9- Come una delle tue ragazze francesi
È stato bello.
Sì, è stato bello.
Bello.
Bello.
Viaggio sopra una nuvola e sento il desiderio di non scendere mai. Un sorriso patetico mi increspa le labbra mentre percorro, volando leggero, i corridoi della mia sede con Jeremy accanto.
Dal nostro chiarimento si può dire che io e lui abbiamo fatto pace, tramite un ermetico e criptico messaggio che ho aperto tornato a casa, al seguito delle parole di lei. Quelle tre uniche parole che mi hanno permesso di fare conoscenza con gli dei dell'Olimpo.
Ormai sono dalla loro parte, niente più contatto con il mondo terreno, e chi lo vuole? Si vive distesi, notte giorno, su una nuvola, senza responsabilità o abitudini, patetiche azioni.
È stato bello. Questo mi ha detto Cat, una volta usciti dal locale. Non "è stato divertente" come fuori dal cinema. Bello significava altro, conteneva in sé quel nostro bacio, e come altro definirlo? Ne sento ancora il sapore in bocca ed è una tentazione che mi spinge, più volte, a portare in dentro le labbra, nel ricordo della morbidezza con la quale le aveva torturate lei.
In un infinito loop mentale, ritrovo i ricordi di ieri, e mi soffermo all'incontro tra Katrina e Isaac, niente di più atteso.
Sto assaporando la prelibatezza della sua cucina, ricordando il sapore dei suoi piatti come l'unico pasto disponibile, al termine di un pesante turno. L'unica differenza, tra la realtà e i miei ricordi, credo che risieda nelle spezie.
Anche Katrina sembra gradire, mostrando le similitudini che ci uniscono persino in termini culinari, e spingendomi a sorridere alla vista del passato che si fonde al presente.
«Va tutto bene, signori? Desiderate altro?»
No. Non sollevo la testa. Non subito. Lascio che la voce del mio salvatore ritorni alla mente, e vi si disperda, ad effetto eco. Poi consento anche ai miei occhi di tornare sui tratti distintivi del suo viso, dopo un anno di totale assenza.
Lancio uno sguardo a Cat che sembra intuire la situazione, astuta come sempre e dolce nel rivelare, lei stessa, un bellissimo sorriso.
Quando mi alzo da tavola, torno ad essere faccia a faccia con Isaac, nella sua veste di capo chef, cosa che, tra l'altro, attira molti sguardi della sala.
Cerco la massima serietà possibile, per poi pronunciare, lentamente, la risposta alla sua presa in giro.
«La pasta è poco cotta.»
Freddato da un'osservazione simile, per alcuni istanti non mi risponde, dimostrandomi quanto, ancora oggi, non sappia accettare le critiche. Poi la sua mano si contrae in un pugno che batte contro il mio petto, in un piacevole scambio di rispetto che non dimentico.
«A quanto pare non impari mai, piccolo principe.»
Stanco dei convenevoli lo abbraccio, sentendo nella mia stretta la stessa muscolatura dell'uomo forte di sempre. La medesima grinta e spirito di battaglia.
«Katrina questo è Isaac, il proprietario del locale. Lo gestisce insieme a suo fratello, Tobias.»
Con rispetto, chiamata in causa, Katrina si alza dalla sua postazione, offrendo la mano in modo da fare la sua conoscenza. Mi chiedo se abbia intuito il mio bisogno di presentarla secondo il fittizio nome che porta. In passato, mi aveva rivelato che erano in pochi a chiamarla Caitlin, e io voglio essere uno di loro, senza includere nessun altro.
In risposta alla sua mano tesa, e con un mezzo sorriso, Isaac la afferra nel completo silenzio, arrivando però a baciarne il dorso, e facendomi ridere mentalmente. Anche Cat se ne sorprende, saettando gli occhi da lui a me, finché il capo chef non solleva la testa.
«Adesso ho capito da chi ha ereditato Michael i suoi modi gentili» prende in giro entrambi, ma così è stato. Da Isaac ho imparato tanto.
«Sono molto felice di conoscerti, Katrina» afferma lui, imperterrito. «Il nostro Michael non faceva ritorno da tempo, quindi credo che la sua presenza qui sia merito tuo.»
