33
Quando raggiungemmo di nuovo il retro del cinema, scoprimmo che la porta era socchiusa. Io e Sumiko ci scambiammo un'occhiata. Non ci servirono le parole per capire chi l'avesse aperta.
Io mi feci coraggio e afferrai la maniglia arrugginita, spingendola di lato. La porta, aprendosi, emise un prolungato cigolio, mentre la luce dei lampioni del vialetto si riversava nel corridoio.
Avanzai di qualche passo e afferrai la torcia che Sumiko mi stava porgendo, recuperata dal suo ampio zaino, da cui non si separava quasi mai.
La accesi e un fascio di luce più decisa di quella dei lampioni fendette lo spazio circostante. L'aria era colma di polvere, e dovetti coprirmi il viso con una manica del cappotto per non tossire. Erano diversi anni che nessuno puliva.
La moquette, che un tempo doveva essere stata rossa, tendeva al grigio per via dello strato di pulviscolo da cui era ricoperta. C'erano degli escrementi di topo per terra, vicino a piccoli buchi nelle vecchie assi sul pavimento, dove la moquette si era ritratta come pelle secca.
Avanzai lungo il corridoio e intravidi una luce soffusa.
- Dev'essere lì - sussurrai, prendendola per un polso.
Sumiko si sottrasse, con un gemito spaventato. Si rannicchiò in un angolo, abbracciando le proprie ginocchia, il viso nascosto dai capelli.
- Ehi, ehi, che succede? - chiesi, inginocchiandomi di fronte a lei, allarmato.
La sentii singhiozzare e le accarezzai il capo, pensando a quanto dovesse essere difficile per lei.
- Non avere paura - cercai di rassicurarla, scostandole una ciocca di capelli dal volto per poterla guardare negli occhi. - Ci sono io qui con te. Ti proteggerò, promesso. Adesso andrò da Wendy e sistemerò tutto, okay?
Sumiko sollevò la testa e mi sentii piuttosto disorientato dal suo sguardo colmo di rabbia. Mi posò entrambe le mani sulle guance, stringendo con forza.
- Perdonami, Gene.
*
Ero accasciato a terra su un fianco, le gambe ripiegate contro l'addome e le braccia mollemente abbandonate sulla pancia.
Con un grugnito di dolore, mi misi seduto, puntellandomi sui gomiti. Il mondo girava come una trottola, e ci volle qualche minuto prima che riuscissi a recuperare del tutto conoscenza.
Il mio primo pensiero andò a Sumiko.
Ricordavo solo che un istante fa lei era accanto a me, e un secondo dopo era scomparsa, lasciandomi solo.
Temevo che Wendy l'avesse scoperta, facendole del male, e mi aggrappai al muro per issarmi in piedi. Ancora una volta ebbi le vertigini e per poco non stramazzai al suolo, ma le mie ginocchia ressero.
Attesi di stabilizzarmi e, con cautela, mossi i primi passi verso la luce che proveniva dal fondo del corridoio.
La mia vista si sfocava a intervalli irregolari, e procedevo a zig-zag, appoggiandomi ad una parete del corridoio e poi dandomi la spinta per ripartire.
Il corridoio si rivelò essere l'uscita d'emergenza, che sbucava a sua volta su un passaggio più grande. Qui c'era l'accesso alle sale e ai bagni. Le luci erano state riaccese e avvertivo una musica strana e dissonante provenire dalle sale. Sbirciai all'interno di una di queste e vidi che stavano proiettando un film, sebbene mi sembrasse solo una sequela di immagini prive di senso.
Nauseato, mi allontanai dalla porta della sala e mi diressi verso il bagno. Aprii un rubinetto, nella speranza che ci fosse ancora un po' d'acqua, ma non ne uscì niente, a parte uno sputo di ruggine.
Con un gemito, mi trascinai fuori dai bagni e, mentre proseguivo in preda a quel forte mal di testa che si stava trasformando in un'emicrania con l'aura, notai i quadri.
Strano che non li avessi visti prima. Erano stati inseriti al posto delle locandine e ritraevano dei volti familiari.
Cercavo di identificarli, senza riuscire a capire dove li avessi già visti. Tutti avevano la caratteristica di essere talmente intensi, da sembrare vivi. Mi sentivo attratto da loro, come se, allungando una mano, avessi potuto raggiungerli nel loro mondo personale.
Non c'era un quadro che fosse identico all'altro. Erano tutti diversi, con sfumature e pose particolari, e ritraevano persone di tutte le età, da ogni parte del mondo.
Ad un certo punto, notai un quadro che mi colpì più degli altri.
Il colore dominante in esso era un magnifico bianco, puro come la neve, come la rugiada del mattino.
Era stupendo.
E, in mezzo a tutto quel bianco, come un magnifico fiore, emergeva il volto di una bambina. Era molto piccola, doveva aver avuto al massimo cinque o sei anni. I lineamenti del suo volto erano morbidi ed esotici, circondati da una chiostra di capelli lisci, pettinati con la riga in mezzo, che le ricadevano sulle spalle esili.
Fissai quegli occhi neri e mi parve che mi scrutassero nell'anima. Allora, capii perché quel quadro mi aveva colpito tanto: era Sumiko.
O meglio, era identica a Sumiko, solo da bambina.
- Seiko? - sussurrai, sfiorando la tela ruvida con la punta delle dita.
