Futura
Ludovica
Filippo è sparito.
O almeno così pare, visto che sono due giorni che non ho sue notizie e non so più dove sbattere la testa.
Mi sono svegliata e all'improvviso il letto era vuoto, le lenzuola ancora sgualcite, qualche vestito sparso a terra. Nessun segno di lui e di ciò che riguarda la sua quotidianità: mancavano il telefono, il pacchetto di sigarette, le piume appoggiate al comodino e persino il prezioso quaderno che usa per scrivere.
Tutto sparito.
Niente.
Di punto in bianco non c'era più nulla.
Se non per un biglietto. Un solo, misero e fottuto biglietto di carta straccia, probabilmente scritto e riscritto almeno dieci volte. Ecco l'unica cosa che secondo lui meritavo in quel momento, solo quel piccolo sforzo per farmi sentire meno sola, stanca, abbandonata.
'Ho bisogno di staccare da tutto per un po', di prendermi il mio tempo e respirare. Sta succedendo tutto troppo in fretta, ma ti giuro che non sto scappando. Il mio cuore tornerebbe sempre da te, ricordi? Dammi solo un paio di giorni. Non cercarmi, non chiamarmi, ti prego.
Filippo'
Niente di più.
Solo questo.
Ed io mi ritrovo sola per l'ennesima volta, in preda ai sensi di colpa e alla sensazione di voler mollare tutto e non tornare più indietro. Per nessuna ragione al mondo.
Sono ore intere che sto immobile sul divano, una coperta a tenermi caldo sulle gambe e gli occhi fissi su quel dannato telefono che se ne sta lì e non squilla mai. Mai. Mai. Nonostante io continui a pregare, a sussurrare tra me e me il suo nome, sperando serva a smuovere qualcosa dentro a Filippo. Ma niente. Tutto è vano, inutile, nullo. Tutto si rivela solo uno sforzo stancante, senza risultati.
Prendo tra le mani il mio telefono e faccio l'unica cosa che so fare in questi casi: comporre il numero di Lorenzo.
"Ehi" mi saluta lui dall'altro capo, con la voce di chi non può far altro che aspettare, attendere, temporeggiare. E questo fa: temporeggia.
"Come stai, piccola nana?" mi chiede dolcemente, mentre sento il rumore metallico del cucchiaino che sbatte contro la ceramica della tazzina da caffè.
"Ci sono stati giorni migliori, decisamente" concludo, con la voce talmente stanca da mettere i brividi persino a me stessa.
"L'hai sentito?" gli chiedo ancora, la stessa domanda da giorni, con la consapevolezza che arriverà la stessa identica risposta di ieri e del giorno prima ancora.
"No, non si è fatto vivo" e fa male, fa male quanto una coltellata in pieno petto sentirsi dire quelle parole e dover sbattere contro la sua mancanza, la sua assenza che sta diventando insostenibile.
"Lori se sai dov'è dimmelo, ti prego" lo supplico, mentre mi lascio andare all'indietro e mi siedo sulla sdraia nel terrazzo di casa nostra. La primavera ormai è nell'aria, il sole si fa sempre più caldo e regala la sensazione appagante della pelle che si lascia scaldare dai teneri raggi che finiscono a contatto del viso.
"Lo conosci meglio di me, per cui non perdo tempo a dirti come è fatto Filippo, che quando ha paura di qualcosa sa solo scappare e che ha bisogno dei suoi spazi. Lo sai anche tu. Io sono qui, piccola. Per te e per quella minuscola lenticchietta. E lui tornerà, non può restarvi lontano ancora per molto" lo dice con voce dolce, con quel tono in grado di avvolgermi nell'abbraccio di cui ho bisogno ed improvvisamente mi sento più rilassata.
Sono sicura che Filippo abbia chiamato Lorenzo, che lui sappia esattamente dove si è rifugiato e soprattutto il motivo per cui l'ha fatto. Ma non mi permetterei mai di insistere, so che se potesse mi direbbe tutto. Ma non posso intromettermi nel loro rapporto, con il rischio di farli litigare in modo brusco e definitivo. Sono due fratelli, finiranno sempre con il salvarsi a vicenda. E so quanto Filippo si affidi a Lorenzo ogni volta che ha un problema che gli attanaglia lo stomaco, ma questa volta deve essere in grado di tornare da solo. Senza costrizioni.
"Tra qualche giorno abbiamo la prima ecografia" ma non riesco nemmeno a finire la frase, che la voce mi si blocca in mezzo alla gola e non riesce ad uscire.
"Ludo, tranquilla" mi sussurra quello che ormai reputo il mio migliore amico, mentre un sospiro più pesante fa gracchiare il telefono e mi sibila nelle orecchie.
"Ho solo paura che lui non ci sia" gli confesso, spogliandomi di tutte le paranoie che mi fermentano nel cervello e rischiano di farlo scoppiare. In questi momenti avrei solo bisogno di accendermi una buona sigaretta, che è l'unica ottima compagna in casi estremi come questo. Ma il piccolo inquilino che ormai abita dentro di me, non gradirebbe per niente di condividere con me questo vizio.
"Andrà tutto bene, te lo promette il tuo Lorigallituttoattaccato" dice soffocando una risata, mentre io riesco a piegare la bocca in un sorriso e non mi sembra vero. E mi rassicura quanto Lorenzo sia in grado di calmarmi, di dire sempre la cosa giusta, di tranquillizzarmi persino quando mi sembra che il mondo mi stia crollando addosso ed io non riesca a muovere un singolo muscolo.
Non riesco a dire più nulla, i pensieri sono così tanti e così diversi da vorticare nella mia testa come dentro un frullatore spinto alla massima velocità, senza modo di uscirne o di liberarmene.
"Io sono qui, hai bisogno di compagnia per un po'?" mi chiede dopo infiniti minuti di silenzio, mentre io rientro in casa e finisco di nuovo sul divano. Pronta a tenere tra le mani la sua felpa rosa ed accarezzarla, come se sotto ai polpastrelli potessi sentire il suo viso.
"No Lori, grazie. Ho voglia di stare sola" gli rispondo, aggiungendo un breve saluto e chiudendo la chiamata.
La casa è vuota, così silenziosa da fare persino paura. Non ci sono i suoi calzini sparsi per casa, il suono della sua risata, la musica di sottofondo ad ogni ora del giorno. Non c'è l'eco di quella serie tv americana di cui è ossessionato, nemmeno le voci di quei personaggi dei videogiochi a cui sbraita contro quando perde, mi manca persino la confusione di quel terribile angolo scrittura. Manca lui e sembra che attorno a me crolli tutto, che il mondo non abbia più senso, che d'improvviso sparisca la terra sotto ai miei piedi. Lui è la mia certezza più grande ed ora si è dissolta, così con un semplice biglietto ed una promessa di ritorno.
Il suono del campanello mi fa sussultare e mi scuote da quel mare di pensieri che mi stava travolgendo fino a qualche istante fa. Mi alzo con calma dal divano, che ogni tanto qualche giramento di testa torna a farmi visita e finisce per cogliermi sempre impreparata. Abbasso la maniglia e sorrido come una stupida, quando mi ritrovo davanti il viso tenero di Lorenzo.
"A cosa servono gli amici sennò?" mi chiede retoricamente, mostrandomi una vaschetta immensa di gelato in cui affogare tutte le preoccupazioni possibili. Gli salto praticamente al collo, aggrappandomi a lui, come se mi stessi ancorando all'unica persona in grado di salvarmi in questo momento.
"E, casomai fossero già arrivate le voglie, ho anche queste!" sfodera da dietro la schiena un cestino di fragole rosse e succulente, pronte per essere morse e assaggiate.
"Mi ha rubato il cuore, signor Lorigalli" gli dico, lasciandogli un tenero bacio sulla guancia e chiudendo la porta alle nostre spalle. Ormai questa è come se fosse un po' anche casa sua, infatti appena mi volto di nuovo verso di lui, lo trovo già stravaccato sul divano con il telecomando in mano e la vaschetta di gelato poggiata sulle cosce.
"Stasera ci raggiungono anche Leti, Fra e forse anche Alessandro. Facciamo la pizza?" mi chiede, cercando di distrarmi in qualsiasi modo possibile ed io lo adoro per questo. È la persona giusta, al momento giusto. Il suo modo di capire persino i miei silenzi più assoluti, di tendermi la mano quando sto per sprofondare, di sorridermi ed accendere la luce quando intorno a me c'è solo il buio mi lasceranno sempre senza parole. Perché non ci sono modi per spiegare un bene così grande. Perché in lui riporrò per sempre la parte migliore di me, ma anche quella peggiore e lo farò perché so che sarà l'unico in grado di custodirla e prendersene cura, con lo stesso amore di un fratello.
Irama
Ho deciso di allontanarmi per un po', anche se continuo a ripetermi che sia la scelta più egoista, menefreghista e peggiore che potessi fare. Soprattutto in un momento in cui dentro di lei, sta crescendo il frutto del nostro amore. Una cosa che non so nemmeno definire, piccola forse quanto una lenticchia, un fagiolo, una pulce che cambierà per sempre le nostre vite. Qualcosa di quasi impercettibile, che però riesco a sentire dentro con la forza di un uragano. E forse è questo che mi terrorizza, o meglio ciò che tutto questo è in grado di farmi riaffiorare nella mente.
Sono giorni che mi ripeto che questo non può condizionarmi, non posso permettergli ancora di rovinare tutto e farmi perdere la persona più importante della mia vita. Per questo sono scappato, perché incastrare il suo sguardo al mio e parlarle avrebbe fatto sicuramente più male e non sarei stato in grado di reggere i suoi occhi e il loro modo di esplorarmi dentro l'anima. Così sono venuto nell'unico posto in grado di farmi sentire protetto, in quella spiaggia che ormai è casa mia e mi permetterà sempre di riflettere. Guardo il mare e tutte le sue sfumature, le onde che si rincorrono con quella fame di vita e riesco solo a pensare a lei. A lei che è l'unica cosa a cui riesco a pensare quando ho bisogno di calmarmi, di sentirmi meglio, di trovare pace. Quando mi serve sorridere davvero, senza dover fingere, quando ho bisogno di essere salvato. A Ludovica sdraiata accanto a me, con il respiro pesante e quei boccoli che tutte le volte le ricadono sulle labbra. Più bella del solito, con una pelle così radiosa da sembrare luna e la sua mano sempre poggiata sul mio petto. Che più la guardo più mi innamoro. Che vorrei potesse vedersi con i miei occhi e notare ogni suo più piccolo dettaglio, così bella da togliermi il fiato. Da farmi perdere l'equilibrio. Io che le accarezzo la pancia e sento i brividi percorrermi ogni singolo centimetro di pelle possibile. Lì dentro c'è ciò che desidero da una vita, che da quando lo posso sfiorare con le dita, però mi fa una paura tremenda.
Ed è principalmente per questo che sono fuggito.
Che le ho lasciato un bacio sulla fronte, che ho messo qualche vestito a caso dentro un borsone, preso le chiavi della macchina e mi sono rifugiato in quello che è il nostro posto felice. Lasciando lei a Milano, in casa nostra, ancora sotto le coperte e riducendo tutto ad un misero pezzo di carta con qualche parola scritta dalla mia terribile calligrafia. Così, come se davvero per me valesse così poco. Così, sminuendo tutto ciò che siamo e ciò che provo al solo sentire pronunciare la parola papà.
Sto guardando il tramonto, quando il mio telefono squilla per l'ennesima volta. E leggo ancora il nome di Lorenzo comparire sullo schermo. Lo lascio suonare imperterrito, finché il mio amico non si stufa e chiude la chiamata. Il tramonto di stasera, in questo posto, ha decisamente un sapore ben diverso dal solito. Mi sembra tutto più spento, cupo, qualcosa di meno incredibile del solito. Non sento il cuore battere all'impazzata, nemmeno le labbra piegarsi in un sorriso, tutto mi lascia indifferente. Il sole sta per oscurarsi dietro alla parete di un monte e a me sfugge una lacrima. Solitaria, libera, unica. Che cade dal mio occhio e scivola giù sulla mia guancia, arrivando alla curva della mascella e cadendo su uno di quei milioni di piccoli sassolini colorati. E, forse, a salvarmi dall'inizio di un pianto disperato, è Lorenzo che ricomincia a chiamarmi insistentemente. Ci penso un po' su, ma al quinto squillo decido di rispondergli, che continuare ad ignorarlo non aiuterà né me né lui.
"Ciao" la voce del mio amico è calma ed improvvisamente un brivido mi scuote. Uno scossone forte che mi riporta alla realtà, alla mia vita, a Filippo. E in un attimo vengo investito da tutte le mie paranoie, i problemi, le paure. Che si fanno grandi come le onde di questo mare nei giorni di tempesta, talmente enormi da sorpassarmi e travolgermi in pieno, trascinandomi a fondo.
"Filippo..." mi richiama Lorenzo e sono sicuro che abbia sentito esattamente il suono del mio respiro, che per adesso è l'unica risposta di cui si deve accontentare.
"È ora di tornare a casa, non puoi continuare a comportarti così" nel suo tono di voce noto un briciolo di rimprovero e non posso di certo biasimarlo, visto cosa sto facendo da tre giorni a questa parte.
"Così come?" fingo di non capire o di non sapere affatto. Forse, perché è l'unico modo che ho per tentare di sfuggire alla sua ramanzina imminente.
"Filippo, non attacca. Non fare finta di non capire o di nasconderti persino da me, ti prego. Sto cercando di coprirti in tutti i modi, ma non è semplice quando la vedo stare così male. So cosa ti sta passando per la testa in questi giorni e, anche se non me l'hai detto, ho perfettamente capito il motivo per cui sei scappato. Ma capisci che stai facendo una cazzata, vero?" mentre parla sbuffa, aumenta il volume della voce che stride un po' e infine sospira. Ed io non posso fare più a meno di pensare a quel dolore che ho cercato di soffocare in ogni modo e di sbatterci contro nella maniera più violenta che ci sia.
"Ho passato la notte a guardarla dormire, respirava e la sua pancia non faceva altro che alzarsi ed abbassarsi ed io non sapevo far altro che piangere. Ho pianto di felicità, ma anche di una tremenda paura di non essere all'altezza. Le ho sfiorato la pancia e la sua mano è finita subito sulla mia, come una sorta di protezione. Lì ho capito che abbiamo creato una cosa incredibilmente perfetta, che mi farà sentire l'uomo più fortunato della terra e che non potrei mai stare lontano da loro due" è come se fossi sul tetto di un grattacielo e mi fossi appena lanciato nel vuoto, senza alcun tipo di protezione. Ho chiuso gli occhi e mi sono abbandonato all'indietro, sperando che qualcuno sia in grado di tenermi su.
"Però, hai sentito l'esigenza di andartene comunque. Perché tutta quella felicità insieme ti ha fatto paura, perché hai sempre il timore di rovinare le cose belle che ti accadono e la possibilità che qualcosa possa distruggere ciò per cui hai lottato una vita, ti terrorizza. Ma più di tutto perché stiamo parlando di un figlio, tutto tuo e suo e forse questa è la parola che ti fa più paura al mondo" ed ecco Lorenzo, il mio migliore amico di sempre, che apre le braccia ed è pronto ad accogliermi, facendo da scudo con il suo stesso corpo pur di non farmi precipitare al suolo.
"Già...tu sai meglio di tutti quello che è successo. Io - io non so se l'ho superato davvero. Ho il terrore che quando quel bambino diventerà più reale, andrò fuori di testa e penserò solo a quel maledetto dolore" gli confesso, con il nodo in gola che si inspessisce e mi leva quel poco fiato che mi resta. Che l'ultima volta che ho tirato un respiro profondo, in questo momento nemmeno la ricordo.
