Reforward

14 febbraio 2019

-Eren-

«Pronto per il nostro pic-nic notturno?» mi domanda, saltando a bordo della mia vecchia automobile con un cestino di vimini tra le mani. Prontamente lo adagia sui sedili posteriori, poi si sporge, posandomi un bacio sulla guancia. A quel gesto affettuoso m'irrigidisco, smetto di respirare per qualche secondo e sento il sangue affluire sulle gote. Questo ragazzo mi farà diventare pazzo, ora ne sono convinto. Dopo qualche singhiozzo, la carcassa metallica si decide a partire, facendomi tirare un sospiro di sollievo. Levi però pare non averci fatto caso, troppo impegnato a frugare nel suo zaino, trovando poco dopo, quello che stava cercando. Sventola vittorioso un cd tra le mani, sorridendo soddisfatto. Vedo che sul dorso è scritto qualcosa:

Per Eren

Il corsivo elegante, le lettere strette... dov'è che ho già visto quella grafia? Levi interrompe il mio flusso di coscienza, intromettendosi nei miei pensieri con una semplice domanda:

«Posso metterlo?» mi chiede, ma non aspetta realmente una risposta. Semplicemente si mette ad armeggiare con lo stereo, alzando poi il volume e muovendo la testa a ritmo delle prime note.

«Cos'è?» chiedo, quasi urlo, per sovrastare il suono emesso dalle casse; la canzone è a me del tutto sconosciuta.

«La colonna sonora della mia vita! Così puoi conoscermi meglio.» urla in risposta, per poi stringere le labbra tra i denti, chiudere gli occhi e scuotere un po' più forte la testa, facendo ondeggiare le ciocche blu.

«Come si chiama?»

«Mr. Blue Sky.» risponde con un sorrisetto sfacciato.

«Per questo i capelli blu?» domando.

«Ci ho provato.» dice, cominciando a canticchiare e ad utilizzare il cellulare come una specie di microfono improvvisato, posando poi distrattamente una mano sulla mia, stretta attorno al cambio.

È un vero e proprio spettacolo, così spontaneo, vive unicamente per se stesso, senza interessarsi minimamente di ciò che la gente può pensare di lui. Se ha voglia di cantare, lo fa e basta. E chi se ne frega se siamo due estranei.

In questo siamo diversi. Io sono continuamente tormentato dal pensiero di avere un comportamento sbagliato e trattengo sempre tutto quello che ho dentro.

«Hey you with the pretty face
Welcome to the human race»

Canticchia, afferrandomi una spalla con la mano e avvicinandosi a me, del tutto incurante del fatto che io stia guidando. Pare fidarsi ciecamente di me, pur non conoscendomi. Quando le note finali sfumano in nella chiusura del brano, lo vedo raggiante, carico d'energia e incredibilmente riesce a contagiare anche me.

«Dove sei stato per tutto questo tempo, Mr Blue Sky?» e a questa mia domanda le sue dita sfiorano i miei capelli in una dolce carezza.

«Forse più vicino di quanto immaginiamo.» sussurra, per poi prepararsi per l'esibizione del pezzo successivo. Questa volta una canzone che conosco bene: "The man who can't be moved"

There's someone I'm waiting for if it's
a day, a month, a year

-Levi-

«Coraggio, muoviti» lo incito, trascinandolo per il polso, affondando con gli scarponi nella neve. Dinnanzi a noi: una distesa ghiacciata che nei mesi estivi è conosciuta come "Lago di Sina". Gli lancio un'occhiata, restando piacevolmente soddisfatto del luccichio nei suoi occhi. Ho fatto centro. Appoggio un piede sul ghiaccio, stando attento a non scivolare, poi prendo a camminare più velocemente, dirigendomi verso il centro. Mi volto quando mi rendo conto che non mi sta seguendo, è rimasto sulla riva, con i piedi piantati a terra.

«Che ti prende?» gli domando, avvicinandomi e scivolando con la suola delle scarpe sulla lastra gelida, come un pattinatore artistico provetto.

«Non mi sembra sicuro.» dice, poggiando solo una punta del piede, per poi ritrarla subito dopo.

