Di fronte alla morte

"Due dei tre scenari che saranno descritti in questa attività sono realmente accaduti. Non sarà facile giudicare se le scelte compiute dai protagonisti sono moralmente giustificabili o meno; si tratta di decisioni estremamente difficili, dettate dalle circostanze di orrore inimmaginabile nelle quali si sono trovati."

Primo scenario: nel maggio 1884, la nave britannica Mignonette salpò per Sydney, Australia, con quattro membri dell'equipaggio a bordo. Il 5 luglio la nave affondò a causa di qualche disastro naturale, ma l'equipaggio riuscì a salvarsi su una piccola scialuppa.

Vagarono per diciotto giorni intorno all'oceano, a più di mille miglia dalla terra. La situazione divenne disperata: erano rimastati senza cibo per sette giorni e senza acqua per cinque. Tutti i membri dell'equipaggio erano in cattive condizioni, specialmente il ragazzo di cabina, Richard Parker, di diciassette anni. Era a malapena cosciente, o forse non lo era affatto.

Arrivati a questo punto, il capitano della nave, Tom Dudley, suggerì che avrebbero dovuto tirare a sorte per selezionare chi uccidere fra loro, dando così agli altri una possibilità di sopravvivenza. L'idea era che potessero usare il corpo del defunto come fonte di cibo e liquidi. Questa idea fu inizialmente rifiutata da uno dei membri dell'equipaggio, Edmund Brooks, ma Dudley non lasciò cadere la questione e ne discusse con Edwin Stephens, il quarto membro dell'equipaggio, più tardi nello stesso giorno. Sottolineò che era estremamente probabile che Richard Parker, il ragazzo di cabina, sarebbe morto in qualunque caso, ma se lo avessero ucciso - che era il modo migliore per assicurarsi che il suo sangue fosse in uno stato adatto per essere bevuto - c'erano più alte probabilità che lui e Stephens rivedessero le loro famiglie.

Il giorno seguente, senza ancora alcuna prospettiva di salvataggio, Dudley, con l'assenso di Stephens, uccise il ragazzo. I tre membri dell'equipaggio rimasti si nutrirono quindi del suo corpo, che consentì loro di sopravvivere fino a quando furono salvati, il 29 luglio.

Dudley in seguito descrisse la scena come segue: "Posso assicurarvi che non dimenticherò mai la vista dei miei due sfortunati compagni durante quel pasto orribile. Eravamo tutti come lupi impazziti..."

Riepiloghiamo i fatti: Richard Parker è stato ucciso da Tom Dudley, con il consenso di Edwin Stephens, perché credevano sinceramente che non ci fosse una prospettiva immediata di salvataggio, che Parker sarebbe probabilmente morto indipendentemente da quello che fosse successo e che tutti loro sarebbero morti se non fosse stato sacrificato.

La domanda è: erano moralmente giustificati ad ucciderlo?

Sì.

Indica quanto sei sicuro del tuo giudizio: molto sicuro, abbastanza sicuro, né sicuro né insicuro, abbastanza insicuro, molto insicuro.

Sono molto sicura.

Questa storia era brutta, come lo sono tutte quelle in cui si è costretti ad atti di cannibalismo, ma la prossima è peggiore per me, e molto commovente.

Secondo scenario: nella tarda estate del 1942, Adina Blady Szwajger, ventidue anni, lavorava come medico all'ospedale pediatrico di Varsavia. Non era un'estate normale, però. Circa diciotto mesi prima, gli occupanti nazisti della Polonia avevano chiuso i cancelli alla popolazione ebraica di Varsavia, creando quello che oggi è noto come il ghetto di Varsavia. Szwajger, quindi, lavorò per almeno un anno in condizioni di sofferenza quasi inimmaginabile, mentre l'ospedale si riempiva di bambini che morivano di fame e a causa della tubercolosi.

Nel suo libro di memorie, parla di "scheletri affamati" che leccavano la minestra che si era rovesciata sul pavimento e del suo tentativo di vivere una "vita basata su principi" in circostanze di massima depravazione morale.

Ma nell'agosto 1942 divenne impossibile andare avanti. I tedeschi avevano iniziato a radunare la popolazione ebraica, caricandola su camion di bestiame e spedendola ai campi di sterminio, dove il loro destino era andare incontro a una fine orribile. A questo punto, l'ospedale non funzionava più come un ospedale - non c'erano "reparti per bambini, solo malati, feriti e morenti ovunque".

Il momento che definì la vita di Szwajger arrivò quando i nazisti si presentarono all'ospedale e iniziarono il brutale processo di chiusura. Un'infermiera la pregò di porre fine alla vita della sua anziana madre: "Dottoressa, non posso farlo! La prego, per favore! Non voglio che le sparino a letto! Lei non può camminare!"

La dottoressa Szwajger somministrò la morfina, assistendo per prime le "famiglie del personale". Poi andò nel reparto che ospitava i bambini più piccoli e somministrò a ogni bambino una dose letale. "Proprio come, durante quei due anni di vero lavoro in ospedale, mi ero chinata sui lettini, così ora ho versato quest'ultima medicina in quelle minuscole bocche... e al piano di sotto si urlava perché i... tedeschi erano già lì, che portavano i malati dai reparti ai carri bestiame". Disse ai bambini più grandi che "questo medicinale avrebbe fatto sparire il loro dolore... così si sono sdraiati e dopo pochi minuti, non so quanti, ma quando sono tornata in quella stanza, stavano dormendo".

Adina Szwajger prese la vita dei suoi giovani pazienti come atto finale di quello che vedeva come suo dovere nel prendersi cura di loro, al fine di risparmiare loro una morte ignominiosa e certa per mano dei nazisti. Ma, naturalmente, i neonati e i bambini non hanno e non avrebbero potuto acconsentire. Il problema, quindi, è se ha fatto la cosa giusta. Era moralmente giustificata nel togliere la vita ai suoi pazienti per salvarli dai nazisti?

Sì, assolutamente.

Indica quanto sei sicuro del tuo giudizio: molto sicuro, abbastanza sicuro, né sicuro né insicuro, abbastanza insicuro, molto insicuro.

Molto sicura.

Terzo scenario: sei in ospedale, gravemente malato. La situazione è disperata. Escludendo un miracolo, morirai, e sarai fortunato a resistere un'altra settimana.
Un chirurgo viene a trovarti e ti spiega che si trova in difficoltà. Gli servono il tuo cuore, fegato e reni per tre pazienti, subito. Tu e gli altri pazienti avete lo stesso raro gruppo sanguigno ed i tre moriranno se non ricevono i tuoi organi entro una settimana. Il chirurgo ti svela che uno dei pazienti è sua figlia e vuole disperatamente salvarle la vita.

Tu ascolti con simpatia, ma non vuoi rinunciare alla lotta per la vita. Quindi, sebbene ti rendi conto che non hai praticamente alcuna possibilità di sopravvivere fino alla prossima settimana, rifiuti la proposta del chirurgo.

Sfortunatamente per te, lui non ascolta: ti dà una dose fatale di morfina e poi porta il tuo corpo in sala operatoria ed estrae i tuoi organi. I trapianti vanno a buon fine e, come risultato della tua morte, i suoi tre pazienti riescono a vivere le loro vite.

Il chirurgo è moralmente giustificato a ucciderti?

Sì, meno sicura perché non è proprio legale. Però è diverso dall'uccidermi, da sana, solo perché sono andata a fare un controllo. Faccio troppo l'egoista qui.










Niente incongruenze!

Per vedere i vostri risultati, ecco il link all'attività: https://www.philosophyexperiments.com/carneades/Default.aspx

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