"Filippo diventerai padre e devi tornare dalla tua famiglia, questo è ciò a cui devi pensare. Quello che ti è successo è stato terribile, soprattutto affrontarlo a quell'età. Ma io so che ce l'hai fatta, che ormai è passata, l'ho visto nei tuoi occhi la sera del concerto al Forum. In quel tuo 'zio Lori' sussurrato con la voce spezzata, nel modo di guardare Ludovica come se fosse la cosa più bella del mondo, nel ripetere la parola 'papà' in ogni singolo istante, come se non riuscissi nemmeno a capacitartene. E non potrò mai dimenticarlo perché lì, per la prima volta dopo anni, ho capito che quella ferita era stata curata da una persona. E quella persona è proprio Ludovica" il mio cervello inizia a farsi più silenzioso, improvvisamente il casino che avevo dentro fino a poco fa, si zittisce. Resta solo il mio sorriso da paresi, così sincero da farmi venire i brividi, o forse sarà solo che mentre Lorenzo parla io rivivo ogni singolo istante dell'ultimo periodo e non posso fare a meno che essere felice. Cerco di soffocare una risata in un respiro, ma il mio amico se ne rende subito conto e non me la fa scampare.
"Il sorriso che hai dovrebbe essere la risposta più eloquente, forse proprio quella che pensavi di trovare quando ti sei rifugiato lì" mi dice ed io mi rendo conto di aver sbagliato tutto. Che la notte di tre giorni fa, avrei dovuto semplicemente svegliare Ludovica e dirle tutto quello che mi passava per la testa. Essere sincero in tutto e per tutto, senza nasconderle niente. Anziché sfuggire, scappare, soffocare sarebbe stato più facile affrontare le cose per una volta. Per non stare male io, ma soprattutto per non far stare male tutto quelli che mi stanno attorno.
"Perché sai sempre come risolvere il mio essere un enorme disastro umano?" gli chiedo, per poi prendere una sigaretta dal pacchetto azzurro ed accendermela.
"Perché con i coglioni ci so fare, parecchio. Faccio pratica da anni, sono un esperto ormai" scherza ed io rido con lui. Come se in un istante i miei problemi si fossero volatilizzati, portati via dalle onde del mare, in un posto lontano dal quale non torneranno più indietro.
"Come sta?" gli chiedo in un respiro, mentre socchiudo gli occhi e lascio che il buio della notte si rifletta nel mare.
"Perché non la chiami e non glielo chiedi tu?" risponde lui, senza lasciarmi troppe alternative. Tanto sa che mettermi di fonte al modo migliore di agire, è l'unica cosa da fare in questi casi.
"Ha la prima ecografia domani pomeriggio, non vorrai perdertela" aggiunge, invitandomi a mettere da parte il mio orgoglio e tornare da lei.
Il prima possibile.
"Non potrei mai. La amo più della mia stessa vita, Lori" gli confesso, sussurrandolo così piano che spero resto una confidenza solo nostra. Dall'altro capo del telefono, il mio amico sorride.
"Sei così scontato, Fanti. Dovresti sorprendermi e invece finisci col dirmi cose che so da sempre" mi risponde ovvio, mentre scuoto la testa e sorrido prendendo in mano un sasso e lanciandolo nell'acqua, poco distante.
"Comunque sono stato da lei l'altra sera, l'ho fatta distrarre un po'. E a parte qualche nausea e la voglia di fragola, stanno benone. Le manchi tanto, Filo" mi dice con una tale sincerità, da spezzarmi qualcosa dentro. Come se sapesse sempre dove colpirmi per farmi sentire vulnerabile.
"La chiamo adesso" lo avviso, mettendomi in piedi e spegnendo la sigaretta sotto la suola degli anfibi.
"Meglio di no, è tardi e la faresti solo preoccupare ulteriormente. In più stasera è al cinema con Fra e Leti, sai una di quelle loro serate tra ragazze. Domani vai a casa, oppure fatti trovare dal medico. Insomma -" ma lo interrompo, tanto ho capito benissimo dove vuole andare a parare.
"Ho capito, Galli. È ora di seppellire qui le mie paure e tornare da loro, che è l'unico posto dove dovrei stare" concludo io il discorso al posto suo, mentre lo sento ridere e capisco di avere centrato il segno.
"Lori, non le dire niente perfavore" gli chiedo, facendomi promettere di mantenere il silenzio finché non farò ritorno a casa.
"Grazie per non essere scappato del tutto, per avermi risposto al telefono e non avermi escluso, per esserti lasciato andare e soprattutto per avermi detto dove fossi" mi ringrazia ed io non so far altro che sorridere. So quanto sia frustrante starmi accanto, soprattutto quando mi lascio a affossare dai problemi e scappo da tutto e tutti, lasciandomi indietro gli affetti più grandi. E lui c'è sempre stato, nonostante tutto.
Glielo devo.
"Ciao Filo" aggiunge salutandomi, ma io ho bisogno di dirgli ancora una cosa.
"Lori" lo blocco, richiamandolo. "Grazie per non avermi lasciato solo. Quel bambino avrà lo zio più fantastico che potesse desiderare" gli dico, mentre un soffio di vento mi fa bruciare l'occhio che si fa subito più lucido.
"Quando fai così sei proprio stronzo, sai quanto mi renda instabile tutto questo" sussurra, tirando su col naso e con la voce talmente spezzata che suggerisce che sta per mettersi a piangere da un momento all'altro.
"Buonanotte zio Lori" lo saluto, per poi chiudere la chiamata e riporre il telefono in tasca.
E infondo non servono grandi parole o frasi d'effetto, il bene che ci vogliamo è tangibile persino in queste conversazioni semplice. Così grande, da emergere persino tra i nostri discorsi imbarazzati. Perché Lori sarà sempre dalla mia parte e basterà voltarmi per trovarlo al mio fianco, qualsiasi cosa succeda. Pronto a supportarmi in ogni mia decisione, a combattere con me le nostre battaglie, a farmi ragionare quando tutto intorno a me si rabbuia, a sorridermi e tendermi la mano per salvarmi. Ed io sarò sempre pronto a fare la stessa cosa per lui, perché siamo indispensabili l'uno per l'altro e lo saremo per sempre.
Mi metto a camminare e lascio che i miei piedi mi portino da qualche parte, esattamente sulla riva del mare a lasciarsi bagnare da quelle onde che ci hanno visto innamorare anni fa. I piccoli sassi colorati si incastrano tra le dita e gli fanno il solletico, mentre noto con divertimento che l'aver risvoltato i jeans fino al polpaccio, non ha aiutato a non farli bagnare.
Tiro fuori di nuovo di tasca il telefono e decido di mandarle un messaggio, è davvero un pensiero troppo rumoroso nella mia mente per non dargli peso e lasciarlo affievolire fino a domani.
'Forse mi starai odiando, ma non sono scappato per sempre. Scusami tanto, per tutto quello che faccio e per i miei comportamenti assurdi. Adesso sono pronto e ho solo voglia di vederti, di stringerti, di fare l'amore con te, di accarezzare quella piccola pancia e guardarla crescere. Ma soprattutto ho bisogno di parlarti e di spiegarti tutto. Non mi chiamare, goditi la serata con le ragazze e divertiti!
Buonanotte amore mio'
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Ho deciso di non passare da casa. Sono partito qualche ora fa da Bonassola, ho preso l'autostrada e mi sono lasciato trasportare. Dalla musica, dal paesaggio fuori dal finestrino, dalle mie emozioni. Ho ingranato la quinta e ho lasciato che l'asfalto grigio si trasformasse nel mio migliore confidente. Ho impostato la radio ad un volume irragionevole e ho pianto, riso, urlato e ricordato tanto. E forse, è stata la terapia migliore che potessi concedermi. Perché nella musica ho sempre riposto tutti i momenti della mia vita: quelli incredibili e quelli terribili e lei ha sempre saputo ascoltarmi. Ha saputo darmi riparo, quando la notte non avevo voglia di rincasare per finire ad urlare di nuovo contro mio padre. È stata in grado di farmi compagnia nei momenti migliori della mia vita, perché a tutto associo una canzone, persino alle persone più importanti della mia vita. Ha saputo darmi la forza di rialzarmi, di credere nel sogno che mi faceva bruciare il cuore e di volare alto. Perché la musica sa essere tutto o niente, dipende di cosa hai bisogno in quel momento. In una canzone puoi trovare la rabbia che ti serve per sfogarti, le lacrime che senti di dover buttar fuori, la felicità di chi non ha le parole per esprimersi. Tra le parole e le melodie c'è uno spazio magico in cui tutti i sogni sanno diventare realtà, in cui ti appaiono chiari in mente i volti delle persone, in cui tutto diventa abbraccio che sa scaldarti ed avvolgerti. Perché la musica è l'unico salvagente a cui puoi appigliarti quando il mare della tua vita si trasforma in tempesta, che prima o poi esce sempre il sole. Basta solo trovare il sottofondo adatto.
Parcheggio la mia auto proprio fuori dallo studio della dottoressa e, solo qualche minuto più tardi, vedo arrivare la macchina di Ludovica. Scende di fretta, con i capelli arruffati e il fiato un po' corto. Indossa un abitino leggero, di quelli a fiori che le piacciono tanto, un cerchietto rosso in testa e un rossetto del medesimo colore. La pancia non si intravede nemmeno, ma nonostante questo non posso fare a meno di posare il mio sguardo proprio lì. Se ne sta ferma per un po', guardando continuamente il cellulare e magari sperando in un mio messaggio. A quel punto decido di scendere anche io e chiudo piano la portiera per non farmi sentire, poi mi avvicino a lei a passi lenti e silenziosi. La colgo di sorpresa da dietro, tanto che sussulta appena e lancia un sospiro di spavento.
"Amore" le sussurro, posandole un bacio sulle labbra prima che sia in grado di dire qualsiasi altra cosa.
"Sei qui" sorride teneramente, lasciandomi una carezza sulla guancia e permettendomi di posare il mio viso sul palmo della sua mano morbida.
"Sei pronta?" le chiedo, avviandomi e girandomi subito dopo per porle la mia mano. Lei mi guarda per qualche istante, mordendosi il labbro inferiore e pensando così tanto che credo potrebbe prenderle fuoco il cervello da un momento all'altro.
"So quante cose vorresti dirmi, so che ti devo una spiegazione e so anche che sei arrabbiata con me. Ma adesso stiamo per vivere uno dei momenti più belli della nostra vita, godiamocelo ti prego" le dico, mettendomi di fronte a lei ed incastrandomi tra le sue gambe leggermente aperte. "Ah e smettila di morderti il labbro inferiore, che sai quanto mi manda fuori di testa" le sussurro nell'orecchio, baciandola così intensamente da toglierle il fiato per qualche secondo. La prendo per mano e saliamo nello studio medico, con ancora il respiro affannato per colpa di quel bacio e gli occhi felici.
Cerco di immagazzinare ogni più piccolo dettaglio, rendendolo per sempre indelebile nella mia mente. Il vestito di Ludovica portato fin sotto al seno, la mia mano intrecciata alla sua, quel lettino morbido, i brividi sulla pelle della pancia a contatto con il gel freddo, i suoi occhi che non fanno altro che cercarmi, le mille domande della dottoressa e i suoi sorrisi. "Siete così giovani, è bello vedere la vostra voglia di mettere su famiglia" ci dice la dottoressa, porgendoci un sorriso che ci dona subito un'aria di casa.
"È tanto che state insieme?" chiede, mentre Ludovica mi stringe di più la mano e accarezza la superficie del mio anello con la pietra nera.
"Sono tre anni, ci siamo sposati da pochissimo" le rispondo io, posando subito dopo lo sguardo su Ludovica che sta ancora sorridendo. E vorrei solo baciarla, per tutti i giorni in cui non ho potuto farlo e mi è mancata come l'aria nei polmoni.
"E questo piccoletto o questa piccoletta è stato desiderato o è arrivato un po' all'improvviso?" domanda ancora quasi con la stessa tenerezza di una mamma, con lo stesso modo di donare cure ed attenzioni.
"Diciamo che è arrivato quando meno ce lo aspettavamo, ma è stato desiderato con tutto il cuore possibile" rispondo semplicemente io, mentre Ludovica mi guarda e gli occhi le brillano più del solito. Quasi fosse orgogliosa di noi, di ciò che siamo, di ciò che abbiamo costruito passo dopo passo.
"Posso farti una domanda?" mi chiede poi rivolgendosi a me, mentre con un gesto della testa le do il consenso. "Non vorrei sembrare indiscreta, ma sei Irama, vero?" mi chiede imbarazzata, mentre si sistema su uno sgabello ed intanto accende il piccolo monitor accanto a noi. Io le sorrido, per poi risponderle affermativamente e nascondere il viso paonazzo dall'imbarazzo.
"Sono stata a due tuoi concerti, le mie figlie ti adorano e ti seguono dal primo giorno in cui sei entrato ad Amici. Hai dei testi davvero spettacolari, complimenti. Ti avevo riconosciuto subito, ma non volevo sembrarti invadente" mi spiega con voce gentile, poi prende l'ecografo e aiuta Ludovica a sistemarsi meglio nel lettino. Sto per vedere su un piccolo schermo mio figlio e credo che niente potrà mai rendermi più felice di così. Mi tremano le mani, le gambe, persino il cuore.
"Ecco a voi il vostro piccolo inquilino" dice affibbiandogli quel soprannome così dolce e abbassandosi leggermente gli occhiali dal vista sul naso per guardarci meglio. E d'improvviso tra il bianco, il grigio e il nero dello schermo si intravede un piccolo puntino, grande quanto una nocciolina, un fagiolo o che so io, che se ne sta fermo e respira in uno spazio grande quanto la mia mano. Ludovica lo vede e il suo petto inizia ad abbassarsi ed alzarsi più in fretta, come se l'emozione fosse troppo grossa persino da contenere. Io sbatto gli occhi incredulo, come se tutto mi sembrasse un sogno troppo bello per me. È così vicino che posso sfiorarlo e allo stesso tempo così lontano, che mi sembra di essere finito dentro ad una fiaba.
"Proviamo a sentire il cuore?" ci chiede, mentre le nostre teste sanno solo fare su e giù, donandole il si più sincero della nostra intera esistenza.
Tum tum tum
Il suono più bello che io abbia mai sentito, quello più perfetto, armonioso e completo che le mie orecchie abbiano mai incontrato.
Tum tum tum
Dai miei occhi sfugge una lacrima, poi un'altra e un'altra ancora. Senza sosta. Senza freni. Ludovica si gira verso di me e cerca di asciugarmi il viso con l'aiuto della sua mano. Mi guarda con quella sua solita dolcezza che mi disarma, perché nessuno sarà mai in grado di farmi sentire così tanto amato. Con quei suoi occhi che diventano più scuri, quasi più intensi e posso riflettere nelle sue iridi tutto l'amore che prova per me. E mi guarda come se fossi l'unica cosa bella che abbia mai visto. Ed io la ricambio, guardandola come se fosse l'unica cosa che io abbia mai desiderato nella mia vita.
Tum tum tum
È tutto un susseguirsi di battiti forti, decisi, energici che mi riempiono le orecchie, il cuore, lo stomaco.
Che mi donano aria nuova nei polmoni.
Che mi riempiono la vita di bellezza.
Perche quella magia l'abbiamo creata noi e non posso che sorprendermi di fronte a tanta perfezione.
Tum tum tum
Le lacrime ormai sono singhiozzi che devo cercare di reprimere in tutti i modi possibili, che non posso crollare così davanti ad un'estranea che non farà altro che pensare a quanto sono esagerato e mi farà sentire un completo idiota. Ma in questo momento, su quel monitor, ho appena visto la cosa più bella della mia vita e non posso restare indifferente.