«È solo grazie alla tua splendida cucina» corro ai ripari, per togliere Cat dall'imbarazzo che sembra essere corso a colorarle le guance.
«Non è niente di speciale, se non si trova qualcuno con cui condividerla» punzecchia lui, lanciando a entrambi uno sguardo brillante, pieno di odiosa sicurezza.
Ogni cosa, poi, aveva trovato il proprio posto: gli occhi di lei nella sala, la musica che ci aveva accompagnati durante il pasto, i nostri sorrisi, le tenere risate e, alla fine, il nostro congedo. Un saluto patetico da parte mia e poi le sue parole, schiette come sempre ma più deboli, in merito alla serata.
Si, è stato bello, anzi è stato perfetto, motivo per il quale non riesco a smettere di essere felice, e di trasmettere questo mio stato d'animo a un Jeremy, piuttosto confuso.
«Va tutto bene?» Mi domanda infatti, sporgendosi nella mia direzione.
Si è sempre rivelato apprensivo con me, terribilmente preoccupato in confronto al suo umore giocoso. L'ho capito da tempo e sono arrivato a notarlo, in certi momenti.
Situazioni simili a quella che stiamo vivendo adesso, durante i quali l'incertezza lo riempie di interrogativi e la mente si fa gentile ospite del dubbio.
«Jeremy... che cosa pensi dell'amore?» Si spinge, senza apparente motivo, la mia bocca a chiedergli, mentre il mio pensiero è ancora perso tra i riccioli setosi di una ragazza rossa, dall'aspetto simile a quello di una bambola di porcellana con la sua pelle chiara, i capelli acconciati, le guance rosse e gli occhi immobili, quanto pieni di luce.
«Credo che sia inevitabile» risponde tenendo gli occhi bassi, mentre le colonne che sorreggono il porticato, posto a donare ombra a questo giardino, si alternano in una mescolanza di costruito e vuoto, in grado di unirsi con armonia.
«Ne parli come se fosse una condanna», constato.
«Non puoi scegliere di chi innamorarti. Succede e basta, indipendentemente da tutto.»
«E non è proprio questa la magia? La potenza che possiede l'amore?» Continuo a chiedere, picchiandogli con il dorso della mano, debolmente, il busto, mentre il sole mi rischiara, con alternanza alle colonne, in pieno viso, nel corso della nostra avanzata.
«Solo se si è ricambiati», mi risponde, rimanendo per alcuni istanti a fissarmi. Ma io sospiro, senza chiedermi della sua malinconia poiché le domande sono fuggite via dalla testa.
«Sì, io credo di esserlo», commento solo, rivedendo la mia Cat alla proiezione immaginaria dei miei occhi, quasi come se fosse qui, dinanzi a me, in questo cortile scolastico con i libri sotto braccio. Chissà, forse anche con le mani sporche per via delle pitture. Mi domando come sia mentre lavora, se le sue dita ripetano il gesto di sfiorarle il viso, seppure macchiate di colore, o se i suoi occhi mantengano la stessa concentrazione di quando mi interroga.
«Stai parlando di Katrina, non è vero?»
«Siamo usciti insieme, Jeremy, ed è stata una serata fantastica. Avevo bisogno di lei, e Cat c'era.»
«Quindi la rivedrai...»
«Sì, o almeno lo spero.»
Non ci eravamo detti niente a tal proposito, ma non ce ne era stato motivo. Ho il suo numero di telefono, posso ricercarla, scriverle e chiederle se anche lei non riesce a far scorrere questa giornata, senza farle l'occhiolino a labbra arricciate. Divertite di un ricordo e incredibilmente mute, agli occhi degli altri.
«E che cosa mi dici di Emily?»
Una simile richiesta, detta a bassa voce, riesce ad annullare per un attimo il candore del mio umore, per poter offrire in dono la chiarezza che richiede.
«Abbiamo già avuto modo di parlare, non c'è stato niente tra noi. Ognuno andrà per la propria strada.»
«Però... mi domando cosa abbia questa Katrina di tanto speciale.»
«Non ne ho idea, Jeremy. Non ne è veramente idea» rispondo sinceramente, e continuo a pensarlo finché non raggiungiamo la nostra postazione, sotto la sesta arcata.
Ci sediamo a cavallo del muretto, distanziati, nella perfetta metà, dal concio a chiave dell'arco, mentre teniamo entrambe le schiene appoggiate al liscio busto delle colonne, fissandoci in viso.
