amore finita male.
Un filo rosso invisibile, il nostro, di nuovo stretto al polso di ognuna di noi.
Tre cuori finalmente riuniti sotto l'ombra del Duomo, su un tram pieno di turisti, tra le foglie del parco Sempione, in un ballo nelle discoteche dei Navigli, in un aperitivo vista tramonto, in sacchetti pieni di shopping in Galleria Vittorio Emanuele, in un cappuccino bevuto in Darsena.
La nostra amicizia a far da sfondo ad una Milano davvero difficile da scordare.

Mi raccontano ogni dettaglio, ogni frase, ogni scenario. Mi portano con loro come fanno da sempre, come se anzi che essere chiusa in una camera d'albergo, avessi visto con i miei stessi occhi.
E così ridiamo,
piangiamo,
ci commuoviamo,
ci prendiamo in giro.
E parliamo,
parliamo,
parliamo fino a stancarci,
fino a smettere di colpo.
I battiti dei cuori accelerati e i respiri affannati.
Parliamo fino a guardarci negli occhi e a capire che, nel silenzio, abbiamo sempre nascosto le parti più vere ed intime di noi. Parliamo finché ci rendiamo conto che non serve dire più nulla, che quel filo che ci lega da una vita ci trasmette le stesse identiche emozioni e sensazioni. Così mi basta guardare i loro occhi color nocciola e nero pece, per perdermi un po' in quei momenti e capire che la nostra amicizia è qualcosa che va oltre.
Che è sempre andata oltre: le distanze, i chilometri, le età, le difficoltà, le esperienze.
Oltre. Come i sentimenti più belli.
Perché ci lega qualcosa che è molto più simile alla sorellanza, a quel legame talmente profondo da sentirci nello stomaco, nel cuore, nelle vene, fin sotto la pelle. Ci guardiamo e nello stesso momento ci rendiamo conto che quelle tre adolescenti pazze, ormai si stanno facendo donne, con la vita nel palmo delle mani ed altri milioni di ricordi da costruire.
"Mi ha portata a cena in un ristorante, sapete no? Quelli all'aperto, con le coperte e le stufe accese che tengono caldo. Dietro di noi la Tour Eiffel illuminata, qualcosa di assurdo. Tremavo, ma il freddo nemmeno lo sentivo. Poi si è inginocchiato, così all'improvviso, ha aperto una scatolina rossa e mi ha dato l'anello. Dio -" Letizia si interrompe per un attimo, è talmente emozionata che ancora le trema la voce. "- mi ha guardata come non aveva mai fatto. Mi ha detto di non aver mai sentito il suo cuore battere come da quando mi ha conosciuta. Mi ha parlato di noi, della nostra storia, di come ci siamo conosciuti, di quanto mi abbia desiderata ed aspettata. Ha incastrato i suoi occhi nei miei e mi ha detto che sono la cosa migliore che gli sia mai successa. Io - io, non lo so...credo di essermi sentita donna per la prima volta in vita mia. Sono talmente imbambolata di pensieri, che mi sembra di essere stata catapultata in un altro mondo. Voi - figa, voi ragazze che ne pensate?" ci guarda e scoppia a ridere, per poi buttarsi all'indietro di peso sul letto. "Che ne penso? Che ne penso? Penso di non averti mai visto così felice, in quasi dieci anni che ti conosco." le dice Francesca, guardandola con due occhi che sanno di amore. "Penso che sei bella, tanto. Penso che ti meriti tutto questo. Penso che siete l'amore, quello vero. Andate oltre. Oltre la differenza d'età, oltre le difficoltà, oltre il tempo, oltre tutti i pregiudizi che avete dovuto subire, oltre le paure di Giulio, oltre le vostre esperienze. Siete qualcosa di talmente meraviglioso, da andare oltre. Penso che vi meritate il lieto fine" ci guardiamo tutte e tre, abbiamo gli occhi strabordanti di lacrime, così ci abbracciamo. - che è l'unica cosa che ci fa sentire meglio -

