Ad un nuovo inizio

Irama

Forse questa data rimarrà per sempre incisa nella mia memoria, mi hanno appena fatto vedere la classifica di ITunes: 'Un giorno in più' è primo e quasi stento a crederci. Vado a cambiarmi negli spogliatoi, con il cuore che ancora sembra scoppiare dentro al petto e, appena accendo il telefono, trovo subito un messaggio di Ludovica.

Dentro a questa scuola, mi sto rendendo sempre più conto che la musica è qualcosa di bello quando siamo insieme a farla, quando le influenze si mischiano fino a creare qualcosa di unico, quando hai la consapevolezza di arrivare dritto al cuore della gente e di riuscire a toccargli le corde giuste. Indubbiamente, questa, è una delle più grandi soddisfazioni della mia vita. Riuscire attraverso le proprie note a raccontare la storia di altre persone, a mischiare la propria esperienza con quella di centinaia di altri, ognuno con il suo bagaglio di ricordi, sapere di essere riuscito a suscitare un'emozione, un brivido nel cuore della gente.

Qualche giorno dopo mi ritrovo chiuso in una piccola stanza, con la voce di uno speaker che esce dalla radio, annuncia 'Un giorno in più' e quasi non mi prende un infarto. Mi siedo sullo sgabello e chiudo gli occhi, poco dopo sorrido e fisso il pavimento incredulo; mi godo ogni singola parola, poi si spalanca la porta ed entra Einar. Non parliamo, non serve, basta un mio sorriso a fargli capire tutto, si avvicina e, come per riflesso, inizia a sorridere anche lui, con il suo solito entusiasmo in grado di coinvolgerti. Prende posto su uno sgabello accanto a me, anche se poi non riesce a stare fermo e non fa altro che alzarsi e sedersi per tutta la durata del pezzo. La cantiamo insieme, uno accanto all'altro, con gli occhi di Ein nei miei, pieni di una luce orgogliosa, fieri del mio lavoro. Per quei tre minuti ci divertiamo davvero un sacco, lui che tiene il ritmo sbattendo energicamente una bacchetta di legno su un tamburo, le risate che fanno da sottofondo e il rumore del mio cuore felice che batte dentro al petto. "È pazzesca! Sembra Irama di Amici." mi dice Einar scoppiando in una sonora risata. "Ci assomiglia eh? Sai, quel tizio con le piume." dico ridendo, mentre tra le labbra tengo la paletta con cui si gira il caffè delle macchinette automatiche. "È più bravo lui, però." risponde un Einar sorridente. "Effettivamente...un po' meglio." dico cercando di restare serio, anche se poi, inevitabilmente, scoppio in una risata. E il mio cuore batte ad una velocità assurda, Einar continua a complimentarsi per il pezzo e per un attimo mi sento in un altro pianeta: sono felice, orgoglioso, fiero di me stesso. Sentire il proprio pezzo passare in radio è un'emozione pazzesca, qualcosa di davvero indescrivibile, riesci a capire quanto il tuo lavoro stia fruttando, quanto quello che scrivi riesca ad arrivare dritto al cuore delle persone, quanto quella che è la tua storia riesca a colpire anche altri, quanto, magari, sia in grado di raccontare un po' anche la loro vita.
Usciamo e ci dirigiamo in sala relax, dove c'è un Simone parecchio euforico che mi attende, tanto che non faccio a tempo nemmeno ad entrare, che già mi corre incontro e mi abbraccia. Gli racconto di quelle emozioni, dell'orgoglio che mi invade persino le vene, delle battute di Einar e di quanta voglia di rivalsa sento nel cuore, voglia di rialzarmi, di volare alto, di realizzare il mio sogno.

In un istante è venerdì, come se il tempo avesse accelerato il suo correre e fosse passato velocemente come un battito d'ali di farfalla. Sono in sala relax, in attesa della sfida, Einar è qui accanto a me, io quasi non respiro, tantomeno parlo, l'ansia mi fa persino rabbrividire e la saliva non riesce a crearsi uno spiraglio e scendere in gola. La voce di Marcello mi chiama e in un attimo mi ritrovo in studio: un sacco di occhi intorno, Paola Turci seduta nella postazione dei professori e i miei tre sfidanti nell'apposita panchina sulla mia sinistra.

Entra il giudice.
Il mio primo sfidante si chiama Marco.
Canto 'Che ne sai' con l'ansia che mi corrode lo stomaco, non riesco a pensare ad altro, non riesco ad estraniarmi come a mio solito, la mia mente è ferma ad un pensiero e non si scosta.
Riesco comunque ad aggiudicarmi il punto e vincere la sfida.
Rientro in saletta da Einar, con la faccia affranta e il cuore che mi batte furiosamente in gola. "Ira, l'hai fatta mille volte meglio di oggi." mi dice, con un tono di voce colmo di sincerità. "Lo so. Boh - non - non sentivo bene la base." rispondo schiarendomi la voce, cercando di non far trasparire quel macigno di ansia che sento sullo stomaco. "Riprenditi e spacca il culo a tutti!" mi dice incoraggiandomi, con una pacca sulla spalla e un sorriso a trentadue denti, di quelli talmente puri e trasparenti da calmarti in un secondo e, allo stesso tempo, così forte e protettivo da donarti la carica giusta.

Entra il secondo giudice e Francesca, l'altra sfidante.
Canto 'Che vuoi che sia', l'ansia sta leggermente diminuendo, cerco di godermi ogni secondo dell'esibizione, di dare il massimo, di vestire quella storia come se fosse mia, di far trapelare ogni singola emozione che sento dentro al cuore. Vinco anche questa, raggiungo Einar in saletta che mi accoglie con un abbraccio talmente bello, da farmi sentire a casa. "Hai spaccato! Ora rientri e spacchi l'ultima volta!" mi dice, poco prima che Marcello mi richiami in studio per la sfida finale.

