40
Era il 3 marzo, ma, per quanto ne sapevo io, avrebbe potuto essere un qualunque altro giorno dell'anno. Il tempo, all'interno della parte sotterranea del GOPEP, scorreva in modo diverso. Tutto ciò che sapevo del mondo esterno mi perveniva attraverso orologi, computer o altri apparecchi facilmente manipolabili, dunque nulla era certo.
L'unica sicurezza erano le persone che mi circondavano, per quanto potessero essere bizzarre.
Nei giorni della mia convalescenza, un periodo grigio in cui ero spaventato dai miei sogni, depresso per la mancanza di Trevor e Lucy, e ignoravo quale futuro Keaton avesse in serbo per me, furono gli altri Esper a tirarmi su di morale.
Sumiko non aveva voluto discutere dell'accaduto. Era come se avesse deciso di mettere una pietra sopra ogni cosa, ed evitava sempre di restare sola con me per paura che io tirassi fuori l'argomento. L'essersi trovata di fronte alla pazzia di Wendy aveva sedato la sua sete di vendetta, come se avesse avuto compassione di lei o avesse compreso che la vendetta avrebbe portato solo altro dolore nella sua vita, perché travolgeva tutto ciò che incontrava, me compreso. Sembrava solo desiderosa di dimenticare, nonostante la vedessi spesso accendere degli incensi in onore di un piccolo altare buddhista che aveva creato al di fuori della sua camera, in onore di Seiko.
Si trovava bene in compagnia delle creature aliene che ci circondavano, e la loro presenza la stava aiutando ad andare avanti. Di certo, era più a suo agio di quanto fossi io, che faticavo ad abituarmi al cambiamento, rinchiuso com'ero nelle mie piccole abitudini, già stravolte a sufficienza da tutti gli eventi recenti. Sumiko non si guardava nemmeno indietro. Non voleva saperne dei suoi genitori, era come se li avesse rimossi dalla propria memoria. Si era gettata a capofitto nel mondo del GOPEP e non voleva pensare ad altro. Le stavano persino permettendo di studiare per aiutare Molly, la tecnica della struttura, nella progettazione di nuovi sistemi di difesa informatica. Non avrebbe potuto essere più a suo agio, mentre io mi trovavo in una situazione opposta.
Se non altro, Otello mi aveva procurato una copia di Delitto e Castigo, mentre Keira mi aveva regalato un'orchidea dalle sfumature rosso intenso e il pistillo giallo - sai che è il fiore che incarna il desiderio sessuale, Gene?
Questi erano i loro tentativi di farmi a sentire a casa e gliene ero grato, sebbene non riuscissi a esprimerlo a parole. Avrei voluto essere flessibile come Sumiko, ma, con l'età, si diventa inevitabilmente più rigidi, persino in vite più rosee della mia. Un po' alla volta, stavo cercando di adattarmi, facevo del mio meglio, e speravo di trovare un modo per tornare in contatto con Lucy e Trevor, un giorno.
Nonostante tutto, gli Esper mi capivano profondamente, e questa era una cura più potente di qualunque libro o pianta avrebbero potuto regalarmi. Quando ero con loro, non mi sentivo mai né disprezzato né preso in giro, ma... normale.
Normale... che parola strana, indefinibile.
Eppure, era bellissimo potersi dissolvere in una piccola comunità, senza che ci fosse alcuna tensione o sospetto.
*
Quella sera, Etienne mi incitò a unirmi a una partita di carte con gli altri. Era lui quello che si prendeva più cura di me e si era fatto carico del mio benessere fisico e psichico.
- Penso tu sia abbastanza in forze per una partitina - aveva detto, portandomi dei vestiti puliti.
Una tuta nera col simbolo del GOPEP, che consisteva in una G sullo sfondo di un globo terrestre stilizzato. Fantastico.
- So che è brutta - aveva sospirato Etienne. - Sembra quella di un carcerato, ma Keaton ci passa solo vestiti dell'associazione.
- E come mai voi non li avete, allora?
- Ce li siamo portati da casa, sciocchino - aveva sogghignato lui, scuotendo la testa, mentre si gettava un peluche a forma di serpente sul collo.
A volte non riuscivo a capire se Etienne era geniale o completamente suonato. Forse era entrambi, o semplicemente io ero troppo stupido per capirlo.