Tum tum tum
Mi abbasso su Ludovica e la bacio. La bacio con un'intensità tale che credo potrebbe scoppiarmi il cuore da un momento all'altro. La bacio mentre la dottoressa ci sorride e pensa a quanto siamo belli, a quanto ci amiamo, a quanto questo momento resterà indelebilmente stampato nella nostra mente.
"Non avrei mai potuto perdermi l'emozione più intensa di sempre" la rassicuro, allacciandomi al discorso lasciato a metà solo qualche minuto prima nel parcheggio qui sotto.
"Tutto procede per il meglio. Il bambino sta crescendo nella maniera giusta ed è forte e sano" ci rassicura la dottoressa, passando sulla pancia di Ludovica un pezzo di carta per pulirla dal gel e permetterle di rivestirsi.
"Cerca di evitare gli sforzi, non stancarti e goditela il più possibile. La prima gravidanza non si dimentica mai" si rivolge a Ludovica, posando la mano sul suo braccio e accarezzandoglielo leggermente.
"Comunque ho visto raramente delle reazioni così commoventi alla prima ecografia. Ho percepito ogni singola briciola delle tue emozioni, sarà fortunato o fortunata ad avere un papà così" mi dice superandomi e andandosi a sedere dietro alla scrivania piena di fogli e cartelle.
"È straordinario" le risponde Ludovica, che io sono ancora un po' imbambolato da tutte queste emozioni insieme e non riesco a mettere in fila nemmeno il più banale dei discorsi.
Dopo pochi minuti stiamo scendendo le scale mano nella mano e ci ritroviamo nell'atrio di questo storico palazzo di Milano. Senza avvisarla la osservo per qualche secondo e poi la prendo in braccio, facendola roteare su se stessa per quattro o cinque volte. Almeno finché la mia testa non inizia a girare e non rischio di farla cadere dalle mie braccia e precipitare sul pavimento addosso a lei.
"Sei felice per caso?" mi chiede scuotendo la testa e sistemandomi la giacca di pelle, appena i suoi piedi toccano di nuovo la terra ferma e può riprendere a camminare.
"Grazie per avermi insegnato cosa significa amare" le sussurro, accarezzandole una guancia e lasciandole un tenero bacio a fior di labbra. Lei resta spiazzata, che le mie dichiarazioni spontanee ed improvvise la destabilizzano sempre un po'. Le sorrido, torno indietro verso di lei e la prendo per mano accompagnandola fuori dal portone d'ingresso. Proprio lì, appoggiato contro il muro di colore giallo, con una sigaretta tra le labbra e un pacchetto regalo nell'altra, c'è Lorenzo. Appena usciamo si volta verso di noi e ci corre incontro, gettando la sigaretta appena iniziata dentro qualche tombino e sorridendo come un deficiente.
"Lori!" urla Ludovica, abbracciandolo forte e lasciandogli un bacio sulla tempia. Posso essere geloso quanto mi pare, ma allo stesso tempo posso giurare di non aver mai visto un'amicizia bella e vera come la loro. Con quel rapporto talmente stretto da essere quasi fratelli, pronti a tutto pur di difendere l'altro da ogni tipo di male.
"Cosa ci fai tu qui?" gli chiedo, indicandolo con un cenno della testa e accennando un sorriso.
"Sono venuto per accertarmi che non fossi un coglione e appena ho visto la macchina mi sono tranquillizzato" mi dice, mentre Ludovica passa lo sguardo da me a lui, con l'espressione di chi ha capito tutto ma farà finta del contrario.
"Così, mentre aspettavo, ho fatto un giro in zona e..." non finisce nemmeno di parlare, che passa in mano di Ludovica quel piccolo pacchetto regalo rosso. Poi abbassa lo sguardo e nasconde le mani in tasca, che se lo guardo bene mi sembra abbia ancora la faccia di quel bambino timido e riservato incontrato almeno quindici anni fa. Fatto da capelli neri e corvini e con il viso ricoperto da lentiggini, con due pozze blu al posto degli occhi e una voce che riconoscerei tra quella di un milione di altre persone.
"Ma è una meraviglia!" esclama innamorata lei, mentre si rigira tra le mani un piccolo completino da neonato. È un costumino da Mickey Mouse tutto rosso e nero, abbinato a dei minuscoli calzini rossi e persino ad un cappello con le orecchie da topolino. Me lo passa e appena lo prendo in mano un turbinio di sensazioni mi invade, sarà così piccolo che a stento riesco ad immaginarlo. Sarà piccolo esattamente come questa sua prima tutina che tengo stretta in una mano ed io sarò il suo papà.
Papà. Una parola. Due sillabe.
Mi sembra tutto dannatamente incredibile.
"È il suo primo completino, grazie zio" gli da un altro bacio sulla guancia, prima che Lori si abbassi per accarezzarle la pancia e salutare quel minuscolo inquilino grande quanto un cecio.
Ne approfittiamo per fare una passeggiata nei dintorni, chiacchierando del più e del meno come ai vecchi tempi e non mi sembra vero. È il primo giorno dopo mesi interi che posso permettermi di camminare per le vie di Milano con il mio migliore amico e la mia fidanzata, senza essere fermato nemmeno da una persona. Respiro finalmente un po' di libertà, soprattutto in una giornata così particolare. Una birra in mano, un po' di shopping e nel portafoglio la foto più preziosa che potessi desiderare.
"Ah, stavo quasi dimenticando...prima che tu vada a casa" dico, prendendo una cosa dalla tasca della giacca. "Magari te l'attacchi al frigo" gli faccio l'occhiolino, regalandogli una copia dell'ecografia fatta solo qualche ora fa. Lorenzo per i dieci minuti successivi continua solo a fissarci e a ripeterci di quanto sia piccolo, minuscolo, invisibile quell'essere umano che è dentro Ludovica. E noi continuiamo solo a guardarlo, a guardarci e poi sorridere per il suo essere così tenero, che a volte mi mette persino i brividi. Così puro, che non mi ci abituerò mai.
"Buonanotte Loris" gli dico, chiudendogli la portiera della macchina e accompagnando Ludovica fino alla sua.
"Torni a casa?" mi chiede tenendomi per la giacca e non lasciandomi muovere nemmeno di mezzo centimetro.
"Non potrei andare altrove, anche perché abbiamo delle valigie da preparare" la avviso entusiasta, mettendo la lingua tra i denti e facendo una smorfia simpatica.
"E dove pensi di andare, Fanti?" mi domanda incuriosita e con gli occhi grandi, appena le sue labbra si posano sulle mie.
"Lo scoprirai molto presto, bimba" la liquido, chiudendo la sua portiera e correndo in fretta verso la mia auto parcheggiata poco distante.
L'aereo è un mezzo di trasporto che non smetterà mai di mettermi ansia e agitazione, anche se devo affrontare viaggi brevi quanto un pisolino.
Ludovica è seduta nel sedile accanto al mio e se la sta ridendo da minuti interi ormai, mentre io le tengo la mano poggiata sul bracciolo e gliela stringo così tanto da fargliela diventare tutta bianca.
"Te ne stai fermo un attimo, mh?" mi prega ormai sfiancata, dato che non faccio altro che muovermi sul sedile e darle gomitate da tutte le parti.
"Vorrei dormire un po', sono distrutta" mi sussurra, appoggiando la testa sulla mia spalla e chiudendo di nuovo gli occhi. La gravidanza le sta mettendo tanta stanchezza addosso, ultimamente non fa altro che appisolarsi in ogni angolo, in ogni momento e nel giro di qualche misero secondo. La guardo con la coda dell'occhio, mentre si assopisce e le labbra le si schiudono leggermente. È così bella in questi giorni che l'unico pensiero che mi balena in mente è quello di sentirla mia, costantemente. Ho la sua testa appoggiata sulla spalla e non mi muoverei per nessuna ragione al mondo, non esiste posizione più comoda di questa. Improvvisamente mi passa la paura, o almeno si placa in un angolo e si zittisce, permettendomi persino di respirare in una maniera normale e di fermare il tremito del mio ginocchio sinistro.
Appena arriviamo ci precipitiamo in hotel per farci una bella doccia e goderci un po' di meritato relax. Ho comprato questi due biglietti aerei il giorno in cui ho deciso di scappare per un po', promettendomi di tornare il più in fretta possibile e portarla via per un po'. Ho chiamato Lorenzo e abbiamo iniziato a navigare online, cercando una meta che facesse al caso nostro. Appena il mio amico mi ha avvisato che ce n'erano due per Ibiza con la partenza dopo qualche giorno, ho pensato fosse l'occasione perfetta. Ultimamente ho lavorato tantissimo, con Sanremo, l'uscita del nuovo disco, gli instore, le date del tour primaverile e tutto il resto non ci siamo fermati nemmeno un istante. Adesso abbiamo davanti un'altra estate intensa, un nuovo singolo in uscita e un tour estivo pieno di date.
Una pausa da tutto ci voleva proprio.
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Esco dalla doccia e la ritrovo stesa sul letto. Un asciugamano bianco che le copre il corpo e i capelli ancora bagnati, lasciati cadere morbidi sulle spalle. È una visione magnifica, che non mi stancherei mai di guardare. Resto per un po' appoggiato allo stipite della porta, godendomi ogni sua singola mossa, ma appena sente la mia presenza si volta verso di me e sorride. Il mondo attorno si ferma. Così, come se non esistesse più qualcosa al di fuori di queste mura.
Si alza e si avvicina verso di me, facendo cadere l'asciugamano a terra e calpestandolo con i piedi per raggiungermi. Nello stereo le note di qualche mia canzone si susseguono e ascoltandole rivivo ogni istante della nostra storia. Ludovica è davanti ai miei occhi completamente nuda e mi manca così tanto sentirla, che i pensieri si scollegano di colpo, creando un blackout nel mio cervello. Buio.
"Lulù" riesco a sussurrare, mentre più si avvicina, più mi faccio indietro, fino ad arrivare ad appoggiare la mia schiena al vetro della finestra.
Le sue labbra finiscono sulla curva del mio collo, mentre cerco di stringere la presa al termosifone a parete e non perdere il mio autocontrollo. Sono certo che anche solo il misero contatto con i suoi occhi, mi potrebbe mandare fuori di testa. Mi sta mettendo in difficoltà e sa esattamente come farlo, forse questa è la cosa che mi fa più impazzire di lei. Il suo modo di baciarmi, stringermi, farmi sentire vivo.
Di amarmi con tutta sé stessa.
Ludovica sta continuando a baciarmi il collo, per poi scendere giù sull'osso della clavicola e risalire verso le labbra. Anche se appena la mia bocca entra in contatto con la sua, lei si tira indietro facendomi gemere e sorridendo divertita. E questa cosa mi toglie ogni freno inibitorio. Siamo innamorati da anni, ma la passione che proviamo l'una per l'altro non si è assopita nemmeno un po'. Abbiamo sempre il bisogno quasi viscerale di sentirci dentro, forti come un pugno allo stomaco. Con la potenza di un amore talmente immenso, da far dimenticare per un po' ogni tipo di problema, difficoltà ed incomprensione. Lasciandoci andare e portando con noi solo i ricordi belli ed incredibili, senza le paure e le insicurezze. Come due che ormai non sono più ragazzini, ma che hanno la stessa voglia di essere incoscienti e folli insieme. Dimenticando il resto per un po', lasciandolo fuori da questa magica bolla di spazio che riusciamo a crearci e che rimarrà solo nostra.
La prendo per i fianchi improvvisamente, attirandola di più a me e facendo strusciare i nostri corpi seminudi uni contro l'altro. Ludovica resta perplessa per un istante, finché non decide di far scendere la sua mano verso il mio ventre e slacciarmi con un gesto sensuale l'asciugamano legato in vita. Adesso siamo uno attaccato all'altra, con i corpi già sudati e nudi e una sensazione di volersi liberare da tutto il superfluo. La guardo e lei mi guarda, aspettando la mia decisione. La spingo all'indietro, per poi farla cadere di schiena sul letto morbido mentre lancia un piccolo urlo, colta completamente alla sprovvista.
"Vorresti davvero fare l'amore con le tue canzoni in sottofondo?" mi chiede furbescamente, attirandomi a se e baciandomi con passione. Intanto la melodia di Voglio solo te riempie le nostre orecchie, cullandoci nelle nostre coccole.
"Sai quanto il mio ego sia smisurato. E poi trovo che sia il suono di fondo perfetto per accompagnarci" le rispondo a tono e vedo i suoi occhi scintillare di luce. So quanto ama questo mio modo di fare sicuro e sfacciato, con la risposta sempre pronta e l'occhiolino a concludere.
"Sei così bella" mormoro sulle sue labbra, che lei ha solo bisogno di farle scontrare ma io mi tiro subito indietro.
Facendola impazzire completamente.
"E tu sei così vanitoso" scherza ancora, attirando tra i suoi denti il mio labbro inferiore e mordendolo delicatamente.
Il vociare delle persone fuori dalla nostra camera d'albergo, sembra non toccarci minimamente. L'unica cosa che riusciamo a sentire sono i nostri respiri sempre più affannati e bisognosi e il rumore dei nostri baci, di lingue che si intrecciano, di labbra che si assaporano ogni secondo. Come se non riuscissero a resistere separate.
La sento sussultare quando con le labbra screpolate scendo sui suoi seni ed inizio a giocarci, sfiorandoli con la lingua. Ma la lascio completamente disarmata quando, con una mano, inizio ad avvicinarmi sempre di più al suo interno coscia e ad accarezzarle la sua parte più sensibile. Inarca la schiena all'indietro, abbandonandosi completamente sotto di me e spingendo il suo corpo contro le mie dita, cercando di soffocare qualche gemito sul mio collo, sulle labbra o tra i miei capelli. Io la guardo e mi sento fortunato a poter godere di quello spettacolo ogni volta che desidero. Che avere il completo controllo su di lei e vedere quanto riesca a renderla debole ad ogni mio tocco, mi dona la sensazione di avere il mondo tra le mani.
Mentre muovo le mie dita dentro di lei, la sua mano scende sempre più in basso fino a sfiorare la mia lunghezza, ormai dura. La prende in mano, iniziando a muoverla dall'alto verso il basso ed io a stento riesco a deglutire o a continuare a mantenere l'attenzione sulla sua parte più sensibile e bagnata. I miei baci sul suo seno, il suo muoversi sotto di me, le mie dita dentro di lei, le sue mani tra i capelli. È qualcosa che va oltre il sesso ed il bisogno carnale, lo chiamerei amore. Ma forse è anche più di questo.
I nostri respiri sono sempre più accelerati, i gemiti più forti e difficili da soffocare e i sorrisi sempre più belli. La superficie della nostra pelle è sudata, i capelli disordinati ed arruffati, le lenzuola sotto di noi ormai tutte stropicciate.
"Dio, Lulù" riesci solo a sussurrare, con il respiro mozzato in gola e la sua mano che non smette di muovere la mia lunghezza. Le dita di Ludovica tengono strette i lembi del lenzuolo e non riescono più a concentrarsi sulla mia intimità, quando aumento i movimenti delle mie dita dentro di lei e non le permetto nemmeno di prendere fiato in modo normale. Con uno sguardo beffardo le sorrido, mentre lei si inarca ancora all'indietro e spiaccica la sua schiena contro il materasso.
"Filippo, cazzo" mormora in un gemito, attirandomi verso di se e baciandomi così intensamente da levarmi un po' di fiato. E vederla così sensibile ad ogni mio tocco, sapere che le sue sensazioni sono anche le mie, che in questo momento sta bene ed è tutto merito mio, credo che sia una delle emozioni più belle che io abbia mai provato.
Si morde il labbro e poggia la sua testa contro la mia spalla, stringendo le sue unghie sulla carne della mia schiena e soffocando qualche gemito sulla mia pelle. So che è quasi al limite, lo sento dal suo modo di muoversi sotto di me, da quel leggero tremito, dal suo contorcersi e cercarmi continuo. Così levo le dita, all'ultimo secondo, lasciandola con l'amaro in bocca a qualche secondo dal culmine.
