Rewind

-Erwin-

Petra ha gli occhi fissi sullo schermo d'innanzi a lei, l'aria distrutta e le labbra contratte in un'espressione afflitta. Non mi ha più rivolto la parola da quando si è messa all'opera con il paziente, se non per dettarmi informazioni riguardanti il suo stato di salute, che man mano ho trascritto nel suo fascicolo. Nemmeno si volta a guardarmi quando il mio telefono prende a squillare, ma la vedo contorcere il viso in una smorfia di disappunto nell'esatto momento in cui rispondo alla chiamata con un "tesoro".

Non mi aspettavo certamente di essere chiamato dal mio ragazzo a quell'ora, mi è dunque impossibile nascondere un fremito d'emozione: è sempre un piacere sentire la sua voce. Eppure l'orrore prende possesso del mio corpo, colpendomi dritto alla bocca dello stomaco, nell'esatto momento in cui scandisce le prime parole. Vuole sapere dove sono e percepisco l'agitazione fin dalla prima sillaba: sembra sull'orlo di una crisi di pianto nervosa.

«Hey, che succede?» gli sussurro, cercando di apparire il più tranquillo possibile, nonostante il moto d'ansia che pian piano mi sta crescendo nel petto.

«Non lo so! Cristo santo, sta andando tutto a puttane, sono dannatamente confuso. - biascica. -Puoi venire qui?» mi domanda infine, dopo una pausa di silenzio. E se qualcosa fosse andato storto durante il suo trattamento? Se pian piano gli stesse ritornando la memoria? Impossibile. Allontano quelle idee malsane dalla mia mente: in tanti anni una cosa del genere non si è mai verificata e il trattamento di Levi è stato assolutamente perfetto. Allontano il telefono dall'orecchio, coprendo con una mano il microfono.

«Petra, puoi continuare da sola? Il mio ragazzo sta malissimo.» le bisbiglio, ricevendo in cambio un'occhiata seccata.

«Ma che cazzo, Erwin! Non puoi lasciarmi da sola, questa è una fase delicata, lo sai bene!» sbotta indignata, battendo un pugno stretto sul tavolino e facendo cadere qualche foglio sul pavimento.

«Andiamo, chiamo Moblit e mi faccio sostituire da lui.» insisto sfoggiando un sorrisetto angelico e giocandomi il suo ragazzo come carta vincente.

«Fa come ti pare, ormai ti è andato in pappa il cervello.» sbuffa, tornando al suo lavoro.

«Dieci minuti e sono da te.» sorrido al telefono.

-Levi-

Sento il cuore rimbombare nel petto come un tamburo, il sangue pulsare in ogni singola vena, affluendo fino alle tempie, martellando furioso, inarrestabile. Accovacciato nel bagno, di fianco al gabinetto nel caso dovessi rimettere per l'ennesima volta, con un asciugamano stretto tra le mani e le ginocchia tirate su, fin contro il petto. Ogni singolo muscolo del mio corpo si rifiuta di rispondere ai comandi impartiti dal cervello, facendomi sentire inutile, come una macchina rotta. Brividi congelati mi accarezzano interamente la pelle, inspiegabilmente sudata, facendomi tremare. Non capisco cosa diamine mi stia succedendo, forse c'è seriamente qualcosa di sbagliato nella mia mente.

Sento il campanello suonare, ma non ho la forza di alzarmi; le lacrime bagnano le mie guance appannandomi la vita, deformando i contorni della piccola stanza che sta ospitando il mio dolore. È così che mi sento, come se stessi brancolando in un tunnel buio, senza la minima idea di dove si trovi l'uscita; tutto così scuro da farmi ripetutamente domandare se sia io ad essere diventato cieco. E cosa fare in una situazione del genere? Continuare a cercare, a vagare, nella vana speranza di riuscire a trovare il sole, o semplicemente lasciarmi andare, abbracciando le tenebre e concedermi interamente ad esse?

Ancora la porta, questa volta presa a pugni.

«Lee, andiamo apri!»

Lee.

Sento il cuore bloccarsi al suono di quell'appellativo, un nomignolo che mai nessuno ha usato con me, ma capace di farmi sciogliere. Ed è proprio quel nome che mi da la forza di sollevarmi sulle gambe, quelle tre lettere che mi permettono di muovermi, con un moto di gioia inaspettata, nella direzione dell'ingresso del mio appartamento. Una singola parola che nella sua semplicità è riuscita a tirarmi fuori dal tunnel gettandomi una corda, a cui io mi aggrappo con tutto me stesso.

