36
John Keaton stava osservando la mappa di Londra, cercando di capire dove diavolo potesse essersi nascosto quel mostro di Sanders, quando la radio che teneva al centro del GOPEP, nella sala comune che condivideva con gli altri del personale, si illuminò.
- Keaton! Keaton, sono Yates. - disse la voce ruvida e familiare dell'ispettore.
Sembrava molto agitato e, in sottofondo, si riusciva ad avvertire il suono delle sirene. Doveva essere molto importante.
John premette il tasto che gli avrebbe permesso di rispondere alla chiamata, accostando le labbra al microfono, dimentico della mappa.
- Sono qui. Cosa succede? - chiese, con tono secco e professionale. In quel momento non c'era tempo per le ostilità, a giudicare dal grado di urgenza nella voce di Yates.
- Ho trovato Sanders. Si trova in pericolo di vita, è molto grave. Credo abbiano trovato il killer, ma non so cosa sia accaduto di preciso. Tu sei più veloce, potresti arrivare prima di me - spiegò Yates, tutto d'un fiato - Ho già chiamato i soccorsi. So che ci sono stati dei contrasti fra noi, ma adesso è il momento di metterli da parte. Ti prego, vai e salva quel ragazzo. Ne ha subite troppe, devi...
- Dimmi dov'è - lo interruppe Keaton, seccato da tutta quell'esposizione.
Yates gli diede l'indirizzo e John assicurò che si sarebbe recato lì nel tempo minore possibile. Chiuse la comunicazione e uscì in corridoio. Picchiò forte alla porta di Etienne, dalla cui camera provennero dei borbottii sommessi.
- Muoviti, francese! - urlò Keaton, proseguendo per la sua strada - Abbiamo un'emergenza, e potremmo avere bisogno dei tuoi hocus pocus da medico alieno.
- Io non sono un alieno - protestò Etienne, uscendo dalla stanza pochi secondi dopo, mentre infilava un maglione grigio sopra la solita, logora camicia da notte.
John non lo udì nemmeno, precipitandosi nella sezione dove vivevano gli Esper.
Li svegliò tutti nella maniera brusca che aveva riservato ad Etienne, a parte Otello, che non dormiva quasi mai. Gli bastava mezz'ora di tanto in tanto, per recuperare il sonno di un'intera settimana.
- Cosa succede, capo? - chiese Keira, assonnata, trascinandosi fuori dalla propria camera da letto.
Otello la seguì a breve e lo stesso valse per Silenzioso, che pareva insolitamente pronto a eseguire gli ordini. Era la prima volta che usciva dalla sua stanza in seguito a un comando, come se avesse capito ciò che gli veniva richiesto.
- Abbiamo trovato l'Esper che stavamo cercando - spiegò brevemente Keaton - Mettetevi su qualcosa in fretta, io nel frattempo preparo la navicella.
Ma Keira e gli altri non si mossero di mezzo centimetro.
- Che aspettate? - esclamò John, furibondo - Non abbiamo tempo!
- Avevamo detto che non ti avremmo supportato, nell'uccisione di un nostro simile - sbottò Keira - Cosa non ti è chiaro in questa frase?
Keaton emise un verso colmo di frustrazione, tendendo le mani al cielo come se implorasse una divinità.
- Non vi sto chiedendo di uccidere nessuno, adesso - ribatté, esasperato - Yates mi ha chiamato, ha detto che Gene Sanders è in pericolo. A quanto pare hanno incontrato il killer. Il vostro amico pazzoide è già morto, non temete. Non dovrete ammazzare nessuno. Stiamo andando solo lì per salvare, non per uccidere.
Keira lo fissò dubbiosa, e lo stesso fece Otello, esitante, i tre occhi, uno blu, uno verde e uno giallo che andavano dalla sua amica al direttore del GOPEP in rapida sequenza.
Keaton era consapevole di aver modificato la verità: non aveva idea se il killer fosse morto o no, ma non c'era tempo per convincerli, in quel momento.
- Andiamo. Dice la verità - disse ad un tratto una voce tranquilla e dolce come un lago del tutto piatto, privo di onde o impurità.
Tutti si voltarono verso Silenzioso, stupefatti.