Rientro, mi aspetta la terza e ultima sfidante: Annamaria.
Canto 'Le tasche piene di sassi', mi immergo in quelle emozioni, mi faccio entrare le parole fin dentro le vene e, quasi inevitabilmente, penso a lei. Quanto vorrei che fosse qui, quanto vorrei trovare i suoi occhi tra quelli del pubblico, così da perdermici un po', quanto vorrei stringerla forte, riempirmi le narici del suo profumo e riuscire a calmarmi davvero.
La mia sfidante è davvero molto brava, ha un timbro spettacolare, un'energia pazzesca, tant'è che il giudice ha bisogno di prendersi qualche minuto prima di decidere. Ho come l'impressione di non respirare più, da quelli che ormai saranno cinque minuti buoni, la salivazione è a zero e le palpitazioni accelerate del cuore mi fanno persino leggermente tremare. Marcello chiede ad Einar di raggiungermi in studio, lui arriva accolto dal boato del pubblico, si siede nel banco vicino a me; mentre io continuo solo a bere acqua, a portarmi la bottiglietta alle labbra e deglutire un po' di liquido. - nel vano tentativo di recuperare un po' di fiato - Il mio amico continua a rassicurarmi, io gli rispondo soprappensiero, anche se la mia testa sembra essere completamente altrove, gli occhi sono lucidi e il cuore trotta alla stessa velocità di una mandria imbufalita.
Canto di nuovo, è il momento di 'Un giorno in più' e, ogni volta, questa canzone mi spezza un po'. I ricordi di quei momenti mi si insinuano negli occhi, nelle vene, nelle cavità del cuore e risulta davvero difficile conviverci, riuscire ad arrivare alla fine del pezzo senza crollare, senza lasciar sfuggire qualche lacrima. - senza lasciar vincere i demoni che albergano dentro di me -
Chiedono un parere sulla canzone ad Einar, mentre mi volto leggermente e incastro i nostri sguardi per trovare un po' di conforto. "Al di lá dell'amicizia che ci lega, il suo ultimo pezzo è davvero straordinario. Riesce ad arrivarmi dentro, a toccarmi le corde giuste." dice sorridendomi, con il suo solito tono di voce leggermente imbarazzato e quello sguardo così sincero. Io non riesco neanche a rispondergli, la mia espressione è piatta, la linea delle labbra è quasi piegata all'ingiù, i denti si stringono forte in bocca e gli occhi fissi sul pavimento, come se cercassero qualcosa a cui aggrapparsi, in un momento ad alta concentrazione di ansia.
Per fortuna, alla fine, il giudice decreta la mia vittoria e mi restituisce la felpa nera. Paola mi blocca in mezzo allo studio, chiedendomi se tutto questo mi ha fatto stare meglio. "Si e no. Da una parte è come mettere del sale su una ferita, che continua a bruciare e, forse, non cicatrizzerà mai. Dall'altra mi sono impegnato, ho cercato di liberarmi come mi hai consigliato di fare ed ora riesco finalmente a sentirmi, mentre la canto sento le sensazioni sulla pelle." le rispondo ringraziandola e poi raggiungo Einar per uscire dallo studio.

Torniamo in sala relax e, dopo alcuni complimenti da parte degli altri allievi della scuola, ci cambiamo per andare in hotel; la giornata di oggi è finalmente finita e quasi non mi sembra vero. Accendo il telefono e inizia subito a squillare, segno di una chiamata in arrivo, leggo il nome di Ludovica sullo schermo e mi si dipinge un sorriso spontaneo in volto.
"Ehi" le rispondo con una voce dolce, solo leggere il suo nome sul display, mi ha messo una tranquillità addosso assurda. "Ehi giovane!" mi dice con un tono particolarmente squillante. "Sei stato bravissimo!" aggiunge poi, scoppiando a ridere pochi secondi dopo. "Come fai a saperlo?" le chiedo, corrugando leggermente la fronte. "Sono qui fuori, mi raggiungi?" mi chiede, resto per qualche istante fermo, con il telefono attaccato all'orecchio e le sue risate che riempiono la mia testa. Riattacco la chiamata, senza nemmeno risponderle, prendo il mio fedele zaino zebrato e corro fuori dagli studi, ad una velocità talmente spedita, che ancora non mi capacito di non essere inciampato nei miei stessi piedi.
Esco e lei è lì ad aspettarmi: seduta sul muretto mentre sorride al mio amico Lorenzo, poi appena sente la porta chiudersi con un tonfo metallico, si gira e improvvisamente mi corre incontro. Allaccia le sue mani dietro al mio collo, le mie braccia che la stringono forte e si appoggiano sulla sua schiena. "Bravo. Bravo. Bravo. Sei stato bravissimo." dice, prendendo una pausa tra una parola e l'altra, per lasciarmi qualche tenero bacio sulla guancia o sulla piega del collo. "Se avete finito, vorrei abbracciare questo coglione." dice Lorenzo, avvicinandosi e stringendomi in una nuvola di amore fraterno che, negli ultimi giorni, mi era mancato come l'aria. "Sappi che sarà l'ultima volta che te lo dirò, ma ti giuro che mi sei mancato un casino." mi dice stropicciandomi il ciuffo di capelli con una mano. Io mi limito a sorridere con la mia solita espressione da ebete, in questo momento non riesco nemmeno a parlare, tanta è l'emozione che sento fin dentro alle vene. Qualcosa di così intenso da farmi tremare persino le gambe, da donarmi quella sensazione dello stomaco sulle montagne russe, da crearmi quegli inconfondibili brividi sulla pelle.