E quando spalanco la porta, il flebile sorriso mi muore sulle labbra. Come se mi aspettassi qualcuno di diverso, non riesco a spiegarmi chi. Di certo non speravo di specchiarmi in due occhi azzurri, sovrastati da spesse sopracciglia aggrottate.

Ma d'altronde, sono stato io a telefonargli; non perché sentissi il bisogno di stare con lui, quanto più la necessità di non rimanere da solo.

«Erwin...» sussurrò solamente, concretizzando con quella singola parola la realtà dei fatti. Riprendo a singhiozzare, cercando di trattenere le lacrime: odio piangere davanti alle persone. Lo vedo muoversi nella mia direzione, sento le sue mani percorrermi la schiena e stringermi in un abbraccio. Non ricambio la stretta, ogni singolo musco s'irrigidisce a quel tocco ed io mi limito a puntare lo sguardo nel vuoto.

«Hey, che succede? - mi sussurra. - Non ti preoccupare, andrà tutto bene.» continua. Ho voglia di spingerlo via, di urlargli che il mondo è una merda, che la mia vita è una merda; non ci riesco. Ho una voragine nel petto e sono consapevole di sembrare un folle.

«Non lo so. - mormoro ad un tratto. - Ho... ho paura. È come se mi fossi perso, come se stessi scomparendo dalla faccia della Terra. Niente ha più senso.»

«Ci sono io qui.» prova a rassicurarmi ed io non riesco a non chiedermi perché questa persona, che conosco si e no da un paio di giorni, si comporti in questo modo.

«Cosa provi per me?» gli chiedo atono.

«Lee, io ti amo.» ancora quel soprannome, questa volta non reagisco bene: lo spingo via, lontano da me.

«Perché mi chiami in questo modo? Perché cazzo continui a chiamarmi così?» gli urlo, affondando subito dopo i denti nella carne dell'interno guancia, mordendo fino a farmela sanguinare.

«Ok. - dice, portando i palmi in avanti e avvicinandosi cautamente. - Se non ti piace, non lo farò più, va bene?» faccio un respiro profondo, annuendo piano.

Mi piace, ma non se a pronunciarlo è la sua voce.

«Senti, andiamo a ballare, ti va? Cerco su internet i locali aperti, sono sicuro che qualche discoteca-»

«A ballare? Levi, non sei nelle condizioni di-»

«Non dirmi in che condizioni sono, cazzo! - porto una mano tra i capelli, poi improvvisamente una lampadina si accende nella mia testa. - Andiamo a Trost, sulla spiaggia.» dico convinto, dirigendomi verso l'appendiabiti e afferrando il cappotto.

«A Trost?»

«Anzi no, andiamo sul lago di Sina.» affermo, avvolgendo la sciarpa attorno alla gola e sistemando i guanti.

«Levi, è notte fonda. Ci andremo questo weekend, promesso.»

«Tu...- gli punto un dito contro il petto.- Tu non capisci, io devo andarci ora, in questo momento. Devo vedere il lago ghiacciato, adesso.» asserisco, dirigendomi verso la porta.

-Eren-

«Ren, ma come diavolo ti è venuto in mente? Un pic-nic su un lago ghiacciato, sei serio?» mi pone quella domanda eppure sta sorridendo; inevitabilmente lo faccio anche io, prendendogli una mano e cominciando a slittare sul ghiaccio sulla suola degli scarponi. Lo vendo incespicare, così allargo le braccia e lo accolgo contro il mio petto. M'immergo nei suoi occhi, nel suo sguardo malizioso, rimanendo folgorato dalla curva delle sue meravigliose labbra.

«Buon anniversario, amore mio.» bisbiglio ad un soffio dal suo viso, per poi baciargli dolcemente la fronte. Ridacchia un po', trascinandomi sul suolo. La neve, il ghiaccio, l'inverno... tutto per me è inspiegabilmente collegato a lui.

«Sei l'unica persona, sulla faccia della Terra, che avrebbe potuto fare una cosa del genere.» esclama, frugando nello zaino alla ricerca delle cibarie da lui stesso preparate.

