Ricominciare e perdersi ancora
Ludovica
Sono in treno, sto guardando il paesaggio scorrere fuori dal finestrino con il viso appoggiato ad una mano. Alla fine, ho accettato la proposta di Lorenzo, gli ho mandato un messaggio ieri e insieme siamo partiti dalla stazione di Milano direzione Roma, direzione studi Elios, direzione Filippo.
Lorenzo ha preferito non dirgli niente, mi ha raccontato della loro chiacchierata la scorsa settimana, cosi ha deciso di fargli una sorpresa. - "vedrai come sarà felice" ha detto - Io so solo di avere il cuore a mille, che batte talmente veloce da scoppiarmi in gola, non riesco nemmeno a farmi uscire della parole dalla bocca, esce solo fiato in sotto forma di sospiri.
La mano di Lorenzo si appoggia sulla mia coscia e la accarezza dolcemente sorridendomi, mi volto e vorrei poter essere divertente, vorrei esternargli tutti i pensieri che continuano a confondermi la testa e capisco benissimo che non sia la compagnia migliore per tre ore di viaggio interminabili.
Arriviamo fuori dagli studi, ci mettiamo in un angolino appena distante da un gruppetto di ragazze che stanno aspettando l'uscita dei loro idoli per farsi fare un'autografo o rubare una foto veloce.
"Prendine una va, almeno plachiamo un po' l'ansia..." dice Lorenzo indicando con un cenno della testa e un'espressione divertita in viso il pacchetto di sigarette che stringe tra le mani, ne prendo una e l'accendo. - forse smetterò di ondeggiare sui piedi e torturarmi il labbro per almeno due minuti, spero -
Spengo la sigaretta schiacciandola con il piede, mentre un urlo da parte del gruppo di ragazze mi fa trasalire un attimo: i concorrenti stanno uscendo un po' alla volta e vengono subito assaliti dai loro fans. - sto trattenendo il fiato, mi manca l'aria e non riesco nemmeno a deglutire -
Lo vedo uscire sorridente mentre scherza con Einar e Biondo, - due ragazzi che conosco perché seguivo il programma da casa - continuano a ridere, si danno delle forti pacche sulle spalle, addirittura ad un certo punto Einar sale sulla schiena di Biondo che quasi cade a terra.
Lui è bello come non mai, ha il viso più rilassato, disteso, poi sorride, con quell'espressione in viso capace di fermare il mondo, di rendere tutto più bello in un istante. Il cuore pulsa dentro al petto ad una velocità assurda, - non è paura, non è rabbia, è qualcosa di indefinito - come se stesse respirando di nuovo, come se riuscisse di nuovo ad avere quel colore rosso vivido, come se fosse felice, sereno; e riesco solo a pensare a quanto tempo è passato dall'ultima volta che l'ho sentito battere a questo modo, da quanto tempo non aveva questo ritmo? - talmente tanto che pensavo non ne fosse più in grado -
"Filo!" urla Lorenzo agitando in aria le braccia, tutti ci stanno fissando e io penso di aver assunto un colorito simile ad un pomodoro molto maturo sotto il sole cocente di agosto. Lui si volta leggermente, mentre in mano tiene ancora il pennarello indelebile nero con cui stava autografando un foglietto ad una ragazzina, poggia il suo sguardo su Lori e sorride, poi voltandosi di nuovo - come se avesse dimenticato qualcosa, come se la sua mente gli avesse sussurrato "girati ancora, c'è un piccolo dettaglio" - mette gli occhi su di me, i nostri sguardi si incrociano dopo un tempo infinito e il suo viso assume un'aria stupita, meravigliata, forse felice.
Rimaniamo ad osservarci per lunghi istanti, - il pennarello ancora fermo a mezz'aria - come se il mondo intorno si fosse fermato, come se quella confusione non riuscisse nemmeno a sfiorarci, come se esistessimo solo io e lui. Si volta di nuovo, non ha ancora molti fans lì per lui dato che è entrato da una sola settimana, ma c'è una bambina che lo sta tirando per un braccio con una dolce espressione negli occhi e il viso leggermente arrossato per l'imbarazzo, "Irama, vorrei una foto con te" lui le sorride, la prende in braccio facendole fare un piccolo giro e la coccola per qualche istante, sussurrandole un tenero "certo principessa". - non riesco a smettere di sorridere nel vedere quella scena, non riesco a non innamorarmi ancora di più di lui quando lo vedo con un bambino, non riesco a non essere orgogliosa del percorso che sta facendo, della sua maturità, della persona meravigliosa che è. - La mia parte irrazionale e più nascosta vorrebbe correre da lui, abbracciarlo, stringerlo e lasciarmi stringere dalle sue braccia, scomparire per un po' tra i nostri sguardi e lasciare andare tutto il male, a favore di quella serenità, di quelle palpitazioni accelerate, di quel cuore felice. Però, è sempre quella razionale a vincere, quella più ragionevole, quella che comanda la mia coscienza, che continua a farmi pensare a tutto il brutto, a quei mesi di merda, a quelle sensazioni di deserto dell'anima.