«Non fare il cagasotto, vieni qui. - allungo una mano, sperando di convincerlo a raggiungermi. -Ti prego!»

«E se si rompe?» il suo viso, con quell'espressione preoccupata, è dannatamente adorabile.

«Moriremo con le chiappe congelate, come Di Caprio in Titanic.- lo prendo in giro, facendo incupire oltremodo la sua espressione. -Dai, sto scherzando! Non si romperà, il ghiaccio è solidissimo e assolutamente stabile.» ma nemmeno questa rassicurazione lo smuove. Un'idea contorta prende forma nella mia mente così, dandogli le spalle, comincio a correre. Metto in scena la caduta più fasulla del mondo, ma il moccioso sembra cascarci in pieno, visto che lo sento gridare il mio nome. Cerco di trattenere una risata ma, quando il suo viso ansioso sbucare nel mio campo visivo, mi è impossibile.

«Sei una merda!- mi accusa, vedendomi sghignazzare. - Ed io che mi ero preoccupato.» fa risoluto.-

«Guarda che per questa stronzata ne ha risentito il mio culo!» Lo afferro per la manica del giaccone.

«E ne è valsa la pena?» mi chiede, così gli sorrido malizioso per poi portarlo giù facendolo cascare tra le mia braccia e facendo aderire completamente i nostri corpi.

«Adesso si.- soffio contro le sue labbra. - E non ti sarà facile sfuggirmi.» lo avviso, stringendolo per impedirgli di allontanarsi. Contro ogni mia aspettativa, poggia la fronte contro la mia e sospira divertito.

«Non ho alcuna intenzione di scappare. - siamo così vicini che la condensa dei nostri respiri si unisce: come un corpo solo. -Levi... ti batte forte il cuore.» mi sussurra all'orecchio, facendomi venire la pelle d'oca. Mi ritrovo a sorridere, non credo di aver mai sorriso così tanto in tutta la mia vita. Si volta sulla schiena ed io mi accomodo con la testa sulla sua spalla, prendendo ad osservare il firmamento.

«Fammi vedere le costellazioni che conosci.» gli dico.

«Non ne conosco nessuna.» ammette, quasi vergognandosi, come se la conoscenza del firmamento fosse una caratteristica fondamentale.

«Dai, non ci credo.» e lui sospira, alzando un dito verso il cielo.

«Le vedi quelle quattro? Quelle che sembrano formare una testa.»

«Mmh?» rispondo poco convinto.

«Quella rappresenta il Gigante Corazzato.»

«Non ne ho mai sentito parlare.» eppure osservare il cielo è sempre stata una passione per me. Con una mano prende a giocherellare con le ciocche dei miei capelli, sembra quasi che ne sia ossessionato.

«Si narra che un tempo l'umanità fosse assoggettata a questi enormi mostri e che, per evitare di essere divorata viva, si fosse rintanata all'interno di una muraglia alta cinquanta metri, riuscendo a scampare alla minaccia per un secolo intero. La pace non perdurò, un giorno dei giganti dotati di una particolare intelligenza, riuscirono a distrugge le barriere. Questi erano appunto il Gigante Corazzato e il Gigante Colossale. Una parte interna delle mura venne invasa da centinaia di quegli esseri, che mangiarono tutte le persone che non riuscirono ad evacuare in territori più interni.»

«Ok, questa te la sei inventata al momento.» dico, tirandogli una gomitata nel fianco e facendolo ridere.

«No, in realtà ci lavoro da parecchio tempo.» e quella mi sembra quasi una confidenza. Un segreto che tiene per se e che solo pochi eletti conquistano il diritto di venirne a conoscenza.

«Stai scrivendo una storia?» gli domando curioso.

«Scrivendo e disegnando.» sussurra imbarazzato. Perché si vergogna? La trovò una cosa meravigliosa, tutte le forme d'arte mi hanno sempre affascinato. Decisamente: questo ragazzo ha tutti i requisiti per sedurmi.

«Allora sei un vero e proprio artista.» affermo, sinceramente sorpreso.