- Ha parlato - farfugliò Otello, indicandolo con un dito tremante.
Dopo che si furono ripresi dallo shock, Keaton li incitò un'ultima volta, per poi dirigersi verso la navicella. Era certo che, dopo l'intervento del loro amico, l'avrebbero seguito.
Ne ebbe la conferma poco dopo, quando avvertì la porta posteriore della piccola nave di trasporto aprirsi con un suono di ammortizzatori.
I tre Esper si accomodarono sui sedili posteriori, e poco dopo giunse anche Etienne, reggendo la borsa con gli attrezzi del mestiere.
- Eccomi! - esclamò il medico, trafelato. Aveva fatto tutto talmente in fretta da essere scalzo.
Keaton mise in modo, usando il badge che gli garantiva accesso totale ad ogni macchinario del GOPEP, e i propri dati biologici.
Il silenzioso motore della navicella si accese e una serie di luci gialle si palesarono di fronte a loro, indicando il percorso da seguire: si trattava di un tunnel sotterraneo, che scorreva parallelo alla metro di Londra e approfittava di alcuni tratti abbandonati di questa per oltrepassare le zone più caotiche, per poi sprofondare di nuovo in basso, più in basso di quanto qualsiasi treno sotterraneo andasse.
Quella rete sotterranea nei dintorni di Londra era stata un'altra delle idee geniali di Molly, che aveva venduto i pezzi smantellati del GOPEP, le sue parti più vecchie, investendo il ricavato nella costruzione di quel mezzo di trasporto tanto veloce, che si diramava in buona parte della grande metropoli e dintorni, e si allargava ogni giorno di più. Non sapevano per quanto avrebbero continuato a costruirla, forse si sarebbero fermati una volta che avesse ricoperto l'intera area della Gran Bretagna, ma Keaton dubitava che il governo gli avrebbe dato tanti fondi. Era già stato tanto che avessero scucito una grande somma per quel percorso sotterraneo, dato che il progetto iniziale del GOPEP, che avrebbe preveduto delle sedi in tutta la Gran Bretagna, era decaduto, passando in sordina come molti altri progetti che non si erano rivelati redditizi.
Keaton premette l'acceleratore e, ad una velocità allucinante, si fiondarono nei sotterranei della città.
Il punto descritto da Yates si trovava in una zona poco frequentata di Londra, più vicina alla periferia che al centro. Di notte si svuotava e non c'era davvero nessuno, da quelle parti. Comprensibile che non avessero avvertito le grida d'aiuto delle vittime, dall'interno del cinema abbandonato.
Poco lontano c'era una stazione della metro. All'interno di ognuna di queste Keaton aveva una piccola base, dalla quale poteva emergere in superficie e raggiungere qualunque luogo senza dover affrontare il traffico, a differenza di Yates.
Raggiunsero la zona in meno di quindici minuti, mentre Keaton premeva senza requie sull'acceleratore di cui era dotata la minuscola bolla all'interno della quale erano stipati. Ogni tanto rifletteva sul fatto che, se ci fosse stata un'imperfezione nella monorotaia sulla quale scorreva sarebbero morti sul colpo per via della velocità assurda cui stavano precedendo, ma scacciava quel pensiero ogni volta in cui si ripresentava.
Voleva prendere quell'assassino. Da quanto aveva detto Yates, doveva trovarsi sul luogo del delitto assieme a Gene e alla mocciosa, e non se lo sarebbe lasciato scappare per nulla al mondo.
Scesero in fretta dalla navicella e camminarono sulla piattaforma che portava all'entrata nella metro. A quell'ora le stazioni erano chiuse, un bene, dato che Keaton non sapeva come avrebbe potuto nascondere le stranezze di Otello, in particolare. Silenzioso e Keira erano abbastanza nella norma, malgrado la pelle azzurrognola e squamata del primo, e l'avvenenza della seconda.
Keaton passò il badge nella fessura apposita e a questo seguirono le solite scansioni. Ciò disinnescò gli allarmi della stazione e le telecamere, che erano collegate al sistema del GOPEP. La porta che dava sull'esterno, mimetizzata perfettamente con le piastrelle che ricoprivano il muro, scivolò di lato, lasciandoli passare, per poi chiudersi alle loro spalle, mentre la navicella ricominciava automaticamente il suo viaggio verso la base.