Mentre i pensieri continuano a frullarmi in testa, Filippo finisce di fare le foto, i suoi compagni invece sono ancora sommersi dalla folla, e si avvicina lentamente a noi. - mi manca l'aria, di nuovo - "Scusa Lori" sussurro al mio amico, prima di correre, di correre lontano, di fuggire il più veloce possibile, di scappare finché mi reggono le gambe. - sapevo di non farcela, sapevo che quella dannata parte razionale avrebbe vinto ancora -
Corro sperando che nessuno mi segua, che a nessuno venga l'idea di venirmi a cercare, scappo perché è l'unica cosa sensata da fare, perché non avrebbe senso nient'altro, perché continuo ad odiare con tutta me stessa quella sensazione strana che quel ragazzo con le piume mi procura al cuore. - dopo tutto, nonostante tutto -
Ho il fiato corto, le tempie mi pulsano forte contro le pareti della testa, il viso arrossato per l'aria fredda di febbraio sbattuta direttamente contro la pelle dalla corsa, le mani sono gelate e i piedi mi fanno male. Sono ferma davanti alla fermata di un autobus, lo vedo arrivare in lontananza, non so dove sia diretto, ma non mi interessa, - ho bisogno di isolarmi un po' - pago il biglietto all'autista e prendo posto su uno dei sedili liberi.
Scendo ad una delle ultime fermate, il paesaggio intorno a me è da foto: il Tevere regala un magnifico sfondo, tanto che decido di sedermi su un muretto ad osservare tutte quelle cose belle che mi circondano.
Continuo a pensare solo a lui.
Il traffico intenso di Roma, la confusione dei turisti, il vociare delle persone intorno a me sono solo un contorno, io non riesco a pensare ad altro.
Il cielo inizia a scurirsi leggermente, i palazzi intorno che si riflettono sullo specchio d'acqua del Tevere e i colori che vanno dal rosa ai toni più caldi del rosso colorano le nuvole: è un quadro, sembrano quasi schizzi di pittura contornati da una leggera foschia.
Sono ore che il telefono continua a vibrarmi nelle tasche, ma non ho voglia di guardarlo. - chissà Lorenzo quanto si sta preoccupando per me -
Le ore passano e ormai intorno a me tutto è scuro, buio, la confusione è diminuita, la mia figura illuminata dalla luce di qualche lampione sparso, non so neanche come tornare in hotel, non ho la minima idea di dove sono finita. - è meglio chiamare Lorenzo, posso solo affidarmi a lui, alla sua infinita pazienza un'altra volta -
Lorenzo
Sono nella stanza di Filippo, con due suoi amici: Einar e Biondo, che dividono con lui, non solo la camera, ma anche questa esperienza nel programma.
Sono ore che Filippo è totalmente assente, ore che non parla con nessuno, ha le cuffie nelle orecchie con la musica sparata ad un volume altissimo e continua solo a fissare un punto nel vuoto della parete di fronte a lui.
Volevamo andare a mangiare una pizza, ma non ce la siamo sentita di lasciarlo solo, così l'abbiamo ordinata e ce la stiamo godendo in stanza accompagnata da una buona bottiglia di birra. - anche se lui non ha toccato cibo -
So che vederla scappare così gli ha fatto male, tanto, - forse, non posso neanche immaginarlo fino infondo - però, vorrei con tutto me stesso che avesse una reazione, che buttasse fuori tutti quei sentimenti che lo stanno divorando da ore, che si sfogasse, che lasciasse andare quell'armatura pesante in ferro che lo copre e riuscisse a spogliarsi completamente delle sue debolezze. - almeno con me - E invece niente, continua solo a sospirare con gli occhi leggermente socchiusi e la musica nelle orecchie. - e io le conosco quelle melodie, anche se faccio finta di niente. So che erano le loro canzoni, che Guccini era l'artista da "macchina, notte e leggerezza" come amavano definirlo loro due -
Vedo lo schermo del telefono illuminarsi appoggiato al letto, lo sento squillare e leggo il suo nome, - e non sono il solo ad accorgersene - mentre mi alzo per poter rispondere alla chiamata, anche Filippo appoggia la schiena alla testiera del letto e, per la prima volta da ore intere, toglie le cuffiette dalle orecchie.
"Ludo, ma dove sei finita? Sono ore che continuo a chiamarti" le dico con un tono di voce preoccupato, quasi la rimprovero.
"Scusa Lori, scusami...è che avevi bisogno di un po' di tempo...ora...ora non so dove sono, non so come tornare in albergo...vienimi a prendere, ti prego" mi sussurra con la voce sporcata dai singhiozzi del pianto.
"Certo, arrivo...mandami la posizione su whatsapp così ti trovo...stai tranquilla" le dico poco prima di chiudere la chiamata, ho lo sguardo di Filippo fisso sulla mia figura, ma faccio finta di niente, in questo momento non mi preoccupa: per una volta, devo pensare prima alla mia amica.
"Avrei bisogno di una macchina, devo andare a prendere Ludovica" dico semplicemente voltandomi verso Simone e Einar, sperando in un loro aiuto.
"Vado io!" dice Filippo infilandosi la giacca di pelle velocemente e precipitandosi giù dal letto. "Bio, mi presti la macchina?" chiede poco dopo al ragazzo dai capelli ossigenati accanto a me, che acconsente subito lanciandogli tra le mani le chiavi della sua auto.
"Se me ce fai un graffio sei un uomo piumato morto!" sussurra con sguardo minaccioso al castano che ha aperto la porta ed è già per metà fuori nel corridoio dell'hotel.