Mi vestii e lo seguii all'interno di una piccola sezione della sala svago. Ero un po' più in forze e riuscivo a camminare senza alcun supporto, sebbene procedessi lentamente. Ogni tanto avvertivo ancora un formicolio al fianco, ma stava passando.
Quando entrai nella saletta in cui si giocava a carte, vidi che Sumiko, Etienne e Keira si erano già accomodati attorno a un tavolo rotondo di grezzo metallo, come molti altri mobili del GOPEP. Era attorniato da delle poltroncine grigio metallizzato, il che gli dava un'atmosfera futuristica, tuttavia la luce soffusa, assieme al posacenere al centro del tavolo - messo solo per fare scena, dato che tutte le sigarette erano spente -, creavano una vaga atmosfera che dava l'illusione di trovarsi in una casa vera.
Il perennemente sovraeccitato Otello stava mischiando le carte a una tale velocità che le sue dita si sfocavano nel processo.
Non appena entrai al seguito di Etienne, il suo terzo occhio, di quel giallo così inquietante, quasi da rettile, si puntò su di me e, per la gioia, Treocchi fece cadere le carte. Per qualche motivo, mi aveva preso in estrema simpatia, da quando ero arrivato.
- Oh, Oz! Guarda cos'hai combinato - si lamentò Keira, chinandosi in modo da mettere in mostra il sedere in mia direzione. Anche lei mi aveva preso in simpatia. Molto in simpatia. - Gene, perché non vieni a darmi una mano, tesorino?
- Ehm...
- Macché una mano! - si lamentò Otello, trascinandomi sulla poltroncina accanto alla sua. - Lui starà qui con me, perché è un mio amico! Non è vero Gene, che sei mio amico? Sei mio amico, no?
- C-certo?
Otello inspirò violentemente e si emozionò a tal punto che svenne.
Ormai mi ero abituato alle sue manifestazioni d'affetto un po' atipiche. Etienne diceva che si sarebbe calmato, una volta abituatosi a me. Lo speravo... non mi era mai capitato di avere gente che svenisse al mio passaggio. O meglio, non per la gioia di vedermi.
Mentre Otello se ne stava accasciato sulla poltrona, Keira mescolò le carte e le distribuì.
- Giochiamo a strip poker - propose, passandosi la lingua sulle labbra carnose.
- No - sbottò Etienne, sottraendole il mazzo. - Basta stupidaggini, Keira. Ti sei dimenticata che c'è una bambina con noi?
- Non sono una bambina - sospirò Sumiko. - E poi Keira è divertente! Perché ve la prendete tanto?
- Grazie, piccina - disse lei, facendo uno sberleffo a Etienne. - Ma cosa parlo a fare con te? Tu e quelli della tua dimensione siete completamente asessuati. Pensa che noia vivere con loro.
Aggrottai le sopracciglia, osservando Etienne.
In effetti, io sapevo poco o nulla di loro o del luogo da cui venivano, e avrei dovuto chiedergli qualcosa in più, se volevo cominciare ad ambientarmi.
- Raccontatemi qualcosa di casa vostra, di com'era la vostra vita prima di arrivare qui. Dopotutto, voi sapete già tutto di me - li incitai, con un sorriso di incoraggiamento.
Etienne si sedette al mio fianco destro e terminò di fare le carte, cominciando a distribuirle. Avremo giocato a poker classico.
- Sì, certo. Se vuoi, posso raccontarti di... - disse, mentre versava aranciata nei bicchieri.
- Chi ne vuole sapere del tuo palloso mondo utopico? - lo interruppe Keira, sbuffando. - E poi, aranciata? Non sapevo avessimo cinque anni. Non c'è qualcosa di più forte?
- La bambina, Keira.
- Non sono una bambina!
- Beh, per me sì - la rimbrottò Etienne, con una smorfia. - Non ti lascerò bere alcol se posso evitarlo, e poi non è mai bene tirarlo fuori in presenza di Otello. Non sai cosa gli succede quando beve.
- E che gli succede? - chiesi, perplesso.
- Ecco... diventa un pochino gasatello. Più del suo standard.
- Già - brontolò Keira, con una smorfia. - E dopo, gli vengono le malinconie e piange per giorni, quindi stasera si andrà di aranciata. Come. Al. Solito.