Keaton si precipitò fuori dalla metro, seguito dagli Esper. Etienne, con le sue lunghe gambe, era il più veloce di tutti, e raggiunse per primo la porta principale.
Per quella John non aveva una tessera. Stavano per volgersi in un'altra direzione, alla ricerca di un'uscita secondaria, quando Silenzioso impose la mano destra sulla serratura blindata, che emise una serie di scatti, per poi aprirsi.
- Non sapevo lo potessi fare! - esclamò Etienne, entusiasta, dandogli una pacca sulla spalla, per poi superarlo.
Salirono in superficie.
Il cinema abbandonato descritto da Yates distava all'incirca trecento metri dal posto dove si trovavano adesso.
Keaton fece loro strada e, in pochi minuti, arrivarono al giardino di Horatio Nelson, di cui era impossibile non riconoscere la statua. Il direttore del GOPEP avvertiva un'eccitazione crescente, man mano che si avvicinavano all'assassino. Aveva quel bastardo in pugno, finalmente. La gente e, soprattutto, i suoi colleghi e coloro che si trovavano negli Alti Piani, avrebbero capito quanto fosse davvero utile il GOPEP.
Raggiunsero il retro del cinema ed entrarono al suo interno.
Quando raggiunsero la sala numero 3, descritta da Yates come il luogo dei fatti, non ebbero difficoltà a capire che fosse quella giusta, dato che, dal suo interno, provenivano i singhiozzi di una ragazzina.
Keaton contemplò il macabro spettacolo riuscendo a stento a trattenere un sorriso di trionfo.
Si ricordò di doversi mostrare triste e affranto, e, seguito dagli altri, salì i tre gradini che li separavano dalla scena.
Etienne li superò con due balzi, dirigendosi verso i due corpi che giacevano inerti come due chiazze di colore sul pavimento, mentre la bambina singhiozzava.
- Va tutto bene - la rassicurò Keira, accarezzandole i capelli. - Oh, ma guarda cosa ti hanno fatto... non preoccuparti, Etienne sistemerà tutto, e presto starai bene.
- Chi siete voi? - rantolò lei, guardandoli con occhi sgranati. Come biasimarla, non aveva mai visto esseri tanto insoliti. - Dov'è Yates? Io ho invocato Yates, l'ho contattato...
Keira strinse i denti in una smorfia, guardando la bambina con aria allarmata, come se volesse dirle "taci, non in presenza di Keaton", ma John non si perse una singola parola.
- Ah, e così anche tu sei una Esper - mormorò, con un sorriso - Interessante. Non temere, siamo qui per aiutarti. Ci ha mandato Yates. Dimmi, chi dei due qui distesi ti ha ridotto in questo stato?
Silenzioso e Otello liberarono Sumiko dai cavi elettrici che la bloccavano, e la aiutarono a mettersi in piedi. Lei indicò la ragazza accasciata poco lontano, avvolta in un elaborato abito goth.
Keaton vi si avvicinò e, con un piede, la rivoltò sul dorso. Nello scoprire il suo volto, trasalì: i suoi occhi erano completamente neri, e una sostanza dello stesso colore colava dai suoi dotti lacrimali, dalle labbra, dalle orecchie, dalle narici. Sembrava che fosse soffocata dentro di essa.
John non osò toccare quella specie di olio, ma le pose un dito all'altezza della giugulare, restando in attesa.
- E' morta - sentenziò infine, rialzandosi. Volse il capo verso la bambina, fissandola con sguardo inquisitorio - Cos'è successo? E' stato Sanders?
- No, no - balbettò Sumiko - Gene è innocente. Ha cercato di proteggermi, di convincerla a ragionare, ma lei è impazzita e ha preso una spatola, con cui l'ha ferito.
- E allora, com'è morta, se non l'ha uccisa lui? Non sarai stata tu, ragazzina - sbottò Keaton, avvicinandosi con fare minaccioso
- No, non sono stata io - farfugliò lei, in evidente stato confusionale.