Filippo
È stata una bella settimana, ho avuto modo di approfondire qualche rapporto con gli altri concorrenti e cercare di fare amicizia con qualcuno. Subito dopo la scorsa puntata, in tanti mi hanno chiesto delucidazioni sul perché della mia scelta, a tutti sembrava una cosa fuori dal normale: stracciare un contratto discografico e ricominciare totalmente da zero.
Una cosa da folli, una scelta assurda.
Gli unici due con cui sono riuscito ad aprirmi però, sono stati Einar e Biondo: con loro ho parlato tanto del mio passato, delle canzoni, del mio bagaglio di esperienze e si sta costruendo un legame davvero molto intenso e profondo. - almeno, grazie alla loro compagnia, riesco a sentire un po' meno la mancanza di Lorenzo -
Ho incontrato anche due professori della scuola: Carlo Di Francesco e Paola Turci. Con loro ho avuto occasione di parlare davvero tanto, di farmi conoscere un po' di più, aprendomi in un confronto interessante e piacevole. Mi hanno dato consigli davvero importanti per questo nuovo percorso, nuovi stimoli su cui ragionare e per la prima volta, sono riuscito a essere me stesso quasi al cento per cento; a parlare della mia musica come avrei sempre voluto fare.
Anche la puntata di oggi è andata bene, mi sono esibito due volte: una contro i The Jab aggiudicandomi il punto e l'altra contro Ein. Mi è dispiaciuto un sacco sentire quegli attacchi nei suoi confronti, ne abbiamo parlato tanto in settimana di quella parte insicura del suo carattere che spesso lo spinge a non godersi l'esibizione, a non lasciarsi andare completamente e a restare leggermente chiuso in sé stesso. So quanto ci soffre e quanto questo lato caratteriale sia invalidante per lui, tant'è che durante il dibattito con i professori sono voluto intervenire a suo favore dicendogli che in realtà la timidezza è la sua forza più grande, che ha un dono particolare che gli invidio un sacco: quello di riuscire ad interpretare in una maniera perfetta, che riesce a farti sentire davvero sulla pelle quelle sensazioni che decanta, è un po' come riuscissi a leggergli un mondo dentro.
Purtroppo però il mio amico cubano, è finito in sfida a fine puntata contro un ragazzo davvero bravo e talentuoso, io ero un fascio di nervi, non riuscivo nemmeno a collegare i fili del cervello e a ragionare. Vederlo piangere durante la sfida, sentirgli cantare "Portami via" con quell'intensità speciale, per poco non ha commosso anche me; alla fine però, per fortuna, Einar è riuscito a vincere la sfida immediata e a riprendersi la felpa nera.
Quando sono uscito dallo studio dopo la registrazione, c'erano un sacco di persone ad aspettarci fuori per farsi una foto insieme a noi, io ancora non sono abituato a tanto affetto e quindi ne rimango sempre un po' stupito e meravigliato.
Ad un certo punto sento una voce piuttosto famigliare che urla il mio nome, mi volto in quella direzione e, in un angolino, vedo Lorenzo che si sbraccia per farsi notare, gli sorrido scuotendo leggermente la testa e sorridendo. - aspetta non può essere - Mi giro di nuovo verso il mio amico e per poco non mi scoppia il cuore, poco distante da Lori c'è lei: Ludovica, a qualche metro da me e mi sembra una visione.
Mi sembra di essere stato catapultato in un sogno.
La osservo per qualche istante, mentre una ragazzina davanti a me continua a parlarmi, a incoraggiarmi per questo nuovo percorso, a complimentarsi per le mie canzoni e io non riesco a sentire niente, la sua voce è lontana, distante. - o forse, sono io che semplicemente sono totalmente assente - Quasi mi dispiace, ho ancora il pennarello per l'autografo fermo a mezz'aria, i miei occhi fissi nei suoi e credo di non aver mai visto cosa più bella.
Mi sento tirare per un braccio, una piccola manina mi stringe la giacca di pelle che indosso, avrà sì e no cinque anni e con una voce melodiosa mi chiede di fare una foto insieme: quasi mi sciolgo. I bambini continuano a farmi quell'effetto particolare: da una parte bellissimo, dall'altra mi riportano con la mente sempre a quel momento là, che vorrei poter cancellare dalla memoria. La prendo in braccio e le faccio fare una giravolta, poi la coccolo per qualche minuto: ha i capelli tagliati a caschetto, castani pieni di boccoli che si muovono con il vento, gli occhi celesti e un sorriso accogliente. - in testa iniziano a girare strani pensieri, quasi mi stupisco della mia stessa mente, non posso davvero crederci - Continuo a guardarla e a giocare un po' con lei, che ride, ride e fa ridere anche me. - e i pensieri continuano a frullarmi in testa: penso che lei è lì e sarebbe così bello un giorno avere una bambina così, che assomiglia un po' a tutti e due, che ha un colore di occhi simile al mio e il suo stesso potere di farmi sentire felice con un solo sorriso. Ok sono un po' sdolcinato -
Finisco di fare le foto, mentre Simone ed Einar sono ancora invasi dalla folla scalpitante di attenzioni, decido di avvicinarmi a Lorenzo e Ludovica. Le sorrido, con lo sguardo basso e la mano dietro alla nuca, - sono così in imbarazzo che non so come uscirne, mi sembra così surreale non sapere cosa dirle - mimo un "bastardo" con le labbra al mio amico che continua a ridersela come un matto; sono quasi ad un passo da lei, quando la vedo sussurrare uno "Scusa" a Lorenzo e scappare via.