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"E tu?" chiedo a Francesca, scompigliandole i capelli. Lei si prende un istante, ci guarda con quella faccia da cucciolo di orsetto e poi inizia a parlare. - lo fa talmente veloce che, forse, diventa straparlare -
"Non scherzava quando me l'ha chiesto. Non era una cosa buttata lì. Ci pensava da tanto, solo che non trovava né il coraggio, né il modo giusto per dirmelo. Sapete quanto è meravigliosamente imbranato. Filippo è stato l'artefice del suo coraggio." la guardo smarrita, non riesco a capire nulla ed il mio fidanzato ovviamente non si è lasciato scappare mezza parola. "Mi ha detto che hanno parlato quella sera in terrazza, che Filo gli ha detto che prendere la decisone di comprare una casa per andare a convivere con te, è stata una delle scelte migliori che abbia mai fatto. Ecco -" anche lei è talmente ancora invasa dalle emozioni che fatica a parlare, che addirittura ha il fiato corto. "- Lorenzo ha comprato casa. Stasera mi ha portata a cena, poi siamo andati a scattare qualche foto in giro per Parigi, godendoci tutte le sue luminarie natalizie. Ad un certo punto mi ha bloccata per un polso e mi ha dato in mano un pacchettino. Dentro ci ho trovato un anello: una piccola fedina argentata con una data incisa.
23 dicembre 2018.
Io l'ho guardato, non riuscivo a capire niente. Assolutamente - assolutamente niente. Non ha aggiunto una parola, mi ha passato in mano un'altra scatolina. Dentro c'era un mazzo di chiavi con le nostre iniziali e la P di Pippo, la targhetta da appendere fuori dalla porta con i nostri nomi incisi e l'indirizzo di casa. Se ci penso intensamente, mi viene da svenire ancora adesso. Quella data simboleggia il giorno in cui ha firmato il contratto di acquisto di quella che sarà casa nostra.
Ha piantato i suoi occhi azzurri nei miei e mi ha detto che sogna di vivere con me, di vedermi come prima cosa appena apre gli occhi, di passare le serate sul divano a guardare Netflix, di fare il bagno insieme, di vedermi cucinare i dolci nella nostra cucina, di accoccolarci sotto le coperte, tra le fusa di Pippo. Mi ha detto che sono l'amore della sua vita e che ha voglia di vivermi fino a perdere il fiato" sembra una favola. E quasi mi metto a piangere: Lorenzo è il fratello che non ho mai avuto e pensarlo così maturo e pronto alla vita, mi fa sentire dannatamente orgogliosa.
Parigi è la città dei sogni,
quella delle luci bianche,
quella delle promesse d'amore,
quella delle fiabe,
dei desideri,
delle notti stellate sotto una Tour Eiffel bella da confondere.
Ma stasera, per noi, si sta rivelando la più bella delle favole. Noi siamo le principesse, abbiamo accanto i nostri tre principi, - anche se un po' fuori dai soliti standard previsti - e stiamo tenendo saldamente tra le dita il nostro lieto fine.
Unito a quel filo rosso che ci legherà per l'eternità.
Da adesso non siamo più in tre, ma siamo diventati sei.
Così.
Come per magia.
Con un tocco di bacchetta ci siamo moltiplicati.
Parigi regala emozioni.
"Forse ho omesso un dettaglio abbastanza importante..." sussurra Francesca ad un certo punto, mentre ci stavamo quasi calmando, recuperando un piccolo briciolo di respiro. La guardiamo curiose, forse leggermente sconcertate e preoccupate per ciò che sta per dirci. Ha gli occhi così brillanti, che forse la camera è illuminata da quelli. "Lorenzo e Filippo ne hanno combinata un'altra, in realtà " le nostre facce sono sconvolte, preoccupate, ansiose.
In attesa di saperne di più.
"Non traete conclusioni. Fatemi finire" cerca di spegnere le nostre preoccupazioni, fallendo miseramente. "Da lunedì iniziamo il trasloco, l'appartamento accanto al vostro, adesso, è casa nostra. Ti rendi conto? Saremo vicine di casa" mi dice esaltata, allungando le braccia verso di me per stringermi in un abbraccio. Stasera sono talmente travolta dalle emozioni, che non realizzo niente, che mi sembra addirittura di sentire le voci delle mie amiche lontane e vedere i loro visi addirittura sfocati. Ho quella strana sensazione che si ha prima di svenire, ma non mi sono mai sentita così viva.
"Ludo? Tutto bene?" mi chiede Francesca, forse per la prima volta o forse è la quarta. Non lo so. Sono su di giri, quasi avessi buttato giù a stomaco vuoto dieci gin tonic.
La stringo a me il più possibile, che tanto tra di noi le parole non sono mai servite. Ci basta rinchiuderci nel nostro abbraccio, il mio cuore da una parte ed il suo dall'altra, legati da un amore così forte da farli battere all'unisono.
Si unisce anche Letizia, non siamo mai state tanto brave a parole e so che basta stringerci forte. I nostri cuori battono allo stesso ritmo ed io non ho mai sentito melodia più bella di questa.
Siamo quelle tre ragazze piene di sogni, di desideri, con gli occhi colmi di speranze.
Quelle che si asciugano le lacrime a vicenda e si curano le ferite.
Siamo sorelle di vita.
Sotto, sotto, siamo ancora quelle adolescenti, quelle ragazzine inesperte, quelle tre amiche divise in città diverse, ma unite da un sentimento indissolubile.
Siamo, e saremo sempre, quelle tre ragazze ferme sul marciapiede di una stazione qualsiasi, in una città qualsiasi, avvolte in un abbraccio che non ha bisogno di nient'altro per essere perfetto.