«Non credo di potermi definire tale.»

«Non screditarti, io leggerei volentieri la tua opera, anche se devo ammettere che un po' mi spaventa...»

«L'idea di essere divorato vivo da mostri informi?»

«L'idea di essere rinchiuso in gabbia, di non poter essere libero... è sciocco pensarla in questo modo?» gli afferro una mano, facendo intrecciare le nostre dita e prendendo a disegnare cerchi invisibili sul dorso.

«No, non lo è affatto. È quello che spaventa anche me.» ammette, stringendo la presa come se mi implorasse di non lasciarlo andare mai.

«Te l'ho detto, noi siamo...»

«...diversi.» conclude lui, rubandomi le parole di bocca.

«Si, diversi come il mare d'inverno.» affermo.

«E come un pic-nic notturno.- aggiunge, scoppiando a ridere.-Levi?»

«Cosa?»

«Ci pensi mai al futuro?»

«Non è facile per quelli come me, diciamo che sono abbastanza lunatico. Se in questo momento desidero una cosa, non posso assicurarti che domani sarà uguale.» non mi risponde subito, ma nemmeno sembra turbato dalle mie parole: semplicemente sta riflettendo.

«Se adesso, in questo preciso momento, ti baciassi tu-»

«Oh, si. Ti prego!» lo interrompo, voltandomi completamente nella sua direzione. E nel momento in cui le sue labbra si posano sulle mie, bollenti nonostante l'aria gelida, bisognose come se non aspettassero altro da una vita intera, mi sento a casa. È un bacio carico di desiderio, maledettamente erotico e allo stesso tempo sorprendentemente dolce. Ogni suo movimento si adatta perfettamente al mio... o forse sono io che mi adatto a lui? Non posso avere una risposta certa, l'unica cosa sicura è che i nostri corpi reagiscono l'uno all'altro. Eren sa perfettamente in che modo accarezzarmi, quanta pressione la mia pelle riesce a sopportare. Si porta su di me, facendo incrociare le nostre gambe, senza interrompere mai il contatto. Quando ci separiamo per prendere aria, vedo chiaramente lei sue iridi smeraldine completamente inglobate dalle pupille liquide e dilatate e tutto quello che riesco a pensare è: ne voglio ancora.

Quasi come se mi avesse letto nel pensiero, si abbassa lentamente verso di me. Sono convinto che stia per reclamare un nuovo bacio quando, ad un soffio da me si scansa, facendomi imbronciare per il disappunto. Probabilmente la mia espressione piccata smuove la pietà del suo animo, così mi concede ancora un po' di quella che, ormai ne sono sicuro, diventerà la mia droga. Si, perché mai niente, mai nessuno è riuscito mai a farmi provare tutte queste emozioni in una volta sola. Quando afferra il mio labbro inferiore tra i denti, mordendolo delicatamente, non riesco a trattenere un gemito di apprezzamento. È legale saper baciare in questo modo? Quasi sono geloso di tutte le persone che sono venute prima di me. Una cosa è sicura: sta attentando seriamente al mio cuore. Mi fa sentire debole, mi rende debole. Sono assolutamente convinto del fatto che, se provassi ad alzarmi, non riuscirei a reggermi da solo sulle ginocchia, ormai ridotte assieme al resto delle gambe in pura gelatina.

Una pausa, non saprei dire se di pochi secondi o di minuti interi, in cui non facciamo altro che guardarci. I nostri cuori battono all'unisono, rischiando di schizzare fuori dai nostri petti.

«Domani avrai ancora voglia di baciarmi?» mi domanda, ed io mi sento completamente ipnotizzato dalla lentezza delle sue parole, scandite da quelle labbra, scarlatte per il contatto interrotto. Annuisco piano, completamente in balia di quello sguardo, del tutto rapito dalla vita che trapassa quelle iridi smeraldine e che, da ieri, sento scorrere anche nelle mie vene.

«Credo sia umanamente impossibile smettere di aver voglia di baciarti.» e sono sincero.