"Ti odio così tanto" sussurra, con il petto che si alza e si abbassa velocemente e la lingua incastrata tra le labbra. Non le do nemmeno il tempo di rispondere, che entro con delicatezza dentro di lei. Beandomi di ogni singola e più piccola sensazione. Ogni spinta è un respiro spezzato a metà, è un mischiarsi dei nostri nomi sussurrati dalle labbra secche e gonfie dai troppi baci, è odore di pelle felice. Ogni movimento, più lento o veloce che sia, è un gemito soffocato in un bacio o tra i capelli dell'altro, è un cercarsi di mani che hanno bisogno di stare unite, è il mio profumo intenso che si mischia con il suo più dolce. È un togliersi di dosso la mancanza di baci.
"Oh, Filippo" mi sussurra sulle labbra ed il suo respiro si fa mio, restituendomi tutta la vita di cui ho bisogno. Mentre facciamo l'amore amo guardarla, sentirla dentro di me e gustarmi ogni singolo sapore, ogni smorfia, ogni sorriso. Lasciare che il mio corpo si muova con il suo e crei amore, mentre a me basta guardarla per sentirmi subito più vivo. Amo guardare il suo modo di sorridere, con gli occhi che diventano piccoli come due fessure. Le labbra schiuse come a far entrare un filo di ossigeno, con quel color malva che sembra abbiano sempre un velo di rossetto sopra. Ma più di tutto questo, amo incrociare i suoi occhi, quasi liquefatti dal piacere, così intensi come capita raramente. Che se qualcuno mi chiedesse di elencarle, le ricorderei tutte le volte in cui li ho visti così immensi.
"Così Fil, così. È tutto perfetto" mi invita a continuare e così le mie spinte cambiano e aumentano di velocità, diventando più profonde. Il suo corpo che ondeggia con il mio e le sue dita che tirano le punte dei miei capelli, facendomi letteralmente impazzire. Gemiamo entrambi in una maniera così pura e viscerale che tutte le volte mi lascia sorpreso, come se davvero ci stessimo restituendo a vicenda qualche briciola di vita.
Si sta mordendo il labbro e mentre lo fa mi cerca con lo sguardo, avvicinandosi di più a me e soffocando un gemito con il mio nome. So che sta per raggiungere l'orgasmo e anche io sento di essere ad un passo dal culmine, così lascio che le spinte diventino più forti e rapide possibile.
"Sei la cosa più bella del mondo" le confesso e la mia verità la sorprende così tanto, che la sua bocca si schiude leggermente. E anche se in questo momento lei non riesce a dire nulla, i suoi occhi sanno sussurrarmi tutte le parole più belle che volessi sentirmi dire. Mi stanno amando nel modo più puro e istintivo mai provato prima ed io so solo di essere fortunato.
Dannatamente fortunato.
Pochi baci dopo, uno degli orgasmi più forti della nostra vita, travolge entrambi quasi nel solito momento. Stanchi, sudati, con il respiro decisamente fin troppo accelerato, ma raramente più felici di così.
Poco dopo Ludovica si sistema nel letto, posando il lenzuolo sopra al suo corpo nudo e coprendosi fin sopra al seno. Io ne approfitto per avvicinarmi a lei, aiutandomi con le braccia e poggiando la mia testa sulle sue gambe coperte. Stiamo per un po' così, con i respiri che man mano tornano normali e lei che attorciglia i miei riccioli attorno alle sue dita. Non ci diciamo niente di più, non ci guardiamo nemmeno, ma sappiamo leggere tra le righe dei nostri silenzi.
Mi giro su un fianco e le poso l'indice sulla pancia, compiendo movimenti circolari attorno al suo ombelico. Lei si intenerisce e sorride, continuando ad accarezzarmi i capelli e sbaruffandoli leggermente. La scopro, portando il lenzuolo a sfiorarle l'inguine e lasciando scoperto il suo busto. Tengo la testa ferma sulle sue gambe, mentre mi perdo a guardare di profilo la curva ancora invisibile della sua pancia, notando ogni singolo cambiamento del respiro.
"Ciao papà, ci sei mancato" mi sussurra Ludovica guardandomi e sapendo di colpire l'unico punto fragile. Io riesco solo ad appoggiare la mia mano sul suo ventre, senza dire nulla di più. Non so da dove iniziare ad affrontare il discorso, non so come togliermi il cerotto dalla ferita senza crearne una ancora più grande, non so quale sia il modo giusto di mostrarle le mie debolezze senza sbagliare.
"Anche voi, come l'aria" le rispondo, appena riesco a recuperare il fiato necessario per farlo.
"Filippo perché sei scappato?" mi domanda seria, coprendosi di nuovo e facendomi spostare dalle sue gambe. Io la guardo e capisco che è arrivato il momento di parlarle e spiegarle i meccanismi strani del mio cervello, ma mi blocco. Di nuovo.
"Ti devo delle spiegazioni e lo so. Ti chiedo solo un po' di tempo, ti prego. Ho deciso di portarti qui apposta per ritagliarci qualche giorno solo per noi e riuscire finalmente a parlarti di tutto quello che mi è passato per la mente in questi giorni. Solo che ho bisogno che tu sia ancora un po' paziente, Lulù. Va tutto bene, te lo giuro" sul finale la rassicuro, perché il suo sguardo spento e preoccupato non fa altro che entrarmi dentro e ferirmi come l'ennesima lama degli ultimi giorni.
Si sporge verso di me e mi lascia un bacio sulle labbra, uno di quelli dal sapore di bisogno, empatia, affetto, profondo e di luce. Uno di quelli che dentro riescono a nascondere tutto e a custodirlo, fin quando ce ne sarà bisogno.
"Non ho dormito molto e quando riuscivo a farlo era solo perché stringevo la tua felpa come se fossi con me" mi confessa e lo fa piano, come se fosse una cosa così intima da restare solo nostra.
"Sei la cosa migliore che mi sia mai successa, te lo giuro" le rispondo e la lascio a corto di parole e forse anche di fiato, visto che i suoi occhi diventano lucidi ma non riesce più a dire una parola.
"Tu sei impazzito" sorride, scuotendo la testa e baciandomi ancora, come se quello fosse l'unica risposta in grado di darmi.
"Ti va di andare in spiaggia?" mi chiede poco dopo, alzandosi dal letto e ondeggiando con il suo corpo nudo fino alla valigia. "Direi che hai decisamente bisogno di dormire e abbronzarti un po', visto che hai l'aspetto di un cadavere quasi decomposto" scherza, mentre infila un costume bianco con dei dettagli fioriti e mette alcune creme nella borsa di paglia.
"Ti ricordo che questo cadavere, poco fa, ti ha fatto provare uno degli orgasmi migliori della tua esistenza" le rispondo con aria beffarda, alzandomi nudo dal letto e avvicinandomi a lei, sfiorandole la schiena con il mio petto.
"Al secondo round pensiamo stasera, Fanti" mi blocca Ludovica, spingendomi via da lei con la forza delle braccia. Anche se dal modo in cui si infila il vestito, mi verrebbe voglia di ricominciare subito. Senza nemmeno chiederle il permesso.
"Comunque credo che dovresti smetterla di giocare con i miei sentimenti, sono sensibile alle critiche" dico offeso, cercando un costume tra l'immensa varietà che ho scelto di portare in valigia.
"Va bene piccolo Casper, scusami" mi prende in giro ancora sorridendo e fermandosi con il gloss sulle labbra, intenta a godersi la mia reazione. Io mi limito solo a scuotere la testa, baciandola. Che prenderci in giro e poi finire per baciarci, rimarrà sempre una delle mie cose preferite.
Abbiamo deciso di noleggiare un gommone, è sempre stata una di quelle esperienze che tenevo nei primi posti delle cose da fare prima di morire e non ho saputo resistere. Il mare, la poca dimestichezza con il mezzo di trasporto e un briciolo di destino, ci hanno scaricati in una piccola spiaggia deserta non troppo distante dal nostro punto di partenza. Uno di quegli angoli di mare blu lontani dal resto del mondo, dove l'unico rumore che si sente è quello delle onde che si infrangono a riva. Mi sento come se avessi appena trovato un piccolo angolo di paradiso e fosse solo mio e suo.
Un posto solo nostro.
Ludovica non fa altro che scattare fotografie in ogni dove, catturando ogni più piccolo dettaglio e rendendolo meraviglia. Ma soprattutto sembra non sappia far altro che immortalare ogni mia singola espressione, come se attraverso uno scatto volesse far rivivere il mio sorriso.
"Sei bello" mi lascia un bacio e lo fa con la solita tenerezza di una bambina, con quel suo modo di fare sincero e ingenuo che mi fa innamorare ogni istante di più.
Ludovica è il mio esatto opposto: tenera, indifesa, con il timore di parlare e dire la cosa sbagliata. Io, invece, più impulsivo, strafottente, con la dote innata di sputare fuori parole e ferire chi ho accanto, un po' come se fosse una sorta di schermo di protezione. Lei seduta in un angolo ad osservare. Io al centro dell'attenzione in qualsiasi situazione. Lei una bambina cresciuta troppo in fretta, con una testa da donna matura. Io un'immatura testa calda con un cervello ingarbugliato di pensieri, troppo scervellotici per la mia giovane età. Lei fragile fuori, ma incredibilmente forte dentro. Io con una maschera di ferro possente, ma con un'anima in frantumi. Lei un raggio di sole, splendente e trasparente come l'acqua del mare. Io tenebroso, permaloso e così difficile da prendere che tutti hanno sempre preferito rinunciare. Lei sempre pronta a tendere una mano, a perdere anche ad un pezzo di se stessa pur di restare accanto a chi ama. Io esigente con me stesso e con gli altri, sempre pronto a puntare il dito e a scaricare la colpa.
Ma allo stesso tempo, è identica a me. La stessa paura dei sentimenti, di lasciarsi andare e rischiare di dover combattere contro le ferite di una vita vissuta e di un passato non facile. Lo stesso modo di scappare per isolarci dal mondo, per paura di mettere in gioco troppo, di rovinare tutto, di essere troppo o troppo poco. Lo stesso identico modo di urlare, di arrabbiarsi, di gridare parole e vomitare quelle che in quel momento sembrano verità, ma che si trasformano presto in cose insensate. Gli stessi occhi profondi, in cui rispecchio il mio passato fin troppo difficile e le mie ferite cicatrizzate. Le stesse famiglie che ci hanno distrutto, rendendoci persone diverse, più ciniche e fragili.
Un elenco infinito di cose che ci accomunano e uno, altrettanto lungo, di cose in cui siamo distanti anni luce. E non so davvero se sono gli opposti che si attraggono, o i simili che cercano i propri simili. So solo che quando ho incrociato il suo sguardo per la prima volta, ho sentito una specie di zing. E ci ho provato a dimenticare quella sensazione, a nasconderla persino a me stesso, ma in realtà non ne sarò mai capace. Mi sono innamorato di lei sin dal primo istante, è questa la verità.
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"Scusami se sono scappato" le dico improvvisamente, mentre la sua testa e poggiata sulla mia pancia e stiamo ascoltando un po' di musica. Lei si alza, voltando il suo sguardo e sospirando pesantemente, come se avesse capito che è arrivato il momento di aprire l'argomento. E sarà difficile, faticoso e tremendamente pesante farlo.
"Io sono qui, pronta ad ascoltarti" mi lascia un bacio tra i capelli e si siede di fronte a me a gambe incrociate, lasciandomi il tempo e lo spazio necessario per aprirmi.
"Quando ho scoperto di questa piccola lenticchietta" mi fermo per accarezzarle la pancia e coccolarla con gesti dolci. "Ho sentito la felicità invadermi le vene, ti giuro. È stata la sensazione più intensa della mia intera vita. Credo che niente riuscirà mai a rendermi più felice di così, mi hai fatto sentire completo. Completo e leggero" mi blocco per prendere un respiro, mentre le sue labbra si sono piegate in un sorriso e attende solo che io continui.
"Non ho pensato minimamente a tutto il resto: quello che ho passato, le mie ferite, nemmeno a cosa significasse per me sentire pronunciare la parola figlio. Mi sono semplicemente goduto la mia felicità, come non mi succedeva da secoli. Poi - " mi interrompo ancora, che quel nodo in gola non fa altro che ingrossarsi ed io non so come continuare. "Poi, ho passato la notte prima di scappare a guardarti dormire, respiravi così profondamente che la pancia non faceva altro che alzarsi ed abbassarsi allo stesso ritmo del tuo cuore. Ho chiuso gli occhi e credo di aver sentito battere i vostri due cuori insieme dentro al mio stomaco, forti come un pugno ben assestato. Lì ho dovuto sbattere la faccia contro tutte le mie paure, di colpo, senza via di scampo. E come al solito non ho saputo affrontarle, o forse il timore più grande era quello di fare del male a te parlandotene " le confesso, mostrandole tutte le mie insicurezze e mettendole per l'ennesima volta il mio cuore tra le sue mani. Lei resta in silenzio, con gli occhi fissi nei miei e la sua mano ad accarezzarmi il ginocchio. Come se mi volesse trasmettere tutto il suo amore, in un momento così delicato come questo.
"Sono scappato perché ho avuto paura" lo dico nel tempo di un soffio, socchiudendo leggermente gli occhi per il timore di vederla andare via e allontanarsi da me. Non sono mai stato bravo con le confessioni del cuore, proprio perché la verità mi terrorizza. Ho la costante angoscia di non saper essere abbastanza per le persone che mi circondano e di vederle allontanarsi da me. Ma lei non si muove, non parla, respira così piano che il suo petto si muove a malapena.
"Ma non di te, di noi, di quello che dovremmo affrontare e nemmeno di questa lenticchietta, inquilino, fagiolino o in qualsiasi altro modo tu lo voglia chiamare. Ho avuto paura di perdere tutto. Un'altra volta, come quando ero solo un ragazzino di diciassette anni" il mio cuore si sta aprendo come una voragine, talmente profonda da farmi male a tutto il petto. Da non farmi tirare un respiro. Come una coltellata spregevole che non si ferma, che supera strati di pelle, centimetri di carne e arriva in profondità. Fino a toccarti la parte più fragile, quella più viva, quella dove nascondiamo le cose preziose.
"Sono passati anni interi, lunghi, estenuanti, ma non potrò mai dimenticare quanto è stato terribile il dolore di quel giorno. Quanto è stato lancinante sentire quel coltello piantarsi nel cuore, senza alcuna pietà e la gola bruciare dalle urla. Quanto tutto fosse buio, persino i fari delle macchine che quella notte sfrecciavano in autostrada. E non potrei mai perdonarmi se accadesse di nuovo. Tu sei la mia vita e forse questa è la prima volta che te lo dico, lo so. Averti è la certezza più fondamentale che io abbia e non potrei mai pensare di perdere tutto." la guardo negli occhi, mentre i suoi si fanno lucidi all'istante e la sua commozione le fa abbassare la testa verso la sabbia fine. Tira su con il naso, mentre si libera da quelle lacrime che ormai non sono più in grado di essere trattenute e vogliono uscire libere.
"Sapere di aver creato qualcosa di così meraviglioso, è una sensazione che nemmeno riesco a spiegarti. Questo piccolino l'ho sentito dentro dal primo istante in cui ho scoperto della sua esistenza e pensare che potrebbe accadergli qualcosa di brutto, è una variante che mi terrorizza" le confesso ancora, che ormai anche il mio viso è interamente bagnato da lacrime salate, in un misto di sapore amaro e dolce, somigliante a quello della mia vita.
