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La casa di Sumiko era davvero minuscola. I pochi giorni che vi trascorsi, recuperando dopo il grande sforzo fisico cui mi ero sottoposto e guarendo da quelle piccole ma fastidiose ferite che mi tormentavano, furono sufficienti a farmi detestare quel bugigattolo. Capivo perché Sumiko non avesse resistito a salire in superficie, persino col rischio di essere scoperta.

Il luogo era spoglio, le pareti in nudo cemento armato, come quelle del bagno. C'era sempre un vago ma persistente fetore nell'aria, per quanto profumo per ambienti Sumiko potesse nebulizzare, e, generalmente parlando, tutto cadeva a pezzi. Ogni mobile sembrava fosse stato recuperato da una discarica e, nell'insieme, dava un'impressione di squallore: il letto a castello con le molle impazzite e le coperte infeltrite, la vecchia radio rattoppata, il fornello che si accendeva solo dopo dieci tentativi. Tutto era vecchio e rotto. Non avevo idea di come avesse fatto a tollerare di essersi segregata qui per tanto tempo. Io sarei impazzito da molto tempo, fossi stato lei.

Sumiko mi aveva spiegato di averlo fatto sia per sfuggire ai suoi genitori - che ancora non avevano smesso di cercarla, malgrado lei mandasse sempre loro delle lettere per fargli sapere che stava bene - e alla polizia.

L'unico oggetto di valore che avesse era un laptop nuovo di zecca. Nonostante la giovane età, Sumiko era una discreta hacker. Era stato così che mi aveva contattato, quel fatidico giorno. Mi sembrava fossero passate delle ere, da allora.

- Ho avuto la passione per l'informatica fin da bambina. Leggevo sempre libri di programmazione e avrei frequentato una scuola per tecnici, se le cose fossero andate diversamente.

- Potresti comunque farlo, una volta che avremo preso Agatha.

- Non lo so. Non ho mai pensato a come sarà la mia vita, dopo. Rendere giustizia a Seiko è stato il mio pensiero fisso, in questi quattro anni.

Mi era sembrata talmente smarrita che avevo preferito non tornare più sull'argomento, col timore di ferirla. Ci sarebbe stato tempo per parlarne in futuro, una volta che tutto sarebbe finito... sempre che fossi sopravvissuto.

- Mi piacerebbe contattare Lucy e Trevor. - sospirai - Ma non credo sia sicuro. Keaton li starà tenendo d'occhio.

- Ci puoi contare. - concordò Sumiko - Mi dispiace, Gene. Dovrai aspettare. Ora come ora, temo che Keaton abbia riempito Londra di agenti. Yates ha detto che mi invierà una chiamata di conferma solo quando la situazione sarà abbastanza sicura, per fare delle mosse del genere.

- La chiamata non è di per sé un rischio?

- Non se usi un telefono speciale. Gliene ho procurato uno che cambi frequenza e non possa essere intercettato. E poi, basta che ci faccia uno squillo. Non dovrà parlare. Dopo averlo usato, lo distruggerà.

Sumiko adottava questi e altri trucchetti per condurre la sua indagine, usando anche il classico Tor per addentrarsi nel deep web e altri motori di ricerca, più sicuri e difficilmente rintracciabili. I file all'interno del suo computer erano tutti crittati con un complicato algoritmo e solo un hacker avrebbe saputo decifrarli, con un bel po' di lavoro.

Comprendevo solo un quarto di ciò che mi spiegava e capitava mi sentissi un grande stupido, in sua presenza. Quella ragazzina aveva più intelligenza di dieci me messi assieme. Tuttavia, ero felice di avere una persona tanto arguta nella mia squadra.

Mentre ero costretto sulla poltrona o a letto affinché i miei piedi guarissero, ebbi il tempo per esplorare quella specie di legame che esisteva fra me e l'assassino. Secondo Sumiko era tramite quello che saremo riusciti a incastrarlo. Avevo già scoperto il suo nome. Avevamo bisogno solo di un indirizzo e, allora, sarebbe stato tutto molto facile.

- Ma io non ho idea di come fare. - ammisi, infastidito per essere tanto inutile. - Non è una cosa che posso controllare. Ogni tanto capita che la mia mente si sintonizzi sulla sua stessa frequenza, ma credo che la maggior parte del merito sia suo, quando si concentra particolarmente su di me.

- Se lei lo può fare, ci riuscirai anche tu. Dopotutto, è un legame biunivoco. Hai detto di avere l'impressione di essere lei, quando scruti nella sua mente, no?

- Sì. - gorgogliai, evitando il suo sguardo. Mi sentivo sporco, come se vedere attraverso gli occhi di Agatha mi avesse contaminato. - Non è una sensazione molto piacevole.

- Però devi farlo, se vuoi trovarla. E poi non avrai più questo problema. Mai più.

Lo sguardo e la voce di Sumiko erano talmente decisi che persino io mi sentii fiducioso.

- D'accordo, ci proverò. - dissi, battendo le mani e pentendomene subito dopo, dato che erano ancora ricoperte di vesciche.

Sumiko si sedette sul tappeto chiazzato di candeggina che si trovava al centro della stanza, e io feci altrettanto, piazzandomi di fronte a lei, ben attento a non posare a terra le piante dei piedi, ricoperte di pomata e garza.

- Mia nonna mi ha insegnato diverse tecniche di rilassamento, quando ero piccola. - spiegò, con voce bassa e tranquilla. - Io posso aiutarti a raggiungere il giusto grado di concentrazione, il che ti faciliterà a trovare la strada.

Io annuii e lei si inginocchiò al mio fianco, facendo in modo che mi distendessi. Mi pose un cuscino sotto la testa, appoggiò la mano destra sul mio addome e la sinistra sul mio petto, all'altezza del cuore.

Quel semplice contatto fu sufficiente a rilassarmi. Mi sentivo piacevolmente annebbiato e sapevo di essere al sicuro, finché c'era lei.

Sumiko mi disse di respirare lentamente e a fondo, trattenendo il fiato fra l'inspirazione e l'espirazione. Tutti i muscoli del mio corpo si rilassarono, mentre la sua voce mi guidava in uno stato di profonda calma.

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