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Fa un freddo assurdo, il gelo ti entra nelle ossa e sembra squarciare lo stomaco a metà. Ma abbiamo bisogno di rinfrescarci le idee, le emozioni sono state così tante e talmente forti, da mandarci completamente in tilt. Le mie due amiche ci hanno preso gusto e stasera non fanno altro che fumare, quasi non le riconosco più. Francesca, che di solito è quella sempre freddolosa, se ne sta seduta in balcone quasi fosse pieno luglio e le cicale stessero frinendo sugli alberi. Loro parlano, Leti già fantastica sul suo matrimonio e su quanto Giulio sarà bello vestito da sposo, progettano che Filippo canterà mentre lei percorrerà la navata, che noi saremo le damigelle vestite con un abito rosa cipria, che Lori farà le foto, che ci vorrebbe un bambino a fare da paggetto per le fedi.
Un bambino.
Non riesco a pensare ad altro.
Non riesco a concentrarmi su altro, che non siano gli occhi di Filippo qualche ora fa.
Un bambino, qualcosa solo mio e suo, nato dal nostro immenso amore.
È una cosa talmente meravigliosa e grande che nemmeno riesco ad immaginarla.
"Io e Filippo vogliamo un figlio" non so di cosa stanno parlando, ma io le interrompo a metà, uscendomene così.
All'improvviso, come al mio solito.
Sgancio la bomba e mi ritraggo in me stessa. Le guardo negli occhi, mentre calma aspiro la nicotina dalla sigaretta che tengo tra le dita. Aspetto una reazione, ma mi sa che le ho completamente stese. Nonostante io e Filippo non facessimo altro che parlarne, a loro non ho mai detto niente. Un po' per la paura di non essere pronta, un po' perché Filippo non lo era sicuramente.
Ma adesso è diverso.
"Sei incinta?" mi chiede Letizia, avvicinandosi a me e sedendosi in una poltrona poco distante dalla mia.  "Ma sei scema? Ma ce la fai? No, assolutamente" le rispondo sgranando gli occhi e scoppiando a ridere. "Non lo so, è tutto stranissimo. Filippo prima, improvvisamente, ha iniziato a straparlare e mi ha detto di volere un figlio. Boh, ne - ne abbiamo sempre parlato, ma non l'ho mai visto così sicuro di qualcosa. Aveva due occhi in grado di parlare da sé." butto fuori tutto, tanto so che con loro posso concedermi il lusso di essere me stessa. - fragilità comprese -
"Oddio" Francesca è praticamente in lacrime, mentre io e Letizia la guardiamo ed iniziamo a prenderla in giro. È tutto ancora in progetto, solo un'idea cullata della nostra mente, una semplice fantasia e lei è già ridotta così.
Non oso immaginare se e quando diventerà zia davvero.
"Non l'avrei mai detto, sai?" aggiunge dopo qualche minuto Leti, io mi limito a risponderle con un mugolio come ad invitarla a continuare. "Filippo, l'idea di un figlio, con tutto quello che ha passato anni fa. È davvero un passo enorme per lui e credo che sia la prova d'amore più grande che potesse darti" iniziamo a parlare a cuore aperto, i muri invalicabili si sciolgono come neve al sole ed improvvisamente le insicurezze ed i dubbi emergono da sotto la sabbia. "È il modo migliore che ha per dirti che ti ama, più di qualsiasi altra cosa al mondo" aggiunge Francesca poco dopo, dandomi il colpo finale. "Più della musica" la voce di Letizia è seria, diretta, sicura come poche volte l'ho sentita.
E questo mi disarma parecchio.
"Ancora di più di se stesso e della sua stessa vita. È pronto a crearne una con te, qualcosa che nasca dal vostro amore e credo non ci sia cosa più meravigliosa" conclude Francesca.