«No, sono abbastanza sicuro del fatto che sarebbe venuta anche a te una cosa del genere in mente.» rispondo, estraendo dalla borsa una piccola cassa Bluetooth - precedentemente sincronizzata al mio cellulare -, e facendo partire una canzone a caso della playlist che abbiamo in comune, contenente tutti i nostri pezzi preferiti. Lo vedo sollevare un sopracciglio, dannatamente sexy e complice, nel momento in cui parte: "How deep is your love" dei Bee Gees. Un sorriso si stende sulle sue labbra, mentre dolcemente mi si avvicina con un cofanetto tra le mani.

«Chiudi gli occhi.» mi ordina, senza smettere nemmeno un secondo di sorridere.

«Agli ordini.» rispondo appoggiandomi sul ghiaccio con i palmi delle mani, ben coperti da spessi guanti neri. Lo sento sedersi a cavalcioni sulle mie gambe, aggrappandosi poi con le cosce alla mia vita per restare stabile.

«Adesso, apri la bocca.» lo sento bisbigliare.

«In un luogo pubblico e congelato? Sei intraprendente!» lo prendo in giro, afferrandolo per il fondoschiena e trascinandolo nella mia direzione. Mi avvolge dolcemente le guance, invitandomi a schiudere le labbra. Quello che sento subito è il sapore dolce, a tratti aspro, ma sicuramente succoso delle fragole, seguito dalla sua lingua che mi spinge ad ingerire il mio frutto preferito dalle sue labbra, che plasmano le mie a loro piacimento, lasciandomi inebriato e senza fiato. Riapro gli occhi, ritrovandomi a pochi millimetri da lui: il succo rosato cola dalla sua bocca, rendendola erotica da morire.

«Dove le hai trovate? Non è il periodo.» gli faccio notare, ipnotizzato dal suo sguardo.

«Ho i miei segreti.» sussurra, leccandomi subito dopo il mento, sporco di quel dolce nettare.

«Però manca qualcosa...» comincio, ma lui m'interrompe subito, alzando un dito e posandolo sulle mie labbra.

«La panna è a casa tua nel frigo, dopo potrai fare con me e con lei tutto ciò che vorrai.» e quella proposta sento le viscere contorcersi e l'inguine tendersi in risposta.

«Tutto?» biascico, pendendo dalle sue labbra, supplicandolo con lo sguardo di concedersi a me quanto prima possibile. Si morde un labbro, fissandomi come un predatore fa con le sue vittime, rendendomi schiavo di quel consenso che attendo con agognato desiderio. E quando arriva quel "Qualsiasi cosa." sussurrato contro l'orecchio, sento il cuore fermarsi, come congelato, per poi ripartire alla velocità della luce. Mi lascio sfuggire un mugugno di disappunto quando si separa dal mio corpo, facendomi rabbrividire per quel confortevole calore, sottratto dall'improvvisa separazione.

«Ho una sorpresa per te.» annuncio, cercando di calmare i bollenti spiriti.

«Sono tutto orecchie.» risponde subito, infilando una fragola in bocca. Estraggo dallo zaino una busta gialla, porgendogliela con fierezza e una punta di emozione.

«Aprila.» lo incito, sghignazzando nel vederlo perplesso. I suoi occhi s'illuminano non appena ne estrae il contenuto e le sue labbra si schiudono per lo stupore.

«Ma sono io?» mi chiede, non riuscendo a contenere l'entusiasmo e maneggiando quella tavola come se ne andasse della sua vita, stando attento, nonostante sia plastificata, a non farla urtare contro ghiaccio o neve.

«Certo che sei tu! Congratulazioni, sei appena diventato il protagonista della mia opera, nonché capitano della Legione Esplorativa.» annuncio con tono solenne, i suoi occhi completamente rapiti dalla figura avvolta nel mantello verde e intenta a maneggiare due spade affilate.

«Perché mi sembra la raffigurazione di una fantasia erotica? - dice, ridendo malizioso. - Vuoi vedermi vestito da militare?»

«Sono sicuro che saresti sexy da morire. - sussurro languido, baciandogli subito dopo una guancia. - Lo sei sempre.»

«Le ali sul mantello...»

«Il tatuaggio che hai sul collo, sì. Le Ali della Libertà, il simbolo dell'armata.»

Qualche attimo di silenzio durante i quali il suo sorriso muore lentamente, mutando l'espressione in una pensierosa.

«Stai cancellando anche questo.» mi fa notare, giocherellando con gli angoli della busta.