"Ho pensato e ripensato ad ogni eventualità, ad ogni più piccolo dettaglio, a tutto ciò che di brutto potrebbe accaderci. Non ho dormito, né tantomeno avuto la forza di mangiare, mentre sono stato separato da voi. Ho solo fumato tantissimo, scritto e pianto. Come se non fossi in grado di fare altro" le sussurro, con la voce che mi si spezza a metà in gola ed esce strozzata da una punta di dolore, troppo infame per lasciarmela passare.
"Quindi scusami se ti ho fatto preoccupare, se sono scappato senza darti spiegazioni per l'ennesima volta, se ti ho fatto anche solo credere che per me avessi il valore di un misero biglietto di carta straccia. Scusa se quando le paranoie mi assalgono non sono mai in grado di parlartene, scusa se mi lascio sempre affossare dal mio dolore, se non riesco mai a guardare oltre e vedo sempre e solo il peggio. Scusa se non sono perfetto come meriteresti" non riesco a dire altro perché i singhiozzi si stanno impossessando di me e non mi danno modo di continuare. Mi abbasso su di lei e nascondo la mia testa nel suo grembo, lasciando che le sue braccia mi avvolgano e mi facciano sentire protetto.
"E questi giorni sono serviti ad arrivare ad una conclusione?" mi domanda dopo qualche minuto, con una punta di rabbia e rancore sciolti nel colore della sua voce.
"Perdendo voi, perderei me stesso per sempre. Mi stai chiedendo se mi fa paura? Mi terrorizza così tanto che ho i brividi solo a pensarci. Ma non posso rinunciare a vivermi tutto questo e lasciar vincere la paura. Nella vita non mi sono mai abbattuto, lo sai. Dopo ogni caduta mi sono rialzato, ho curato le ferite, ho riattaccato i pezzi andati in frantumi, ho saputo ricucire i lembi della mia vita. La paura non mi ha mai fermato e non lo farà nemmeno questa volta, anche se è la forma più bastarda che io abbia mai provato" questa spiaggia ormai è nostra. Il nostro angolo di Paradiso dove tutto sembra prendere forma, persino le confessioni più difficili. Tutto scorre semplice come queste onde, tutto è trasparente come l'acqua davanti ai nostri occhi, tutto sembra più facile visto da qui.
"A volte non ti capisco, Filippo" sussurra stanca, scuotendo la testa e sospirando.
"Io non mi capisco mai, sono un dannato casino" le rispondo, cercando di disciogliere la parola scusa in qualche frase appena sussurrata.
"Vorrei solo che ti fidassi di me, ma non ci riesci mai. Continui a promettermelo, ma poi finisci sempre per scappare da tutto" mi dice con la voce spezzata, girandosi dall'altra parte a guardare il mare, per non farmi notare le lacrime sfuggite al suo controllo.
"Sono in disastro totale, da sempre. Uno costantemente in disordine, che sente troppo, di tutto. E che, puntualmente, non sa gestire le proprie emozioni. Sono un caos totale, come quelle matasse di cui non trovi mai il capo iniziale. Soprattutto quando si tratta di sentimenti, di novità, di stravolgimenti, di passato e di ferite. Quindi praticamente sono un casino in tutto. Ma tu sai essere il mio ordine. Il punto di equilibrio perfetto, della mia vita costantemente incasinata. Tu sei l'amore che da un senso alla mia vita, colei che ha trovato il capo, quella che ha saputo mettere a posto tutto. La mia testa, il mio cuore, le mie ossa. E lo so che mi odi, cazzo. Mi odio anche io quando faccio così, credimi. Ma" mi interrompo perché le cose che sto dicendo mi stanno soffocando come due mani strette attorno alla gola. So quanto il mio comportamento ed il mio carattere la facciamo soffrire a volte, quanto sia complicato restarmi accanto nonostante tutto, quanto sia sfiancante amarmi ogni giorno anche quando vorrei nascondermi persino da me stesso.
"Ludovica, io vi amo con tutto il cuore possibile e non potrei mai pensare di rinunciare a voi. Anche quando la testa mi urla di scappare, che ho bisogno di respirare, di ragionare, di stare da solo e dare un senso ai miei pensieri sconclusionati e ammucchiati. Sono tornato perché mi sento pronto a diventare papà. Vorrei già poterla tenere tra le braccia e cullarla, voglio vivere ogni istante di questa gravidanza con te, voglio vedere questo pancino crescere e assecondare le tue voglie assurde. Voglio sentire i suoi calcetti e commuovermi ad ogni ecografia. Voglio trovare il nome perfetto e comprare tutti quei libri da papà ansiosi e poco informati. Voglio urlare al mondo che avrò un figlio e mostrare a tutti quanto sei raggiante. Voglio sentirmi stringere dalla sua manina appena nascerà e pensare che dalla vita ho davvero avuto tutto" ad ogni mia parola non fa altro che piangere ed io sento il mio cuore scoppiare dalla voglia di baciarla. E di farlo per tutta la mia vita.
"Non so nemmeno immaginare quanto sia difficile per te concederti un'altra possibilità e riuscire a credere di nuovo in una cosa grande e importante come un figlio. E non ti ringrazierò mai abbastanza per averlo fatto con me, per me. Anche se sei e sarai sempre la persona che mi fa incazzare di più al mondo, senza ombra di dubbio. Ma sei anche l'unico per cui manderei a puttane tutta la mia vita, solo per vederti felice. Quindi scappa, fuggi, isolati, urla, grida, piangi o corri lontano da me.
Ma torna sempre a casa, ti prego.
Anche se ogni volta io non capirò il tuo comportamento e finiremo a litigare o a piangere come due bambini. Tu torna, io ti prometto che sarò lì ad aspettarti" me lo dice con una tale intensità che la mia pelle si ricopre di brividi. Che la verità nella sua voce, è in grado di ridurmi in frantumi il cuore. Che il suo amore è così tanto, che ancora mi chiedo cosa ho fatto per meritarmelo tutto per me.
"Ti amo" le sussurro, posando le mie labbra alle sue e baciandola.
Tutto d'un fiato. A perdifiato.
"Comunque hai parlato al femminile prima" sorride e scuote la testa, mentre io corrugo la fronte cercando di capire.
"Mentre parlavi di sentirti pronto a diventare papà e hai fatto quell'elenco meraviglioso, hai pensato ad una bambina" mi fa notare ed io automaticamente sorrido, poggiando la testa sul suo grembo e lasciandomi cullare un po'.
"Vorrei che lo fosse davvero, ho sempre sognato di avere una bambina" le confesso, socchiudendo gli occhi ed immaginando come potrebbe essere. Ci penso da tanto tempo, sopratutto da quando a Parigi ho trovato il coraggio di dire a Ludovica che avrei voluto avere un figlio da lei. Ci penso da quando ho comprato quella casa a Milano e ci siamo entrati insieme per la prima volta. Da quando ho letto la lettera di mia nonna ed una parte in particolare è stata in grado di spezzarmi. Ci penso da quando ho incontrato per la prima volta Celeste ed ha saputo rapirmi.
Ed è strano farlo così spesso, ancora di più adesso che sta diventando sempre più reale. Che appena chiudo gli occhi riesco ad immaginarmela benissimo, così simile a lei da farmi venire i brividi. Meravigliosa, con la testina piena di capelli, un sorriso contagioso, puntigliosa e testarda come me, fragile e dolce come lei. Con il suo stesso modo di saper leggere le emozioni delle persone che la circondano e quello imbarazzato di quando ti mancano le parole per esprimermi, esattamente come me.
L'esatto punto di equilibrio tra di noi.
Un po' io, un po' lei.
La stessa miscela che creano i nostri respiri quando facciamo l'amore. Esattamente quella magia.
Qualcosa di nostro.
Di eternamente nostro.
"Se fosse una bambina, sarebbe innamorata follemente del suo papà" mi sussurra, passando le sue dita affusolate tra i miei capelli e arricciandoli con dolcezza.
"Dovrei imparare a fare le trecce, i codini e a cambiare voce alle bambole" dico tra me e me, mentre una sua risata mi scuote e fa sorridere anche me.
"Per iniziare a fare pratica potresti provare a fartele su te stesso, allo specchio dovresti riuscirci" mi continua a prendere in giro, che ogni parola è una risata e non riesce nemmeno a parlare in modo normale. La guardo corrucciato, cercando di metterle il broncio perché le sue prese in giro non mi stanno aiutando, ma lei non smette di ridere. Lo fa così forte, che credo faccia eco per tutta la lunghezza di questa spiaggia. Io scuoto la testa, mentre inizio ad accarezzarle la pancia e a parlare con quella piccola inquilina. O inquilino. Ormai mi sto confondendo così tanto, che a volte vorrei poterlo scoprire domani e chiarire ogni mio dubbio.
"C'è papà qui, non preoccuparti. La mamma è un po' matta a volte, ma ti insegnerò come sopportarla" sussurro, avvicinandomi alla pancia ancora quasi piatta e solleticandole la pelle con quel velo di barba leggero che mi ritrovo. Ludo inizia a darmi dei leggeri schiaffetti in testa, unendo il tutto alla sua smorfia infastidita perché la sto prendendo in giro ma io non posso fare a meno di guardarla e ridere.
"Potrei innamorarmi ancora di più" risponde lei, appena smette di ridere e interrompendo una delle mie prime conversazioni serie con quel piccolo fagiolino.
"Di me?" le chiedo, facendole l'occhiolino e atteggiandomi da classico bad boy, pieno di ragazze che muoiono ai suoi piedi.
"Si. Cioè, se mai mi dovesse capitare di vederti farle le trecce o di sentirti cambiare voce a qualche peluche solo per farla ridere, potrei rischiare di innamorarmi più di adesso. E non so davvero quanto sia possibile" e qui, su questa spiaggia deserta, sotto il sole cocente di Ibiza, dopo averle aperto il mio cuore per l'ennesima volta, credo che quello che si sta innamorando sempre di più sia inevitabilmente io. Perché è bella da far invidia alle stelle, perché è mia e la sento dentro ad ogni respiro, perché mi ha salvato la vita e sta per donarmi un regalo così prezioso che non sarò mai in grado di ricambiarla. Perché qui, oggi, ci siamo sussurrati qualcosa di così importante che è un po' come un rinnovo delle promesse. Perché qui, con le mie dita a scorrere sulla sua pancia, ci stiamo amando.
E alla fine basta così.
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Luglio, Padova
Da una spiaggia deserta di Ibiza, ad una camera di albergo di Padova, il passo è davvero breve. Giusto il tempo di qualche mese. Un battito di ciglia fa era più o meno metà aprile e le paranoie avevano rischiato di farmi scivolare tra le dita la cosa più bella della mia vita. Oggi invece mi sono svegliato in una camera d'albergo, la mattina dopo uno dei concerti del mio tour estivo e mi ritrovo ad accarezzare la pancia di Ludovica che inizia ad intravedersi. Lei si stiracchia sotto le coperte, nascondendo il suo viso sotto al cuscino e pregandomi di lasciarla dormire ancora un po'. Ieri sera abbiamo festeggiato fino a tardi con gli altri, passando dal ristorante al bar con una facilità da adolescenti e dimenticandoci il cellulare, l'orologio o qualsiasi altra cosa ci riportasse con la testa alla realtà. Poi, rientrati in stanza, abbiamo passato il poco tempo della notte che restava, facendo l'amore. Così, ci siamo addormentati distrutti e felici solo qualche ora fa. E i mugolii continui di Ludo, me lo stanno ricordando.
"Parlate dopo, lasciatemi dormire vi prego" sussurra con la voce ancora addormenta e cercando di spostare il mio viso dalla sua pancia in qualsiasi modo a sua disposizione, ma senza mai aprire gli occhi.
"Non possiamo, oggi è un giorno importante mamma!" esclamo felice, alzandomi dal letto e saltellando fino ad arrivare ad aprire la tapparella, dando luce all'intera stanza. Ludovica alza la testa dal cuscino e mi osserva con uno sguardo glaciale, con ancora le palpebre a metà e i capelli riccioli tutti arruffati. Sbuffa e ride allo stesso tempo, prendendo la mia felicità e portandosela nel cuore. Poi controlla l'ora nel telefono, lamentandosi del fatto che abbiamo dormito solo quattro ore e che non abbiamo più l'età per fare serata fino a tardi.
"Sembro una mummia appena uscita dal museo egizio" si lamenta ancora, guardando il suo viso riflesso nello schermo della fotocamera interna e cercando di sistemarsi.
"Ho sempre adorato qualsiasi cosa avesse a che fare con gli egizi, non mi stupisce il fatto che mi sia innamorato di una parente stretta di Tutankhamen" mi avvicino e le lascio un bacio a fior di labbra, per poi andare a recuperare i pantaloni volati in un angolo della stanza solo qualche ora prima. Ma uno dei suoi sandali mi arriva dritto in testa, facendomi un male cane e facendola ridere di gusto. Una piccolo bernoccolo come vendetta me lo meritavo effettivamente.
Prendo dalla piccola valigia lo stretto necessario per cambiarmi e l'occhio mi cade su quella busta bianca ormai sgualcita, che mi porto dietro ovunque ormai da mesi interi.
Senza avere mai il coraggio.
Senza trovare mai il momento giusto.
Senza sapere come superare quel dolore.
La metto in tasca senza farmi vedere da Ludovica, per poi recuperare il cellulare e leggere il messaggio appena ricevuto.
È di Lorenzo e sembra avermi letto nel pensiero, come se non ci dividessero della pareti di mattoni spessi, ma fosse qui accanto a me ad ascoltare le paranoie del mio cervello.
Hai trovato il coraggio?
Ho sempre pensato che mi avessi messo una telecamera sotto pelle per controllarmi meglio, ma adesso stai iniziando a farmi paura
Quanto sei coglione
Filippo, lo sai che è arrivato il momento
Fa troppo male
Non so se ce la faccio, Lori
Tra qualche ora avete la visita e non è più il caso di rimandare. È giusto che la legga, che sappia cosa c'è scritto e che tu non le nasconda più nulla
Lo so, Lori. So che lo devo fare, ma è difficile pensare di dover scoprire di nuovo quella ferita e riaprirla per l'ennesima volta. Soprattutto in un momento così particolare della mia vita
So che vorresti solo che fosse lì e potesse vedere ciò che hai costruito. Ma lei è sempre accanto a te, questo non devi dimenticarlo mai. E ti darà la forza per consegnare quella lettera tra le mani di Ludo e per abbracciarla quando inizierete entrambi a piangere ed il dolore sembrerà travolgervi ancora
Vorrei solo poterla guardare con mio figlio tra le braccia
Filippo...
Sono patetico, lo so
Non dire cazzate
Non lo so, Lori. A volte non ci credo che se ne sia davvero andata, vorrei poter combattere con il destino persino a mani nude e disarmato, pur di riaverla indietro anche solo per un attimo
Quanto mi manca
A chi lo dici.
Era la mia famiglia, Lorenzo
Ora te ne stai costruendo una con Ludo. Piano piano sta diventando realtà e sarà piena di tutto ciò che a voi è mancato, ne sono sicuro
Mi sembra ancora tutto assurdo
Persino quella pancina che sta iniziando a diventare sempre più evidente?
È la sensazione più bella del mondo vederla crescere
Sono felice da far schifo
E non hai idea di quanto sia felice io nel sentirtelo dire
E adesso dalle quella lettera, coglione
Dammi retta una volta nella vita e non te ne pentirai
Prendo un bel respiro e gliela faccio leggere, promesso!
Ci vediamo direttamente a Genova?
Si, io e Francesca andiamo diretti là.
Ci vediamo più tardi, sei agitato?
Non hai idea di quanto...
Speriamo che si faccia vedere
Non andare in paranoia, Maria
E incrociamo le dita!
