28
Erano le tre di notte. Il freddo vento notturno si infilava nei miei vestiti, facendomi rabbrividire, nonostante indossassi un pesante giaccone nero preso dalla riserva di Sumiko, che sembrava avere vestiti di ogni taglia e dimensione.
"Servono per quando devo travestirmi o nascondermi nella folla", mi aveva spiegato, quando le avevo fatto notare quanto fossero grandi.
Ciò mi aveva fatto tornare in mente la sera in cui mi aveva aggredito. In effetti, non avrei mai sospettato che fosse una ragazzina, finché non ero riuscito a toglierle il passamontagna. Era molto esperta nel mimetizzarsi.
In quel momento ci trovavamo sul retro del Black Cat.
Larry aveva chiuso ormai da tempo.
Mi si strinse il cuore, nel ricordare le serate in cui c'erano meno clienti e, tutti assieme, ci sedevamo ad uno dei tavoli per berci una birra o un cocktail e chiacchierare del più e del meno. Larry riusciva sempre a strapparmi una risata, mentre Lucy... lei era semplicemente magnifica, con quei suoi intriganti occhi scuri, sempre pervasi da un'inafferrabile scintilla ironica.
Eppure, nello sfondo, c'era sempre stata lei.
La nota stonata.
Wendy, l'assassina, che riversava la sua sete di incubi in quei terrificanti e malinconici quadri, che tuttavia avevano la loro macabra bellezza.
Cercai di scacciare quei pensieri e concentrarmi su quanto stavo facendo. In questo mi aiutò il pesante odore di formaggio bruciato che giungeva dalle cucine ormai spente. Era inevitabile che, di tanto in tanto, il formaggio che si usava per i panini cadesse sulle piastre. Se non si era veloci a rimuoverlo, formava una durissima crosta, quasi impossibile da rimuovere, e colmava l'aria di quel tanfo persistente, che ricordava quello del cibo andato a male.
Forse, se ci fossi stato io, avrei potuto aiutarli a pulire e impedire che accadesse.
Sebbene si trattasse solo di una sciocchezza, mi diede la sensazione di essere stato almeno un po' utile a Larry e Lucy, il che mi confortò.
Sumiko mi fece cenno di restare indietro, mentre faceva roteare un rampino sopra la testa.
Wendy viveva al secondo piano, mentre Larry al primo. Lui non saliva quasi mai nei suoi appartamenti, un po' per rispetto della privacy della cugina, un po' perché lei, nonostante sostenesse il contrario, lo metteva a disagio.
Che poi, ora, mi chiedevo se lei fosse davvero cugina di Larry o lo avesse convinto di esserlo, manipolando la sua mente.
Propendevo per questa ipotesi, viste le azioni poco rosee di Wendy.
Il rampino si incastrò nella finestra semiaperta del bagno e Sumiko, dopo essersi assicurata alla corda con un moschettone, cominciò a salire.
La osservai mentre si intrufolava nell'appartamento, agile come un gatto. Per un momento ebbi paura che mi lasciasse lì, ma riemerse dalla finestra e mi indicò di raggiungerla, dicendo che la via era libera.
Cercando di non guardare giù, ricordandomi della brutta situazione in cui le mie vertigini ci avevano messo durante la fuga dal GOPEP, imitai ogni suo gesto.
Quando, finalmente, raggiunsi la cima, mi sembrava di essere appena emerso da un sogno. Le orecchie mi fischiavano e provavo un leggero senso di nausea.
- Stai bene? - sussurrò Sumiko, dandomi un buffetto sulla spalla.
- S-sì. Credo. - rantolai, appoggiandomi a una parete. - Non sono molto adatto alle scalate, tutto qui.
Lei accennò un sorriso e, premendosi un dito sulle labbra, aprì la strada.
La porta del bagno, ancor più piccolo di quello del tugurio di Sumiko, con appena un water, un lavandino e un box doccia, emise un lieve scricchiolio. Ero talmente agitato che mi sembrò chiassoso come una valanga e mi chiesi come non avesse fatto a svegliare Wendy.
Sumiko scrutò nel corridoio alla ricerca di qualche segno di vita, poi, non trovandone, uscì al nostro rifugio e si diresse verso la camera da letto.
- Sumiko! - sibilai, sottovoce. - Che stai facendo?
Lei mi ignorò, proseguendo, mentre faceva scorrere le dita sui muri della casa. Chissà cosa stava vedendo, grazie alle sue capacità. Quel luogo non doveva essere stato teatro di piacevoli avvenimenti. Anche io avvertivo una sottile tensione nell'aria, come un odore sgradevole, di marcio... e non si trattava di quello di formaggio bruciato che proveniva dalle cucine. Era più una sensazione, che faceva galoppare il mio cuore a mille, senza che ne riuscissi a capire il motivo. Mi sentivo in pericolo, nonostante non percepissi la presenza di trappole. Wendy stessa era una trappola vivente, e il suo passaggio era sufficiente a distorcere l'atmosfera di qualsiasi luogo.
Non mi restò altra alternativa che seguire la ragazzina e, in punta di piedi, la raggiunsi nella stanza da letto.
Restai paralizzato sulla soglia, una volta che riuscii a scorgerne l'interno.
Quello era uno sguardo diretto sulla personalità di Wendy, e Sumiko doveva star pensando la stessa cosa. Si guardava attorno come se stesse cercando di assorbire quante più informazioni possibili sull'assassina della sorella.
