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Mi issai in piedi, e scoprii che le vertigini erano meno gravi di prima, e mi sentivo più lucido.
Mi resi conto che c'era sempre stato un rumore di sottofondo che aveva accompagnato i miei passi, oltre quella fastidiosa musica che riempiva le sale e si diffondeva in ogni angolo del cinema.
Erano grida soffocate, accompagnate da tonfi secchi, come di qualcuno che stava venendo picchiato.
Sumiko!, pensai, col cuore in gola.
Zoppicai il più velocemente possibile verso la fonte del rumore, che proveniva dalla sala tre, e vi entrai.
Non aveva nulla di diverso dalle altre, a parte il fatto che qui non stavano proiettando nessun film, e che non era vuota. Sul palco, davanti all'ampio schermo di tela lacera e vecchia, c'erano due figure: una, esile e tremante, bloccata su una sedia con dei logori cavi elettrici, l'altra, alta e, in confronto, prepotente, che troneggiava su di lei.
La stava prendendo a schiaffi, mentre gridava "Dov'è? Dimmi dov'è!".
- Basta! Lasciala stare! - gridai, cercando di suonare minaccioso.
La figura si bloccò all'istante, voltandosi lentamente verso di me. Ebbi modo di osservarla meglio e notai che indossava un abbigliamento molto speciale: aveva un magnifico abito rosso e nero, accuratamente stracciato, che le arrivava poco sotto le ginocchia. Su di esso erano fissati tanti piccoli teschietti color avorio. Tipico accostamento di fattore inquietante e kawaii, come piaceva alle gothic lolita.
Sul volto aveva una maschera bianca priva di espressione, fatta eccezione per due labbra pitturate di nero.
Aveva i capelli sciolti, che le arrivavano fino a metà vita, le cui punte erano di un intenso rosso carminio, come se le avesse imbevute nel sangue.
- Gene - sussurrò, con voce talmente densa di bramosia, talmente folle che dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo per non mostrare alcun segno di paura o disgusto.
- Sì, sono io, Wendy - risposi, avvicinandomi con le mani alzate, per mostrarle che non avevo alcuna arma.
Lei abbassò lentamente la mano con cui finora aveva colpito Sumiko e, una volta che mi trovai anche io sul palco, mi corse incontro, abbracciandomi forte. Avvertii il suo respiro caldo sul collo, seppur attraverso la maschera, e deglutii a fatica, cercando di ricambiare la stretta per non provocare la sua rabbia.
Dovevo mostrarmi gentile e affettuoso, o avrebbe potuto commettere uno sproposito. Era troppo instabile per predire cos'avrebbe fatto, se l'avessi delusa.
- Oh, Gene, sei venuto! Non sai per quanto tempo ti ho aspettato. Mi sei mancato così... così tanto - farfugliò, commuovendosi fino alle lacrime.
Io sciolsi la stretta e, con delicatezza, le sfilai la maschera dal viso. Sotto di essa Wendy si era dipinta il viso di nero. I suoi occhi verdi sembravano due schegge luminose in quel mare di terra bruciata, e mi scrutavano avidi e, allo stesso tempo, adoranti. Mi accarezzò il volto con dita tremanti e poi, in preda ad un impulso che non riusciva a controllare, mi baciò appassionatamente. La sentii frugare con la sua lingua nella mia bocca e stavolta dovetti davvero, davvero impegnarmi per non ritrarmi schifato.
Assecondai il suo gioco e attesi che fosse lei a interrompere quel bacio per prima.
Poco dopo si staccò da me, tutta tremante, le guance arrossate dall'emozione.
- Scusa, non sono riuscita a trattenermi - balbettò, prima di condurmi davanti a Sumiko. Quando la vide, il suo volto si contrasse in una smorfia terrificante. - Quella puttanella ha cercato di uccidermi. Credevo ti avesse fatto del male, impedendoti di arrivare da me! Gene, non sai quanto mi sono preoccupata. Stavo cercando di farle dire dove ti avesse cacciato, cosa ti avesse fatto, ma lei non desisteva!
La voce di Wendy si era fatta sempre più acuta, fino a diventare tanto stridula da farmi digrignare i denti per il fastidio.
- Wendy... Wendy, non importa - dissi, cercando di calmarla - Quello che conta è che adesso siamo insieme, giusto?
- Sì - farfugliò lei, sgonfiandosi, mentre si scioglieva in un sorriso colmo di delirante amore. - Quello è l'importante.
- Allora perché non la lasci andare? - suggerii, cercando di suonare noncurante - Non voglio quella ragazzina qui con noi. Dobbiamo essere soli, per parlare. Voglio stare con te e basta.
Wendy sembrò combattuta, ma scosse la testa.
