Primo Atto
Cornovaglia, 1870
La luna brillava nel cielo come una fiera regina, circondata da una corte di stelle che sembravano lì solo per decantarne la bellezza. La strada era tranquilla, gli alberi si muovevano quietamente, vezzeggiati dal vento gentile. Animali inquieti e vivaci spezzavano il silenzio con il loro lamento e, in altre circostante, Nate si sarebbe rilassato contro le morbide poltrone della carrozza, lasciandosi cullare da quei dolci suoni, a volte così malinconici, fino a scivolare dolcemente nel sonno.
Amava la quiete di campagna per i segreti che celava così bene a chi rifiutava di prestarle attenzione, ma non quella notte. Proprio non poteva. Per un breve istante, il finestrino riflesse il volto di un giovane nobile di appena vent'anni, dai capelli biondi così chiari da sembrare argento, folti e lievemente arruffati, tipici di chi vi passava costantemente le mani, gli occhi grigi carichi di inquietudine. Nonostante non fosse un damerino di città, era snello, delicato, come soleva stuzzicarlo sua sorella Lynda.
Oltre a lui, intravide una figura che lo spinse a irrigidirsi ulteriormente.
Lo stava innervosendo.
Era raro che accadesse, anzi no, non era mai successo. Si era ritrovato fin dalla nascita a tollerare boriosi baronetti e conti che s'illudevano di poter ottenere tutto, quindi ormai non vi era più niente che potesse impressionarlo. Al più, alcuni potevano vantarsi di averlo irritato, annoiato persino, ma inquietato no, mai.
A stento riuscì a trattenere un sospiro. La fretta di tornare alla solitudine del suo maniero gli era costato una ruota della sua carrozza. Ritrovarsi in mezzo al nulla, con il rischio di imbattersi in un gruppo di briganti era stato spiacevole, tanto che quando aveva visto passare la diligenza, aveva creduto che la fortuna fosse dalla sua... finché non si era fermata nuovamente, ed era comparso lui.
Vestito completamente di scuro, gli era sembrato un nobile brigante uscito da una sorta di parodia su Lord Byron. Che assurdità, pensò.
Il biondo era saltato agilmente all'interno del mezzo pubblico, per poi sedersi scompostamente sul sedile di fronte al suo. Non gli aveva rivolto un cenno di saluto, nulla. Si era limitato ad allungare le gambe sul sedile vuoto accanto al suo, inclinando il capo in avanti. Lo aveva ignorato. Si era messo a dormire.
Nate sbuffò piano. Fin dal primo istante, con quel sinistro compagno di viaggio che si ritrovava, si era sentito più un prigioniero. Una sensazione viscida che non gli dava tregua.
Tutta colpa degli intrighi della sua vivace gemellina, pensò. Di solito, adorava trascorrere diversi giorni con lei e il Conte Sebastien Blackwood, suo marito da ormai due anni ma la scoperta dell'ennesimo picnic organizzato allo scopo di fargli trovare una compagna lo avevano spinto a riconsiderare i suoi piani e con una scusa, se l'era letteralmente svignata. Per quanto l'amasse, detestava le sue costanti interferenze.
Avrebbe dovuto frenare l'impulso di lamentarsi con lei, pensò Nate. Se le avesse raccontato che la sola presenza di un semplice sconosciuto era bastata a turbarlo, gli avrebbe rinfacciato per la milionesima volta di essere troppo schivo e riservato. Non sarebbe mai riuscita a comprendere come si fosse sentito.
Nate gli aveva lanciato una rapida occhiata e, proprio in quel preciso momento, quasi il destino avesse voluto farsi beffe di lui, la luce della luna gli aveva accarezzato i capelli, trasformandoli in oro puro. Ne era rimasto talmente incantato che vi si era soffermato più del dovuto, finendo per incrociare il suo magnetico sguardo, quasi lo avesse evocato!
Lo avevo visto inclinare il capo di lato, quel tanto che bastava perché i suoi occhi si liberassero in parte da quella meravigliosa cascata lucente, e li aveva socchiusi proprio come avrebbe fatto un felino: diffidente, ipnotico, irresistibile.
Istintivamente, Nate si era ritrovato a definirlo così. Aveva cercato di distogliere lo sguardo, ma con sua infinita sorpresa, non vi era riuscito e quel subdolo compagno, quasi lo avesse intuito, aveva curvato le labbra in un lento conturbante sorriso.
Per la prima volta in vita sua, Nate si era ritrovato a trattenere il fiato. Non si era mai sentito così. Mai...
Nate si era visto costretto a fare appello a tutta la sua forza di volontà per compiere infine quel banalissimo movimento: distogliere lo sguardo.
Niente di più semplice al mondo, soprattutto per lui. Non amava il contatto con le persone, quindi non si era mai soffermato a guardarle più del dovuto. Con alcuni cosiddetti amici di Lynda e Sebastien aveva evitato persino qualsiasi forma di contatto, trovandoli solo viscidi serpenti.
Rendersi conto che esercitava su di lui una strana malia lo aveva turbato profondamente. Una parte di lui continuava a ripetere che non aveva alcun senso.
Nate chiuse gli occhi, premette la fronte contro il finestrino e d'un tratto nella sua mente comparve la sua immagine, vestito di scuro, così simile a un bandito da non sembrare vero, perché i gentiluomini non portano abiti che fasciano il corpo come una seconda pelle. I gentiluomini non lasciano la camicia sbottonata, così da mettere in mostra il torace. I gentiluomini non inclinano la testa in avanti, guardandoti come se tu fossi una preda, la loro tentazione.