Ci guardiamo per un istante con il mio amico, poi faccio per inseguirla, ma mi sento bloccare una spalla dalla sua mano. "Lasciala andare Filo, non è facile, lo sai" - cazzo se lo so, è una situazione così complicata da spezzare il fiato. Non mi sembrava vero che fosse lì, a qualche metro da me, che stessi per parlarle, che la potessi abbracciare di nuovo e, infatti, mi è scivolato tutto tra le dita un'altra volta.
- Cazzo. -
Non aspetto nessuno, tantomeno saluto i miei amici, me ne vado solo verso l'albergo poco distante dagli studi e mi chiudo in camera. - buio e musica sparata nelle orecchie -
Passa un po' di tempo, quando vedo la porta aprirsi e rivelare le figure dei miei tre amici con quattro pizze fumanti tra le mani e altrettante bottiglie di Beck's. "Forza Ira abbiamo portato il cibo!" esclama Einar scrollando le scatole di cartone che sta appoggiando sul pavimento, "Non ho fame, grazie" rispondo secco voltandomi dall'altra parte e fissando il muro bianco della stanza.
Solo quando vedo il telefono di Lorenzo illuminarsi sul mio letto e leggo il suo nome scritto, mi alzo di scatto e mi attivo il più veloce possibile per farmi prestare la macchina da Simo e correre da lei. - non so se è una buona idea, però devo provarci -
La vedo seduta sul muretto, i capelli tirati su in uno chignon disordinato e una sigaretta tra le dita, aspira con le labbra il fumo poco prima di voltarsi nella mia direzione: le sorrido, ma lei si alza, spegne la sigaretta con un gesto del piede e inizia a camminare nell'altra direzione. A mia volta, accelero il passo, la rincorro e la blocco per un polso. "Aspetta" le sussurro, non so cosa altro fare, non so cosa altro dire. - mi ero preparato un discorso tutto intelligente e pieno di belle parole mentre ero in macchina, ma da quando l'ho vista la mente si è offuscata e non ricordo assolutamente nulla -
"Lorenzo dovrebbe imparare a farsi i cazzi suoi, non ho chiamato te" mi dice fredda, scostando con un gesto nervoso la mia mano dal suo polso.
"Ho insistito io, Lorenzo non voleva che venissi" le rispondo mentre lei continua a camminare davanti a me.
"Ti ho portato una cosa" le dico scuotendo leggermente il sacchetto che tengo in mano facendo rumore con la carta, lei si volta con un'espressione corrucciata, come se non riuscisse a capire; allora mi fermo, appoggio il sacchetto sul muretto e tiro fuori due porzioni di tiramisù, mostrandogliele. "Sono passato al ristorante dell'albergo prima di venire, so che ti piace tanto" le sorrido, mi sento quasi un idiota pensando all'espressione del mio viso in questo momento, ma tutti i dubbi mi passano quando vedo la sua testa scuotere leggermente e le sue labbra accennare un timido sorriso.
Mi siedo sul muretto e con un cenno della mano la invito a prendere posto accanto a me, lei mi raggiunge e si siede, le porgo un cucchiaino e la sua porzione di dolce.
Ho il cuore che batte all'impazzata dentro al petto, non mi sembra nemmeno possibile che possa correre tanto forte, che possa raggiungere un ritmo di battiti tanto accelerati; è qui accanto a me e non mi sembra vero, forse sto sognando.
Mi volto leggermente e incrocio i suoi occhi, lei mi stava già guardando, ci perdiamo per qualche istante finché lei non riesce più a trattenersi e scoppia a ridere.
"Che c'è?" le chiedo ridendo anch'io per la sua espressione, lei si sposta leggermente verso di me, avvicina il suo dito alla mia bocca e lo passa intorno alle mie labbra. "Eri tutto sporco" dice pulendosi le mani su un fazzolettino e continuando a sorridere. - e io penso di non essere così felice da mesi -
"Te ne sei ricordato..." mi sussurra voltandosi leggermente verso di me, mentre le sue gambe si divertono ad ondeggiare nel vuoto sottostante.
"Non so se ti ricordi di quella volta che al tuo ristorante preferito avevano finito il tiramisù e così, abbiamo passato tutta la notte, girando quasi tutta Milano, per trovarne una porzione e placare la tua insoddisfazione. Come potrei non ricordarmelo..." le dico sorridendo e buttando leggermente la testa all'indietro continuando a pensare ai ricordi indelebili di quella notte.
Prendo dalle tasche il mio pacchetto di camel blu e con un cenno della testa la invito a prenderne una, lei accetta, quindi mi avvicino con le mani per fare scattare l'accendino e fargliela accendere, aspira un po' di nicotina e mentre la butta fuori continua a sorridere. "Che c'è sono ancora sporco?" le chiedo pulendomi il contorno della bocca con una mano, lei dissente, avvicina la sua mano alla mia e sfiora l'anulare destro soffermandosi con le dita sulla superficie della pietra nera dell'anello. "Lo porti ancora..." mi sussurra guardandomi intensamente negli occhi e non staccando mai il contatto tra noi. "Non l'ho mai tolto" le rispondo prendendo la sua mano e toccandole la montatura argento portata sull'indice. "Nemmeno io" risponde accarezzandomi dolcemente le dita, sfiorandole con le sue, fondendole insieme. - e continuo a sorridere, pensando a quanto il mio spazio tra un dito e l'altro, venga colmato perfettamente dai suoi -
"Cosa hai fatto durante tutto questo tempo?" mi chiede spezzando quello strano alone di silenzio che si era messo tra noi, che non riusciva a farci formulare nessuna frase sensata e che, allo stesso tempo, non riusciva a far staccare le nostre dita.