Torniamo in hotel, però anzi che rientrare nella mia stanza, mi rifugio un po' in quella di Lorenzo e Ludovica. Sono in balcone con il mio migliore amico, per qualche chiacchiera tra noi, mentre lei è in bagno a farsi una doccia veloce.
"Le cose con lei come vanno?" mi chiede Lorenzo con un sorriso furbo in volto, come se mi volesse far capire qualcosa. "Non lo so. Non so più niente Lori." gli dico semplicemente, tenendomi tutto dentro come al solito. "E dimmi... i segni che Ludo aveva la settimana scorsa sul collo, dopo la vostra pazza alba al Colosseo cos'erano? Lividi? Ha preso qualche colpo per caso?" mi chiede scuotendo la testa, io di risposta gli do un colpo forte alla spalla, per poi unirmi alle sue risate. "Diciamo che le coccole ci sono sfuggite un po' di mano, insomma siamo andati un po' oltre..." gli rispondo, sistemandomi il ciuffo di capelli con le mani. "Si potremmo dire così. O più semplicemente che non riuscite più a tenere a bada gli ormoni, dato che anche il tuo segno sul collo è ancora bello evidente." mi dice cercando di farmi sollevare la testa in modo da mostrarlo. "Dai Maria, a parte gli scherzi...Cosa siete ora? Avete definito questo limbo strano in cui vi trovate?" mi chiede serio, aspirando un po' di fumo dalla sigaretta che tiene tra le dita. Sospiro e non faccio a tempo a rispondere alla sua domanda, che la voce di Lorenzo mi interrompe. "Non provare a rispondermi che non lo sai, che siete amici o qualsiasi altra puttanata. Cosa aspettate a rimettervi insieme?" mi chiede in tono ancora più serio, andando diritto al punto. "Non sono ancora pronto. È tutto così difficile Lori." gli rispondo. C'è ancora qualcosa che mi blocca, anche se non riesco a capire cosa, come ci fosse una specie di freno che ancora non riesco a togliere e che non mi permette di lasciarmi andare al cento per cento.
"Sei tu che, come al solito, la fai difficile Filo." afferma il mio amico con tono severo, spegnendo la sigaretta nel posacenere e appoggiandosi con la testa alla parete del balcone. "Non riesco ad accantonare il dolore di questi mesi. Non ce la faccio. Nonostante tutto quello che significhi lei per me, non ci riesco ancora." dico sincero, mentre Lorenzo sbuffa esasperato e si alza per avvicinarsi alla ringhiera. "Filo, imparerai mai a mandare a quel paese il tuo maledetto orgoglio? Finirai con il perdere l'occasione più importante della tua vita. Io lo so quanto Ludovica conti per te, quanto la tua intera esistenza ruoti attorno a lei, quanto sia fondamentale il fatto di averla, di sentirla tua. Cazzo Filo, vi siete baciati. Tutto questo non può essere accantonato, solo perché tu fai assalire dalle solite paranoie." mi dice in tono duro, mentre io continuo a riflettere, accusando il duro colpo. E quanta ragione nelle sue parole, quanto avrei voluto trovare la forza di zittire con un sonoro basta quella vocina che, dentro alla testa, continua a sussurrarmi che potrebbe andare di nuovo tutto male. Perché forse il vero problema sono io. "Ti giuro Lori, sono giorni che non penso ad altro. Giorni che odio me stesso, che odio il fatto che non posso toccarla, che non posso respirare ad un millimetro dalle sue labbra, che non posso sfiorare la sua pelle nuda, che non posso baciarla, baciarla e baciarla ancora. Sempre." gli dico prendendo il pacchetto di sigarette dal tavolo e accendendomene una. "Vedi cazzo, di questo sto parlando. Perché non riesci a superare tutto? Credi che lei non abbia sofferto quanto te? Credi che non sarebbe tutto più facile se ricominciaste insieme? Ascolta: hai commesso degli errori e anche lei l'ha fatto, ma ne avete pagato entrambi le conseguenze, ora è arrivato il momento di dire basta." cerca di incrociare il mio sguardo, per un istante non parlo, sto fermo immobile con gli occhi incastrati in quelli di Lorenzo, la sigaretta che brucia tra le dita e una voglia matta di lei. Da quel tre febbraio non ho mai pensato al suo dolore, al fatto che avessimo vissuto esattamente le stesse cose, ma mi sono concentrato solo su me stesso, escludendo la sua sofferenza e accantonandola in un angolo. "Io l'ho visto nei tuoi occhi quanto sei stato male, Filo. C'ero in quei momenti e credimi non potrei mai dimenticarli. Però, ho avuto la sfortuna di incrociare anche la tristezza nel sguardo spento di Ludovica. Vi ho vissuti entrambi e non potrò mai dimenticare quanto mi sono sentito inutile. Totalmente, completamente, immensamente inutile in quei momenti." la sua voce si spezza leggermente, tanto che si gira dall'altra parte per schiarirla e tentare di proseguire. "Ecco, pensa un attimo ad una cosa: stare insieme a lei potrà mai farti sentire peggio di quanto ti sentiresti standole lontano?" e quella frase colpisce i punti giusti, come una freccia che arriva dritta al bersaglio, come il re che mangia la regina e fa scacco matto, mettendo fine all'intera partita. E, nonostante tutto, ho davanti una certezza: non sarei mai riuscito ad essere completamente felice, senza lei al mio fianco. Niente e nessuno al mondo mi possono far sentire come mi sento quando sto con lei, perché sarà sempre il mio posto felice. Nonostante la mia mente oscurata in questi mesi,
nonostante i quintali di orgoglio che hanno cercato di soffocare con tutte le forze i miei sentimenti,
nonostante tutte le cose brutte,
nonostante quei ricordi che continuano a schiacciarmi con lo stesso peso di un tir;
nonostante tutto,
il mio cuore avrebbe urlato sempre e solo il suo nome e non sarei riuscito a godermi nient'altro senza avere la certezza di trovarla al mio fianco. "È andato tutto a puttane una volta, non rovinare di nuovo una cosa così bella." aggiunge Lorenzo, interrompendo il mio fluire di pensieri, io sospiro pesantemente, poi con un cenno gli offro una sigaretta dal mio pacchetto. "Hai ragione, Lori." gli dico, in modo semplice e diretto, nonostante quasi mi stessi meravigliando di me stesso. Lui si ferma per un istante con la sigaretta tra le labbra e la fiamma dell'accendino a qualche millimetro, con uno sguardo stupito, quasi esterrefatto. "Filo, puoi ripetere scusa?" mi dice avvicinandosi a me con il registratore del telefono attivo, sperando di sentirmi di nuovo pronunciare quelle parole. "Scordatelo! Non lo dirò di nuovo." dico scoppiando in un'allegra risata che fa sorridere, di conseguenza, anche il mio amico. "E allora, si ricomincia da qui?" mi dice alzando la birra in aria, mentre il colore del vetro della bottiglia si fonde con quelli del tramonto di una Roma particolarmente bella. "Ad un nuovo inizio!" ripeto io, poco prima di far scontare la mia bottiglia alla sua, creando quel tipico rumore di cocci di vetro.

Stiamo aspettando l'arrivo di Biondo, Einar, Emma, Lauren e Daniele accompagnati da una valanga di pizze e litri di coca cola gelata. Lorenzo sta editando con il computer alcune foto per il mio profilo Instagram, mentre io sono sdraiato sul letto ad aspettare Ludovica che, come al solito, sta passando delle ore nella vasca. Sento la porta del bagno aprirsi e la vedo uscire coperta solo da un grande asciugamano bianco che la copre nei punti fondamentali, prende alcune cose dalla sua valigia appoggiata al pavimento e si richiude dentro, non prima di farmi un sorrisetto furbo e socchiudere leggermente l'occhio sinistro. Io per poco non rischio di sentirmi male, probabilmente se Lorenzo non fosse stato all'interno di questa camera, avrei seriamente rischiato di perdere il controllo. Cerco di respirare in modo normale - anche se in questo momento mi sono dimenticato persino come fare - e prendo il telefono per scorrere in modo annoiato tra la home di qualche social, cercando di portare i miei pensieri altrove. Dopo alcuni minuti, Ludovica, esce di nuovo fuori dal bagno, indossa un mio pantalone in felpa grigio e ha un reggiseno in pizzo nero vedo non vedo che le segna perfettamente la curva del seno, risaltandola in un modo incantevole. Si avvicina al mio letto, ci sale sopra venendo pericolosamente verso di me. - che a stento riesco a deglutire e credo di aver raggiunto un colorito della faccia davvero esilarante - Il suo seno è praticamente a pochi millimetri di distanza dal mio viso, le sue mani che la sorreggono, appoggiate ai bordi del mio corpo, si morde il labbro inferiore delicatamente sorridendomi, per poi allungare un braccio sul comodino accanto a me e prendere l'anello con la pietra nera che è solita indossare. Dopodiché, si allontana prontamente con un'espressione beffarda in viso, mentre io resto immobile e socchiudo leggermente gli occhi, nel vano tentativo di placare quel pericoloso rigonfiamento all'interno dei miei jeans neri, che sembra ingrossarsi sempre di più. Prende la mia felpa rosa dalla sedia, la indossa sopra al reggiseno, ruba una sigaretta dal mio pacchetto appoggiato sul letto ed esce in balcone per accendersela. Lorenzo, che ha cercato di far finta di niente per tutti questi minuti, ormai non riesce più a trattenersi e scoppia in una risata talmente sguaiata, che per poco non cade dalla sedia, ritrovandosi in un nano secondo spalmato sul pavimento della stanza. "Ti giuro, Filo che pensavo stessi per venire su quel letto. Dovevi vedere la tua espressione mentre si avvicinava o quando era praticamente sopra di te...Mannaggia a me e quando non ho la videocamera accesa, sarebbe stato esilarante! Riguardarlo in loop, poteva diventare il mio nuovo sport preferito!'" dice il mio amico, con il respiro affannato dalle troppe risate, tanto che non riesce a pronunciare bene neanche tutte le parole. "Quella ragazza ha tutta la mia stima, sa esattamente dove colpirti." aggiunge poco prima di farmi l'occhiolino e riprendere il suo lavoro al computer. Io a stento riesco a parlare, che se la mia mente fa tanto di pensare ai minuti precedenti, rischio davvero di offuscarla con i pensieri più pervertiti del mondo. Dio, quanta voglia di baciarle quelle labbra, di sfiorare con i miei polpastrelli la sua pelle morbida, di vedere i suoi occhi pieni di me, di noi. "Mi fa impazzire, ti giuro." gli dico, cercando di tirare un respiro profondo e stropicciandomi delicatamente gli occhi con le dita.


