Capitolo 5: Iniezione letale


Raelich era seduto alla sua scrivania con un'insolita posa rigida, che colpì l'attenzione di Aerix. La cacciatrice, fino ad allora intenta a pulire la sua pistola preferita, una Zapt di ultima generazione, abbandonò il proprio lavoro e si avvicinò al soldato. Era arrivato lì da appena un mese, dopo essere stato trasferito dall'Accademia. Aveva sempre l'aria di un cucciolo smarrito, come se non sapesse cosa fare la maggior parte del tempo, e le faceva tenerezza.

«Rae!» lo chiamò Aerix, bussando alla porta del suo cubicolo.

Il giovane si riscosse dalla trance in cui era caduto e le rivolse un sorriso nervoso.

«Ciao, Aerix. Sei ancora qui?»

«O sono ancora qui, o stai parlando con la mia immagine residua. Non saprei.»

Di solito le sue battute gli strappavano una risata, aiutandolo a distendersi per un po', ma Raelich si limitò ad annuire, tornando al proprio lavoro. Stava esaminando dei documenti sulla sua tavoletta elettronica, ma sembrava che non li stesse leggendo davvero.

«È successo qualcosa?» gli chiese Aerix.

«No, no» sussurrò Raelich, le spalle contratte. «Nulla.»

«Non si tratterà mica di quell'Energeen chiacchierone che ti avevano affidato. L'hai fatto scappare?»

«Scappare? No! No.»

«Ti sei preso una strigliata da Ganner?»

«Cos... no. Cioè sì, ma non perché l'Energeen è scappato. È al sicuro in sala operatoria.»

Raelich trasse un profondo sospiro e deglutì, come se stesse cercando di ingoiare un boccone ricoperto di spine.

«Non sono riuscito a sedarlo, prima che lo portassero via.»

Aerix fece un passo indietro, inarcando un sopracciglio.

«Sala operatoria?»

«Già. Gli devono praticare un'iniezione letale. A quanto pare, è troppo pericoloso lasciarlo vivo.»

«Se posso sapere, che ha combinato questo Energeen?» mormorò Aerix, riponendo la pistola oliata nella sua custodia, per poi pulirsi le mani con una salvietta sgrassante. «Non mi era sembrato così malvagio. Un ingenuo, ben lungi dall'essere crudele. Ho conosciuto le persone peggiori nella mia vita, esseri davvero pericolosi, e quello lì non sarebbe nemmeno capace di pestare uno scarafaggio senza avere atroci sensi di colpa.»

«In realtà non ha combinato niente» confessò Raelich, abbandonando definitivamente il proprio lavoro, mentre si prendeva la testa fra le mani. «È per questo che non riuscivo a sedarlo. Non volevo. Non era giusto. Ha dovuto farlo Ganner al posto mio, ma si vedeva che l'idea non gli faceva piacere, nonostante mal sopportasse il chiacchiericcio di quell'Energeen.»

Aerix trasse un sospiro, scuotendo la testa, e gettò la salvietta in un cestino. Ecco perché il presidente Ezulos aveva contattato lei per quel lavoro. Quanto stavano facendo a quell'Energeen andava contro le regole. Il dovere della KonTron sarebbe stato di garantire protezione a qualunque cittadino, non sacrificarne alcuni quando la situazione si faceva più complicata.

«Hai intenzione di fare qualcosa al riguardo, Raelich, non è vero?» chiese la cacciatrice, tamburellando con le dita metalliche sul bancone.

«È già tardi. Gli avranno fatto l'iniezione, ormai. Ci sono poche cose in grado di uccidere un Energeen. Hanno trovato un veleno ad azione lenta che possa consentirgli una morte inconsapevole.»

«Se è ad azione lenta, potresti essere ancora in tempo.»

«Però... Ganner...»

«Non avrai paura del colonnello, vero?» sogghignò Aerix. «Andiamo, è solo un vecchio rimbambito, ormai. Ha i gattolardi che lainano nel cervello.»

Raelich la guardò di sottecchi, torcendosi le mani. Si sporse verso di lei, facendole cenno di avvicinarsi.

«Ma tu... non vorrai mica aiutarmi?»

«Perché no?»

«Sei stata tu a catturarlo!»

«Beh, il mio lavoro è finito: ho ritirato i soldi ormai. Ora che li ho, posso anche darti una mano in questa pazza impresa. Non c'è niente che mi diverta più di una situazione disperata.»

Raelich scosse la testa e rise istericamente.

«Tu sei pazza, cacciatrice.»

«Forse sì. Ma almeno non mi annoio. Allora? Che ne dici, novellino?»