Parliamo tanto, tantissimo, per ore intere penso.
Le racconto di come mi sono ridotto, del punto di non ritorno al quale ero arrivato, le parlo della Warner, della decisione difficile che ho dovuto prendere, di quella litigata con i vertici della casa discografica finita con la sicurezza che mi ha preso di peso e sbattuto fuori, le racconto di Lorenzo, persino di quella brutta discussione e del pensiero di fargli del male, di quel pugno a pochi centimetri dal suo viso, le racconto di "Mi Drogherò" al Summer Festival.
Mi commuovo pure, piango davanti a lei, come se non la vedessi da ieri, come se riuscissi per un istante a dimenticare tutto. - o forse, semplicemente mi spoglio di tutto quella spessa corazza e mi mostro per quello che sono, perché con lei mi viene naturale -
Le parlo delle canzoni, di quello che ho scritto in Norvegia, dei sentimenti che sono riuscito a buttare fuori con carta e penna, di quanto alcuni testi mi abbiano completamente spaccato in metà, lacerandomi l'anima.
"Ho scritto una canzone per mio padre sai?" le dico, le racconto del fatto che sono tornato a casa, che ho cercato di sistemare i rapporti dopo i continui consigli di Jolanda, che ho parlato con mia mamma, con mio papà meno, che ci sono tornato a dicembre poco prima del compleanno perché mi sembrava la cosa giusta da fare, perché era un tassello da sistemare prima di riprendere in mano la mia vita, che a papà ho fatto addirittura ascoltare la canzone e, anche se non sa assolutamente che sia scritta per lui, anche se non ha colto i riferimenti del testo, ha detto che è una delle sue preferite. Le spiego che hanno capito, che ora credono in me, che vogliono darmi fiducia, che avrebbero voluto vedere anche lei per scusarsi, che sanno cosa ha fatto per me, che sanno che mi è stata accanto come nessuno, ci sono rimasti persino male quando gli ho confessato che ci eravamo lasciati.
L'unica cosa su cui cerco di sorvolare è tutto il male, tutto il dolore sentito dopo la sua partenza, quella fitta al cuore fissa e insistente, non le racconto di quanti attacchi di panico avuti durante quei giorni o di quante notti passate a piangere contro la parete fredda di un muro - per quello non mi sento ancora pronto - Tutto quel dolore fa ancora troppo male, mi fa soffrire ancora troppo per essere esternato.
"A volte mi chiedo ancora come sia possibile..." le sussurro.
"Che cosa?" mi guarda a sua volta con un'espressione corrucciata in volto.
"Che riesci ancora a farmi sentire a casa, che riesci a farmi sfogare come se mi venisse naturale" lei mi sorride, si limita a piegare le sue labbra in un timido sorriso senza aggiungere nient'altro, perché tutte le parole risulterebbero superflue.
Anche lei si lascia andare: parla come fossimo amici da sempre, come fossi un confidente che mancava da troppo tempo, al quale devi raccontare troppi dettagli. Mi racconta degli studi, delle opportunità bellissime che le sta regalando l'esperienza con l'accademia, mi parla del suo appartamento a Milano, di quel piccolo tassello di indipendenza costruito con Alice. Mi confessa che sapeva gran parte delle cose, che sapeva dell'episodio con Lorenzo, che mi aveva visto al Summer Festival e pure lei si commuove, non mette filtri, si spoglia completamente da tutto quel peso del cuore.
"Ti giuro ho provato con tutte le forze a rimuoverti dalla mente, ma non te ne sei mai andato veramente" mi sussurra guardandomi dritto negli occhi.
Mi parla dei nostri ricordi custoditi preziosamente nella sua stanza: di quella rosa ormai secca, delle nostre foto, dei miei biglietti, della mia felpa conservata dentro al suo armadio e qui si commuove ancora di più, qui le lacrime iniziano a bagnarle il viso senza sosta, sciogliendole il trucco e sporcandola leggermente.
"So che sarebbe stato più facile non portarli con me a Milano, ricominciare senza di te...ma senza te al mio fianco non ero più la stessa persona" mi avvicino e le asciugo le lacrime, con il dito le raccolgo sulla mia pelle cercando di confortarla; confessandole che anch'io avevo portato con me tutte quelle cose, che le avevo in valigia anche qui in albergo, che addirittura non avevo più lavato quella maglietta che aveva indossato una delle ultime notti passate insieme.
"Mi mancavano questi momenti: io che mi sfogo, tu che mi ascolti e viceversa" mi sussurra, appoggiando la sua testa sulla mia spalla e incastrandola lì, come se quello spazio fosse costruito apposta per accoglierla.
In un secondo dal cielo iniziano a cadere copiose gocce di pioggia, che in un istante ci inzuppano interamente. Portiamo entrambi contemporaneamente il viso in su, verso il cielo facendolo bagnare completamente, poi ci voltiamo e scoppiamo a ridere: le gocce che scendono velocemente dalle punte dei capelli, la mia giacca di pelle impregnata di acqua, il suo cappotto ormai aderente alla pelle. La prendo per mano, mi sfilo la giacca e la porto sulle nostre teste, prima di correre velocemente verso la macchina.