*


È appena finita la puntata del sabato, noi allievi ci siamo cambiati negli spogliatoi e ora, dopo i classici autografi e le foto di rito con alcuni fans, finalmente possiamo respirare un po' di libertà. Per questo fine settimana: Einar tornerà a Brescia dalla sua fidanzata, Simone ed Emma andranno a casa di lui qui a Roma, Lorenzo tornerà a Monza per festeggiare il compleanno di suo papà e, questo significa, che io e Ludovica resteremo soli. Questa cosa, da una parte, mi rende estremamente felice e rilassato; dall'altra mi mette in imbarazzo e parecchio a disagio. Mi sembra passato un secolo dall'ultima volta in cui siamo stati soli, ma completamente soli, senza la paura che Lorenzo ci interrompesse o che, Simone ed Einar, ci beccassero a farci delle coccole un po' più spinte. Mi sembra passato talmente tanto tempo che neanche mi ricordo come si fa, ho paura di essermi dimenticato come si corteggia una ragazza, oppure quella bella sensazione che senti nello stomaco quando hai lei accanto, di quei minuti che passano velocissimi e tu vorresti si trasformassero in ore infinite. Ho anche una dannata paura di non riuscire più a trattenermi, di non tenere più a bada quei sentimenti che cerco di soffocare ormai da più di un mese e mi stanno letteralmente facendo impazzire. - dannata paura di rovinare tutto -

Passiamo una serata tranquilla, ordiniamo una pizza in camera mentre ci guardiamo un film. - un po' come piace a noi, un po' come non facevamo da secoli - "Sei un po' troppo distante stasera...Ho voglia di stare come ai vecchi tempi, dai." le dico, facendole segno con una mano di avvicinarsi a me. Lei scosta la scatola di cartone della pizza ormai finita, poi si fa posto tra le mie gambe, appoggiando la sua schiena al mio petto. - e quasi il cuore non mi esplode dalla felicità - Accende la televisione e fa partire uno dei film della saga di Harry Potter: "Il calice di fuoco", forse il nostro preferito. - da quando ci conosciamo l'avremo visto minimo dieci volte, senza stancarci mai - E mi sembra di tornare indietro nel tempo, alle nostre serate semplici: qualche coccola, un bicchiere di vino, il fumo di qualche sigaretta, un buon film e le mie mani intrecciate alle sue, in un vortice di sentimenti meravigliosi. "Mi aspetti qui? Dieci minuti e torno." le dico lasciandole un tenero bacio sulla spalla, lasciata scoperta dal cardigan di lana grigio che indossa. "No, dai Filo, lo sai che ho paura a stare sola in stanza." mi dice, prendendo la mia mano con un'irresistibile espressione da bambina. Nel frattempo si alza, abbracciandomi da dietro e appoggiando la sua guancia alla mia schiena, io mi volto e avvicino i nostri visi. I nasi si toccano, il suo respiro è affannato e si mischia con il mio, le sfioro le labbra con la punta dei polpastrelli, poi avvicino la mia bocca e la faccio combaciare alla sua. Un istante, un frammento di secondo, ma qualcosa di talmente intenso che sento le farfalle nello stomaco che danzano, che quasi mi fanno venire la nausea, che creano quel subbuglio così speciale, da farti battere il cuore ad una velocità assurda. "Torno subito!" le dico, praticamente respirandole sulle labbra, per poi sgattaiolare velocemente fuori dalla mia stanza.

Rientro qualche minuto dopo, intravedo la figura di Ludovica fuori dal balcone, illuminata solo dalla luce di qualche lampione sparso. Il buio e la luna le fanno da sfondo, è avvolta in una coperta enorme di pile rossa e ha il cappuccio rosa della mia felpa tirato su, che le ricopre la massa di riccioli scuri. Tra le mani tiene una sigaretta, che sta bruciando, avvicinandosi sempre di più alla punta delle sue dita. Mi avvicino e l'abbraccio da dietro, il mio petto contro la sua schiena mentre le lascio un bacio all'altezza del collo, coperto però dal tessuto della felpa. Da vicino sembra ancora più bella: la pelle chiara che risplende sotto la luce e assomiglia dannatamente alla luna che è sopra le nostre teste, gli occhi che le brillano leggermente, due enormi biglie marrone scuro che, a seconda della luce, scoprono le mille sfumature dorate che di solito nascondono e poi quelle labbra perfette, quasi scolpite ad arte, coperte da un sottile strato di burrocacao al cocco - quello che adora e che sa che mi fa letteralmente impazzire perché mi ricorda così tanto lei, perché sa di lei. Profuma delle nostre notti d'amore - "Dove sei stato?" mi chiede, voltandosi verso di me e portando la sigaretta quasi finita verso le mie labbra, per farmi fare un tiro. Butto fuori il fumo, spengo la sigaretta nel posacenere, poi la prendo per mano e la accompagno dentro. "A prendere questa...animiamo la serata!" le dico, mostrandole fiero una bottiglia di vodka appena acquistata al supermercato aperto ventiquattr'ore su ventiquattro accanto all'hotel. "Tu sei totalmente pazzo." mi dice scoppiando a ridere e buttando la testa leggermente all'indietro. Io accendo il computer e faccio partire una playlist come sottofondo musicale, poi apro la bottiglia bevendone un sorso, dopo la passo a lei, non prima di sussurrarle un "Si, ma di te."