«Come?»

«Nemmeno questo esisterà più. Se cancelli me, cancelli anche buona parte della tua storia.» precisa, restituendomi il disegno.

«Sì, ne sono consapevole. D'altronde, se non ti avessi conosciuto, non sarei mai riuscito a scrivere niente, se non la parte embrionale.» ammetto sconfitto dalla triste realtà. Lavoro a questa storia da anni, ma non sono mai riuscito ad andare oltre. C'era sempre qualcosa che mi bloccava, trovavo difetti ovunque, anche i più insignificanti, e questi mi convincevano ad accantonare l'idea, continuamente. Poi è arrivato Levi, e con lui l'ispirazione.

«Non mi sembri dispiaciuto.» la sua è una constatazione, una semplice analisi dei fatti.

«Sono dispiaciuto per così tante cose, ho sbagliato talmente tante volte, che perdere la memoria della mia storia mi sembra una punizione adeguata. Non ho saputo tenerti al mio fianco, non ho saputo proteggere la nostra relazione.»

«La colpa non è mai di una sola persona.- sussurra, sfiorando le ciocche di capelli che fuoriescono dal mio berretto di lana. - Perché è così difficile odiarti, Ren? Se avessi avuto la forza di farlo, probabilmente non saremmo arrivati a questo.» dice, poggiando la testa contro il mio petto.

«Sono stato così orribile con te? Dimmelo Levi.» lo supplico.

«Non ora, abbiamo solo pochi secondi prima che anche questo venga cancellato. Voglio guardare le stelle.»

Non diciamo più niente: restiamo così, immobili a fissare il cielo ad attendere che il nulla assoluto inghiotta noi e la mia mente.

-Levi-

Il cielo è completamente coperto da nuvole, non lasciando lo spazio necessario per brillare nemmeno ad una singola stella. Sono steso sul lago di Sina, Erwin è al mio fianco e tutto mi sembra dannatamente sbagliato, fuori posto. La sua mano cerca la mia, prova ad intrecciare le sue dita con le mie, ma non riesco a ricambiare la stretta. Lui non pare farci troppo caso, è tranquillo.

«In questo momento potrei morire Levi, io mi sento così felice. Non avevo mai provato cosa fosse la felicità: sono esattamente dove voglio essere.» mi dice, creando con quelle parole, così dannatamente familiari, un vuoto nel petto; non sento più niente se non un assordante fischio nelle orecchie che pare voglia penetrarmi il cervello fino a condurmi alla pazzia. Sento i succhi gastrici risalirmi alla gola e tutto quello che faccio è girarmi nella sua direzione, disgustato.

«Mandarino, che ti prende?» a quell'ennesima domanda mi sollevo di scatto, mettendomi seduto e continuando a fissarlo.

Mandarino.

Devo allontanarmi da lui: ora.

Prima che possa aprire nuovamente bocca, lo afferro per la giacca, avvicinandolo al mio viso. Dal sorrisetto che ha stampato in viso, mi rendo conto che non ha ben compreso le mie intenzioni.

«Non chiamarmi Lee, non chiamarmi Mandarino, non dirmi che mi ami o cazzate simili. - lo spingo via. - Stammi alla larga, se ti avvicini di nuovo a me, ti spacco la faccia.» lo avverto, sollevandomi sulle gambe e dirigendomi verso l'auto a grandi falcate.

«Levi, aspetta! - prova a chiamarmi, ma non mi giro. Accettare di frequentare quest'uomo è stato uno sbaglio. - Diamine, fermati! Come pensi debba tornare a casa? Siamo con la tua automobile.» mi ricorda, come se potesse farmi pietà per una cosa del genere.

«Cercati un passaggio o fattela a piedi.» sbotto, entrando nella vettura e mettendo la sicura. Lo vedo avvicinarsi, supplicare di fermarmi e di ragionare, ma non l'ascolto. Non mi sono mai sentito più lucido in vita mia. Metto in moto e mi allontano il più possibile da lui.

-Eren-

Sono a Trost, nonostante la primavera sia arrivata da un pezzo, l'aria è ancora fresca e il cielo parzialmente coperto da nuvoloni grigi. Le Vans nere di Levi sono sistemate accanto all'asciugano poggiato sulla sabbia, sul quale sono seduto a gambe incrociate. Lo vedo, sul bagno asciuga: i capelli smossi dal vento, gli occhi puntati sul l'orizzonte infinito e i piedi immersi nell'acqua gelida del mare. Le onde s'infrangono contro le sue caviglie nodose, richiamate subito dopo dalla distesa d'acqua che a tratti ha assunto il colore del cielo.