E sembriamo due pazzi, due giovani completamente folli: ce ne freghiamo delle persone che continuano a guardarci, delle pozzanghere prese in pieno che ci inzuppano i piedi fino alle caviglie, ce ne freghiamo di correre completamente in mezzo alla strada, attraversandola senza attenzione, con gli automobilisti che ci suonano violentemente il clacson, di ridere talmente forte da far risuonare la nostra voce nel silenzio di una notte romana.
Arriviamo in macchina e ci precipitiamo dentro, infreddoliti e bagnati fradici.
"Prima dalla fretta ho parcheggiato davvero da schifo, me ne sono fregato dei cartelli di divieto, non ho guardato assolutamente niente...menomale che non mi hanno rimosso la macchina...Simo mi avrebbe ammazzato in un modo molto cruento."
"Ecco direi che ora tutto si sta trasformando in certezza: Biondo mi ucciderà sicuro!" le dico ridendo indicando i sedili completamente bagnati e l'alone di acqua che si sta creando sui tappetini sotto i nostri piedi.
Lei butta la testa all'indietro e ride, ride fino a farsi diventare gli occhi lucidi, e anch'io faccio lo stesso; poi scrollo vigorosamente i capelli liberando nell'aria milioni di goccioline di acqua. "Smettila di scrollarti, sembri un cane! Razza bastardino direi" ma io continuo, non le do ascolto e lei allora ride, sempre più forte, le nostre risate che si mischiano, che si sovrappongono.
Mi sento felice. Leggero.
Poi ci fermiamo di colpo, abbiamo addirittura il fiato un po' corto, ci osserviamo per qualche istante. - Dio, come fa ad essere così bella? Come fa ad essere sempre così giusta? - Mi avvicino lentamente, i suoi occhi incastrati nei miei, le accarezzo la guancia e lei appoggia il suo viso contro la mia mano, socchiudendo leggermente gli occhi, come a bearsi di quel tocco. Continuo ad avvicinarmi, lei si morde il labbro inferiore mentre i suoi occhi continuano ad essere fissi nei miei, un po' mi ci perdo, - o forse in realtà ci ritrovo il pezzo migliore di me - siamo a qualche millimetro, i nostri nasi che quasi si sfiorano, le sue mani tra i miei capelli, ma il trillo del cellulare ci interrompe e rovina tutto.
Il mio telefono appoggiato tra noi due e quella scritta sullo schermo illuminato, lei lo guarda con gli occhi improvvisamente tristi e amareggiati - tutto per un istante si ferma: io sono bloccato, lei anche.
"Dimmi che non è vero, ti prego" mi sussurra con la voce rotta, nel suo sguardo riesco a leggere sono un'infinita delusione.
"È successo da un po', solo una volta te lo giuro." le dico, non riesco neanche a guardarla in faccia per la vergogna che provo, per quel sentimento di repulsione che provo nei miei stessi confronti; lei apre la portiera e scende dalla macchina in fretta.
La pioggia che bagna di nuovo i nostri corpi, il cielo è nero, di un colore che quasi spaventa, le nuvole si muovono minacciose sopra le nostre teste e intorno tutto fa silenzio. - un silenzio quasi inquietante - Vuoto.
"Ti prego, aspetta" le urlo rincorrendola, la fermo ancora una volta per un polso, lei si gira verso di me e ha uno sguardo che è in grado di farmi sentire una merda, che è in grado di farmi piovere addosso di nuovo tutti quei quintali di macerie che mi hanno sotterrato in questi mesi.
"Quando?" mi chiede semplicemente, "Poco dopo Natale" le sussurro e ancora una volta, tengo lo sguardo fisso a terra, non riesco ad incrociare i suoi occhi. - la sto perdendo di nuovo, ed è una sensazione orribile -
"Mi fai schifo" e quelle parole mi arrivano dritte nel petto come una coltellata, quasi mi fanno piegare in due dal dolore; la mia testa non ragiona, vedo tutto nero, non riesco a formulare pensieri sensati e allora sparo parole, le butto fuori con tutta la veemenza senza pensare alle conseguenze. - le addosso colpe, cercando di scaricare le mie. Quando in realtà, la responsabilità è solo mia -
"Non stavamo più insieme, non ti dovevo assolutamente niente, avevo voglia di scopare e l'ho fatto punto." le dico, questa volta incrocio i suoi occhi, lei li abbassa di scatto, come se incrociare il mio sguardo la ferisse. - forse, gli faccio talmente schifo che non riesce neanche a degnarmi di uno sguardo -
"Vattene, lasciami in pace." mi dice scrollandosi dalla mia presa con un gesto nervoso, - solo colpa mia, tutta colpa mia - poi si allontana, passo dopo passo, lentamente, come se non avesse le forze nemmeno per muoversi, come se quel messaggio l'avesse frantumata dentro.
"È stata solo una scopata, non conta un cazzo!" le urlo, ho le mani tra i capelli, tiro leggermente le punte con le dita, lo stomaco aggrovigliato per il nervoso, chiudo la mano e sferro un pugno contro l'albero accanto a me. Le nocche sanguinano, la mano è rossa, tendente al viola e mi fa un male cane, ma niente è paragonabile alla fitta che sento dentro al cuore.