Aerix sapeva sin dall'inizio come sarebbe andata a finire, ma Raelich lo realizzò solo in quel momento, quando scaraventò la tavoletta elettronica nel cestino.

«Ah, per tutti i Fardosatti! Tanto questo lavoro non mi piaceva comunque.»

«Sapevo che non eri un tipo noioso» disse Aerix, dandogli un buffetto sulla spalla. «Tu va' a cercare l'antidoto al veleno nei laboratori. Ci penserò io a recuperare l'Energeen dalla sala operatoria.»

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Ero seduto davanti a un caminetto freddo, nel quale scoppiettavano delle fiamme azzurre. Anziché scaldarmi, sembrava che strappassero calore dal mio corpo. Era una sensazione molto sgradevole e avevo paura; non avevo nemmeno una coperta nella quale stringermi.

Mi trovavo in una casa vuota, che stava crollando a pezzi. Mi ricordava l'appartamento che condividevo con Sumiko ed Etienne, ma era troppo arido per esserlo. Quando si viveva con qualcuno, era come se la sua presenza impregnasse il luogo che si condivideva, e quella confortevole aura era del tutto assente, in quel momento. Sembrava che se ne fossero andati tutti da tempo.

«Ragazzi? Qualcuno?» balbettai, i denti che battevano per il freddo.

Alitai sulle mie mani nel tentativo di scaldarle. Avevano una sfumatura bluastra ed erano rigide.

Mi voltai e mi parve di sentire delle voci provenire dalla cucina. C'era una luce calda che ondeggiava sulla parete opposta alla porta. Mi trascinai verso di essa come una lucciola in cerca di calore, sfregandomi le braccia con le mani, e vi entrai.

Mi sentii molto spaesato nel vedere che il pavimento della stanza era trasparente. In basso potevo vedere un'altra stanza, che non conoscevo. Era del tutto bianca, di un bianco da far male agli occhi, e c'era qualcuno disteso su un letto al centro di essa.

Strizzai gli occhi e, con un singulto, realizzai di essere io.

Avevo davvero un brutto colorito. Sembrava che non avessi mangiato altro che cenere per giorni, e il mio respiro ricordava il gracidio di un rospo.

C'era un uomo in camice bianco in piedi accanto a me e mi teneva una mano premuta sul collo, con le sopracciglia aggrottate per la concentrazione, mente osservava delle gocce di liquido azzurro che scorrevano all'interno di un tubicino collegato all'altra estremità del mio collo.

Un liquido azzurro come le fiamme del camino, che mi faceva tremare di freddo.

Avevo bisogno di una coperta, di qualunque cosa. Di vestiti.

E invece ero nudo e inerme. Tutto ciò che potevo fare era rannicchiarmi a terra in posizione fetale, stringendo le ginocchia al petto, mentre tremavo per scaldarmi almeno un po'. I brividi, l'ultimo appiglio prima dell'ipotermia.

La mia testa era pesante, le palpebre due macigni. Nonostante il freddo fosse tale da causarmi degli spasmi, avevo un gran sonno.

Stavo già scivolando via, quando dei forti rumori mi spinsero a riaprire gli occhi. Abbassai lo sguardo e vidi che nella stanza sotto la cucina si stava svolgendo un furioso combattimento. Fu talmente veloce che poco dopo il dottore in camice era accasciato a terra con un occhio pesto e il naso sanguinante, mentre al mio fianco si ergeva una donna dalle braccia meccaniche.

Avevo la sensazione di averla già vista da qualche parte. Era come il ricordo di un sogno. Più ci pensavo, più mi sfuggiva.

Provavo delle strane sensazioni nei suoi confronti. Ero arrabbiato, per qualche motivo, ma anche contento di vederla lì. Forse si era ricreduta su qualcosa. O forse aveva pensato di trovare modi più remunerativi per potermi usare.

«Ehi, compare» commentò una vocina.

Sollevai lo sguardo e notai che un bruco dal dorso giallo pallido mi stava scorrendo sul braccio.

«Ciao» gli dissi, accarezzandolo con un indice. «E tu chi sei?»

«Ma come, ti sei già dimenticato di me? Eravamo praticamente migliori amici.»

«Davvero? Sono un po' confuso, scusami.»

«Non hai voluto saperne di attenerti al mio piano, eh? Con gente come i presidenti non si ragiona, caro mio. Ti hanno dato il benservito persino dopo aver appurato la tua innocenza. E ora... stiamo morendo entrambi.»

«Entrambi?»

«Purtroppo io non sono resistente quanto te. Sei un Energeen, nonostante tutto. Quel veleno mi ucciderà più in fretta.»