In un angolo c'era un ampio letto a una piazza e mezza, la cui testiera, in ferro battuto, presentava degli articolati motivi floreali. Poco lontano c'era una scrivania ricoperta di schizzi e disegni, principalmente a carboncino o sanguigna. Sulla sedia era accatastata una pila di vestiti sporchi in pelle o pizzo, gli abiti preferiti dalle gothic lolita. Sulla parete sinistra c'era un grande specchio rettangolare, attraversato da una serie di crepe, come se qualcuno l'avesse preso a pugni. Questa teoria era confermata dalla virgola di sangue secco che si trovava nel punto in cui le nocche avevano aggredito il vetro. Forse Wendy l'aveva colpito in un impeto di grande rabbia, senza curarsi delle conseguenze. Qualcosa mi disse che l'aveva fatto per causa mia, come se le avessi procurato un grande dolore.
Poco lontano c'erano un armadio mezzo vuoto, che aveva vomitato il suo contenuto sul pavimento polveroso.
Infine, accanto alla finestra, erano accatastati diversi barattoli di colore, pennelli e taniche di acqua ragia. Attrezzi del mestiere. Su di essi troneggiava un cavalletto vuoto, sul quale era stata appiccicata una busta giallastra.
Sumiko vi passò sopra le dita, con le sopracciglia aggrottate, e la staccò.
La aprì e ne estrasse il contenuto, un foglio a quadretti. I suoi occhi neri scorsero rapidamente il testo, mentre le labbra le si contraevano in una smorfia di intenso disgusto.
Alla fine emise un ringhio, accartocciò il foglio e lo lanciò dalla parte opposta della stanza. Cominciò a prendere a calci il letto. Ne rovesciò il materasso, lo sventrò con un piccolo coltello multiuso che teneva in tasca, nel tentativo di sfogarsi.
- Sumiko - la chiamai, le mani alzate.
Quando le sfiorai una spalla lei emise un grido acuto, fulminandomi con lo sguardo, e io decisi di lasciar perdere, lasciandola alla sua opera di distruzione.
Sfondò i quadri con i piedi, salì sulla scrivania e strappò i disegni, come un animale selvatico.
Capii che niente sarebbe riuscito a dissuaderla, così decisi di farmi da parte, pregando che Larry dormisse profondamente e non venisse a vedere cosa stava accadendo, o che fosse abituato a sentire rumori bizzarri nelle stanze di Wendy.
Mi chinai a terra e raccolsi la lettera lanciata da Sumiko, dispiegandone il foglio.
"Ciao, Gene.
Se stai leggendo questo, vuol dire che mi hai scoperta. Non avrei mai voluto che accadesse così, amore mio. Chissà cosa penserai di me, crederai che io sia pazza. Avrei dovuto essere io a dirtelo, ma non mi fidavo ancora abbastanza. Tu sei troppo innocente, non avresti capito il perché delle mie azioni. Inoltre, non hai ancora superato la prova finale, quella che decreterà se potrai restare al mio fianco o meno. So che è doloroso per te, ma è necessario, affinché possiamo stare insieme. L'ultimo ostacolo fra noi e la felicità è il più grande, il più difficile: raggiungimi al cinema abbandonato, in parte al parco con la statua di Horatio Nelson. Sarò lì ad aspettarti, domani notte. Ti attendo con ansia,
Wendy"
Deglutii a fatica, digerendo quelle informazioni, e intascai la lettera. Sumiko, nel frattempo, si era placata.
Ora era seduta su quel che restava del letto di Wendy e ansimava pesantemente. Era ricoperta dall'imbottitura del materasso e stringeva ancora fra le dita la stoffa strappata delle lenzuola, tremando da capo a piedi.
Mi sedetti accanto a lei e sospirai, nascondendomi il viso fra le mani.
- Cosa si è messa in testa Wendy? - gemetti - Tutte queste persone morte, solo per le sue stupide prove?
Sumiko non rispose, ma il suo respiro si regolarizzò, mentre recuperava il controllo.
- Ogni singolo oggetto. - rantolò, gli occhi strabuzzati.
- Come? - chiesi, spostando lo sguardo su di lei.
- Ogni singolo oggetto, in questa stanza, in questa casa, è intriso delle esperienze di lei. Trasuda grida di dolore, sofferenza, paura. E' una casa degli orrori. Anzi, non si può nemmeno definire "casa". - ringhiò la ragazzina, con un tono talmente intriso di odio che mi si gelò il sangue. - E' una tana. La tana di una bestia senza cuore né scrupoli. Di una pazza sociopatica. E' da anni che mi chiedevo come fosse il killer di mia sorella. Non avrei mai pensato che Wendy fosse così... così vuota. Non sente niente, niente! Questo appartamento raccoglie tutti i suoi tentativi di percepire qualcosa, un'emozione, persino del dolore, senza che ci riuscisse. E' completamente apatica, spenta. Se è mai stata un essere umano, ora non lo è più. E' solo un manichino che cammina, un cadavere mosso da una volontà esterna, come in un rito vodoo. Questo luogo non dovrebbe esistere, e nemmeno lei.
Poi, ad un tratto, si alzò in piedi e uscì dalla camera, come se non riuscisse più a sopportare di trovarsi lì. Io le andai dietro, strascicando i piedi per lo sconforto. Mi voltai un'ultima volta a contemplare lo scempio della camera di Wendy, e, nonostante tutti i miei scrupoli, non potei fare a meno di pensare che Sumiko avesse ragione. Provavo pietà per Wendy, era vero. C'era qualcosa di disperato nel modo in cui tentava di essere umana, attraverso quell'amore malato, ma non avrebbe mai potuto capire cosa fosse davvero volere bene a qualcun altro, né avvertire il calore di un abbraccio o il sapore dell'amicizia.
Era terribile, arido e triste.
Proprio come i suoi quadri.
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