Non appena la toccai, il mio corpo venne attraversato da un grande brivido e non riuscii più a reggermi in piedi.
Cercai di aggrapparmi al muro, ma non servì a niente. La mia mente ormai era già lontana e non poteva più controllare i miei movimenti.
Per un istante, ebbi l'impressione di osservare il mio corpo dalla prospettiva del quadro di Seiko. Era molto strano e mi mise a disagio, vedermi svenuto. Ero disteso a terra, a pancia in su, e avevo la bocca leggermente aperta, come alla ricerca d'aria. Riuscivo a scorgere un filo di bianco nei miei occhi, rovesciati verso l'alto.
L'immagine di me stesso si fece più distante e sfocata, finché non venne del tutto inghiottita dal bianco.
Ebbi l'impressione di precipitare e, quando toccai finalmente il fondo, era tutto completamente bianco. Non c'era niente attorno a me. Né un sotto, né un sopra.
Cominciai a spaventarmi, pensando che se avessi trascorso troppo tempo in quel luogo così vuoto avrei finito per diventare pazzo, ma la mia ansia si placò non appena scoprii di non essere solo. Fossi anche stato in compagnia di un aguzzino, non mi sarebbe importato. La solitudine in quel momento mi appariva come la cosa più terrorizzante che esistesse.
- Ciao - farfugliai, in un impacciato approccio - Chi sei tu? Dove siamo?
La figura davanti a me, avvolta in un cheongsam bianco, si voltò in mia direzione e sussultai, nel riconoscerla.
- Seiko? - rantolai, indietreggiando istintivamente. - Ma tu... sei morta.
- E' vero - sospirò lei, con una voce eterea, che sembrava provenire da ovunque.
- Quindi sono morto anche io? - sussurrai, tastandomi il petto alla ricerca del cuore. Non avvertivo nessun battito, e mi spaventai.
Seiko fu subito accanto a me, le piccole mani, bianche quanto il suo vestito, che scostavano con gentilezza le mie.
- No, non sei morto, Gene - mi rassicurò, quasi divertita dalla mia espressione sbalordita. - Il tuo corpo ti aspetta, sei solo in uno stato di profonda concentrazione.
- Davvero? Non mi sembrava di essermi particolarmente concentrato - balbettai - Ho solo toccato il quadro e poi...
Mi interruppi, guardandola con le sopracciglia aggrottate.
- Ma se io sono vivo e tu sei morta, com'è possibile che noi...
- Non sono del tutto morta - sospirò lei, sedendosi a gambe incrociate. - Ricordi quando Wendy ti ha detto che era capace di comprendere l'essenza delle persone?
- Sì, ma cosa c'entra?
- Ecco, lei non si limita a ritrarre le sue vittime. E' come se ci intrappolasse nei suoi quadri, nel tentativo di crearsi una grande famiglia. Si sente molto, molto sola, e non sa nemmeno il perché. Ma tu dovrai mostrarle ciò che è stato dimenticato, Gene, ciò che nemmeno lei ricorda.
Invece di rendermi le idee più chiare, Sumiko le stava ingarbugliando. Già non riuscivo a capire molto di quella faccenda, ma ora mi sentivo completamente smarrito.
- Ma io non ho idea di cosa non ricordi - protestai, passandomi una mano sul viso.
Seiko mi rivolse un sorriso indulgente e mi raccolse una mano fra le proprie. Avrei voluto chiederle cosa stava facendo, ma una rapidissima sequela di informazioni e immagini cominciò a scorrermi davanti agli occhi, sopraffacendomi.
Ne riemersi ansimante, col cuore in gola.
- Mi stai dicendo che non è stata Wendy...? - rantolai, cercando invano di alzarmi in piedi. Ero troppo scombussolato per riuscirci.
- Qualcuno si è approfittato della sua mente fragile per manipolarla. E' rimasto intrappolato così a lungo...
- Seiko, io non capisco - le dissi, implorandola di spiegarmi qualcosa in più. Era tutto così complicato, come una matassa di cui non riuscivo a scorgere il filo principale. - Ti prego, spiegami. Dimmi.
- Lo farei, se sapessi altro. Questo è tutto ciò che ho - confessò lei, dispiaciuta. - Dovrai essere cauto con Wendy. Ha intenzione di sottoporre anche te alla prova finale e, se non ti riterrà degno, rinchiuderà la tua essenza in un quadro, come ha fatto con la mia e quella di molti altri. Come trofei, i suoi tentativi vani di trovare qualcuno la cui compagnia riuscisse a soddisfarla. Ti prego, Gene, proteggi mia sorella, e distruggi i quadri. Solo così saremo finalmente liberi di andare.
Avrei voluto obbiettare, dirle che non mi sentivo affatto adeguato a gestire quella situazione che si stava rivelando sempre più complicata, ma l'immagine di Seiko divenne inconsistente, mentre mi salutava con un cenno della mano.
Ebbi una rapida visione del mio volto e, un istante dopo, trassi un profondo respiro tremante, come se avessi appena rischiato di annegare.
Deglutii un paio di volte e mi guardai attorno.
Ero sdraiato ai piedi del quadro e l'immagine di Seiko era immobile, come l'avevo vista la prima volta. Toccai di nuovo la tela, ma stavolta non successe niente. Ero stato congedato.
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