17


- È lui? - chiese Keaton per la decima volta, passandosi una mano sul volto con aria esasperata.

Io osservai con molta attenzione l'interrogato, che mi fissava con occhi sgranati, terrorizzato. Era poco più che un ragazzo, e da lui emanavano una serie di emozioni contrastanti: non riusciva a capire perché si trovasse lì e aveva una paura folle di me. Cercava invano di inquadrarmi e capire perché io avrei dovuto sapere se lui era colpevole o meno. Io allungai una mano verso una delle sue, contratte ad artiglio sul bordo del tavolo.

- Cosa fai? - balbettò, ritraendosi di scatto.

- Non temere - mormorai, con un tono morbido e gentile. - Non intendo farti del male.

Lui esitò, infine mi permise di raccogliere una delle sue mani fra le mie. A volte accadeva che, avendo un contatto fisico con il diretto interessato, potessi avere delle visioni o giungesse un'epifania improvvisa, specie se l'interrogato stava cercando di nascondere qualcosa.

Cercai e cercai, senza trovare niente.

- È innocente. - sospirai, lasciandolo andare.

Il giovane guardò prima me e poi Keaton, un'espressione di stupore e paura impressa in volto.

- Chi è quest'uomo? - rantolò, con voce rauca. - Come fa a sapere?

- Portatelo via. - sbottò Keaton, liquidandolo con un gesto della mano.

Ignorando le proteste del giovane, le due guardie presero il ragazzo sotto braccio e lo trascinarono fuori di peso, con una violenza del tutto non necessaria.

Una volta che la porta bianca si fu richiusa, io e Keaton restammo soli, lui appoggiato contro il lato destro della stanza, io ancora seduto al tavolo bianco, dove fino a poco fa c'era stato anche il ragazzo.

Erano passate due settimane da quando Keaton mi aveva permesso di uscire dalle celle del GOPEP, usandomi per interrogare i sospettati. Dopo una fase iniziale di rifiuto - Sanders è l'omicida, deve essere lui, Yates! -, era stato costretto a ricredersi sul mio conto. Non ero io l'assassino, ora ne ero consapevole, nonostante non ricordassi nulla del giorno in cui William Peorn si era ucciso, né avessi la minima idea del perché avessi raccolto la pistola da terra, portandola a casa. Non sapevo nemmeno come i ritratti delle persone che erano state uccise dal killer fossero arrivate nel mio appartamento. Era evidente che qualcuno stava cercando di incastrarmi, ma non riuscivo a pensare a nessuno che mi odiasse al punto da volermi rovinare la vita, proprio quando le cose avevano cominciato ad andare meglio.

Comunque, da quando l'ispettore Yates era venuto a farmi visita per via della morte di Samantha Barnes, l'omicidio che mi aveva scagionato - potevo anche essere un Esper, ma non avevo il dono dell'ubiquità -, e la serie di uccisioni aveva ripreso il suo corso, Keaton era stato costretto ad ammettere di aver preso il granchio sbagliato.

Come aveva previsto Yates, non mi aveva permesso di tornare a casa o vedere i miei cari. Non mi aveva permesso nemmeno di telefonargli per fargli sapere che stavo bene e non dovevano preoccuparsi. Non ero ancora mai uscito dal GOPEP; tutto ciò che avevo fatto da allora era stato interrogare persone che non avevano nulla a che fare con le morti che piagavano Londra e dintorni. Più non si avevano nuove notizie e l'indagine stagnava, più Keaton diventava irritabile. La sua agitazione era evidente nella piega della bocca e nel modo in cui contraeva le spalle o sussultava al minimo rumore. Era sul punto di perdere il controllo. Non riusciva ad accettare l'idea di aver finalmente messo le mani sull'assassino per poi scoprire di aver commesso un clamoroso errore, compromettendo la sua già fragile posizione.

Ed ora, nonostante fossi innocente, sembrava che mi ritenesse comunque colpevole. Mi ero macchiato dell'orribile delitto di non essere il mostro che Keaton aveva creduto fossi.

Era paradossale, ma le cose stavano in questo modo.

Mi guardava sempre in cagnesco, e nei suoi occhi azzurri scorgevo un odio bruciante. A volte avevo temuto che mi potesse prendere a pugni per la frustrazione, e questa era una di quelle occasioni.

Keaton si diresse verso di me, fremente di rabbia, e sbatté una mano sul tavolo.

- Sanders, mi stai prendendo in giro? Ho visto quello che puoi fare, e ora vuoi che io ti creda incapace di trovare questo assassino?

- Non ti dirò che uno di loro è l'assassino solo perché vuoi una soluzione facile! - ribattei, indignato per il suo comportamento.

Ci fissammo per un lungo istante, lui furibondo, io che a stento riuscivo a reggere il suo sguardo.

Fu Keaton a cedere per primo, con un ringhio colmo di rabbia impotente.

- E va bene, Sanders, va bene. Allora, dato che questo metodo non funziona, perché non proponi tu una nuova strategia? Dopotutto, sei un Esper. Chi meglio di te può sapere come uno... Uno di voi ragiona?

Restai talmente sorpreso da quella domanda che dovetti pensarci su per qualche minuto, prima di rispondere. Se non avessi avuto il fiato di Keaton sul collo, avrei cercato un modo di contattare Sumiko e chiederle se avesse compiuto dei progressi. Lei inseguiva il killer da molto più tempo di me e poteva aver scoperto qualcosa, mentre io ero rinchiuso qui. Tuttavia, non potevo condividere queste mie idee con Keaton, per lo stesso motivo per cui avevo taciuto su Sumiko, il giorno in cui Yates mi aveva scagionato. Se il direttore del GOPEP avesse saputo di lei, l'avrebbe resa sua prigioniera, e non avrei permesso che accadesse.

Dovevo trovare un modo per localizzare Sumiko e ottenere delle informazioni da lei senza metterla in pericolo. Yates era l'unico che si fosse dimostrato degno di fiducia, nonostante la sua diffidenza iniziale: se c'era qualcuno che potevo usare come tramite era lui, ma dovevo evitare che Keaton origliasse o venisse a sapere i miei piani.

- Vorrei coinvolgere di più Yates nelle indagini. - esordii, cercando di apparire il più distaccato possibile. Ignorai la smorfia che quasi istantaneamente aveva deturpato i lineamenti di Keaton e proseguii. - Lui segue questa indagine da quattro anni. Conosce il caso meglio di chiunque altro e trovo piuttosto infantile il fatto che tu voglia escluderlo a tutti i costi. Anche se tu riuscissi a mettere le mani sull'Esper assassino, credi che potresti fermarlo? Vi ucciderebbe tutti e distruggerebbe ogni prova. Forse, assieme, abbiamo più probabilità di successo.

Keaton strinse i pugni e serrò la mascella, il volto ridotto a una maschera di pietra. Stava cercando una pecca nel mio ragionamento, senza riuscire a trovarla. La verità era che l'orgoglio lo frenava. Tanti anni passati a essere trattato come un ciarlatano l'avevano spinto ad allontanarsi dalle vie ufficiali del potere, soprattutto dalla polizia. "Noi indaghiamo su cose reali, mentre tu sei un ghostbuster, Keaton"

Ma, alla fine, il senso del dovere - o la paura di fallire - lo convinse ad accettare il compromesso.

- E va bene. Faremo come vorrai tu, Sanders... Ma prova a pugnalarmi alle spalle, e giuro che farò in modo di rendere la tua vita un inferno.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top