«Ti prenderai un malanno.» gli urlo, ma so già che la mia è una causa persa: Levi fa sempre tutto di testa sua e più si protestano le sue scelte, più lui è imperterrito nelle sue azioni. Si volta verso di me senza smuoversi minimamente, fin quando un'onda più alta gli bagna le cosce e lui, approfittando del momento, alza l'acqua con un piede indirizzando a me il getto.

«Sei una merda, Ackerman!» impreco, scattando in piedi e correndogli incontro. Lo afferro per le cosce, sollevandolo di peso, ridendo per le sue ilari proteste.

«Chiedo venia!» dice tra una risata e l'altra quando lo minaccio di buttarlo in acqua con tutti vestiti. Incrocia le gambe dietro la mia schiena e mi circonda il collo con le braccia, cercando di mantenersi stabile e ben ancorato al mio corpo.

«Mmmh, non so se ti meriti il mio perdono. - sussurro, avvicinandomi con le labbra alla sua gola, dannatamente invitante. - Dovrai convincermi.» aggiungo, strofinando il naso in quel punto, che so essere sensibile; lo sento rabbrividire.

«Quando torniamo a casa, te lo succhio.» mormora quella proposta con un ghigno divertito, facendo arrivare quelle parole fin giù al basso ventre. Di tutta risposta chiudo gli occhi, respirando a fondo, per poi affondare i denti nella carne nivea, facendolo scoppiare in una risata roca. Metto in atto solo una piccola parte della mia vendetta, trascinandolo di peso sulla sabbia asciutta e facendolo ricadere su di essa.

«Andiamo, sai che odio sporcarmi.» esclama, inscenando il broncio più tenero e finto del suo repertorio.

«Avresti dovuto pensarci prima.» gli ricordo, posandogli un bacio sul naso e mantenendolo ben incastrato contro il suolo.

«Ren, è qui che è iniziato tutto.» mi fa notare, mordendosi il labbro e spostando lo sguardo dai miei occhi all'immensa spiaggia.

«Già, e sarebbe stato il festino con falò più noioso del secolo se non ci fossi stato anche tu.» aggiungo, scostando le ciocche disordinate e sabbiose dalla sua fronte.

«Voglio trasferirmi qui. - mi confessa, accarezzandomi una guancia e continuando a sorridere. - Con te, ovviamente. Questo è il nostro posto.»

«Il mio posto è dove ci sei anche tu. Vuoi trasferirti in Italia? Perfetto, io verrò con te. Vuoi andare a vivere sotto un ponte? Beh, non sarai da solo. Ti seguirei ovunque, anche in capo al mondo.» asserisco serio, facendo toccare le nostre fronti; i nostri respiri s'infrangono l'uno contro l'altro e le guance del mio ragazzo si colorano per l'imbarazzo di un meraviglioso rosa.

«Da quando sei così sdolcinato?» mi punzecchia, affondando le dita nei miei fianchi, solleticandomi.

«Sono sdolcinato e altre migliaia di cose, da quando ti conosco. - ammetto la pura e semplice verità: Levi non ha fatto altro che cambiare la mia vita in meglio. - Lee, ti stanno cancellando.» un'espressione interrogativa si manifesta sul suo volto. Mi sollevo sugli avambracci, tornando a sedermi e portandolo su con me.

«Ma che dici?» mi chiede, inarcando un sopracciglio con fare dubbioso.

«Ti stanno eliminando dalla mia mente, sono stato io a volerlo. - il suo sguardo si perde nell'orizzonte, come se non volesse ascoltarmi, ma non posso permetterglielo. - Guardami, Levi. Devi concentrarti, non possiamo permettere che accada.» gli dico, afferrandolo per le spalle.

«Eren non essere noioso e goditi il paesaggio.» mi ammonisce, portandomi una mano alle labbra; questa viene prontamente rimossa dalla mia e bloccata.

«No, tu devi ascoltarmi: ho fatto una stronzata. - porto le mani tra i capelli, stringendoli forte tra le dita. - Siamo qui perché tu l'hai fatto con me.» mormoro afflitto.