"Mai, non ho mai nemmeno per un secondo pensato di poter baciare un altro, mai di poter sfiorare un altro corpo, figurati scopare addirittura con un'altra persona...mi hai distrutto Filippo, completamente. Non me ne frega un cazzo delle tue giustificazioni, non puoi pensare sempre di risolvere tutto lanciando un pugno contro qualcosa. E adesso vattene via, lasciami in pace!" questa volta è lei ad urlare, urla talmente tanto che la sua voce fa eco nel silenzio, che riesce a squarciare il buio di quella notte romana. - e ha ragione, ha ragione e non posso fare niente per rimediare a quella cazzata, non ho giustificazioni, non dovevo farlo - Salgo in macchina e la lascio lì: con la schiena appoggiata al muretto e il Tevere a farle da sfondo; mando un messaggio a Lorenzo.
Lorenzo
Arresto la macchina esattamente davanti a Ludovica: è lì ferma sul muretto, la pioggia che le scorre addosso, ma lei non sembra nemmeno accorgersene; apro la portiera e la invito ad entrare.
"Portami alla stazione Lori, ti prego" mi sussurra, il mascara colato sulle guance, è totalmente fradicia ed infreddolita, continua a tremare, le labbra sono di un colore tendente al violaceo e la pelle è bianca cadaverica.
"Sei fradicia, stai tremando, ti porto in stanza" le dico accarezzandole dolcemente una coscia e voltandomi verso di lei.
"No, mi porti in stazione. Non voglio vederlo mai più. Ti prego Lori, ti sto pregando davvero" mi ripete lei alzando la voce e abbassandola solo alla fine della frase, trasformandola in un sussurro di delusione, quasi in una supplica.
"Dietro c'è qualcosa di asciutto che puoi metterti addosso, io scendo un secondo dalla macchina così puoi cambiarti" la lascio sola per qualche istante, mi accendo una sigaretta, finalmente ha smesso di piovere e adesso l'aria ha assunto quel classico odore di asfalto bagnato tipico degli attimi dopo la tempesta.
"Me ne offri una?" mi chiede, affacciandosi appena un po' dal finestrino coperta in una felpa leggermente più grande di lei, che la copre fin quasi alle ginocchia e le arriva a nascondere addirittura le mani.
Poco dopo aver finito di fumare, saliamo di nuovo in macchina, in religioso silenzio, senza pronunciare una parola: come se tutto fosse così dannatamente difficile e facesse talmente tanto male, da non poterlo neanche ammettere a voce alta.
"Posso sapere che è successo?" le chiedo mentre siamo in stazione, il suo treno dovrebbe arrivare tra circa una quarantina di minuti e non mi andava di lasciarla da sola ad aspettare.
"Abbiamo passato una serata fantastica, quasi mi sembrava di essere tornata indietro del tempo alla sera del tuo compleanno: quando ci siamo conosciuti e siamo scappati dalla festa per andare a fare una passeggiata lungomare, abbiamo mangiato una ciambella e riso talmente tanto da far contorcere lo stomaco. Tutto sembrava come prima, ci stavamo addirittura per baciare, poi gli è arrivato un messaggio...e io l'ho letto, l'ho letto tutto quel messaggio. Te lo posso anche ripetere a memoria quello che c'era scritto perché sono ore che è inciso nella mia mente. "Mi manca il tuo profumo su questo letto. Filo pensaci, sono sicura di mancare anche a te. È inutile che continui a negare l'evidenza persino a te stesso, come me non c'è nessuna."
Capisci Lori? Capisci? Io per mesi non ho fatto altro che pensare a lui cazzo, non mi ha mai nemmeno sfiorato l'idea di poter scopare con un altro. È invece lui che fa? Prende la prima che gli capita e ci finisce a letto? Sai cosa ha avuto il coraggio di dirmi? Che non stavamo più insieme, che aveva voglia di farsi una sana scopata e l'ha fatto punto. Esattamente queste parole, non riesco a togliermele dalla testa." la sua voce passa dall'essere rotta dalle lacrime, all'essere completamente fuori di sé; mischiando sentimenti di delusione, rabbia, stanchezza a quell'amore profondo nascosto dentro al cuore.
"Mi fa pure schifo dover indossare qualcosa di suo, cosa credi che non l'avessi capito che questa cazzo di felpa è quella di Filippo?" mi chiede con un tono amareggiato, con una punta di delusione. "Riconoscerei il suo profumo tra milioni..."
"Non ne sapevo niente di questa cosa, mi dispiace così tanto piccola" le sussurro abbracciandola e lasciandole un tenero bacio tra i capelli ancora umidi.
Il treno entra in stazione mentre noi siamo ancora abbracciati l'uno all'altra, il bello del nostro rapporto è che non ci sono secondi fini: ci vogliamo bene come se ci conoscessimo da sempre, come fossimo quasi fratelli, come se fossimo, uno per l'altra, quell'ancora in grado di salvarti durante la tempesta, quel faro in grado di accoglierti quando intorno tutto è orribilmente buio. La saluto con un bacio tra i capelli sussurrandole "stai tranquilla la valigia la prendo io e te la porto a Milano, avvisami quando arrivi tanto sto sveglio"
Arrivo in stanza, ormai sono quasi le sei del mattino, Biondo ed Einar non sono a letto, - chissà dove si sono cacciati quei due - Filippo è in balcone, quando sente la porta chiudersi si volta di scatto come se si fosse talmente immerso nei suoi pensieri, da essersi leggermente spaventato.