- No, Gene. Non mi fido di lei. Sai, io la conosco. Lei è la sorella maggiore di Seiko - Sumiko si dibatté furiosamente sulla sedia, nel sentire il nome di sua sorella, ma Wendy la ignorò - Sapevo che mi dava la caccia, ma non avrei mai immaginato fosse arrivata tanto vicina a me. Ha quasi mandato a monte tutto. E per questo pagherà... lurida mocciosa, la pagherai!
Ebbi un colpo al cuore, nel vedere che Wendy aveva afferrato uno dei suoi strumenti per dipingere, un'affilata e ampia spatola da pittura. Si avventò su Sumiko e io agii prima di pensare.
La afferrai per un braccio e lei, in un riflesso automatico, si voltò verso di me, ancora in preda a quella furia omicida.
Sumiko balbettò il mio nome, ma io non lo udii. In quel momento tutto ciò che riuscivo a vedere erano gli occhi di Wendy, mentre in essi alla rabbia si sostituiva confusione e, infine, cieco terrore.
Cercai di mettermi seduto, una mano premuta sul fianco, dal quale sporgeva il manico della spatola. L'aveva conficcata in profondità. Non avevo sentito subito il dolore, ma ora mi stava pervadendo a ondate, rendendomi difficoltoso persino respirare. Avvertivo il sangue stillare dalla ferita, scorrendo fra le mie dita come un fiume in piena.
- Gene! - gridò Wendy, accucciandosi al mio fianco.
Raccolse la mia testa con una delle sue mani, mentre con l'altra tentava di arrestare l'emorragia.
- No! Oh, Gene, ti giuro che non volevo. Ti prego, non morire - farfugliò, stravolta dalla paura di aver commesso un danno irreparabile.
Non avevo idea di quanto fosse grave la mia ferita, ma di certo lo era abbastanza da impedirmi di stare in piedi da solo. Pregavo che non avesse leso alcun organo vitale. Dopotutto, nessuno sarebbe venuto ad aiutarci.
- Povera Wendy - rantolai, mio malgrado mosso a compassione per quell'essere che si stava sciogliendo in lacrime al mio capezzale. Le accarezzai una guancia, mentre il trucco nero le colava lungo il viso, sporcando il mio maglione ed il cappotto. - E' un peccato, lo sai? Così intelligente e creativa... se solo non avessi avuto una nota stonata, saresti stata una persona magnifica.
- Gene, non dire così - balbettò lei - Ti farò stare bene, ti curerò, e vivremo sempre insieme. Hai già provato che mi vuoi bene, non servono più altre prove. Ti prego! Ti prego, non lasciarmi sola... sono così sola...
Raccolsi la sua mano sinistra e la strinsi nella mia.
- Wendy, non è stata solo colpa tua, non è vero? - sussurrai, con un filo di voce. - E' stato quell'essere che è venuto da te, quel giorno, mentre eri in montagna. Eri solo una ragazzina, e ti chiamavi ancora Agatha Hoffmann.
- Di cosa stai parlando? - chiese Wendy, aggrottando le sopracciglia.
- Un giorno, mentre stavi facendo una delle tue scampagnate, hai visto qualcosa che apparteneva a un altro mondo. Una grande luce - continuai, nonostante lei stesse scuotendo la testa per negare l'accaduto - Se n'è andata, ma qualcosa di lei si è aggrappato a te. All'inizio era un essere pacifico, ma poi è cambiato, e si è approfittato di te, che eri solo una bambina. Ti ha avvelenata. Da allora non sei più stata la stessa.
- No... NO! - gridò lei, scattando in piedi.
Io ricaddi sul pavimento con un flebile grugnito di dolore, mentre lei passeggiava su e giù sul palco, lasciando delle impronte insanguinate al suo passaggio. Quello era il mio sangue. Ne stavo perdendo troppo, l'emorragia non si fermava. Cominciavo a sentire un lieve torpore impadronirsi di me. L'unica cosa positiva era che l'intorpidimento soffocava le tremende fitte al fianco, ma non ero del tutto sicuro che fosse un bene.
- Wendy... - tentai di dirle, tendendo una mano verso di lei.
A quel punto Sumiko, finora rimasta in silenzio, nonostante la bocca gonfia e dolorante per le botte ricevute, gridò:
- Ma non vedi che sta male? Morirà dissanguato, se non chiamerai subito un'ambulanza!
Wendy si riscosse e tornò a preoccuparsi per me. Mi sostenne la testa e, con decisione, afferrò il manico della spatola.
- No, non lo fare - gemetti, sbarrando gli occhi - Se la toglierai, l'emorragia potrebbe uccidermi. Lasciala dov'è e chiama l'ambulanza. Ti prego.
Wendy fece per ubbidire, ma poi una scintilla calcolatrice pervase i suoi occhi, che si fissarono lentamente su di me.
- Come fai a sapere della luce? Come fai a sapere quello che mi è successo? - chiese, senza mollare la spatola.
- Io... me l'hanno detto - rantolai, con un filo di voce - Ti prego, Wendy, l'ambulanza...