Trasse un profondo sospiro e trangugiò la bibita tutta d'un fiato, come uno shottino di tequila.
Io tornai a guardare Etienne e lo incoraggiai a proseguire la sua storia con un sorriso.
- Allora? Mi racconti?
Lui si sedette e poggiò la testa sul palmo della mano destra, mentre i suoi occhi grigi si perdevano nel vuoto.
- In realtà io e gli altri non veniamo da pianeti diversi, ma da dimensioni parallele a questa. Keaton a volte ci chiama alieni, ma non lo siamo. Tecnicamente, il nostro mondo è sempre la Terra, solo in una versione differente. E' anche per questo che, nonostante tutto, abbiamo diversi tratti somatici e caratteriali in comune ed è possibile per noi riprodurci con voi.
- Riprodurci - ripeté Keira, come se fosse stata una parola deliziosa.
Etienne la ignorò, proseguendo il proprio discorso.
- Siamo solo modi particolari in cui l'umanità si è trasformata, in percorsi differenti dal vostro. Ad esempio, io e i miei simili viviamo esclusivamente di spirito. Siamo asessuati, come dice Keira, e, nella mia dimensione, avevamo trovato la chiave per raggiungere la vita eterna, quindi non dovevamo più procreare.
Spalancai gli occhi.
- Vita eterna? - ripetei, con un filo di voce.
- Ti ho detto che la gente di Etienne è noiosa - sospirò Keira. - Se vivi per sempre è come se non vivessi affatto. Il tempo tutto distrugge, l'essere umano non è fatto per vivere per sempre. Tutto perderebbe di significato.
- Non ha tutti i torti - mormorò Etienne. - Ad ogni modo, se vuoi conoscere la storia nel suo intero, io e pochi altri della mia specie siamo i sopravvissuti di una grande guerra. La mia dimensione, una delle più avanzate, chiamata Terra Z-54, è andata distrutta in un conflitto civile. Vivere a lungo fa sì che i rancori si accumulino e le tensioni diventino tali da trasformarsi in enormi forze distruttive. A volte non è automatico che con l'età arrivi la saggezza. Io sono uno degli ultimi, se non l'ultimo, sopravvissuto. Ci siamo distrutti da soli, perché eravamo troppo potenti. Mi sono trasferito su questa Terra, la A-73, per ritrovare la pace nella semplicità. Oh, Gene, non hai idea di quanto sia piacevole vivere con voi umani, così giovani, così innocenti persino nei vostri atti di più efferata malvagità. Mi fate tenerezza anche quando cercate di essere cattivi, perché siete troppo piccoli per riuscirci davvero. La vostra presenza è un balsamo per un vecchio come me, che ha perso tutto.
L'avevo ascoltato in silenzio, affascinato, e, mentre parlava, avevo avvertito una profonda solitudine mista a un grande bisogno di amare ed essere amato, in lui. Mi chiesi quanto davvero fosse vecchio. Mi aveva raccontato una bugia, quel giorno, dicendomi di avere circa sessant'anni. Forse, la sua età era troppo vasta perché io potessi sentirmi a mio agio, qualora mi avesse confessato il vero numero dei suoi anni. Concesso che li contasse come i nostri.
Etienne sorrise, come se sapesse cosa stessi pensando, e mise due fish sul piatto.
Keira fece schioccare le labbra, guardandolo con commiserazione.
- Oh, povero vecchietto - sospirò. - Dev'essere stato faticoso per te vivere in un mondo dove tutti erano immortali, ma il sesso non esisteva! Cha atrocità. Mi vengono i brividi solo a pensarci.
- Faticosissimo.
- Gene, la mia dimensione è indubbiamente più interessante della sua. Vengo da una delle dimensioni M, famose per produrre tecnologie organiche. Sono stata creata in un laboratorio per essere la compagna o il compagno sessuale ideale per chiunque.
Provai una sensazione di gelo allo stomaco, e sgranai gli occhi.