Entrambe hanno gli occhi lucidi ed io non so come reagire, queste cose mi mettono sempre dannatamente a disagio.
"Io - cazzo, ho paura. Una fottuta paura" gli confesso, mentre non faccio altro che deglutire piccoli sorsi di acqua. Anche se la gola mi si stringe talmente tanto, che quel nodo che sento fisso sembra farsi sempre più ingombrante.
Mi rimangono due scelte: o scoppiare o soffocare.
"Ho paura di non essere una buona madre, di sbagliare tutto, di non essere pronta, di vederlo scappare, del lavoro, delle ripercussioni sulla sua carriera, dei ricordi che questa esperienza potrebbe riaffiorargli, che qualcosa possa andare storto, che possa andare tutto male, che possa succedere qualcosa di irreparabile. Ed io non posso rischiare di perdere Filippo, perché perderei al contempo una parte di me e non mi rialzerei più." la mia voce è spezzata, il cuore batte così forte che a tratti lo sento pulsare in gola e la testa mi fa così male, che mi sembra qualcuno me la stia comprimendo a forza. "Ho persino paura di avere così tanta paura" dico buttandomi a peso morto sul letto e nascondendo la faccia nella coperta color panna. Odio farmi vedere piangere, anche da loro che mi hanno vista ridotta nei peggio modi.
Davanti al bivio, ho scelto di scoppiare.
E mi da sempre fastidio farmi vedere così indifesa e fragile.
"Perché non gliene parli?" mi chiede Francesca rientrando e sedendosi accanto a me, con una voce talmente amorevole che sembra quella di mia mamma. "Dovresti farlo, sono sicura che sarebbe in grado di far crollare i tuoi dubbi nel giro di qualche minuto" aggiunge Leti ed improvvisamente mi sento a casa, cullata dalle braccia di mamma, quando la vita faceva troppa paura e sembrava un ostacolo troppo grosso per una bambina, con ancora tutta la vita da imparare.
"Ma tu te lo immagini?" mi chiede la mia amica mora, mentre tra le dita si rigira una ciocca di capelli. Resto per un attimo in silenzio, non riesco a realizzare nulla, tanto meno a fare ordine nei miei pensieri. "Ci ho fantasticato sopra talmente tante volte, che adesso non riesco proprio ad immaginare nulla" le confesso, socchiudendo gli occhi e pensando. Non è la verità, un'immagine mi si palesa in mente e non riesco a fare a meno di sorridere. "Sembri un'ebete" ride Francesca, mentre mi guarda e inizia a solleticarmi un fianco. "Siamo stati a Bonassola un paio di settimane fa e mi è capitata una cosa stranissima. Filo stava passeggiando sulla riva ed io per un attimo ho chiuso gli occhi, quando li ho riaperti l'ho visto per mano ad una bambina. Aveva i capelli riccioli come noi, la pelle candida e due occhi tremendamente assomiglianti a quelli di Filippo. Lei rideva e lui la guardava in un modo così meraviglioso che pensavo fosse reale.
Sembrava reale, ve lo giuro.
Mi vengono i brividi solo a ripensarci" racconto alle mie amiche questo aneddoto, mentre gli occhi si fanno lucidi e un po' le parole si spezzano in gola. "Magari avrà la tua passione per la fotografia" sussurra Francesca, mentre io la immagino così bene che vorrei correre in camera da Filippo e dirglielo. "Oppure saprà cantare bene come il papà e passeranno le giornate chiusi in una stanza a scrivere insieme" aggiunge Leti, mentre io sospiro ed è una sensazione assurda.
Quel riuscire ad immaginare benissimo qualcosa che ancora non esiste, ma che è dentro di te a prescindere.
Che scorre nelle vene, nelle arterie, nelle cavità degli organi.
Che ti da vita, anche senza esserlo ancora.