A quel punto lei torse il manico della spatola, e io non riuscii a trattenere un grido soffocato, mentre Sumiko le urlava di lasciarmi stare.
- Me l'ha detto Seiko! - gridai, ormai singhiozzante per il dolore - Ho toccato il suo quadro e si è mostrata a me! Mi ha mostrato il tuo passato. Seiko era una Esper, deve averlo visto quando ti ha toccata. Un po' come Sumiko, quando tocca gli oggetti. Lei poteva farlo con le persone.
La mia voce era stridula come quella di un passerotto morente e, finalmente, Wendy ritenne che le avessi detto tutta la verità. Si alzò in piedi, pensierosa, lasciandomi tremante a terra, la mano insensibile a pochi centimetri dalla ferita.
- Seiko - ripeté Wendy, fra sé e sé. Un sorriso nostalgico le curvò le labbra. - Quella bambina era eccezionale. Mi è dispiaciuto ucciderla. A volte me ne pento, ma non aveva superato la prova, non c'era niente da fare. Ma perché te lo avrebbe detto?
Io, stordito dall'emorragia, la guardai senza capire. Wendy si chinò su di me e minacciò di estrarre la spatola.
- Io... io non ho capito - mi affrettai a dire, sebbene avessi le labbra di piombo. Stavo affondando a una velocità sempre maggiore. Lottavo per non addormentarmi. - Cos'hai detto?
- Seiko. Perché ti ha parlato del mio passato? Cosa sa su di me?
La guardai negli occhi e capii che non si ricordava tutto.
- Cosa rammenti? - sussurrai. La mia voce era talmente debole che Wendy dovette accostare l'orecchio alle mie labbra, per udirmi.
- Solo la luce che mi investiva. - ammise lei, seccata dalla mia domanda.
- Più o meno è andata così - rantolai, le palpebre che si abbassavano contro la mia volontà. - Solo che... vedi...
Le mie parole si fecero sempre più rade e la testa mi ciondolò su una spalla. Venni riportato nel mondo dei vivi da una lieve scossa e battei le palpebre.
- Cosa stavo dicendo? - rantolai, cercando di mettere a fuoco il volto di Wendy.
- La luce - mi ricordò lei, incitandomi con ferocia.
- Ah... sì... Seiko dice che c'era qualcosa in quella luce. Ti ha infettata. E' per questo che non riesci a sentire niente, Wendy... condividi le sue emozioni, non... non ne hai più di tue... non del tutto... - risposi, umettandomi le labbra con la lingua.
Wendy sapeva che stavo dicendo la verità e cominciò a tremare, guardandosi le mani come se non le appartenessero più.
- E come faccio a liberarmi di questa cosa? - gemette, indietreggiando per sfuggire a una minaccia invisibile.
Io ero di nuovo scivolato nell'inconsapevolezza e lei, in preda al panico, mi afferrò per il colletto del giubbotto, scuotendomi come un pupazzo.
- Non vedi che lo stai uccidendo? - la implorò Sumiko, ormai in lacrime. - Sei proprio un mostro. Uno stupido mostro. E Gene che voleva aiutarti... ma con te non si può ragionare.
Wendy la ignorò, cercando di trattarmi con più gentilezza. Ormai io non sentivo più niente dalla vita in giù e non riuscivo a muovere le mani e i piedi.
- Dimmi, Gene, come posso liberarmene? - mi chiese, in tono dolce, mentre mi accarezzava il viso.
- Non lo so... - esalai, senza nemmeno sforzarmi di aprire gli occhi. - Ormai fa parte di te... rimuoverlo potrebbe ucciderti.
- Non voglio avere questa cosa dentro di me! - ululò lei, lasciandomi di colpo.
Si portò le mani alla testa e cominciò a tirarsi i capelli, per poi gettarsi a terra rotolando e gridando.
Io ormai ero in alto mare e non mi rendevo conto di quello che succedeva attorno a me. So solo che, ad un certo punto, Wendy venne pervasa da un violento spasmo e una luce emanò da lei.
Forse è riuscita a liberarsi del parassita, pensai, con una punta di sollievo.
Ce l'avevo fatta. Non avrebbe più ucciso, giusto?
Era tutto apposto.
Era stata la luce a spingerla a compiere determinate azioni, ma ora lei era libera. Libera come l'aria.
Fummo abbagliati dai raggi, talmente intensi da trapassare la carne delle palpebre.
Poi, il buio.
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Vi lascio in sospeso, perché sono molto brutta, come al solito.
Comunque, la ragazza nella foto che ho trovato è davvero identica a Wendy, con la sua maschera. Peccato che non sia riuscita a trovarne una con la maschera neutra, sarebbe stato ancora meglio.
E con il prossimo capitolo si conclude la seconda parte della storia.
Seguirà la terza e - forse - ultima parte. Avrà sicuramente meno capitoli. Poi, forse, ce ne sarà una quarta brevissima come epilogo.
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