Grazie Lori, di tutto
Ti voglio bene fratello, non riesco nemmeno a spiegarti quanto
Te ne voglio tanto anche io, credimi
Però adesso basta con queste smancerie, sembriamo due idioti
Hai ragione, vai a farti fottere
E tu vai a fanculo, Galli
Nel frattempo Ludovica è andata in bagno a farsi una doccia ed ora è appena uscita. Indossa uno slip nero semplice e sopra la camicia che ho indossato ieri sera al concerto, totalmente sbottonata. Mi sorride, accarezzandosi la pancia e mangiando uno di quei cioccolatini di benvenuto che lasciano gli hotel sulla scrivania d'entrata. Ha i capelli tenuti su da un ciuffo disordinato, legato da un elastico rosa e alle mani ancora tutti gli anelli della sera precedente. Si guarda di fretta allo specchio, per poi passarsi sulle labbra un velo di burro di cacao, rendendole ancora più morbide e vellutate. Poi si volta di nuovo verso di me, probabilmente sentendosi i miei occhi puntati addosso da quelli che ormai sono interi minuti. Ma appena mi guarda, io abbasso gli occhi verso il pavimento.
"Che c'è?" mi domanda, avvicinandosi a me e lasciandomi un bacio sulla punta del naso.
"È tremendamente difficile per me, ma voglio che tu la legga oggi" le dico, tirando fuori dalla tasca dei miei pantaloni la lettera e dandola a lei. La prende e se la rigira per un po' tra le mani, finché non nota la calligrafia e scoppia a piangere. Mi guarda e nei suoi occhi leggo una richiesta d'aiuto talmente evidente, da disarmarmi completamente. Non so cosa fare, non so come farla stare meglio, non so nemmeno trovare un modo per placare i suoi singhiozzi. Perché adesso sto iniziando a piangere anche io e so che non sarò mai in grado di esserle d'aiuto in un momento così difficile. Cerca di respirare, di deglutire e calmarsi, ma ogni volta che i suoi occhi si abbassano su quelle parole, tutti gli sforzi sembrano vani. Anche tutta la forza del mondo, non sarà mai abbastanza per rendere quelle parole un po' più scorrevoli e un po' meno dure. Sapevo che avrebbe reagito così, che per lei sarebbe stato difficile come per me leggere quella lettera e pensare di tenere tra le mani l'ultimo saluto di una delle persone più importanti della nostra vita.
"Fil, io non so se ce la faccio" mi sussurra, incastrando il suo viso nell'incavo del mio collo e respirando il profumo della mia pelle. Le accarezzo i capelli per un po', lasciandole di tanto in tanto qualche tenero bacio tra i riccioli. Cercando di darle tutta la forza necessaria, anche se davvero non credo di esserne in grado. Vederla piangere e restare così inerme, davanti ad un dolore ancora così grande, non fa altro che aumentare il nodo alla gola che sento. Vorrei poter essere più forte soltanto per aiutarla e farle da scudo, essere il suo appiglio per non crollare, proteggerla da un dolore che purtroppo non si affievolirà mai.
Inizia a leggere appoggiando la sua schiena al mio petto e lasciandosi stringere dalle mie braccia, come fossi per davvero il suo posto protetto e riuscissi a tenerla lontano dal dolore. Mentre i suoi occhi scorrono su alcune parole, noto il suo respiro cambiare. A volte accelera a dismisura, altre si fa talmente lento da sentirsi appena. Invece le lacrime continuano a scendere costantemente, inesorabili come gocce di una pioggia che non smetterà mai di bagnarci, di coglierci di sorpresa e inzuppare le nostre emozioni. A volte per una pioggerella sottile, di quelle che spunta sempre un arcobaleno di ricordi felici. Altre per una tempesta di dolore e rabbia, di quelle impossibili da contenere e che creano solo il vuoto attorno. I singhiozzi si fanno sempre più difficili da contenere, non fa altro che lasciarsi trasportare dalle emozioni più forti e tremare contro il mio petto.
E vederla così fragile, mi spezza dentro.
Credo che solo dopo più di mezz'ora sia in grado di leggere la parte finale, cioè quella che la trafiggerà come la lama di un coltello, frantumandole le corde più profonde della sua anima.
'Chissà se te la ricordi la prima volta che mi hai detto che avresti voluto un figlio da Ludovica. Eravamo seduti uno di fronte all'altra, i tuoi occhi incastrati nei miei come sempre e una fetta di crostata ai frutti di bosco davanti a te. Mi hai confessato di averlo pensato più e più volte, nonostante le tue continue paure e quel freno a mano che sembrava non voler mollare la presa. E lo so quanto possa essere difficile per te persino pensarlo o guardarla per poi finire a chiudere gli occhi ed immaginare come potrebbe essere.
E da quel giorno, ti confesso, ho iniziato a pensarci anche io. Ogni volta che vi vedevo insieme, che la vostra complicità mi faceva sorridere, ogni volta che un vostro bacio mi faceva tornare giovane. Ogni volta che vi portavo la spremuta mentre eravate accoccolati sul divano, ogni volta che la prendevi in braccio e la accompagnavi a letto perché si era addormentata, ogni volta che vi ho sentiti litigare e sputarvi in faccia le peggio cose. Ogni volta che l'ho vista asciugarti una lacrima, ogni volta che le sue mani hanno cercato le tue, ogni volta che in un abbraccio vi siete ritrovati.
Tutte le volte chiudevo gli occhi ed immaginavo qualcosa, o forse qualcuno. E so che ti sembrerà assurdo che l'abbia fatto davvero, ma è andata proprio così. Perché nonostante tutte le incomprensioni che possano nascere tra di voi, nonostante pensiate che stare separati sia la soluzione migliore, nonostante abbiate persino perso le speranze di amarvi. Io continuo a crederci e sono certa sarà per tutta la vita.
E quel qualcosa che creerete sarà in grado di legarvi stretti, di donarvi la sensazione di aver messo al mondo l'essere più perfetto, meraviglioso e puro, di farvi scoppiare il cuore dal tanto amore.
E sarà una bambina, me lo sento.
L'ho sempre pensato. Sin dal primo momento in cui mi hai confessato di pensare di nuovo all'ipotesi di diventare padre. Sarà una bambina. Con quelle sue labbra carnose fatte a cuore e lo stesso colore dei tuoi occhi, cosi simili ai miei. Con i suoi capelli riccioli e lunghi e i tuoi riflessi in grado di accendersi a contatto con i raggi del sole. Con la sua passione per la fotografia e la tua per la scrittura, in ogni sua forma. Con la tua mania di tenere sotto controllo tutto e la sua voglia di mollare il freno e perdere il controllo, iniziando a vivere per davvero. Con la sua curiosità di osservare il mondo in disparte, da dietro le sue iridi e quella tua di buttare nei suoi sogni fino all'ultimo briciolo di cuore. Con i vostri frammenti migliori sparsi nei suoi gesti, nelle sue smorfie, nei suoi sorrisi e nella luce di quegli occhi. L'esatto punto di equilibrio tra voi due e le vostre vite incasinate, ma sempre nella stessa direzione.
E tu la terrai in braccio, cullandola al ritmo delle tue canzoni. Le insegnerai a camminare, prendendo la sua manina e facendola intrecciare alle tue dita forti. Le pettinerai i capelli lunghi, raccontandole favole di principesse e draghi che si trasformano in principi. Canterai con lei in macchina, mentre la porterai al mare e le farai venire la tua stessa passione del cantautorato italiano. Le darai da magiare, imboccandola con pazienza ed inventandoti storie di aeroplani, trenini e navi dirette chissà dove. La guarderai ciucciare dal seno, mentre capirai di non essere in grado di riaddormentarti avendo affianco qualcosa di così perfetto. La terrai a dormire addosso a te, magari sdraiata sulla tua pancia quando sarà piccola come un fiore. La guarderai addormentarsi, con la bocca schiusa e le ciglia lunghe poggiate sulle palpebre. La accompagnerai in ogni singola tappa della sua vita e sarai il papà più straordinario che potesse capitarle.
Ne sono sicura.
E adesso inizierò un discorso che vi sembrerà assurdo, parlo al plurale che tanto so che sarete insieme a leggere tutto questo. Ludovica appoggiata al tuo petto che regge in mano questa lettera, mentre le mani le tremano e tu cerchi di essere quello forte. Anche se dentro ti sentirai morire. Ma per proteggere lei dal dolore e dalle botte infami della vita, saresti pronto a tutto, persino a strapparti le viscere da dentro e farle marcire dalla sofferenza.
Ecco, mi ricordo che quando eri bambino, amavi rifugiarti in un angolo del mio giardino. Era un posticino un po' nascosto, lontano da tutti, dove ti concedevi il lusso di isolarti dal resto. Io di solito stavo in cucina e da lì, avevo la vista perfetta su quel piccolo pezzo di erba verde. Ti osservavo per ore intere. Non facevi nulla di particolare, ma amavo notare il cambiamento di ogni tua smorfia, dei ciuffi dei capelli mossi dal vento e soprattutto di quei pochi sorrisi che ti concedevi. Eri così tenero con quei capelli biondi cenere e gli occhi trasparenti, chiuso nel tuo piccolo mondo.
In quello stesso angolo hai continuato a rifugiarti con Lorenzo ed Alessandro, per fumarvi le prime sigarette in gran segreto o bervi qualche birra rubata dalla dispensa. Ve ne stavate lì a ridere ed ascoltare musica, mentre io vi osservavo in silenzio da dietro la tenda gialla della cucina. Sembravate un quadro, quei bimbi ormai cresciuti e diventati adolescenti, con la fame di vita e una valigia piena di sogni da realizzare. Passavate in quel pezzetto di prato ore intere, senza stancarvi mai di parlare e dare una forma alle nuvole bianche che passavano in cielo.
E lì, ancora una volta, ti rifugiavi quando volevi stare solo e scappavi da tutto: da me, dai tuoi genitori, dalle responsabilità, dai sentimenti che non sapevi gestire e persino da te stesso. Ti rinchiudevi lì, isolandoti da tutto il resto. In quello stesso angolo che ti ha visto crescere stagione dopo stagione, anno dopo anno. Che ti ha visto essere bambino dolce e curioso, poi adolescente presuntuoso e irriverente e ancora ragazzo con la testa riempita da un mare di pensieri e la voglia di urlare per colpa dolore. Prima con tra le mani una delle tue macchinine giocattolo, poi con una birra gelata e dopo ancora con una penna nella mano destra e i tuoi pensieri, trasformati in canzone.
Eri bello persino quando i problemi sembravano consumarti dentro e distruggerti le membra, lasciandoti solo e afflitto di fronte a qualcosa di più grande di te. Prima i problemi con i tuoi genitori, quelli con la musica, con Ludovica e sopratutto i più terribili, quelli con te stesso. Te ne stavi lì non chiedendo niente a nessuno, concedendoti solo una profonda chiacchierata con la parte di te più nascosta e velata. Un po' 'prendi una birra e siediti che mi racconto di me'.
E forse sarà difficile ricordarlo, visto che ho la sensazione che se mai me ne andrò, tu non metterai più piede in questa casa. Troppi ricordi ti travolgerebbero e non sapresti affrontarli. Ma in quell'angolo, ancora oggi, c'è una pianta di uno dei miei fiori preferiti: una rosa bianca. E da quando eri solo un bambino, non facevi altro che osservare i suoi petali grandi e candidi, dicendo che era bellissima. Così pura e luminosa. Con quelle gocce di rugiada posate sopra, che ti divertivi a toccare con il polpastrello facendole scivolare via.
Non potrò mai dimenticare la sera del compleanno di Lorenzo, quella famosa festa in cui hai conosciuto Ludo e, forse, sei rinato. Mi hai chiamato all'alba, con la voce tutta affannata e una voglia matta di parlare. Dopo mesi interi in cui non facevi altro che piangere, nel silenzio della tua camera. Ricordo che ero a fare colazione con la mia solita tazza di the caldo e continuavo a sorridere, a farti domande, senza capire niente perché non facevi altro che parlare a raffica come una macchinetta impazzita. Mi hai raccontato ogni singolo dettaglio di quella note, aggiungendo che avevi una voglia matta di scrivere una canzone e non andare a dormire mai, per paura di svegliarti e scoprire che in realtà fosse tutto frutto della tua fervida immaginazione. Ecco, ricordo di averti fatto una sola e semplice domanda: "com'è questa magica ragazza?". Alla mia domanda solo una facile risposta da parte tua: "è come una rosa bianca di quelle che ti piacciono tanto". Da lì ho capito tutto. Da quell'esatto momento ho percepito quanto il vostro amore potesse diventare qualcosa di immenso, per entrambi. Forte da legarvi in una maniera viscerale, da farvi sentire dentro le emozioni dell'altro, da capirvi con la potenza di un solo sguardo. Lì ho capito che ti saresti innamorato di nuovo, che ti saresti concesso un'altra possibilità e che quelle ferite si sarebbero, piano piano, rimarginate.
E il simbolo della rosa bianca non ha fatto altro che unirvi sempre di più. Le hai sempre e solo regalato rose di quel colore, associando quel fiore tanto amato e perfetto a colei che per te rappresentava l'amore.
Non so se ricorderai tutti questi particolari, o se magari li starai rivivendo ora, leggendo le mie parole. Ma se mai dal vostro amore dovesse davvero nascere una bambina, chiamatela Bianca. È il nome perfetto. Che se chiudo gli occhi la immagino così bene, che sento i brividi percorrermi tutto il corpo. E credetemi, vorrei essere ancora lì accanto a voi per vedere i tuoi occhi incrociare per la prima volta quelli di tua figlia, è sempre stato il mio desiderio più grande. Ma non sarà così, purtroppo. Però ogni volta che la guarderete so che ritroverete anche una parte di me, di tutto il bene che vi ho voluto, dei gesti che ho fatto amandomi più della mia vita. Sarà un po' come starvi accanto per sempre, tra le stelle o negli occhi di quella piccola rosa Bianca. Non fa differenza. Vi lascerò qui un pezzo di me, lo stesso che avrei tanto voluto tenere in braccio per la prima volta. E ogni volta che la guarderete, ripenserete al mio giardino e alla prima sera in cui vi siete incontrati. Riflettendo sul fatto, che alla fine, è sempre un gioco del destino. E anche la vita, parte da un piccolo dettaglio. Amatela quanto io ho amato voi, che tanto so che sarete due genitori straordinari. E tu Filippo, impara a lasciare andare i macigni e volare senza pesi, sbarazzandoti di tutto quel dolore. E anche se sarà difficile e arriverai a credere che ti stia distruggendo, ne varrà la pena te lo prometto.
Vi voglio tanto bene ragazzi miei e il mio istinto non si sbaglia mai, sarà femmina lo so
Nonna Adri'
L'ultima volta che le ho visto prendere un respiro profondo nemmeno la ricordo e ho davvero bisogno di farla tranquillizzare, perché sentirla così indifesa mi sta facendo paura. Continua a fissare le parole di quella lettera, stringendola forte tra le mani, per poi portarla al petto e scoppiare. Tira un grido di dolore così forte che il mio cuore si frantuma, poi si volta verso di me e mi stringe in un abbraccio che non ha bisogno di parole. Non fa altro che piangere e singhiozzare, almeno finché il suo corpo è in grado di produrre lacrime a sufficienza. Sapevo che la sua reazione sarebbe stata questa ed avevo anche la consapevolezza di non avere i mezzi necessari a farla tranquillizzare. Si sfoga, butta fuori tutto il dolore trattenuto in questi lunghissimi mesi e ormai le lacrime le arrivano fino al petto. Lasciando una riga su tutto ciò che incontrano. Facendo un solco profondo sulla pelle, come a segnare il loro passaggio. Inesorabile e impietoso, come solo il dolore più spietato sa essere.
"Amore calmati, ti prego" le sussurro tra i suoi capelli, baciandola pochi istanti dopo e accarezzandole dolcemente la schiena.