Il suo corso di studi gli aveva programmato solo due ore di lezione al mattino, motivo per il quale si trova qui, pronto a porgermi il copione di Re Lear, mentre mi accendo una sigaretta.
Aspiro il fumo, fissando le pagine del copione mentre sono a testa china, e poi sospiro profondamente, stanco dei miei impegni, prima di afferrarlo.
Jeremy compie i medesimi gesti, afferrando la sua parte da dentro lo zaino, mentre faccio scorrere, velocemente, gli occhi sulla frasi, provando a memorizzarle dentro la confusione che ho in testa.
«Avanti, parti. Leggerò le battute di Edgardo, per il momento»
«Non è più il tuo ruolo?»
«Miranda è indecisa.»
«E perché mai?»
«Forse non mi vede bene nelle vesti di tuo fratello.»
Fratellastro, semmai, e che cosa dire? Può darsi che Miranda avesse scorto in lontananza il nostro litigio, e non volesse più di un dramma, sulla scena.
«È la tua parte, Jeremy. Ti consiglierei di impararla», perché malgrado tutto è la persona che più ho vicina.
Non aggiungo altro, comandando dalla mente le parole secondo la rievocazione della memoria, almeno finché mi è amica.
Pronuncio il copio con fare deciso, lasciando scorrere le parole come nettare lungo le labbra ma a un tratto, di colpo, mi interrompo.
Il mio fratellastro attende alcuni minuti, ben sapendo dell'agitazione e del nervoso dentro il quale cado in momenti come questi, prima di suggerire il resto della battuta.
«"Anche se sopra la mia bastardia fosse ..."»
«"... Fosse venuto a fare l'occhiolino l'astro più vergine del firmamento".»
Espiro, fissandolo dritto negli occhi e comunicandogli la realtà dei fatti. Sono distratto.
«Va tutto bene?»
«Ho molte cose per la testa, in questo momento, Jeremy.»
«Oltre alla laurea?»
«Non so se riuscirò a portarlo in scena. Le battute non mi entrano in testa, le studio la notte ma sono troppo stanco per focalizzarle.»
«La nostra non è un'attività pomeridiana dopo le ore scolastiche: è un lavoro, retribuito, e richiede il giusto impegno. Forse non sei abbastanza libero per sostenerlo.»
«Mentalmente?»
«Non è così?»
Allontano lo sguardo, focalizzandomi su altro, mentre mi interrogo sulla verità di questo momento. È difficile da accettare, ma immagino che sia così, nonostante non voglia abbandonare il teatro per nessuna ragione.
Devo valutare nuovamente il mio tempo, dando a tutto il giusto spazio, e includendo ormai anche Katrina all'interno di esso.
Possiedo molte variabili ma presto ogni cosa arriverà a incrociarsi, donandomi la vera interezza che da molto aspetto.
«Comunque non preoccuparti, abbiamo ancora tempo», mi ricorda, attirando nuovamente la mia attenzione su di lui. «Mancano persino i costumi.»
«Ed è per questo motivo che ci troviamo qui?»
Si stringe nelle spalle, confermandomi un sorriso, mentre osservo dietro di lui quella specie di piccolo magazzino, interno alla sede, e situato nell'ala dismessa del plesso, quasi del tutto inutilizzata.
Il North Campus, dove ora ci troviamo, è da sempre considerato il nucleo originario del campus stesso, per la sua architettura classica, ispirata allo stile rinascimentale, e quindi dalla rievocazione antica. All'interno vengono ospitate varie discipline, tra le quali anche scienze sociali, legge ed economia, garantendo vari incontri, nelle pause, tra me, Jeremy, Emily e Ben.
Separati dal viale alberato di Dickinson Court, riusciamo a ricongiungerci tutti in uno specifico punto, a metà della strada. Più lontana, poi, c'è la sede di Cat, non del tutto interna al South Campus, ospite delle materie scientifiche, ma comunque più distante.
L'area, per così dire, "di tutti" come "di nessuno" è proprio questa fatiscenza, quasi completamente inutilizzabile, e che un tempo sfoggiava la bellezza di sedici aule, nelle quali garantire le lezioni. Ora, credo, ne sia rimasta una sola utilizzabile, oltre a quei piccoli ripostigli che ospitano i vestiti degli alunni di Moda. Miranda era scesa ad accordi con il preside e lo aveva convinto verso il prestito momentaneo di quegli abiti.