- Oh, non fare quella faccia - ridacchiò lei, civettuola, mentre rilanciava di cinque fish. - Sei talmente adorabile che potrei mangiarti, quando mi guardi in quel modo. Comunque, tornando a me, ho vissuto la maggior parte della mia vita come un giocattolo sessuale. Ma sono andata ben oltre la mia programmazione. Sono quella che gli scienziati della dimensione M chiamavano anomalia pericolosa, perché possiedo un mio raziocinio. Quando avevo venticinque anni - ora ne ho cinquanta, ma io non invecchio -, sono entrata a far parte di un'organizzazione per i diritti delle tecnologie organiche, dato che anomalie come me erano sempre più frequenti. Mi sono avvicinata al capo della OrgTech in persona e l'ho fatto morire di piacere. Letteralmente. Da allora, sono stata una latitante e mi sono imbattuta per caso in Etienne, anche lui tutto solo. Avresti dovuto vedere il suo faccino. Triste quasi quanto il tuo, Gene. Gli chiesi se voleva che lo consolassi un po' alla mia maniera, ma lui si dimostrò totalmente disinteressato a me.
- I feromoni funzionano con chi ha gli ormoni - sospirò Etienne. - Il mio corpo si è liberato di quelle sostanze inutili molto tempo fa.
- Non sai cosa ti perdi, invece - sogghignò lei, facendomi l'occhiolino. Il mio corpo reagì all'istante e le rivolsi un sorriso adorante, in brodo di giuggiole. Nell'aria si era diffuso un intenso profumo di frutta, tutto per me. - Ad ogni modo, fu il totale disinteresse di Etienne a spingermi a tenerlo come amico. Una vita senza sesso è già abbastanza deprimente, almeno gli ho portato un po' di gioia.
- Come avrei fatto senza di te? - chiese Etienne, ironico, ma nel suo sguardo c'era un bonario affetto.
Chissà quanto ognuno di loro doveva essere stato solo. Per fortuna, avevano goduto della reciproca compagnia, da quel momento in poi.
- E Otello? - domandai. - Lui da dove viene?
- Dalla D-155 - rispose Etienne, abbassando la voce per non svegliarlo. - Una dimensione particolare, popolata da creature pacifiche e iperattive quanto lui. Sono dei veri pozzi di scienza, ricordano tutto ciò che vedono, sentono o toccano, e hanno dei deboli poteri mentali, specie telepatici. Tuttavia, allo stesso tempo, non sono molto bravi con le emozioni. Sono creature estremamente timide. Quando conoscemmo Otello, riusciva a malapena a balbettare.
- Come mai è fuggito dalla sua dimensione? Non sembrava un brutto posto...
- Distrutta - mormorò Keira. - Ci hanno costruito sopra una grande fabbrica di navi spaziali. Povero piccolo, era così sconvolto, quando lo trovammo a vagare nei pressi del porto interstellare della dimensione Z-001.
- E Silenzioso? - sussurrai, a voce ancor più bassa. L'avevo visto di sfuggita solo un paio di volte, e mi aveva sempre guardato in un modo da mettermi i brividi. Avevo paura di sentire quale storia potesse avere, ne avevano una più terribile dell'altra.
Keira ed Etienne si scambiarono una strana occhiata, come se si stessero mettendo d'accordo su cosa dire.
- Non sappiamo molto su di lui, solo che era uno zoologo e uno scienziato militare, probabilmente delle dimensioni M. E' stato lui a offrirci la navicella su cui viaggiare e pilotarla fin qui. Non ne poteva più di vivere come scienziato e voleva cominciare una nuova vita. Non ha più parlato, da quando siamo arrivati qui, tranne una volta. Voleva che venissimo a salvarti. Credo che il tuo arrivo lo abbia svegliato dal letargo. Dovresti andare a trovarlo, uno di questi giorni.
Mentre loro raccontavano queste vicende, Sumiko aveva mostrato le carte. Noi la imitammo ed Etienne si profuse in un sonoro "mérde", mentre la bambina si portava a casa tutte le nostre fish.
- Un antico proverbio cinese dice: bisogna sempre prestare attenzione agli altri, o potrebbero fregarti - proclamò a gran voce.
- Io non l'ho mai sentito - mormorai, confuso.
- Neanche io! - esclamò lei, tutta contenta. - E ora, scusate, ma vado a comprarmi un po' di schifezze alle macchinette che Keaton ha fatto installare. Molly mi cambierà sicuramente le fish in tante sterline fruscianti!
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GenshiGraph mi ha sistemato la copertina di Esper! Col font di Alien u-u
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