Si allontana leggermente e mi fissa: ha gli occhi arrossati e gonfi dal pianto, dalla camicia sbottonata posso intravedere la curva dei suoi seni e le labbra sono piegate all'ingiù, in una smorfia di dolore. Fisico, mentale o di qualsiasi altro genere. Non fa molta differenza quando si parla di una persona che se n'è andata per sempre, senza biglietto di ritorno.
"Perché hai affrontato da solo tutto questo?" mi chiede con la voce spezzata e il corpo ancora scosso dai tremiti del pianto. Provo a tirare un respiro profondo, ma il pesante macigno sullo stomaco non me lo permette.
"Lori e Ale l'hanno letta e mi hanno aiutato molto, ma era una cosa che dovevo combattere da solo. Non potevo fronteggiare un dolore così grande, mischiandolo con il tuo. Non ne saremmo mai usciti. Mi sono preso il mio tempo e ce l'ho fatta, anche se è stata una delle cose più difficili e dolorose della mia vita. Soprattutto il pezzo finale" le confesso, abbassando lo sguardo e perdendomi ad accarezzarle il dorso della mano.
"Non volevo escluderti o lasciarti fuori, per nessuna ragione al mondo. Solo che, appena ho finito di leggerla, mi sono ripromesso che te l'avrei data solo il giorno in cui avremmo scoperto di aspettare una bambina. Non importava quanti anni avrei dovuto aspettare, era una promessa che le avevo fatto in silenzio. E so che non lo sappiamo ancora e forse non sarà nemmeno così, però quando poco fa l'ho vista ripiegata in valigia, ho sentito l'esigenza di condividere tutto con te. Anche se con la costante consapevolezza che ti avrei fatto stare male, tanto, troppo male" aggiungo, incrociando di tanto in tanto i suoi occhi nocciola. Che quando sono lucidi, mettono ancora di più in risalto tutte quelle fratture dorate attorno alla pupilla.
"È stata questa lettera a darmi la forza di avere un figlio" le confesso in un sussurro, schiarendomi la voce e tentando in tutti i modi di non crollare. Lei prende respiro, per la prima volta da ore intere, poi si porta la carta ormai sgualcita sotto le narici e l'annusa. Resta immobile in quella posizione per qualche secondo, finché l'ultima lacrima non scende dai suoi occhi e si deposita su quella lettera, macchiandola per sempre di un amore che non può essere spiegato. E, sono certo, che Ludovica in quella piccola goccia di rugiada ha riposto il suo più sincero 'grazie, ti voglio bene nonna'.
"È tardissimo, dobbiamo prepararci!" esclamo, tentando di riportare un po' di colore ed allegria in questa stanza decisamente troppo grigia. Mi alzo di fretta, mentre lei se ne sta seduta nel letto disfatto, chiusa come un riccio. Cerco dalla valigia un paio di pantaloni ed una maglia, per poi sorridere e lanciarle contro ciò che dovrebbe indossare questa mattina. E lei ride, o almeno prova ad accennare un sorriso che mi fa tornare a respirare, dopo che le emozioni di poco fa mi hanno dilaniato lo stomaco.
"Filippo" mi richiama, mentre sto per entrare in bagno a lavarmi il viso e i denti. "Ti amo" si avvicina a me e me lo sussurra sulle labbra, avvolgendomi con le sue braccia e lasciando che le sue mani vadano a contatto con la mia schiena nuda. Io rimango completamente spiazzato e succede spesso quando mi sussurra quelle due parole, con la sua solita purezza nella voce che ti arriva dritta all'anima, come un pugno ben assestato. Mi basta guardarla e scostarle una ciocca di capelli dietro all'orecchio, per dirle tutto ciò che vorrei ma che non sarò mai in grado di spiegare.
"Anche io, amore" le rispondo nella maniera più semplice possibile, o forse l'unica che in questo momento riesco a formulare senza spezzare la mia voce o far commuovere i miei occhi. Lei c'è, mi è stata accanto anche questa volta, subendo ogni singolo briciolo del mio dolore e rendendolo parte di se. Piangendo lacrime amare, sorridendo per qualche ricordo e rivivendo con me tutti i nostri momenti, come istantanee fermate sulle parole messe nero su bianco.
"Come vi sentite?" ci domanda la dottoressa, mentre permette a Ludovica di stendersi sul lettino e prepararsi per la visita. Io e lei ci guardiamo per qualche secondo e poi scoppiamo a ridere, come se fossimo talmente felici da non saper fare nient'altro.
"Guarda, lasciamo perdere questo argomento. Non fa altro che parlarci, che sussurrargli cose, che baciarlo...si è completamente rimbecillito" risponde Ludo, fissandomi e scuotendo la testa, per poi continuare a prendermi in giro con la dottoressa.
"Allora ragazzi, l'esame che abbiamo fatto settimana scorsa ha confermato che va tutto bene e che tutti i parametri sono nella norma" ci sorride dolcemente, dando una scorsa veloce alle carte e sistemandosi gli occhiali da vista.
"In questo momento pesa poco meno di 200 grammi ed è lungo più o meno sedici centimetri. In questi foglietti c'è scritto anche quello per cui siete qui oggi, però vorrei cercare di vederci più chiaro con l'ecografia. Così da essere tutti più tranquilli" ci rassicura, avvicinandosi al lettino e spargendo un po' di gel sulla pancia di Ludovica. Dopo qualche minuto l'immagine di quell'esserino meraviglioso compare sul monitor, lasciandomi ancora una volta a bocca aperta. Mentre la sonda si muove sopra la pelle di Ludo, il piccolo inquilino non fa altro che muovere le minuscole manine e lasciarle libere di godersi quel piccolo angolo di mare che è casa sua.
"Siamo belli attivi oggi" ci fa notare la dottoressa, parlando poi con Ludovica per capire se sta iniziando a percepire qualche sensazione diversa, rispetto ai primi movimenti del piccolo.
"Siete pronti?" ci chiede, passando il suo sguardo da me alla mia fidanzata e lasciando che il suo sorriso ci contagi. Sposta la sonda in un punto della pancia e la lascia lì, facendoci osservare i più piccoli dettagli e cambiamenti dall'ultima volta che lo abbiamo visto. È stranissimo percepire quanto stia crescendo giorno dopo giorno, quanto sia sempre più reale e urgente il bisogno di stringerlo tra le braccia. Ma soprattutto quanto sia difficile accontentarsi di qualche visita e delle foto delle ecografie per guardarlo ed immaginarlo, quando vorresti passare il giorno intero semplicemente ad osservarlo. E così imparare a conoscerlo, notare somiglianze, capire le sue smorfie, ciò che gli piace e l'effetto che gli fa la tua voce. È un modo così strano ed affascinante, che ogni volta che ci penso i miei occhi si fanno subito più lucidi.
"È una bellissima femminuccia" decreta la dottoressa, talmente all'improvviso che devo reggermi alla parte metallica del lettino, per non cadere al suolo. Ludovica mi stringe forte la mano, così tanto che si sta facendo sempre più biancastra, mentre il suo viso sorride e, al contempo, è bagnato dalle lacrime. Sono così felice che vorrei urlarlo al mondo intero. Affacciarmi alla finestra dello studio e gridare a tutta Milano che sto per diventare papà di una bambina. Come quella che ho sempre immaginato chiudendo gli occhi. Come un sogno che sta diventando realtà. Come ciò che sperava mia nonna in quella lettera.
"Una bambina..." sussurro, mentre il battito del suo cuore forte mi rimbomba nelle orecchie, facendomi capire che forse la felicità non è poi tanto diversa da così. "Bianca, è - è Bianca" aggiungo, credendo di parlare tra me e me, talmente confuso da non ricordare nemmeno il mio secondo nome.
"Si. Si, amore mio. Si, è Bianca" mi sussurra lei emozionata, con la voce che le si spezza e le lacrime che le stringono la gola. Mi avvicino e la bacio, così intensamente che il respiro mi muore in gola o forse, impara a rivivere dentro di lei. Come tutti i dettagli che Bianca avrà di me, che adesso stanno prendendo vita dentro la sua pancia.
Usciamo dallo studio medico, felici come poche volte nella vita. Anche se non riusciamo a parlare, a iniziare un discorso e ci risulta difficile persino guardarci negli occhi, senza rischiare di scoppiare. Quella lettera si è rivelata un vero e proprio pugno allo stomaco, senza pietà o compassione. È arrivata dritta la prima volta che l'ho letta e così ha fatto anche oggi, senza risparmiarmi nemmeno un briciolo di emozione. Lei che è sempre stata l'unica in grado di capirci qualcosa, l'unica che ha prestato interesse ai miei bisogni e ai miei sogni più nascosti, lei che si è sempre preoccupata di me e ha tentato in tutti i modi di sbrogliare la matassa di sentimenti incasinati che ho sempre avuto attorno al cuore. Lei che in quella lettera ha riposto tutto l'amore che provava nei miei confronti e che, anche in una giornata così speciale, ha saputo essere presenza. Perché adesso che siamo in macchina, che il sole lascia passare i suoi raggi dai finestrini aperti, che una canzone fa da sottofondo, io riesco comunque a sentirla dentro. Esattamente come se fosse sempre qui accanto a me, ad un solo millimetro dal mio cuore.
E forse è proprio così.
Lei c'è, anche se è impercettibile.
È nella mano di Ludovica che accarezza la mia coscia, nei miei occhi che non fanno altro che guardarla, nella nuvola bianca in cielo che mi ricorda le sue carezze, nel profumo d'estate nell'aria, nelle note di quella canzone che le piaceva e che sta passando in radio, nei sorrisi scatenati da un ricordo, nella voglia di gridare al mondo la mia felicità. Ma più di tutto, è nel cuore di quella lenticchietta che sguazza spensierata nella pancia della sua mamma seduta proprio accanto a me. È parte di lei, che è parte di noi e forse è questa la magia. Il suo saper restare in ogni piccolo dettaglio. Il suo modo di esserci e imparare a rivivere nella persona più importante della nostra vita.
Genova
Ho appena finito il soundcheck per il concerto di stasera e ho talmente tanta adrenalina in corpo, che potrei finire per saltellare fino all'ora dell'inizio. Torno in camerino per rilassarmi un po' e trovo Ludovica assopita in uno dei divanetti. Mi siedo accanto a lei, poi l'accarezzo dolcemente per farla svegliare. I ragazzi della band sono andati a mangiare qualcosa, Giulio e Letizia sono tornati in hotel a riposarsi e, invece, Lorenzo e Francesca sono andati a ordinare qualcosa da magiare al ristorante qui vicino. Così siamo rimasti soli io e lei, anche se adesso pensare solo a noi due mi fa un po' sorridere.
Le solletico la pancia, mentre lei mugola ancora addormentata e cerca di attirarmi a se per farmi smettere. Ma io sono uno che non molla mai.
"Hai mangiato qualcosa?" le chiedo premuroso, forse risultando persino leggermente pesante e pignolo con le mie attenzioni. Lei apre piano gli occhi, stiracchiandosi leggermente e mimandomi un no con la testa. A quel punto mi alzo e prendo uno yogurt ai frutti di bosco e l'aggiunta di cereali dal frigo, poi torno da lei. Aspetto che si sieda accanto a me ed inizio ad imboccarla con amorevolezza, mentre lei sorride e scuote la testa imbarazzata. Ogni cucchiaino, è un bacio sulle labbra e questo sta diventando senza ombra di dubbio il mio gioco preferito. Appena finisce di mangiare lo yogurt, si accoccola contro il mio petto ed inizia a giocare con i peli del mio ginocchio, tirandomeli e facendomi innervosire un sacco. Pochi istanti dopo, la vedo alzare la testa, affascinata dalla melodia della canzone che sta passando in radio in questo momento. Mi soffermo anche io e la riconosco subito: è Futura di Lucio Dalla. Un colpo al cuore. Un altro di quei segni del destino che la vita ti riserva e ti colgono così, all'improvviso, stampandoti un sorriso da imbecille sul viso.
"Balliamo signorina?" le domando, porgendole la mano e inchinandomi davanti a lei. Non ci pensa due volte, la afferra e si fa attirare verso di me, con il vestitino fiorito che le svolazza e la fa sembrare una ragazzina. Danziamo uno appicciato all'altra, il mio cuore da una parte e il suo da quella opposta, così da completarci a vicenda. Ridiamo per il ritmo sbagliato, ci baciamo con il respiro affannato, la faccio volteggiare come fosse leggera come una piuma. Per poi attirarci di nuovo ed abbracciarci, in un qualcosa che di ballo non ha niente, che è amore e nient'altro. Il mio petto contro il suo, le labbra a sfiorarsi e in mezzo a noi, piccola come una stella, il sogno di una vita.
La nostra Bianca.
'E chissà come sarà lui domani
Su quali strade camminerà
Cosa avrà nelle sue mani, le sue mani
Si muoverà e potrà volare
Nuoterà su una stella
Come sei bella
E se è una femmina si chiamerà Futura
Il suo nome detto questa notte
Mette già paura
Sarà diversa bella come una stella
Sarai tu in miniatura
Ma non fermarti voglio ancora baciarti'
Le sussurro questi versi con la mia bocca attaccata al suo orecchio, mentre le sue mani stringono la mia schiena ed il suo respiro a stento riesco a sentirlo. È così intenso poter notare ogni suo dettaglio: il suono del suo respiro, il colore dei suoi occhi da vicino, il profumo della sua pelle che si mischia con il mio. Mi guarda e sembra che le frasi sussurrate da me poco prima, le siano entrate dritte nelle iridi, annegandole in un mare di amore. Sposta le sue braccia e le allaccia al mio collo, portando i nostri corpi a sfiorarsi ancora di più. Le mie mani la prendono per i fianchi, facendola ondeggiare sulla melodia della canzone di Dalla. Poso la mia testa tra i suoi capelli e mi perdo ad annusare il loro profumo, credo di poter toccare la mia felicità. Stringerla tra le dita, come se non fosse una cosa astratta. Il mio posto felice è qui, ovunque ci sia lei. Ovunque potrò far scorrere le mie dita sulla sua pancia, immaginando come sarà nostra figlia.
So che sta per arrivare esattamente quella canzone e, per almeno le tre precedenti, non riesco a pensare ad altro. Mentre mi muovo sul palco con spensieratezza, quando i miei occhi incrociano quelli della gente che è qui per me, persino quando una canzone mi dovrebbe ricordare tutt'altro. Stasera chiudo gli occhi e penso a lei. Prima di lasciare che i miei musicisti facciano partire le note di Un respiro, ho deciso di fare un discorso. Di buttare fuori tutto, stasera, proprio sul palco di Genova. Prendo il microfono in mano, mentre intorno a me ruota il silenzio più assoluto. Nessuno grida il mio nome, nessuno strilla parole a caso, stanno tutti aspettando che sia io a fare il primo passo. Mi volto leggermente ed incrocio gli occhi di Ludovica e in quello sguardo trovo tutto il coraggio necessario per lasciarmi andare e mollare i bulloni che tengono stretta la mia armatura di ferro. In quegli occhi color nocciola, trovo quelli di colei che è la mia migliore amica, la mia compagna e l'unica in grado di percepire ogni mia singola emozione solo guardandomi. In lei ritrovo tutto ciò che mi serve per aprire il mio cuore e rendere una cosa così bella, di tutti.