«Lo so. - sbuffa. - Mi dispiace, ok? Lo sai che sono impulsivo.» l'espressione mortificata sul volto che mi colpisce dritto al cuore.

«Lo so, è quello che mi piace di te.» mi tendo nella sua direzione, reclamando un bacio e sospirando di sollievo quando le sue labbra sfiorano dolcemente le mie, approfondendo un secondo dopo quel contatto così intimo.

«Falli smettere, dì loro che non vuoi più farlo.» mi supplica, stringendomi tra le sue braccia e poggiando il mento sul mio capo.

«C'ho provato Lee ma sto dormendo, è impossibile.» mi lamento, nascondendo il viso contro il suo petto.

«E allora svegliati!» mi scuote, come se con uno scossone potessi veramente riprendere conoscenza; mi stringe le guance con una mano e mi costringe a guardarlo negli occhi.

«Non... non ci riesco.» sento la voce vacillare e la gola stringersi. Piango, urlo, mi dispero e lui non fa altro che stringermi, sussurrandomi all'orecchio che andrà tutto bene.

«Mi cancelleranno dalla tua mente, non dal tuo cuore.»

...

Mi addentro nella libreria, non è molto grande eppure la quantità di libri che trasborda degli scaffali è davvero esorbitante. L'odore della carta fresca di stampa m'invade le narici; mentre, camminando tra i vari reparti, mi do un'occhiata in giro, alla ricerca della chioma verde appartenente a Levi, il ragazzo che ho conosciuto in spiaggia il giorno prima. La individuo quasi subito, svoltando nella corsia dedicata ai libri di poesia, inquadrando il mio obbiettivo intento a riordinare i nuovi arrivi. Non riesco a distinguere le parole su nessuna delle copertine di quei volumi, sono confuse e alcune lettere si accavallano, per poi sparire del tutto nel momento in cui mi avvicino. Non appena si accorge della mia presenza, solleva un sopracciglio, guardandomi divertito.

«Non pensavo ti avrei rivisto.- è lui a rompere il ghiaccio, scandendo queste parole con una punta d'ironia. - Ieri non mi parevi tanto convinto.»

«Avevo voglia di parlare con te.- mi giustifico, puntando lo sguardo sulle mie scarpe e sentendomi tremendamente imbarazzato. - Non so, potremmo... uscire a bere qualcosa?» aggiungo. Mi si avvicina, studiando il mio volto, leggendomi dentro con quei due meravigliosi occhi, quelli che per una notte intera sono riusciti a levarmi il sonno.

«Hai già una relazione, non è così?» è una domanda, ma il modo in cui me la pone, pieno di consapevolezza, la fa sembrare più che altro una costatazione dei fatti.

«Non è nulla di serio.» mi affretto a rispondere, essere disonesti non servirebbe a nulla. Frequento Jean, è un dato di fatto.

«Senti bello, mettiamo subito le cose in chiaro: io richiedo molto impegno e non ho alcuna voglia di mettermi a fare l'amante occasionale di una persona insoddisfatta. Se ti va di stare con me, stai con me.» lo dice come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, nessun imbarazzo, nessuna maschera: solo sincerità diretta.

«Va bene.» rispondo solamente, facendogli aggrottare le sopracciglia.

«Molti uomini pensano che io sia un'idea, che possa completarli o addirittura ridargli la vita. Sai che ti dico? Si sbagliano di grosso. Sono un ragazzo incasinato, alla ricerca della sua pace mentale. Non farmi carico della tua.» a queste parole abbozzo un sorriso malinconico, facendo un passo nella sua direzione, allungando una mano per accarezzargli il viso.

«Sai Lee, questo discorso lo ricordo molto bene.» sussurro, facendolo sorridere divertito. Le sue dite si posano sulla mia mano, carezzandone piano il dorso.

«Ti avevo inquadrato, eh?» mi prende in giro

«Avevi inquadrato il genere umano.»

«Possibile.» dice con un risolino soddisfatto.

«Ma pensavo comunque che mi avresti salvato la vita. - aggiungo, sospirando debolmente. - Se solo potessimo ricominciare tutto da questo giorno, se potessimo riprovarci ancora una volta.» si mette in punta di piedi, avvicinando le sue labbra alle mie.

«Forse possiamo. - soffia dolcemente. - Ricordati di me.» aggiunge, prima di sparire e di lasciarmi solo, tra un cumulo di libri senza nome.

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