Solitamente, dietro le quinte, durante i nostri spettacoli, alcuni degli studenti di Moda, dell'ultimo anno, eseguono il loro praticantato seguendo l'opera in scena, e le problematiche che ne derivano. Ognuno di noi attori, volente o nolente, arriva a imparare, con completezza, la battute del copione, persino quelle che non gli spettano, grazie all'esecuzione di continue prove. Tutto ciò rende più semplice la sostituzione di uno di noi a causa di una malattia, ma la stessa cosa non si può dire degli abiti, quindi la maggior parte delle volte è necessario correre ai ripari al più presto.
I nostri sarti sono i piccoli topolini della Disney e noi i famosi principi, o principesse, che sfoggiano il loro, fischiettato, lavoro su di un palco.
Da sempre noto con piacere la concentrazione del loro operato, e trasporto con rispetto i loro abiti da questo magazzino al teatro.
Miranda, molti anni prima, aveva destinato a me e a Jeremy il compito di corrieri, ed a mia insaputa oggi siamo costretti a riviverlo.
Fortuna che ho portato la macchina e non ho raggiunto la sede con i mezzi pubblici: l'auto di Jeremy è sempre un inferno nel quale buttare costantemente carbone, pigiando l'acceleratore, per accendere la fiamma del motore.
«Hai portato le chiavi, immagino» lo provoco, ben sapendo della sua distrazione, ma lui agita il mazzo sotto i miei occhi, dopo averlo afferrato dalla tasca dei jeans, sventolando il suo trofeo. Poi lo chiude in un pugno, in un piccolo tintinnio.
«Non credo che però sarà necessario. All'interno ci aspetta Piper, oltre ad a Odette e Lana.»
Nell'ordine quindi, la simpatica Piper, di due anni più piccola a noi, la perfida Odette, del nostro stesso anno, e la veterana Lana, donna di cinquant'anni molto amica di Miranda, e ovviamente sarta maestra delle altre due.
«Se hai finito con la disperazione, relativa alla tua scarsa memoria, direi che possiamo andare», mi lancia la frase in un mezzo sorriso, suscitando il mio ritrovato odio nei suoi confronti.
Non dico una parola, però, e mi alzo, finendo la sigaretta per poi spegnerla e buttarla nel cestino. Nel frattempo Jeremy ha fatto strada e mi precede in direzione dell'alta cancellata, che fa da portale a questa zona dimenticata.
Con il pugno chiuso batte due semplici colpi contro il vetro opaco e satinato, oltre le rugginose grate, e attende come me in silenzio.
Vorrei credere alla fortuna, ma ho scoperto che alle volte quell'infantile dea si nasconde allo scorrere della mia vita, come accade adesso, mentre la porta si apre rivelando la celestiale bellezza di Odette. Capelli biondi, fisico da paura, e un cinismo che toglie il fiato, e dal quale Jeremy pende, con occhi innamorati.
Direi essere lui l'unico felice di questo forzato incontro.
«Luce dei miei occhi, mia favolosa stella... ci lasci entrare, dobbiamo prendere i costumi di scena?»
L'arcigna espressione di lei si fa selvaggia, mentre affila lo sguardo, trucidando il mio amico.
«Scordatelo, non passerai. Mi hai dato buca, ieri notte.»
Dunque era riuscito a ricavare un appuntamento. Buon per lui, peccato non sia andato a buon fine. Quale distrazione può essere stata tanto grande da distogliergli gli occhi dalla bellissima Odette?
«Avanti, Olly... »
«Ciao, Michael», sposta l'attenzione su di me con freddezza, ignorando quel patetico soprannome attribuitole.
«Ciao, Odette. Gli abiti di scena ci servono sul serio. Puoi ignorare il suo comportamento idiota e lasciarci passare?»
«Gli ho dato due occasioni» constata, facendomi sorridere.
«Alla terza non mancherà.»
La principessa, avente ai lobi delle orecchie delle piccole perle, squadra Jeremy da capo a piedi, decidendo cosa fare. Al seguito, svogliatamente, si trova costretta a farsi da parte, lasciandoci libero il passaggio, mentre i suoi occhi sono rivolti in alto, verso il soffitto di questo mal illuminato posto.