«Cosa mi stai facendo, Levi?» mi chiede, passando un pollice sul mio labbro inferiore, facendomi rabbrividire. Com'è possibile che la sua sola vicinanza basti a farmi andare in pappa il cervello? Non ho mai desiderato così ardentemente una persona nella mia vita, né ho mai pensato potesse esistere al mondo qualcuno adatto a me. Ogni volta che accolgo una persona nel mio quotidiano, so di per certo che questa sarà passeggera: uno sfogo, un passatempo. È inevitabile, tutti prima o poi finiscono per annoiarmi, riempiendomi la testa con chiacchiere inutili, senza dirmi niente allo stesso tempo. Eren è diverso, lui è silenzioso, ma i suoi sguardi valgono più di mille parole. I suoi occhi fanno da schermo all'interno mondo che ha dentro di se. Un mondo che io non vedo l'ora di conoscere, in ogni singola sfaccettatura.

«Un incantesimo. Non te l'ho detto? Sono uno stregone!»

«Ooh, allora fammi indovinare: mi hai somministrato un filtro d'amore!» mi risponde, stando al gioco.

«I filtri sono roba da pivelli, i miei sono incantesimi a tutti gli effetti.» dico, sollevandomi e tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.

«Spero di essere la tua unica vittima, allora.» dice, sovrastandomi nuovamente in altezza. Dio è così alto, adoro che lo sia.

«Non potrei desiderarne una migliore.» affermo, circondandogli il collo con le braccia e affondando nell'incavo della spalla. Le sue mani, ancorate alla mia vita, risalgono lungo la spina dorsale, mentre mi lascia minuscoli e affettuosi baci tra i capelli.

«Vogliamo mangiare?» mi domanda, poggiando il mento sulla mia testa.

«Non ancora. - gli sussurro - voglio stare così, ancora un po'.» annuisce, senza rispondere. Così sono io a riprendere la parola.

«Eren?»

«Dimmi.»

«Vuoi ballare?» gli domando, guardandolo negli occhi.

«Non abbiamo la musica...»

«Hai bisogno della musica per ballare?» mi fa sorridere, il suo viso è assolutamente perfetto.

«Solitamente è così che si fa.»

«Quante volte dovrò ripetertelo, Eren? Noi siamo diversi. - e lui ride complice. - ma se proprio ne hai bisogno, posso rimediare facilmente.»

«Mmh, ma davvero?» mi sta sfidando ed io amo le sfide. Così lo prendo per mano, sciogliendo il nostro abbraccio e portandolo un po' più al centro.

«Stammi bene a sentire. - gli dico, schiarendomi la voce è allargando le braccia con fare teatrale. - I know I stand in line until you think you have the time
to spend an evening with me.» comincio a canticchiare, facendolo scoppiare in una fragorosa risata.

«Non ti facevo tipo da Robbie Williams.» afferma, al che sollevo le spalle, cominciando a ballare.

«And if we go someplace to dance I know that there's a chance you won't be leaving with me.» lo incito con piccoli gesti ad unirsi a me. Senza farselo ripetere, mi cinge i fianchi cominciando ad ondeggiare impacciatamente, probabilmente per la paura di scivolare sul ghiaccio. Poi prende a cantare con me.

«And spoil it all by saying something stupid
like I love you.»

-Eren-

Ancora fatico a credere al fatto di aver passato un'intera nottata su un lago ghiacciato a mangiare dei sandwich e a baciare il ragazzo, ora dolcemente addormentato sul sedile del passeggero. Non mi è mai pesato il dover guidare senza compagnia e devo ammettere che Levi, rannicchiato contro lo schienale, è una vera e propria visione paradisiaca. Quando accosto sotto il condominio dove abita, mi perdo per qualche secondo ad ammirare il suo viso rilassato, il suo petto che si alza e si abbassa regolarmente e le candide labbra schiuse. Il pensiero di doverlo svegliare mi spaventa, ho il terrore che possa pentirsi della notte passata, che possa pentirsi di me. Lui, l'unica persona che considero reale, l'unico sprazzo di colore nel grigio di questa vita.