Balliamo per ore che sembrano infinite, stretti l'uno all'altra, poi facciamo semplicemente gli stupidi. I telefoni tra le mani a riprendere qualche video di cui, domani mattina, non ricorderemo neanche l'esistenza, ci sporchiamo la faccia con la schiuma da barba di Einar, lanciamo in aria tutta la mia collezione di piume spargendola in giro per la stanza, cantiamo a squarciagola quasi fossimo ad un concerto, con le torce dei telefoni a creare l'atmosfera, rompiamo il cartone delle pizze creando piccoli coriandoli con cui divertirci o semplicemente ridiamo, ridiamo e basta.
"Brindo a noi!" le dico, alzando il tappo della bottiglia di vodka che sto usando come bicchiere. Lei scoppia a ridere talmente forte, che quasi non mi fa strozzare con il liquido che sto ingerendo, poi si avvicina e alza la bottiglia esclamando "A te che sei bello da morire!" per poi appoggiare le labbra e berne un piccolo sorso, le strappo la vodka dalle mani ed urlo "A te che sei bella da confondere!".
E mai avrei pensato di ritrovarmi qui: dopo nove mesi, accanto a lei, sdraiato sul pavimento di un hotel che ormai è praticamente la mia seconda casa, ubriaco, con la testa confusa dai fumi della vodka e dell'amore, a mangiare le croste fredde della pizza di Ludovica che lascia sempre lì; mentre lei è appoggiata con la sua testa al mio petto e con i piedi in alto contro la parete. "Sto benissimo, sono così felice che mi viene voglia di urlare. Mi sei mancato." mi dice, spostando leggermente la testa per far incrociare i nostri occhi. "Mi mancava averti intorno." le dico accarezzandole i capelli, ciocca dopo ciocca, filo dopo filo di quell'incantevole chioma bruna. "I tuoi occhi. Dio, Filo quanto mi mancavano i tuoi occhi." dice girandosi e avvicinando il suo dito alla mia palpebra, per accarezzarla dolcemente, fino al sopracciglio. "Mi mancava quel tuo modo di saper mettere a posto tutto, quando niente ha un ordine e mi sento un disastro." le dico dopo alcuni istanti di silenzio, in cui i nostri respiri regolari facevano da sottofondo alla notte romana. "Sei il posto più bello del mondo." mi dice, guardandomi fisso negli occhi. - Marrone. Azzurro. Verde. Nocciola. Un'esplosione di colori - "Lulù, io ti - " le dico, ma lei appoggia il suo indice sulle mie labbra. "Ssshh. Non dirlo, non ora, non così. Domani non me ne ricorderei e voglio poterlo fare." aggiunge poi sorridendomi, io scuoto leggermente la testa e faccio lo stesso. Mi perdo per qualche minuto ad osservare quella sua linea piegata all'insù, quella fossetta che le si crea sul lato destro del viso, gli occhi che si assottigliano e quasi rimane solo la luce che emanano. "Comunque anch'io. Non ho mai smesso di farlo." mi dice accarezzandomi i capelli, poi poggia la sua testa sulla mia spalla, mentre il mio braccio la sorregge, per poi cadere dopo alcuni minuti entrambi tra le braccia di Morfeo, in un sonno al profumo misto di sogni, vaniglia e cose belle.

Mi sveglio di soprassalto, in piena notte perché Ludovica urla il mio nome in un modo che mi terrorizza. Mi tiro su di scatto, ma lei ha ancora gli occhi chiusi e continua solo a ripetere il mio nome velocemente, con un tono di voce sempre più spezzato. La scuoto prima piano, poi sempre più forte, finché non sbarra gli occhi di colpo e si fionda tra le mie braccia, mi stringe bagnando con le lacrime il tessuto della mia maglietta di cotone. "Ehi, ehi, amore va tutto bene." le sussurro, accarezzandole dolcemente la testa, cercando di calmarla. "È stato solo un incubo, sono qui." Aggiungo poi, mentre lei allaccia le sue mani dietro la mia schiena e quasi non affonda le sue unghie nella mia carne. Restiamo in silenzio per alcuni minuti, almeno finché il suo respiro non si calma e i suoi occhi non smettono di lacrimare. Si scosta dal mio petto e mi guarda negli occhi, - come se in quel colore ceruleo ci volesse annegare - poi avvicina la sua mano alla mia guancia e l'accarezza teneramente, mentre mi sorride. Io resto immobile, quasi lei fosse in grado di disarmarmi completamente, di rendermi fragile ed indifeso. "Vuoi parlarne?" le chiedo, prendendo la sua mano e incastrandola alla mia. Lei scuote la testa, ha un'espressione triste in volto, ancora molto spaventata. Si avvicina e mi lascia un tenero bacio a fior di labbra. "Grazie, sei il mio posto sicuro." mi dice, poi si accoccola di nuovo accanto a me e intreccia le sue dita alle mie, accarezzandomi la mano fino ad addormentarsi.

Mi giro su un fianco per guardarla meglio, noto ogni più piccolo dettaglio, ogni singolo particolare, apro e chiudo gli occhi, mentre con la mente scatto delle istantanee, da tenermi in qualche cassettino della memoria per quando saranno necessarie. Poi, cercando di fare il più piano possibile, vado verso il mio comodino per recuperare il quaderno dove sono solito scrivere versi, che poi si trasformeranno in canzoni. Mi affianco di nuovo a lei, con la sua testa appoggiata alle mie gambe e la mia schiena contro la parete bianca della stanza, lo apro e mi trovo una pagina bianca così difficile da riempire. I miei occhi si posano di nuovo sulla figura di Ludovica: ha la bocca carnosa leggermente schiusa, le ciglia lunghe che le contornano le palpebre e una mano che si sta muovendo, stringe forte il tessuto del mio pantalone fino a rilassarsi di nuovo. - come se avesse bisogno del contatto con me per sentirsi al sicuro -

Sono ore che ormai fisso la pagina vuota, che la squadro cercando di trovare l'ispirazione giusta, cercando di far trapelare le sensazioni del cuore e trasformarle in parola. Picchietto la penna sul bordo del quaderno, intorno è buio, c'è solo una piccola abat-jour che crea la luce necessaria; ormai sono quasi le otto del mattino e, nel corridoio fuori dalla camera, si iniziano a sentire i primi rumori degli ospiti che stanno andando a fare colazione.
All'improvviso, mi si accende una piccola fiammella nella testa e annoto da una parte della pagina qualche breve frase.