Io sono stanco, stanco di tutti i casini che continuano a succedere, stanco di non riuscire mai a sistemare le cose, frustrato da quella confusione che non riesce a trovare un attimo di pace; ogni volta tutto sembra arrivare ad un punto, ad una fine, magari persino ad un traguardo felice, ma poi puntualmente ricomincia da capo. - e io non ce la faccio più, questa situazione è davvero insostenibile -
"Sei un coglione" gli dico guardandolo dritto negli occhi con un tono deciso e quasi deluso. - come se avesse perso ancora una volta la mia fiducia -
"Lei dov'è?" mi chiede aspirando un po' di nicotina dalla sigaretta e buttandola fuori poco dopo.
"Non ti interessa, comunque non è più a Roma." gli rispondo senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, questa volta devo proteggere lei, devo pensare a lei. - e non riesco a togliermi dalla testa quello sguardo in stazione, la sua voce rotta nel pronunciare quelle parole. E mi fa male, sto male -
"Dovevo proteggerla..." sussurra, forse pensa che neanche l'abbia sentito tanto la voce era bassa.
"Davvero Filo? Davvero? E dimmi che metodo è quello di proteggerla scopando con un'altra? Qualcosa di davvero rivoluzionario! Bravo!" dico con un'espressione ironica nel colore della voce, mi sto alzando per rientrare in stanza.
"Non stavamo più insieme, non ero fidanzato" mi risponde in tono seccato.
"Dio, spero tu stia scherzando...io lo so quanto cazzo hai sofferto per lei, quanti attacchi di panico ho dovuto calmare, quanti pianti isterici nel cuore della notte...
E tu, invece, che cazzo pensavi di fare? Di risolvere con una sana scopata? Magari persino di dimenticarla eh?" gli chiedo, ormai ho lo stomaco contorto per il nervoso, forse anche la stanchezza, comunque la mia mente non è più lucida.
"Pensavo di dimenticarla, ma non è stato così ok? Non ha contato un cazzo quella notte, perché continuavo solo a pensare a lei, ad avere il suo viso scolpito in mente. E ora, dopo che mi hai delucidato con le tue cazzo di lezioni di vita, puoi anche andartene caro maestro" mi dice indicando con un cenno la porta in legno della stanza 310.
Entro in camera, prendendo tutto il necessario, mi infilo la sciarpa di lana e poco prima di andarmene posso sentire chiaro il suo sussurro "Fanculo Lori!", mi volto verso la finestra: ha le mani infilate tra i capelli, con la schiena contro la parete e le ginocchia quasi al petto. "Vaffanculo Filo!"
Irama
Sono sdraiato sul letto da ore, ormai è mattina inoltrata, Einar e Biondo sono passati per portarmi a colazione ma ho rifiutato. - lo stomaco è talmente contorto ancora per il nervoso, che non mi fa sentire nemmeno la fame -
Ho la chat di whatsapp con Ludovica aperta, sono ore che la fisso, ore che penso di scriverle un messaggio, lo butto giù, poi lo cancello, lo scrivo di nuovo: così da ore intere.
Poi, improvvisamente, le dita iniziano a digitare sulla tastiera velocemente, senza pensarci troppo, alla fine lascio vincere il mio istinto e premo invio.
"Non riesco a dormire, mi dispiace, mi dispiace tanto...ma te lo giuro, ti giuro che non ha significato niente." Le spunte da grigie si trasformano in blu nel giro di qualche secondo, la scritta online sotto al suo nome mi fa venire la tachicardia, il cuore batte veloce e il respiro accelera il suo solito ritmo.
Sta scrivendo...
Questo è quello che si legge ora sotto il suo nome.
Sta scrivendo...
Ancora? Ma quanto ci mette? L'ansia mi sta divorando.
Ultimo accesso alle 08.04
In un istante mi sento abbandonato, triste, solo. - e la cosa che mi distrugge ancora di più è che ha dannatamente ragione a non rispondermi -
Ho bisogno di fumare, so che non è il modo giusto per sfogarmi, so che continuo solo a distruggermi ulteriormente; ma è l'unica cosa in grado di placarmi quella sensazione di vuoto. - almeno credo -
Ne accendo una dopo l'altra, senza cognizione di causa; come se insieme al fumo potessi buttare fuori da dentro tutto quel marcio, tutte quelle sensazioni che mi stanno divorando, tutto quel dolore che mi sta mangiando lo stomaco.
Come se nell'aria, assieme al fumo, si mischiasse anche il tempo e potessi, così, avere la possibilità di cancellare tutto per un istante.
Come se non fosse mai successo niente.
E provare a sentirmi leggero, più leggero, anche se l'unica persona che solo con uno sguardo è in grado di farmi sentire così, continuo a distruggerla.
Angolo autrice
Buon giovedì a tutti, eccoci qui con un nuovo capitolo!
Le cose per i nostri protagonisti non sono per nulla facili, superare determinati ostacoli fa soffrire tanto, tantissimo...💔
Chissà cosa succederà nei prossimi capitoli...
Spero che la storia vi stia piacendo, anzi se avete consigli, dubbi, richieste potete sempre trovarmi in privato per una bella chiacchierata, vi aspetto 🌹
Grazie per le visualizzazioni, che hanno già superato le 100 e non potrei essere più felice ❤️
Un abbraccio!
~R. 🦋
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