ludovicaa ha aggiunto contenuti alla sua storia

I ragazzi bussano alla porta qualche minuto dopo, spezzando il silenzio che si era creato tra me e le mie amiche. Entrano con almeno tre bottiglie di champagne per uno e una voglia matta di festeggiare tutto quello che è successo. Hanno tre sorrisi stampati in viso che non gli vedevo da tanto, tantissimo tempo.
Ma io ho bisogno di estraniarmi per un attimo.
Ho bisogno di prendere un respiro.
Mi appoggio al davanzale, scosto la tenda e osservo la città coperta dal cielo nero: un ammasso di milioni di piccole luci la illuminano, lasciandole però quel non so che di misterioso, quell'atmosfera quasi magica. Stasera Parigi è strana, la musica sotto il balcone della nostra camera da letto sembra diversa, l'orizzonte sembra avere qualcosa di straordinario, il vociare delle persone sembra diverso dal solito, persino la luna è differente: più tonda, più storta, più bianca.
Non so.
Mi guardo intorno ed inevitabilmente sorrido: sono circondata dai miei amici più importanti, l'amore della mia vita sta sorseggiando il suo calice di vino, le risate fanno rumore e c'è tanto di quell'amore in questa stanza che mi lascia disarmata. A tratti quasi mi sembra di soffocare, ma allo stesso tempo però credo di non essere mai stata tanto felice.
Dopo anni di periodi bui, di difficoltà, di intemperie, finalmente riesco a guardare avanti e a vederci solo un grande e colorato arcobaleno.
Stasera Parigi mi ha dimostrato che se continui a crederci, prima o poi, i sogni si avverano.
"Amore, tutto bene?" Filippo si avvicina a me, stringendomi per i fianchi e poggiando le sue labbra sull'incavo del mio collo. "Si, pensavo..." gli rispondo, voltandomi e perdendomi di nuovo tra le luci della città. Filippo mi lascia un altro bacio, prima di portare le sue labbra vicino al mio orecchio e iniziare a sussurrarmi i versi di una canzone.

'Guarda qui le luci della città
e non capisco dove sia casa mia
mi chiedevo se
salto nel vuoto, vieni con me?
Guarda da qui le luci della città
e mentre i taxi vanno via
hai detto che eri solo mia
mi chiedevo se
vanno via tutti resti con me?'

Lo guardo.
Incrocio i miei occhi marroni con i suoi cerulei e, in un istante, la confusione attorno a noi affievolisce fino a sparire. Non sento più le voci e le risate dei nostri amici, ci siamo solo io e lui.
Lo guardo.
Lo guardo.
Lo guardo ancora.
E vorrei parlargli delle mie paure, vorrei fosse più semplice aprirgli il cuore, vorrei essere abbastanza coraggiosa da mollare quei pesi che mi tengono ancorata al mio orgoglio e dirgli tutto ciò che mi passa per la testa.
Ma non è semplice, per me non lo è mai.
Dannazione.
Lo guardo, che potrei farlo per sempre, che di lui non mi stanco mai.
Lo guardo, mi perdo nei suoi occhi brillanti e se questo figlio diventasse realtà, se prendesse forma nella vita e non solo nella nostra fervida immaginazione, vorrei che avesse i suoi occhi.
Esattamente i suoi, con le sue sfumature, quel colore indefinito, quelle pagliuzze dorate, quel modo di esprimere ogni singola emozione, quella potenza di entrarti dentro e lasciarti senza fiato.
Senza parole.
Senza capacità di fare altro se non amare.
Lo bacio, senza dire nulla di più.
Che il suo sorriso contro le mie labbra, è il suo miglior modo di parlarmi.
"Vorrei che avesse le tue labbra" mi sussurra con la sua voce roca, quella che riconoscerei tra miliardi. Passa la pelle del suo polpastrello sulla superficie della mia bocca e mi attira verso di se, riportandomi vicino ai nostri amici.

Parigi è la città dove i sogni divengono realtà.
Parigi è magia.
Vera e propria magia.

Angolo autrice

Ma buon pomeriggio amisciiii! ❤️
come state? Qui tutto bene. Mi ci vuole sempre di più per scrivere un capitolo, probabilmente perché vorrei renderli perfetti e soprattutto perché ormai la nostra storia sta giungendo al termine e forse mi fa troppo male pensare di abbandonarla tra poco. Non sono pronta e non lo sarò mai, probabilmente.
È quasi un anno da quando Ludovica e Filippo hanno iniziato ad essere reali, a diventare parte di me, a riempirmi le giornate e le idee.
E un grazie speciale lo devo solo a voi, a chi c'è sempre stato e a chi si aggiunge ancora oggi.
Vi vorrei abbracciare uno per uno.
Ci sentiamo al prossimo capitolo, vedrete quante sorprese ❤️
~R. 🦋

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