«Ti ringrazio» le dico, facendo strada per primo e sentendo alle spalle, diversi passi dopo, lo schiocco di un bacio, che constato destinato alla perfetta guancia di lei.
Jeremy ama spingersi verso questi gesti adulatori, e devo dire che la maggior parte delle volte offrono in dono il risultato sperato. Ora Odette, seppure tenta di nasconderlo, sorride suo malgrado, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Come ricordavo, questo posto è quasi completamente al buio ma risulta ancora possibile scorgere la figura della piccola Piper.
In piedi, appoggiata con una spalla al muro dove vi è presente una feritoia, alta almeno due metri da terra, che consente il passaggio verso l'aula adiacente.
Inoltre, sembra concentrata su qualcosa che sta avvenendo all'interno, mentre Lana alle sue spalle, con un metro intorno al collo e la cruna di un ago in bocca, è alla ricerca dei punti segnalati sulla stoffa di un manichino senza testa, o arti.
Nessuna di loro percepisce il nostro arrivo, finché non si fa tanto vicino al loro campo visivo da attirare l'attenzione.
Jeremy cammina verso Lana mentre io, invece, mi dirigo verso Piper, che già ha piegato le labbra in un dolce sorriso.
I capelli tagliarti corti, e ricci, le labbra carnose e la salopette in jeans, sotto la quale è nascosta la maglia bianca, mostrano le principali caratteristiche della sua grintosa figura, come la dolcezza che è solita riservare ad ogni essere vivente, esentandosi però dall'ingenuità.
«Ciao, Micky.»
«Ciao, Pip, che cosa guardi?» Le chiedo, affacciandomi appena nel suo campo visivo, seppure riesco a scorgere molto poco.
«Qualcosa di incredibilmente divertente, e va avanti da un po'» commenta, facendo nascere la mia curiosità, mentre sento in sottofondo la voce di Jeremy domandare degli abiti di scena.
Io e Piper, in questi anni di campus, abbiamo condiviso molti corsi facoltativi, e anche diversi professori. Di conseguenza non mi risulta estraneo il nome che pronuncia poco dopo, rendendomi partecipe dell'attualità.
«La Miller sta facendo lezione proprio qui a fianco, agli studenti dell'ultimo anno, e sta andando in iperventilazione perché è sorto un problema.»
«La Miller... quindi l'insegnante di Belle Arti?» Chiedo conferma, sporgendomi nuovamente con la testa in direzione della stanza, per poter scorgere la chioma di familiari capelli rosso fuoco.
«Proprio lei» mi conferma Pip, muovendo il capo divertita.
«E quale è il problema?» Avanzo nel chiedere, nell'esatto momento in cui i miei occhi trovano Cat, seduta, come il resto della classe, su un panchetto, dietro il cavalletto che ospita una tela.
Indosso porta dei pantaloni neri e una maglia attillata, particolarmente fantasiosa, con uno scollo a barca che rivela la presenza delle sue solite collane. Tra le mani, immobile, staziona un pennello, mentre gli occhi seguono la patetica sfuriata della Miller, mentre si appresta a uscire di scena.
«Manca un modello per il nudo» mi informa Pip, nell'esatto istante in cui la professoressa arriva fino a noi, sbuffando come un toro impazzito, nella sua corrida.
«Qualcuno di voi ha un accendino, per caso?» Proclama senza guardarci in faccia, passandosi le mani tra i capelli radi e biondi, tendenti al bianco, come li ricordavo.
«Signora Miller» saluto con un sorriso, attirando il suo sguardo oltre che la sorpresa. Al suo fianco, al mio opposto, Piper mi guarda con rimprovero, ben sapendo che, per qualche ragione, sto usando il mio sorriso sornione, ammaliante per così dire, con una professoressa che da sempre mi idolatra.
«Michael... »
«Va tutto bene?» Domando, ben sapendo la risposta, mentre mi mordo un labbro.
Con la coda dell'occhio vedo Jeremy annuire a Lana, afferrando tra le braccia le varie stoffe.
«Sono esaurita, giuro che sono sull'orlo del collasso. Siamo alla terzultima lezione e mi manca il modello che mi era stato promesso. Non so veramente come fare, ma dovrò parlare seriamente con il preside, affinché non commissioni più incompetenti simili.»