"Ti ho detto passa ma non passa mai.
Ti ho detto basta ma non basta mai.
Se ho toccato il fondo era solo per stare con te.
Ti ho detto guardami in faccia e poi vai,
stupida sbronza che non passa mai,
come la voglia di sbatterti al muro
e baciarti perché
Sono giù
che grido come un pazzo "dove sei?"
Solo tu,
mi fai impazzire che ti ammazzerei.
Ma ora voglio solo te."

Apro piano piano gli occhi, la luce entra dalle tapparelle appena alzate della stanza e quasi mi infastidisce. Alla fine, stanotte non ho praticamente dormito, ho preferito vegliare sul sonno di Ludovica per paura che avesse ancora bisogno di me. Dio, era così bella: la bocca socchiusa, il respiro regolare, i boccoli che le ricadevano teneramente sugli occhi e la sua mano stretta alla mia, quasi fossi il suo punto di riferimento. - il suo mare calmo - Sentivo il bisogno di scrivere, di buttare su carta tutte le sensazioni di quella sera, di quel mese così intenso; ma a volte è così difficile riuscirci. Ho passato ore intere a fissare quel dannato foglio bianco senza trovare nemmeno una parola, poi l'illuminazione è arrivata all'improvviso. Così, inaspettato come un fulmine a ciel sereno che ha rischiarato le mie idee confuse, un po' come l'arrivo di Ludovica nella mia vita incasinata. Dopo, mi sono appisolato per qualche ora, mi sono accoccolato accanto a lei e lasciato cullare dolcemente dalle braccia di Morfeo.

Sta uscendo dal bagno, indossa la camicia azzurra che portavo ieri sera che le arriva praticamente a coprire poco sotto il sedere, scoprendole la linea sensuale delle gambe. "Buongiorno" mi sussurra in un modo buffo, mentre si spazzola i denti. Ha i contorni della bocca sporchi di dentifricio bianco, i capelli disordinati e, nonostante questo, io credo di non aver mai visto cosa più bella. Torna in bagno per sciacquarsi la bocca, mentre io mi alzo dal pavimento e mi stiracchio leggermente in modo da svegliarmi. Lei spegne la luce del bagno e mi raggiunge in balcone, dove sto per accendermi una sigaretta. "Scusa per stanotte." mi dice, sedendosi sulle mie gambe e accarezzandomi con il suo tocco delicato. "Non lo dire neanche per scherzo, mi vuoi raccontare? Mi hai fatto davvero spaventare tanto." le dico sinceramente, alzandole la testa con le mie dita e facendo incrociare i nostri occhi. "No. No. Filo, non ce la faccio." dice con la voce rotta dal pianto, asciugandosi prontamente qualche lacrima sfuggita dagli occhi. "Scu - Scusa. Ti prego, non - non mi ci far pensare più." aggiunge poi, tra un singhiozzo e l'altro, incastrando il suo viso nello spazio tra il mio collo e la mia spalla, sprofondando per qualche secondo tra le mie braccia. Io la stringo forte, proprio come ieri sera, cercando di infonderle la sicurezza di cui ha bisogno. "Tranquilla, va tutto bene." le sussurro, mentre lei trema leggermente e cerca di tirare qualche respiro profondo per calmarsi.

Appena finita la sigaretta decidiamo di prepararci per andare a pranzo fuori. Ludovica va in bagno, si infila sotto la doccia e la tentazione di entrare in quella stanza è davvero forte, tanto che per non pensarci esco in terrazza per chiamare Lorenzo.
Rientro in camera e la vedo: la porta del bagno è leggermente aperta, lei si sta spalmando la crema sulle gambe in un modo così sensuale che quasi, per un istante, non riesco a deglutire. Mi dirigo verso di lei ostentando nonchalance, anche se non riesco a tenere a bada gli ormoni, che sembrano completamente impazziti. Inizio a lavarmi i denti, spazzolandoli con cura, finché non sento le sue mani calde sporche di crema appoggiarsi alla pelle nuda delle mie spalle. Si accoccola con il suo corpo, coperto solo dall'asciugamano bianco, contro la mia schiena, poi mi lascia alcuni baci sensuali sulla curva delle spalle, mentre io devo cercare di concentrare i pensieri da un'altra parte per non rischiare di impazzire. Le mie mani stringono forte il bordo del lavandino in ceramica, mentre lei ride contro la mia pelle, percependo chiaramente il mio disagio. Esce dal bagno velocemente e va a vestirsi in camera, non prima di chiudermi dentro a chiave in modo da non farmi sbirciare, spezzando quell'atmosfera sensuale che si era creata.

Resto fermo, con il viso sotto il getto diretto della doccia, mentre l'acqua mi percorre ogni singolo centimetro di pelle e penso. Penso a quella persona che è nella stanza accanto alla mia e si sta truccando. Penso al suo modo di essere totalmente diversa dalle altre. Al modo in cui riesce a farmi impazzire completamente, facendomi perdere tutta la lucidità e razionalità che, di solito, metto nei rapporti. Penso a quanto sia fragile e forte allo stesso tempo, a quanto sia felice e un attimo dopo triste, a quanto adoro il suo modo di essere dolce e un secondo dopo acida. Penso al modo in cui riesce a farmi sentire, a quelle farfalle nello stomaco che ormai hanno preso il volo e non si fermano più. Penso al suo viso, al modo in cui mi fa sentire leggero non appena accenna un sorriso. Penso che adoro il suo modo di fare, perché lei non è né bianco, né nero, è un insieme di infinite sfumature in un mondo che profuma di lei. - ed ormai, credo di non poterne più fare a meno -

Ludovica

Abbiamo appena finito di pranzare al sushi, credo di aver mangiato così tanto rare volte in vita mia, ma ormai so che, quando sono con Filippo, va sempre a finire così: piatti infiniti contenenti qualsiasi tipo di involtino, alga, pesce crudo, nelle combinazioni più disparate possibili.

Ludovicaa
Rome, Italy

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Ludovicaa Giuro che questa volta ordiniamo poco...è andata a finire così.

Dopo, abbiamo fatto un giro veloce per la città; anche se ormai con Filippo è diventato davvero difficile. Siamo stati fermati minimo venti volte da persone che volevano farsi una foto insieme a lui; addirittura una ragazzina gli ha chiesto chi fossi io e perché stavamo passeggiando insieme e lui, totalmente imbarazzato, con la sua classica mano dietro alla nuca e un colorito rosso in viso, non sapeva che rispondere. Tutti mi guardavano di sottecchi, come se la curiosità li stesse mangiando vivi, con quegli sguardi a volte maligni, altre invidiosi, altre ancora dolci e comprensivi. Non sono per nulla abituata a tutto questo e questa cosa mi ha messo molto a disagio: sentirmi al centro di un mondo a cui non appartengo, non essere libera di uscire con lui perché lo sommergeranno di domande su di noi, non poter pubblicare una foto, non poterlo baciare per strada, non poter intrecciare le mie dita alle sue perché correremmo il rischio di finire al centro di qualche gossip che non ci interessa, dover passare sempre per il ruolo di amica, cugina, conoscente o parente lontana. Quando Filippo era appena uscito da Sanremo o dopo Il Coca Cola Summer Festival, sì, indubbiamente, veniva fermato per strada, oppure sui social uscivano ogni tanto foto di noi insieme, ma non mi era mai capitato di sentirmi così, forse perché non c'era l'intensa carica mediatica che ha ora, essendo protagonista di un talent seguito come Amici.