"Questa canzone non riuscivo a scriverla. Ricordo che avrei voluto dargliela il giorno del suo funerale e permetterle di portarla con se per sempre, ma non sono stato capace di farlo. In quel periodo, in realtà, non ero capace più di fare nulla. Se n'è andata lei e si è portata via la parte migliore di me, i miei ricordi, il Filippo bambino e senza pensieri o paure. Da quel giorno è cambiata ogni cosa, ma soprattutto sono cambiato io. Ho rischiato di perdere tutto: i miei migliori amici, la persona di cui mi sono innamorato, la mia musica, i miei sogni e persino me stesso" riesco a parlare senza freni, come se fosse una sorta di chiacchierata con me stesso e non ci fosse nessun'altro ad ascoltarmi. Cammino avanti ed indietro per il palco, mentre con una mano mi sistemo sempre gli occhiali da sole sul naso, come una sorta di diversivo su cui concentrarmi per non crollare. Nessuno si muove, qualcuno ha gli occhi lucidi, altri ascoltano meno coinvolti. Mi giro in direzione di Ludovica e la vedo poggiata ad un palo di sostegno del palco, mentre si accarezza la pancia e posso giurare di essere in grado di vedere la lucentezza dei suoi occhi lucidi persino da qui. Lascio che mi entrino dentro e affondino nel mio cuore, rendendo la sua emozione parte di me.
"Con lei ho perso la persona più importante della mia vita e credevo di non essere in grado di superare una mancanza così straziante. Ho passato un periodo terribile: non mi alzavo da letto, tentavo di scappare da chiunque cercasse di amarmi, bevevo senza sosta e piangevo fino ad addormentarmi sul pavimento. Poi, ho capito che quando una persona che ami muore, torna sempre. Nonostante tutto quello che tu possa pensare, non l'avrai mai persa del tutto" i miei occhi si fermano in un punto del cielo, notando una stella particolarmente più luminosa delle altre. Abbasso il capo e sorrido, pensando che è davvero ovunque. E che, quando avrò bisogno, quella stella la potrò osservare dovunque vorrò.
"Ecco, mesi fa ho ritrovato una lettera molto speciale scritta da lei. Nelle sue parole ho notato tanto di quell'amore, che ho pensato di avere il cuore di una forma troppo piccola per contenerne così tanto. E tra le sue parole scritte nero su bianco, ho ritrovato un segno del destino assurdo che mi ha fatto tremare il cuore dalla gioia. Stasera qui con noi c'è mia nonna insieme a qualcun'altro di meraviglioso, anche se ancora così piccola da non potersi nemmeno notare. Ecco, stasera questa canzone la dedico alle rose bianche, lei capirà perché" lancio un bacio verso il cielo, prima di fare segno a Giulio di partire, mentre le luci si abbassano ed io torno al centro del palco. Mi metto in posizione e poi abbasso gli occhi alla ricerca di Lorenzo, che mi sta guardando con un sorriso a trentadue denti e gli occhi colmi di lacrime. Avendo letto quella lettera il giorno dopo rispetto a me, ha capito ogni singola parola del mio discorso ed ha anche appena appreso di star per diventare zio di una bellissima bambina. Proprio come lei immaginava.
"Bianca" mima con le labbra, scuotendo la testa e correndo dietro le quinte, probabilmente per abbracciare forte a se Ludovica.
Chiudo gli occhi e mi godo la mia esibizione, ma più di tutto quel vuoto allo stomaco che sento dentro. Una sensazione strana, come se davvero riuscissi a percepire quelle due persone dentro alla mia anima e mi riempissero la vita. Nonostante una se ne sia andata troppo presto e l'altra debba ancora nascere e sia ancora così piccola da mettere paura. Resto con gli occhi serrati, che ogni volta che li apro mi rendo conto di ciò che sto vivendo e rischio di crollare a terra esanime. Le luci viola ogni tanto mi sfiorano le palpebre, permettendomi di restare fedele a ciò che sto cantando e di non perdermi nel mio mondo. Quello fatto di sensazioni, di ricordi, di momenti percepiti forti come un coltello nei polmoni e di pensieri così ingarbugliati da non avere inizio, né fine.
C'è un momento preciso in cui la voce mi si spezza e le emozioni sembrano stringermi la gola come il nodo di una cravatta troppo stretta. Apro gli occhi e rivedo quella stella, poi un solo e piccolo brivido che mi percorre l'intera spina dorsale. Ma così intenso da farmi respirare a fatica. Mi guardo intorno perché è come se lei fosse davvero qui, accanto a me, con la sua mano sulla mia guancia e un bacio posato tra i miei capelli arricciati.
Mi giro dietro di me e vedo Ludovica con la faccia completamente bagnata dalle lacrime, poggiata a Francesca e Letizia quasi non riuscisse a stare in piedi da sola. È la prima volta che la vedo così tanto coinvolta, così tanto dentro alle mie parole da trasudare verità e dolore misto ad amore. Ed effettivamente è anche la prima volta che crolliamo entrambi senza nemmeno guardarci, senza renderci conto delle emozioni dell'altro. Quel giorno, mia nonna e tutti i ricordi legati a lei, sono uno di quei cassetti che cerchi di non aprire più per evitare di soffrire. Quelli che stanno infondo alla cassettiera, chiusi a chiave e hai paura persino a sfiorare con lo sguardo, perché sai l'effetto che ti fanno e quanto ti rendano fragile.
Sento il cuore stringersi così tanto da farmi perdere qualche battito, quando la vedo accucciarsi a terra e singhiozzare, quasi senza forze. Senza essere in grado di reagire a quel dolore e combatterlo. Con la sola voglia di urlare, che poi è quello che sta facendo nonostante la musica non mi permetta di sentirla chiaramente. E non ringrazierò mai abbastanza le sue amiche e Lorenzo per essere lì con lei e accudirla, non lasciarla sola, farla sfogare e abbracciarla così forte che forse un pizzico del mio amore riesce ad arrivarle persino da qui. Si aggrappa a loro come se fossero il suo appiglio, lo scoglio a cui ancorarsi a mani nude per non permettere alla tempesta di trascinarla a fondo con se. Nasconde il suo viso nell'abbraccio con Francesca e Letizia, mentre loro le accarezzano la schiena e tentano di farla calmare. Poi mi guardano, con quegli occhi che pregano stia tutto per finire, pieni di compassione e rassegnazione per un dolore che non smetterà mai di ferire Ludovica, me, Lorenzo o chiunque abbia avuto il privilegio di farsi amare da mia nonna.
Le ultime frasi e mi giro di nuovo, che se potessi correrei da Ludovica in questo esatto istante, fregandomene di portare a termine la canzone, delle persone davanti a me, di ciò che potrebbero pensare. Correrei da lei e mi accuccerei davanti al suo viso, pronto a raccogliere le sue lacrime e rendere quel suo dolore meno pensante. Pronto a prendermi carico della sua sofferenza, così da infliggerne meno a lei. Che mi sento sempre in colpa per questa canzone e la reazione che le provoca, a volte vorrei persino non averla scritta. Ogni volta che la ascolta, crolla come un castello di carte alla prima vibrazione ed io mi sento inutile, inerme, sconfitto da un dolore troppo grande persino da dividere in due. Ogni volta si lascia dilaniare da quella mancanza e dai ricordi che le scorrono davanti, come le immagini di un bel film finito male. Vorrei essere semplicemente quello più forte, quello in grado di superare tutto e di farlo per entrambi. Invece non sono mai in grado di reagire, mi lascio trasportare affondo e trascino con me anche lei. Come ho sempre fatto. Come il giorno in cui mi chiamarono dall'ospedale dicendo quello che stava succedendo a mia nonna ed io ho trovato la forza ed il coraggio di agire solo nel suono della sua voce al citofono. Perché quella che mi da forza è sempre e solo lei, mai il contrario. Anche adesso che la vedo così fragile e distrutta, mi aiuta a soffermarmi su di lei e su quello di cui ha bisogno, senza pensare a quanto questa canzone sia in grado di uccidermi lentamente.
'Se non ho più parole'
È finita ed io sento solo il bisogno di prendermi una pausa, di respirare profondamente senza sentire costantemente quel peso affondarmi sullo stomaco. Ma non posso farlo, così mi limito a correre da Ludovica. Lorenzo l'ha fatta alzare poco fa, aiutandola a mettersi in piedi e asciugandole le lacrime che le hanno bagnato le guance, arrivandole al collo e forse persino al petto. Ho solo pochi secondi e probabilmente tutti mi vedranno, ma ho solo bisogno di un suo bacio per tornare a respirare normalmente. La attiro a me senza dirle niente, tanto in questo momento nessuno in due è in grado di farlo e permetto al nostro abbraccio di creare una bolla magica e solo nostra, chiudendoci lì dentro. Mi guarda per un istante negli occhi e poi fa incrociare le nostre labbra, un'esplosione di tutte le cose che vorremmo sussurrarci ma per cui ci manca la forza. Sono solo pochi e miseri istanti, ma è ciò che ci serve per mettere da parte tutti i ricordi che continuano a farci male e tornare a prendere fiato. Le sfioro la pancia senza farmi notare, mentre lei mi regala uno di quei sorrisi che vorrei fotografare e poter tenere davanti agli occhi per sempre.
"Ti amo" le sussurro, poco prima di baciarla di nuovo e correre al centro del palco per cantare la prossima canzone in scaletta e dimenticare tutto per un po'.
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"Che ne dite di andare a bere qualcosa in centro?" propone Valerio, il tastierista della band per festeggiare la serata tutti insieme, visto che non riusciamo mai a farlo. I vicoli stretti di Genova accompagnano la nostra passeggiata in cerca di un bar ancora aperto a quest'ora di notte. Poco fa, ci siamo fermati a mangiare un pezzo di focaccia in una piazza illuminata, condendo tutto con delle ottime chiacchiere tra amici. A parte i più stretti, nessuno sa ancora niente del fatto che Ludovica è incinta e che tra poco diventeremo genitori. E, a parte Lorenzo, nessuno ha capito che sarà una femmina e si chiamerà Bianca. Io e Ludo stiamo passeggiando mano nella mano, mentre ci scambiamo qualche battuta con gli altri ragazzi. Ed è strano perché sono in un periodo della mia vita in cui mi sento maturo, adulto, con delle responsabilità importanti, ma con la compagnia di sempre torno ad essere il ragazzino spensierato e un po' cazzone che sono sempre stato. È così bello camminare in gruppo, ridendo ad ogni passo per una battuta diversa e ritrovandosi con le lacrime agli occhi e lo stomaco che fa male per colpa delle troppe risate. Bello passare del tempo con Lorenzo come ai vecchi tempi, che ormai siamo così impegnati a correre da una parte all'altra in modo frettoloso, che non riusciamo mai a ritagliarci un po' di tempo per noi. Bello vedere Ludovica rilassata e felice con le sue amiche, mentre si rincorrono per i vicoli e si abbracciano all'improvviso, dicendosi una di quelle loro frasi senza senso ma che loro capiranno sempre. Bello notare la trasformazione di Giulio, vederlo più disteso e leggero del solito, senza quell'espressione sempre seria ma piuttosto con gli occhi pieni di felicità. Bello bere una birra con Maurino e Valerio, senza pensare a niente e parlando di tutto ciò che ci passa per la testa: dalla musica, alle donne, dal nostro passato al miglior modo per fare passare una sbronza. Bello vedere le effusioni di Giulio e Leti, che si allontanano da tutti e si cercano, si guardano, si sfiorano, si amano. Bello notare le espressioni di Lorenzo mentre Francesca lo accarezza in viso, il suo modo di chiudere gli occhi e bearsi di quel tocco, per poi baciarla con tanto di quell'amore che posso sentirlo da qui. Bello poter camminare abbracciato a Ludovica, facendo cadere gli occhi sulla sua pancia e sorprendermi del fatto che inizia ad intravedersi dalla maglietta aderente che indossa stasera. Bello pensare a Bianca, a quando verrà al mondo e sarà cosparsa dal bene di tutte queste persone, ognuno diverso ma a modo suo estremamente speciale. Bello sentirmi Filippo, quello di sempre. Bello potermi abbandonare completamente e sentirmi nel posto giusto, al momento giusto e in compagnia delle persone giuste.
Passiamo ore ed ore in giro, senza il bisogno di andare a dormire e con la voglia di sentirci per sempre così leggeri. Con gli amici di sempre, circondati da amore, risate e una buona dose di birra fresca.
"Forse è ora di andare a dormire" propone Valerio ad un certo punto, con noi chiusi in cerchio che non facciamo altro che fissarci a vicenda e ridere come dei ragazzini. Ormai è quasi l'alba, ma nessuno ha voglia di attraversare la strada e andare in stanza. Preferiamo stare qui a scontare i bicchieri di plastica colmi di birra e a scattarci qualche foto a caso, poggiati ad un muro e con delle facce decisamente stravolte e particolarmente allegre.
"Effettivamente saranno due ore che siamo qui davanti" commenta Giulio ridendo, indicando con un cenno della testa la facciata del nostro hotel. Abbiamo camminato un sacco e a piedi ci siamo avvicinati al nostro albergo, praticamente senza nemmeno rendercene conto. Poi ci siamo fermati per i saluti dall'altro lato della strada, ma siamo ancora qui, con la voglia di restarci almeno fino a mattina.
"Glielo diciamo?" le chiedo nell'orecchio, poggiando le braccia attorno alla sua vita e attirandola verso di me. Lei si distacca un po', giusto il momento di guardarmi negli occhi e farmi capovoltare il cuore.
"Signori e signore, io e Pippo avremmo un annuncio da fare" dice Ludovica, battendo con i suoi anelli in argento contro un palo di ferro poco distante da noi. Tutti gli occhi sono su di lei, su di noi. Si appoggia a me, lasciando che il mio petto si adagi sulla sua schiena e che le mie mani grandi finiscano a proteggerle il pancino appena accennato. "Alcuni di voi già lo sanno, ma aspettiamo un bambino" dice felice, mettendo la lingua tra i denti e socchiudendo gli occhi per le urla e gli applausi che si scatenano appena finisce di parlare.
"Aspettate" avviso tutti di darle ancora un po' di attenzione, che la notizia più bella sta per arrivare. Sono emozionato come se lo stessi scoprendo di nuovo anche io, come se il mio cuore non fosse in grado di abituarsi a questa presenza magnifica e al fatto che sta imparando ad amare un altro essere umano.
"Oggi abbiamo scoperto che è una femmina e il destino ha deciso che si chiamerà Bianca" conclude, lasciando che le sue amiche la abbraccino emozionate e con gli occhi lucidi sentendosi già zie, come se quella piccola lenticchia fosse già qui tra noi. Dopodiché è tutto un susseguirsi di emozioni diverse, di sorrisi e lacrime di gioia mischiati come in una centrifuga, di parole ed abbracci colmi d'amore. Nel cielo si staglia timidamente l'alba, colorando quel nero profondo e buio e rendendolo soffice e sfumato come un quadro di Monet. Che più lo guardo, più mi sento diverso, felice, leggero. Che in questa notte folle e romantica, il cielo di Genova ha qualcosa di incredibilmente assurdo. Sarà colpa delle risate che mi inebriano il cervello, di questi abbracci avvolgenti che mi scaldano il cuore, della troppa birra bevuta che mi scalda le guance, di una stella minuscola, quasi impercettibile e di quel suo tocco di magia. Sarà semplicemente colpa di una favola di cui ci siamo ritrovati protagonisti e che porterà nella nostra vita il lieto fine: Bianca.
Angolo autrice
Buonasera a tutti!
Eccoci qui con un nuovo capitolo a cui tengo molto e in cui ho messo tutta me stessa, spero che vi piacerà. Se volete farmi sapere cosa ne pensate lasciate un commento qui sotto, io vi aspetto!
Grazie per tutti i risultati ottenuti, perché tutto questo è ormai parte di me e delle mie giornate. Perché scrivere mi ha cambiata nel profondo e un po' è anche merito vostro che mi avete ascoltata.
Vi aspetto con il prossimo capitolo, sarà l'epilogo di questa storia lunga e che mi spezza al solo pensiero di doverla lasciare.
Un abbraccio
~R. 🦋
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