Adesso tutte le orecchie di questa stanza sono rivolte all'attenzione, ma è solo alla Miller alla quale parlo, poco dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Caitlin.
«Lo faccio io» esclamo, per vedere gli occhi di Piper sgranarsi e quelli della Miller correre a me, ma è Jeremy che mi interroga sorpreso.
«Cosa?»
Ignoro la sua domanda irriverente, lasciando perdere il suo modo patetico di sgranare gli occhi, e mi concentro di nuovo sulla professoressa.
«Non è un problema, no? In questo modo lei non perde la sua lezione.»
Lo stupore per alcuni minuti non le permette di parlare, forse lasciandole il tempo di chiedersi il perché di un'azione simile.
In realtà è molto semplice.
«D'accordo, ma non sei un modello professionista e io non voglio metterti in imbarazzo. Non occorrerà un nudo totale, le ragazze devono studiare bene anche l'arricciatura dei tessuti sottili, contro la pelle. Occorrerà della seta bianca, Lana, se hai modo di prestarcela.»
«Ma certo, la cerco subito» commenta, mettendosi all'opera.
Piper invece mi si fa più vicina, mentre torno con gli occhi verso Caitlin. Lentamente mi tolgo la maglia, facendola passare oltre la testa.
«Si può sapere che stai facendo?» Chiede divertita, ormai abituata a ogni mio spogliarello, seppure non tanto spinto.
«Rispondo a una provocazione, Pip.»
Quale? Quella semplice, emessa da un'innocente frase, detta ad occhi sognanti, di fronte a un maxi schermo.
"Non esistono più uomini così".
Quale tipologia di uomini? Quelli con gli addominali, a quanto pare, e con la predisposizione verso opere gentili, come asciugare il famoso viso di una ragazza dalla pioggia. Quasi mi viene da ridere. L'opportunità si è rivelata troppo succulenta. Quale occasione migliore, di questa?
Allento la stretta della cintura, facendola scorrere lungo i passanti, mentre Cat, ignara, ancora attende il ritorno della sua insegnante, insieme agli altri presenti.
«Hai intenzione di toglierti anche le mutande, qui?» Si fa scrupolo di chiedermi Jeremy, con un tono di voce irritato.
Rendendomi nuovamente conto della situazione, scorro con gli occhi verso Piper e Odette.
«Fai pure, non mi scandalizzo» risponde divertita la prima delle due, mentre la seconda mi osserva da lontano mordendosi il labbro.
Sì, ho un fisico ben modellato dalla palestra e dagli esercizi di casa, non sono solito sfoggiarlo ma lo possiedo, motivo per il quale al cinema si può dire che Caitlin abbia proprio emesso la battuta sbagliata. Anni di sforzo fisico e una corretta alimentazione. Per stare bene con sé stessi si deve far star bene anche il corpo che ci ospita, senza ombra di dubbio.
«Non è necessario, può tenere le mutande. Faremo correre il drappo in seta dalla spalla destra e lo intrecceremo ai fianchi. Coprirà il pube e parte della gamba. Cerca di tenere la stoffa piegata sulla coscia, nella parte altra, mentre ti siedi allo sgabello, e prova anche a creare delle pieghe, così da non dare staticità» prosegue nelle sue direttive la Miller, mentre Lana torna con la stoffa.
Annuisco, togliendomi le scarpe con la punta dei piedi, facendo pressione sui calcagni, per poi far scendere i jeans fino a terra, non perdendo il mio sorriso.
Scuoto i capelli, muovendoli con le mani, mentre la Miller prende la seta per capire come drappeggiarla. Poi mi si fa più vicina, arrivando a compiere con la stoffa il percorso promesso.
Sono quasi nudo, con un paio di attillati, elastici e bianchi boxer, un ridicolo drappo di seta e un'intramontabile sorriso. Mai situazione fu più assurda e divertente.
«Quando hai finito con questa pagliacciata possiamo tornare a teatro?» Continua a chiedere Jeremy, imperterrito nella sua irritazione.
«Certo, aspettami qui» prometto, osservando gli occhi della professoressa per avere la conferma della riuscita.