Dopo un bel cono gelato, siamo tornati in hotel per prendere le mie cose e andare in stazione, ho il treno per Milano che parte tra poco. Siamo in macchina, radio sparata ad un volume esagerato e sigaretta tra le dita come nostro solito. - anche se, in realtà, nell'auto di Filippo sarebbe severamente vietato fumare, però per me fa sempre un'eccezione - Stiamo ridendo come due stupidi, quando partono le prime note di 'I will always love you' e la sua faccia si rattrista di colpo, quasi un ricordo gli si fosse insinuato dritto nello stomaco, forte come un pugno. Sta in silenzio per alcuni secondi, finché non appoggio una mia mano alla sua, che stringe forte il volante, talmente tanto che le nocche ormai sono di un colore biancastro. "Filo, ferma la macchina, dai. Va tutto bene." gli sussurro accarezzandogli la testa, finché non mette la freccia e accosta l'auto in uno spazio sul lato destro della strada. Non riesco a trattenere le lacrime e, mentre la voce di Whitney Houston riempie l'abitacolo, mi giro dalla parte del finestrino e scoppio a piangere. Silenziosamente, cercando di reprimere i singhiozzi e sperando che Filippo non se ne accorga. Non faccio in tempo a pensarlo, che le sua braccia mi avvolgono attirandomi a sé, sprofondo nel suo abbraccio e affogo le mie lacrime nel tessuto del suo maglione nero. "Scusa. Dovrei farti forza e, invece, piango come una cogliona." gli sussurro ad un centimetro dal suo orecchio, mentre la mia testa è appoggiata alla sua spalla. "Non ho ancora pianto per lei. Ludo, sento il bisogno di farlo, ma non riesco." aggiunge lui, qualche minuto dopo mentre continua ad accarezzarmi la testa, con un tono di voce affranto. Il rumore del motore ancora acceso e di qualche canzone inglese in sottofondo, riempie quel silenzio. Un silenzio così difficile da spiegare, non di quelli che sorgono quando non c'è nella da dirsi, ma qualcosa di più profondo. Quel silenzio colmo di ferite, di mancanze, di tagli ancora così immensi da spezzare tutto il resto. "Si intitola 'Un respiro'. Non ho saputo far altro che scrivere, prendere carta e penna e buttare giù una canzone. Le parole uscivano e, mentre la mia penna scriveva su quel foglio, il cuore era come trafitto da centinaia di coltellate. Ma non sono riuscito a versare nemmeno una lacrima, mi sento un fallito." mi dice, spezzando quel silenzio, mettendosi completamente a nudo. "Filo, non c'è un modo giusto per gestire il dolore. C'è chi piange, chi urla, chi se lo tiene dentro e lo soffoca, ma c'è anche chi ha una dote magnifica come la tua e allora scrive." gli rispondo, staccandomi per un istante per guardarlo dritto negli occhi. "Pensavo di abituarmi alla sua assenza, che con il tempo potesse affievolire, pensavo di riuscire a superarla. Invece, quasi tutte le sere, mi ritrovo con il telefono in mano e le mando un messaggio, come se aspettassi ancora quella risposta. È l'unica cosa che mi fa stare bene, pensare che prima di addormentarmi le racconto la mia giornata, proprio come quando era ancora qui." sussurra, quasi avesse timore a mostrarsi così fragile e io, di risposta, non riesco a far altro che commuovermi ancora di più. "Tu non c'eri, lei non c'era più ed era tutto una merda. Ora che sei tornata, che siamo di nuovo qui insieme, vorrei avere la possibilità di tornare in quella casa e farle vedere che mi sono rialzato, che ho di nuovo il sorriso che le piaceva tanto, che accanto a te è tutto più bello e invece..." quasi la voce non si spezza, continua a schiarirla per non farlo notare, anche se io lo conosco troppo bene per non accorgermene. "Lei c'è, Filo. C'è sempre, anche se non fisicamente, è qui." gli dico avvicinando una mia mano al suo cuore e poggiandocela sopra. "Ti guarda, osserva ogni tuo gesto e, sono sicura, che sarà orgogliosa della persona che sei." gli dico accarezzandogli delicatamente il petto, mentre lui quasi si bea di quel tocco. "Non sai quante volte ho preso la macchina, sono partito da Monza per andare al cimitero, ma non ce l'ho mai fatta. Sai dove mi rifugiavo? Ti sembrerà una follia..." si interrompe, sospirando leggermente e lasciando il discorso sospeso a metà per qualche minuto. Dal suo sguardo sembra che quasi si vergogni o che, addirittura, abbia timore a rivelare questa cosa. "Andavo a casa tua, da tua mamma. Le prime volte passavamo ore a parlare di tutto. Mi sono sfogato così tanto con lei, che probabilmente le dovrei fare un monumento per la pazienza che ha avuto nell'ascoltarmi. Abbiamo un sacco anche di te e continuava a dirmi che non dovevo arrendermi, che nei tuoi occhi aveva visto l'amore vero e che, per quanto continuassi a negarlo persino a te stessa, quel sentimento non sarebbe mai sparito. Infatti, guardaci: nonostante tutto, siamo ancora qui, più forti di prima." si confida, poi mi sorride lasciandomi un tenero bacio sulle labbra. "L'ho pregata di non dirti niente, perché non volevo farti stare male, perché avevo paura di una tua reazione e poi perché era diventato un po' il mio posto sicuro. Non c'eri tu, ma era come se fossi lì. Passavo ore intere nella tua stanza, seduto sul letto a sfogliare tuoi vecchi album di foto, a cercare dettagli di noi, anche se, purtroppo, ti eri portata tutto a Milano. Oppure, semplicemente, mi sdraiavo sul letto, chiudevo gli occhi e rivivevo tutti i nostri momenti felici con la testa appoggiata al cuscino che profumava di te." ha un'espressione sorridente in viso, quasi sognante, come se quelli fossero gli unici momenti felici da ricordare di tutti quei mesi terribili. "Devo tantissimo a tua mamma, davvero. Mi ha accolto con lo stesso amore che si da ad un figlio, cucinava i miei piatti preferiti, mi teneva compagnia, fumava addirittura qualche sigaretta insieme a me. Pensa che, alcune volte, mi ha ospitato persino a dormire perché era troppo tardi per tornare in macchina fino a Monza, da solo. Siete così simili, a volte mi sembrava di parlare con te, anche lei mi ha salvato in un periodo in cui, anche io stesso, mi sono voltato le spalle." dice in tono sincero, con una purezza così spontanea da lasciarmi completamente attonita. Lo osservo per alcuni istanti: i capelli disordinati, gli occhi quasi umidi, le labbra che formano una linea dritta.
Io e lui, occhi negli occhi, senza nascondigli. "È una cosa dolcissima, Filo." gli dico, avvicinandomi al suo viso e lasciando un dolce bacio all'angolo della bocca, mentre il suo dito indice passa delicatamente sotto i miei occhi, per asciugarmi qualche lacrima. Il suono del mio telefono interrompe quel momento, è un messaggio di Lorenzo che mi dice se sono partita da Roma. Sposto gli occhi verso il cruscotto della macchina per guardare l'ora e mi accorgo che si è fatto davvero tardissimo, ho perso il treno più di un'ora fa e me ne rendo conto solo ora. Rispondo velocemente a Lorenzo e poi scoppio a ridere insieme a Filippo, che si è appena reso conto di quanto sia tardi. "Smettila di ridere coglione e accompagnami in stazione, che il prossimo treno parte tra un quarto d'ora e se corriamo posso farcela!." esclamo, anche se ad ogni parola scoppio in una risata sempre più rumorosa, mentre con una mano tiro dei piccoli schiaffi sul petto di Filippo che continua solo a ridere, come se fosse appena successa la cosa più divertente del mondo. "Assolutamente no. Ormai è tardi e il treno da sola, a quest'ora, non lo prendi. Ti accompagno io a Milano." mi dice asciugandosi gli occhi inumiditi dalle troppe risate, mentre tiene lo sguardo fisso sulla strada, cercando di superare il traffico intenso di Roma. "Ma tu sei fuori di testa, non ci pensare nemmeno! Sono sei ore all'andata e altre sei per tornare qui. No!" gli dico in tono serio e fermo, anche se lui ha già imboccato la strada e all'orizzonte vedo il casello dell'autostrada. "Filippo Maria Fanti. Davvero, smettila e portami alla stazione. Non puoi fare dodici ore di macchina consecutive...domani hai pure lezione." gli dico in tono sempre più contrariato, ma lui continua ad ignorarmi, prendendosi gioco della mia arrabbiatura. "Cazzo, Fanti. Perché non mi dai mai retta?! Ti giuro mi stai facendo incazzare." gli dico in tono sempre più serio, mentre lui continua solo a ridere e, dopo i primi secondi, fa ridere anche me. "Facciamo così: arriviamo a casa tua, dormo un paio d'ore e poi riparto." mi dice, mentre distoglie per un secondo lo sguardo dalla guida e lo poggia su di me. "Sei sempre il solito testardo..." gli dico, scuotendo leggermente la testa e accendendo la radio. "Fammi un favore: prendi il mio telefono e spiega la situazione ad Einar e a Simo. Ci dovrebbe essere la chat di gruppo." mi chiede indicando con un cenno lo schermo del telefono che tengo tra le dita. "Quelli della 310? Cavolo che immaginazione che avete." dico scoppiando a ridere, poi digito velocemente un messaggio sulla tastiera e poggio il telefono sulle mie gambe, in attesa di qualche risposta. "Einar ci saluta e dice di chiamarlo quando parti da Milano, così magari ti tiene compagnia durante il viaggio." gli dico mentre leggo la risposta appena arrivata dell'amico cubano. "Simone...Beh, Simone dice, innanzitutto che sei un pazzo e poi aggiunge di prendertela con calma, di farci qualche 'coccola'. -" dico mimando le virgolette con un gesto delle dita "- e di stare tranquillo, che tanto ti coprono loro domani mattina con i professori. Ovviamente con mille emoticons di faccine particolarmente marpione, come suo solito." dico rispondendo anche a Simone per poi appoggiare il telefono di nuovo sulle mie gambe.