Il bruco emise un gemito e scivolò lungo il mio braccio. Lo raccolsi fra le dita, cercando di scaldarlo.

«Amico, dimmi qualcosa» balbettai. «Non lasciarmi solo. Ho paura.»

«La morte fa paura a tutti» sospirò il bruco, sollevando le piccole palpebre per guardarmi. «Mi dispiace di averti trascinato in questo postaccio. Se non avessi voluto essere qualcosa di più che un parassita, ora nessuno di noi sarebbe qui.»

«No, non fa niente. Ormai è tardi per arrabbiarsi» cercai di consolarlo. «Non ce l'ho con te.»

«Avresti dovuto schiacciarmi quando ero intento a bere il tuo drink. Ma ti sei messo a chiacchierare con me, invece. Parli così tanto che chiacchieri pure con dei bruchi inutili.»

«Non penso tu sia inutile. Mi stai facendo compagnia, adesso. Fa meno paura con qualcuno con cui parlare.»

Il bruco si attorcigliò fra le mie dita, emettendo un debole stridio, e non si mosse più.

«Amico

Restò immobile, e mi sentii solo. Le fiamme azzurre erano arrivate alla porta della cucina, ormai, e l'aria era gelida come azoto liquido. Le mie braccia erano blu. Anche il bruco era blu. Presto sarei diventato anche io blu come lui, e mi sarei attorcigliato.

I miei pensieri cominciarono a diventare sconnessi. L'unica cosa che avrei voluto era scaldarmi.

Poi, lentamente, le fiamme si fecero meno intense, e riuscii a riaprire gli occhi. Il fuoco non minacciava più di congelarmi. Faceva freddo, ma stava diventando più sopportabile. Era come se un globo di luce calda mi stesse riscaldando dall'interno. Si trovava all'altezza dello stomaco e si stava espandendo rapidamente.

«Fagli bere ancora un po' di Pepper» disse una voce lontana.

«Ma non gli farà male?»

«Ha già recuperato colore.»

«Ma la reazione con l'antidoto...»

«Macché! L'alcol è la cura a tutti i mali. Lo scalderà. È talmente freddo che potrei usare la sua bocca come un freezer per i ghiaccioli.»

Avvertii una sostanza bruciante scorrermi lungo la gola e tossii.

L'appartamento vuoto e freddo svanì e, all'improvviso, mi ritrovai in un angolo buio. Ero sdraiato su un pavimento nero e lucido, avvolto in diversi strati di coperte. Qualcuno mi stava sostenendo la schiena con braccio.

«Si è risvegliato!» esclamò il mio infermiere. La sua sagoma era indistinta, non riuscivo a metterla a fuoco.

«Hai visto che l'alcol funziona sempre?» disse un'altra voce, dal timbro femminile.

Io emisi un fievole gorgoglio e la figura davanti a me si avvicinò di nuovo.

«Non sforzarti, amico. Sei quasi morto! Ma ecco il nettare degli dei. Bevine ancora, starai meglio.»

Mi accostò una superficie di plastica alle labbra e mi spinse a ingollare qualche sorso del liquido. Aveva un sapore tanto intenso da farmi strizzare gli occhi, e ne sputai un po' sulla divisa del mio salvatore, macchiandola di nero.

«Oh, cacchio... vabbè, tanto questa divisa non mi serviva più» disse, in tono gioviale. «Almeno ti sei riscaldato un po'. Adesso stai buono qui e riposati.»

Emisi un altro gorgoglio, più udibile del precedente.

«Come? Chi sono io? Beh, non ha importanza, adesso. Ti abbiamo salvato. Sei al sicuro. Vedrai che andrà tutto bene, ormai il veleno è stato annientato dall'antidoto, ma ci vorrà un po' affinché il tuo corpo lo smaltisca.»

Cercai di toccarmi il collo. Mi faceva male e mi lamentai finché il salvatore non lo esaminò.

«Cos'è questa macchia scura?»

C'era stato qualcun altro con me. Qualcuno di cui non mi ricordavo con chiarezza.

«Non preoccuparti, ora la levo. Sentirai solo un piccolo dolore. È come se ci fosse qualcosa sotto la tua pelle.»

Non sentii nulla, nemmeno quando l'uomo in divisa mi praticò un'incisione a X sul collo, estraendone qualcosa. La gettò via senza pensarci e mi disinfettò la ferita, per poi piazzarvi sopra un cerotto.

Quel gesto mi fece sentire malinconico, ma ero troppo stanco per pensarci. L'uomo mi prese in braccio e mi adagiò in una brandina, per poi tirare una tenda. L'ambiente circostante diventò buio e chiusi gli occhi, addormentandomi all'istante.

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