Ma cosa diamine andava a pensare?
Nate si sentiva davvero infastidito eppure non poteva negarlo: se non avesse esercitato per anni un ferreo controllo su di sé, abituato com'era a celare ogni emozione, avrebbe ceduto all'istinto che gli aveva urlato di scappare. Che cosa assurda, irrazionale, inconcepibile!
Nel tentativo di riacquistare un po' di pace, Nate osservò il paesaggio circostante, imponendosi di non distogliere lo sguardo per nessuna ragione, anche se l'oscurità non gli consentiva di vedere nulla di realmente nitido.
Per diversi minuti riuscì a rilassarsi ma infine si stancò anche di quel giochetto. Per quanto ancora avrebbero viaggiato? Quanto mancava al prossimo villaggio? Non ne poteva più di sentirsi così... perso.
***
Delizioso, provocante, innocente, pensò Mihael. Stretto contro l'angolo opposto della carrozza, si ostinava a ignorarlo, ma non per molto. Un ghigno gli contorse il volto. Non lo avrebbe permesso.
Come un semplice umano potesse intrigarlo così era quasi offensivo. Per mesi interi lo aveva spiato, incapace di stargli lontano, ruggendo in preda a un odio che chiedeva vendetta. Perché pur essendo immortale, ignorare quella creatura si era rivelata una sofferenza fisica. Un tempo avrebbe saziato la sua brama di sangue, finendo per essere dimenticato.
Non lui.
Non avrebbe mai dimenticato la prima volta che lo aveva visto. Come avrebbe potuto?
Mihael si era nascosto in un vecchio fienile abbandonato e, mentre stava riposando, un rumore lo aveva svegliato. Non aveva voluto crederci. Si era sentito offeso. Lui, un vampiro, svegliato da un mortale in pieno giorno? In preda all'ira aveva giurato di ucciderlo e, affacciandosi sulla soglia, lo aveva visto passeggiare con aria assorta, poco distante da lui.
La tempesta si era trasformata in passione con un semplice sguardo.
Gli era venuta una voglia irresistibile di trascinarlo fra le rovine e di farlo suo per sempre. Perché una volta stretto fra le sue mani, sapeva già che non lo avrebbe più lasciato andare.
Per questo non si era mosso, oltre che per la luce del sole, contro cui non aveva difese e che sembrava avesse voluto schernirlo. L'oscuro vampiro non temeva nulla, tranne che il suo invalicabile muro di luce.
Impotente, si era costretto a guardare e, ben presto, la brama era diventata follia, alla vista della fanciulla che lo accompagnava. Il suo turbamento si era placato solo all'ascolto della parola sorella.
Mihael si era morso il labbro fino a farlo sanguinare, non desiderando altro che sentirgli pronunciare il suo nome.
Tutto quello che voleva, lo otteneva sempre.
Per questo aveva maledetto la sua natura. Proprio essa, che aveva acuito i suoi sensi e reso immortale la sua vita, in quel momento gli stava impedendo di ottenere quel piccolo delicato bocconcino.
Aveva seguito ogni suo movimento, ogni suo gesto, ogni piccolo incurvarsi di quella bocca deliziosa e, quando se ne era andato, lo aveva maledetto mille volte, perché lo aveva portato a urlare e a distruggere il suo rifugio, rimanendovi seppellito fino a sera.
Divorato dalla passione che solo lui fra mille aveva risvegliato, si era imposto di aspettare e, finalmente, era caduto nella sua trappola. Doveva vendicarsi di quel fragile essere che era riuscito ad attirare la sua attenzione.
Fino a quella sera, Nate aveva vissuto la sua miserabile esistenza ignorandolo.
Nessuno lo ignorava.
L'istinto spingeva sempre gli esseri umani a reagire. Li portava sempre a guardarsi intorno turbati. E lui, non aveva fatto nulla per nascondere la sua presenza.
E il piccolo coniglietto bianco cosa aveva fatto?
Aveva continuato a perdersi nel suo mondo.
Imperdonabile, pensò.
Così com'era intollerabile che ora cercasse pateticamente di ignorarlo. Il suo piccolo cuoricino batteva affrettato. Le sue mani si stringevano inconsapevolmente al ritmo del suo... respiro. Gli scappò un sogghigno beffardo. Lui respirare... proprio divertente.
Il lupo sta arrivando, pensò maliziosamente, prima di sedersi accanto a lui. La sua vicinanza bastò a scatenare i suoi oscuri istinti di cacciatore. Una voce dentro gli urlò di divorarlo, ma Mihael la ignorò.
Ogni cosa a suo tempo, si disse socchiudendo gli occhi. Silenziosamente si avvicinò a Nate, fino a sfiorargli i capelli con il suo volto.
Aveva un odore così inebriante.
Inconsapevolmente, gli si avvicinò ancora di più.
Voleva sentirlo urlare di piacere mentre divorava la sua vita! pensò fremendo. Voleva sentirgli urlare il suo nome, supplicare per ricevere le sue carezze e i suoi baci. Glielo disse silenziosamente, catturando una minuscola ciocca di capelli fra le dita. Solo lui poteva risvegliarlo, solo lui poteva farlo impazzire!
La ciocca era così delicata e candida da sembrare fatta di neve. Si aspettava quasi che si spezzasse.
No, si disse. Non doveva pensare a nient'altro che non fosse lui.
Nate, pensò. Che nome soave...
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