Passiamo il viaggio in assoluta tranquillità: cantiamo, ridiamo un sacco, parliamo come non facevamo da tantissimo tempo. Ci raccontiamo qualche aneddoto, apriamo alcune ferite lasciate in sospeso, ci prendiamo in giro, ci sussurriamo cose dolci e respiriamo un po' di amore. E quasi non mi sembra vero di stare così, di essere così felice, serena e spensierata che quasi mi viene voglia di ridere sempre.
Arrivati a casa mia a Milano, ci fiondiamo direttamente a letto. Per la strada abbiamo incontrato un tempo da schifo: banchi di nebbia che non permettevano di avere una visuale sulla strada, un temporale da paura e Filippo ha gli occhi arrossati e quasi chiusi da quanto è stanco, continua a sbadigliare, senza avere la minima forza per parlare. - e quasi mi sembra di innamorarmi ancora di più dopo il gesto che ha fatto stasera - Ci addormentiamo così: stretti l'uno accanto all'altra, la sua bocca quasi attaccata alla mia, i nostri respiri che si mischiano e questa stanza che non mi ha mai fatto sentire tanto protetta e al sicuro.

Sento la sua voce sussurrare un "Ciao amore...sei così bella quando dormi." piano, piano, quasi un bisbiglio appena udibile. Si allontana, chiude adagio la porta della stanza ed io sento il cuore quasi scoppiarmi nel petto. - Amore. Amore. Amore. Non sto sognando. - Sento dei passi avvicinarsi di nuovo, riconosco il suo profumo che si avvicina al mio corpo, mi lascia un bacio a stampo, mentre sussurra un "Ti amo, te lo dovevo dire. Ti amo." ripete con la voce ancora assonnata, poco prima di baciarmi di nuovo e di allontanarsi per rimettersi in viaggio verso Roma. Ho il cuore che pulsa forte nel petto, sentire pronunciare quelle parole mi ha creato una sensazione dentro davvero impossibile da spiegare. Lascio passare qualche secondo, poi apro la nostra chat e gli scrivo un messaggio.




Angolo autrice

Buona sera a tutti, oggi capitolo notturno...come state?
Scusate per la mia assenza, ma in questo periodo sono stata un po' impegnata e scrivere il capitolo è stato abbastanza impegnativo ❤️
Vi piace come sta procedendo la storia? Vi intriga sapere come andrà avanti? Fatemelo sapere nei commenti sotto, che vi leggo tutti e mi diverto così tanto a chiacchierare con voi ❤️

Anyway venerdì e sabato sono stata a Firenze al concerto di Filippo e boh...ancora non ho le parole per spiegare l'emozione, la magia, il sogno che è stato ✨ - una settimana al forum e quasi non mi metto a piangere al solo pensiero....

Un abbraccio enorme, a presto!
~R. 🦋

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