- Ah, no? Beh, non può essere magicamente morta, così, dal nulla - la schernì John, abbandonandosi ad una risatina densa di sarcasmo.
- Smettila! - urlò Keira, esasperata dal suo comportamento. - Non vedi che è sconvolta? E' solo una bambina, sciocco uomo. Lasciala stare, adesso. Risponderà alle tue domande un'altra volta. Ora l'importante è portarla al sicuro.
E, senza attendere un suo ordine, pilotò Sumiko giù dal palco, mentre le mormorava parole affettuose e consolatrici nelle orecchie.
La bambina si lasciò guidare docilmente, ma, dopo aver sceso i tre gradini, si ricordò di Gene, liberandosi dall'incantesimo ammaliatore di Keira, che faceva scordare alle vittime il resto del mondo.
- Gene! - chiamò - Come sta Gene?
- Benissimo - mentì Keaton - Non preoccuparti, si riprenderà presto.
Sumiko non gli credette per un istante e, liberatasi dalla presa di Keira, Otello e Silenzioso, si accucciò vicino all'amico, senza degnare il cadavere dell'assassina della minima occhiata.
Gli accarezzò i capelli sudati, incollati alle tempie, e spiò un segno di vita sul suo volto esangue, senza scorgervene alcuno.
- Non respira - gorgogliò, con un groppo in gola. Poi, rivolgendosi ad Etienne, quasi sussurrando, ripeté: - Non respira!
Il medico aveva un'espressione grave, e scoccò un'occhiata indecisa a Keaton, mentre metteva da parte il piccolo strumento che utilizzava per cauterizzare le ferite.
- Ti potresti voltare dall'altra parte? - chiese.
Era una domanda talmente infantile che John restò a bocca aperta.
- Oh, andiamo. Tanto lo so già che sei un Esper - ribatté il direttore, quasi divertito. - Fallo e basta.
Etienne esitò ancora per un attimo, ma l'espressione sconvolta di Sumiko e i suoi lamenti furono la spinta giusta.
Impose le lunghe mani sulla ferita di Gene, strappando la spatola dal suo addome con un gesto deciso. La lama aveva squarciato e lacerato. A giudicare dai segni, doveva essere stata rigirata e spinta più a fondo. Non ci sarebbe stata comunque speranza per lui, se fosse intervenuto un medico normale.
Etienne cominciò a massaggiare la carne, che si ricompose sotto l'influsso benefico emanato dai suoi palmi.
Sumiko osservò i muscoli e la pelle che si ricucivano con occhi sgranati, per poi spostare la propria attenzione sul volto di Gene. Ma ancora non respirava, né si muoveva.
- Non funziona - balbettò, mentre stringeva forte la sua mano destra, fredda come il ghiaccio.
- Non ho finito - ribatté Etienne, con voce sicura.
Raccolse il capo di Gene con entrambe le mani e si avvicinò al suo viso.
Accostò le sue labbra a quelle dell'uomo e soffiò un flusso di aria benefica nei suoi polmoni inerti.
Il petto di Gene si gonfiò come un palloncino ed Etienne si staccò da lui, mentre il colore tornava sul suo viso e il cuore riprendeva a battere.
- Non ci saranno danni cerebrali - sentenziò il medico, pulendosi la bocca su una manica del maglione. - Presto starà di nuovo bene. Avrà solo bisogno di riposo.
Sumiko, che non riusciva a credere ai propri occhi, guardò prima Gene e poi Etienne, quindi saltò al collo del medico, abbracciandolo per la gioia.
- Oh, grazie! - esclamò, fra le lacrime - L'hai salvato!
Etienne, impacciato, le diede delle pacche comprensive fra le scapole, guardando Keaton con aria confusa, come se non riuscisse a comprendere quell'effusione fisica.
- E' un miracolo! - balbettò Sumiko, sciogliendo la stretta e contemplando il volto di Gene.
- Ne vedrai parecchi, al GOPEP - mormorò Keaton, in tono allusivo, inarcando le sopracciglia.
Keira lo guardò malissimo, pensando che quello fosse il momento meno appropriato per un intervento del genere, ma non disse nulla.
Era il momento di portare Gene e Sumiko al sicuro, non di discutere. Quei due dovevano averne passate tante.
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