«Lee...» provo a chiamarlo, ricevendo come unica risposto una smorfia, probabilmente dettata dal sonno. Mi sporgo dunque nella sua direzione, scostandogli le ciocche dalla fronte.

«Lee, sveglia. Siamo arrivati.» faccio, questa volta un po' più convinto, riuscendo così a destarlo. Sbatte le palpebre un paio di volte prima di rivelarmi quelle iridi stupefacenti. Le prime luci dell'alba lo infastidiscono chiaramente così, dopo essersi guardato intorno, si stropiccia entrambi gli occhi con una mano.

«Devo scendere?» che scorretto. Porgermi una domanda del genere, ben consapevole del fatto che, dopo la notte passata assieme, non lo lascerei andare per nulla al mondo.

«Hai bisogno di dormire.» gli faccio notare, omettendo che anche io sono stanco morto. Si sporge nella mia direzione, lasciandosi cadere contro la mia spalla e nascondendo il viso contro il mio cappotto.

«Posso venire da te? Per dormire, intendo.» mi chiede e lo fa con una tale naturalezza da lasciarmi spiazzato.

«Si, certo.» e come potrei negargli una cosa del genere? Ancora una volta lascio che i miei pensieri restino tali. Se gli dicessi che può venire a casa mia e non andarsene mai più sembrerei un folle. Si scosta appena un po', giusto il necessario per guardarmi fisso negli occhi e farmi un sorriso, flebile per il sonno ma sincero.

«Aspettami qui, vado a prendere dei vestiti e lo spazzolino. - sussurra, baciandomi all'angolo delle labbra. - ci metto due minuti.» afferma, prendendosi un minuto per ricomporsi, per poi scendere dalla mia utilitaria e sparire nel suo condominio.

Se una settimana fa qualcuno mi avesse detto che avrei fatto un'incontro del genere probabilmente gli avrei riso in faccia. Onestamente ero convinto che cose del genere accadessero solo nei film o nei romanzi. Eppure lui era lì, a Trost, quasi come se mi stesse aspettando sulla spiaggia. Come se le nostre anime, così diverse e allo stesso tempo così simili, si stessero cercando.

I miei pensieri vengono destati quando sento qualcuno bussare contro il vetro della mia auto, facendomi sobbalzare. Un uomo, probabilmente di una decina d'anni più grande di me, mi sta scrutando con sospetto. Abbasso il finestrino, probabilmente ho messo la macchia fuori posto.

«C'è qualche problema?» domando e i suoi occhi, incredibilmente azzurri, quasi mi gelano sul posto.

«Cosa ci fai tu qui?» mi chiede in risposta, aggrottando le folte sopracciglia bionde e mettendomi in seria difficoltà.

«Non credo di aver capito.» affermo. Non mi piace il modo in cui mi guarda, né tantomeno il modo in cui mi si sta rivolgendo.

«Tu non dovresti essere qui.» asserisce, facendomi vedere nero. Chi diavolo crede di essere questo fantoccio biondo per rivolgersi a me in questo modo.

«Mi scusi, ci conosciamo?» e questa volta sono sulla difensiva. Non mi risponde, semplicemente distoglie lo sguardo, dandosi nervosamente un'occhiata in torno. Solo dopo avermi lanciato un'ultimo sguardo, oserei dire minaccioso, va via, camminando velocemente fino a girare a destra, all'angolo della strada.

«Cristo, ce ne sono di matti in giro.» sospiro a me stesso. Tutti i pensieri svaniscono nel momento in cui Levi, con uno zaino sulle spalle e delle buste -posta, probabilmente - esce dal palazzo, camminando velocemente verso l'auto.

«Preso tutto?» domando, quando risale a bordo.

«Posso stare da te per un mese.» afferma e, nonostante il tono chiaramente ironico, non posso non sorridere. Vedo che l'espressione rilassata fa posto ad una più irrequieta nell'esatto momento in cui afferra una delle buste, la più grande, tra le mani.

«Tutto ok?»

«Si, credo di si. Solo che... è strano.»

«Cosa?»

«Questa lettera è da parte di una clinica che io non ho mai frequentato: Lacuna. Ne hai mai sentito parlare?»

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