Il suo ritrovato stato di calma ne è già la conferma, ma, se questo non bastasse, arriva in aiuto anche il suo sorriso, alquanto divertito.
«Sei perfetto, Michael, quasi una statua.»
«L'adulazione era proprio quello che gli serviva... » sento commentare Jeremy, ma non gli presto attenzione.
«Siamo pronti? Possiamo andare?» Domando invece, ricevendo poi il consenso da parte di lei.
La Miller fa strada, lasciando il tempo a Pip di rivolgermi un'ultima divertita frase.
«La ricordavo diversa la scena. Non era Jack a ritrarre Rose, sul divano della nave?»
Mi mordo un labbro, divertito da una battuta simile, e ormai certo che Pip l'abbia notata.
«Hai visto quanto è bella?»
«È bella, caro Jack, tanto bella da lasciarle spazio su una porta e scivolare verso il fondo del mare. O mostrarti nudo alla sua lezione d'arte, dipende dai punti di vista e dalla forma di romanticismo» commenta con il suo solito sarcasmo che riesce a mettermi di buon umore, mentre anche il resto delle persone si rende partecipe della realtà.
«Non posso crederci» continua a commentare Jeremy, adesso informato dei fatti, «c'è Katrina in quella sala?»
«Jeremy... stai zitto, per favore» gli chiedo, con ancora il mio sorriso in viso, portandolo all'agonia di questa situazione inflitta. Occhio per occhio.
Due settimane fa, o poco più, mi aveva costretto a partecipare alla mostra d'arte, nella quale mi sono scontrato con il quadro di Katrina, e ora è il suo momento di attendere paziente.
Mi chiedo se sia Seima, l'amica di Cat, la causa della sua assenza all'appuntamento con Odette, e se in qualche modo la loro relazione si stia dimostrando seria.
Quello che è certo è che una cotta non passa, semplicemente, nemmeno quando ne sopraggiunge un'altra.
«Hai finito di fissarlo con quegli occhi?» Chiede in fatti alla sua "Olly", riferendosi indirettamente a me.
«Beh, scusa, ma non si vedono tutti i giorni quegli addominali... » gli risponde, alimentando la mia allegria e, indirettamente, la nausea di lui.
«Oh, ti prego, taci.»
La Miller sta spiegando ai suoi alunni la situazione, e ancora attendo il gesto che mi inviti a partecipare alla lezione. Arriva poco dopo, in un cenno di mano.
«Avanti Jack, mi fido di te. Ci saranno scialuppe per tutte, nel caso di un sovraccarico ormonale, non preoccuparti» continua Piper, agitando i suoi corti riccioli da una parte all'altra.
«Aahh, ma dai» la riprendo ridendo, prima di ricercare la serietà e avanzare nella stanza, lasciando i miei amici alle spalle.
Durante la processione di passi, non stacco gli occhi da Cat, ma lei è distratta e ha lo sguardo chino, mentre prepara il nero carboncino, affilandone la punta.
Mi accomodo allo sgabello in legno offerto, su questo basso, e largo, piedistallo quadrato, al centro della sala, proprio dinanzi a lei.
«Come vi ho detto, avete mezz'ora di tempo. Dopo di che dovrete consegnarmi gli elaborati, a partire da adesso. Buon lavoro.»
A questa parole di sentenza, finalmente Cat solleva la testa e mi trova, già fermo a fissarla.
Leggo lo stupore nei suoi occhi mentre la bocca si spalanca piano, quasi non riuscisse a credere a questa mia trovata.
Lei provoca, e io mi spoglio, quasi completamente nudo, di fronte ad altre venti ragazze.
Piccoli risvolti offerti dalla vita, ma dovrebbe sapere che chi lancia il sasso... lo riottiene indietro, almeno cento volte tanto.
Adesso mi sta sorridendo, divertita e maliziosa, pronta a iniziare il suo lavoro. Se la prenda pure con calma, oltre la lezione e il pomeriggio, faccia arrivare la sera. È piacevole avere i suoi occhi addosso e vedere la mia vittoria, al loro interno.
Non dovrei risponderle con divertimento, non in maniera così sfacciata, ma la Miller è distratta e sinceramente non mi interessa troppo... per quanto, con lo scorrere dei minuti, i chiacchericci intorno a noi aumentino, rendendo le sue colleghe partecipi del nostro scambio di sguardi e di quello che realmente celiamo, al loro interno.
La sto mettendo in imbarazzo? Forse. Forse no. I suoi occhi curano, trafiggono e sono piacevoli in ogni loro sguardo, mentre il carboncino segue i suoi comandi, graffiando la tela di righe nere.
«Date anche un titolo al vostro lavoro, se possibile» comanda ordini a distanza la professoressa, portando Cat a sollevare le sopracciglia e a fissarmi, complice divertita.
Voglio scoprire se la sua arte si presta a ritrarre la realtà o se in qualche modo si lascia coinvolgere dai suoi sentimenti.
Le sue pupille scorrono lungo il mio busto, ardendomi vivo, e mai prima d'ora ho ringraziato tanto la presenza di un pezzo di stoffa posizionato al punto giusto. Avrei fatto una brutta figura di fronte alle altre ragazze, senza dubbio, ma ora sono abbastanza nascosto, per quanto la seta sia una seconda pelle.
Da lontano, sul suo sgabello, la vedo mordersi un labbro, tornando nella direttiva dei miei occhi, quasi costringendomi ad alzarmi in piedi e baciarla, di fronte a tutti.
Cat... divertente e provocatrice gatta. Ti stai sfamando di me, e io te lo sto lasciando fare.
Il carboncino scende, così come i suoi occhi, e io sollevo entrambe le sopracciglia, divertito dal punto che sta per ritrarre. È tutto suo, ci presti la dovuta attenzione.
Un profondo sospiro caldo le fa sollevare il petto e tradisce la malizia del suo ritratto. Vorrei ridere adesso, con sincero abbandono, ma non posso proprio. La sua azione ha calamitato su di noi molti sguardi, ma se fossimo soli non esiterei a correrle incontro.
Mi chiedevo come fosse, mentre lavorava a uno dei suoi quadri, e non sono andato troppo lontano dalla realtà: è concentrata, ma al tempo stesso è come se non lo fosse, mentre siede scomposta, con un piede piegato al di sotto del sedere, e cattura la scena con gli occhi. Uno spettacolo raro, veramente magnifico.
Non so bene quanto tempo sia trascorso, ma ad un certo punto, da dietro uno dei cavalletti, una ragazza con i capelli tagliarti molto corti, e neri, si alza, con la sua tela in una mano. Si dirige verso la professoressa e le lascia il ritratto, asciugandosi con un panno le mani, mentre mi fissa in viso.
Il suo è uno sguardo concentrato, le sopracciglia piegate manifestano quella che sembra essere una specie di furia, una tempesta arginata da un controllo che intimorisce, e che non mi so spiegare.
«Moore, sei sicura di consegnare già? Mancano dieci minuti» le fa presente la professoressa, ma l'alunna è imperterrita.
«Ho visto già quanto dovevo vedere» commenta, portando l'altra ad annuire e assegnare il voto con un altro colore.
Scrive sulla tela mentre io non perdo lo sguardo di lei, per alcuni attimi.
Poi torno a Cat e scorgo... la sua confusione. Mi stupisce una reazione simile e non riesco a spiegarmela, ma le due continuano a fissarsi, seppure a distanza.
Katrina sa essere ermetica, quando lo vuole, quindi sono costretto a tornare ad osservare l'altra, per avere le mie risposte.
«Esponilo pure davanti alla cattedra, le altre faranno lo stesso» le consiglia la Miller, e questa annuisce, afferrando nuovamente la tela e posandola contro il legno che fa da limite al tavolo, rivelando direttamente il suo lavoro... e il titolo che sfoggia.
"L'arroganza di Narciso".
Fisso quelle parole scritte in un corsivo stretto, e dipinte di nero, per poi soffermarmi sul ritratto in prospettiva della mia figura, effettivamente molto somigliante, come manifesta il suo trenta.
«Un lavoro eccezionale, Marina, davvero complimenti.»
Sollevo le palpebre e torno a Caitlin, che al momento mi sta fissando.
La preoccupazione data dal momento, acquisisce il suo significato in meno di un attimo, e mentre altre ragazze seguono il suo esempio, alzandosi in piedi e andando a consegnare, io ho solo una domanda da fare, rimanendo dentro gli occhi di Cat che ha smesso di ritrarmi.
«Marina?»
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