81- Combattere

P.O.V.
Caitlin

Quello che resta nel corpo è solo un immenso vuoto, la più completa assenza di parole.

I passi si trascinano stanchi fino ad un hotel, urlando da ogni parte del corpo quanto, il dolore che mi sta sfogando nelle vene in una malattia venerea, sia reale se non mi sbrigo a prendere le medicine.

Ma non mi importa più di niente. Di vivere o di sopravvivere. Mi trascino con inerzia in avanti in un principio di salvaguardia che non ho mai messo in atto.

Richiedo una stanza, voglio stare lontano da tutti.
I miei amici non devono sapere cosa mi sta succedendo né del mio stato di salute. Non voglio che si preoccupino.

Una volta raggiunta la stanza mi trafigge l'anonimato di queste lenzuola. Niente mi appartiene, diversamente dal luogo che un tempo ha fatto da capanna ad un amore perfetto, sfociato in rovina.

Che cosa ne sarà di me adesso? Che cosa devo fare?

Per la seconda volta nella mia vita mi trovo a dovermi reinventare, con una febbrile scossa nelle vene che mi appanna gli occhi e minaccia uno stato inconscio di abbandono, lungo il pavimento di questa ruvida moquette.

Me ne vado così, lontana dagli occhi di tutti? Un po' come quelle specie di animali troppi sensibili che prendono il largo, pur di non rendere spettatori altri della propria morte.
Una fine gloriosa, niente da ridire, per quanto patetica.
Non c'è alcun eroismo nell'avere l'improvvisa voglia di vomitare e nel sospetto che i tuoi organi interni non possano reggere ancora per molto.

Cado a terra, dove immaginavo di dovermi ritrovare molto presto. Ho già raggiunto il fondo dell'abisso dunque mi chiedo se, sotto questa mia schiena, possa esserci un profondo pozzo in grado di assorbirmi fino agli inferi.

Dannazione, ho voltato le spalle a tutto ed adesso me ne resto da sola come un'egoista.
Non me ne importa niente delle persone che si sono preoccupate per me?

Sebastiaen mi aveva detto, in un lontano tempo, di tenermi stretti degli amici.
Mai consiglio fu più peggiore dall'amante del mio ex amante. Posso considerare Michael tale?

L'ho esiliato per sempre, rispedendolo nel luogo all'interno del quale l'avevo trovato. Sarà sufficiente? Almeno per il momento, almeno finché al diavolo non verranno strappate le ali per risalire in paradiso.

E poi capisco, capisco perché Sebastiaen voleva così tanto che mi circondassi di persone.
Loro ti portano a sopravvivere perché credono in te, gli amici, gli affetti, prima ancora che possa farlo tu stessa.

Che cosa penserà Lexie se domani, accendendo il notiziario della mattina, vedrà la mia foto stampata in prima pagina in un lento addio?
Piangerà per me, almeno quanto Reiner?

Il mio amico che si è fatto scudo di tutto e mi ha riportato in vita.

Devo farlo per loro... almeno per loro.

Afferro il telefono e scorro le chiamate, vedendo come ultima voce il nome di Marina. Non ha provato a richiamarmi, forse pensava si fosse trattato in un errore.

No, Marina, volevo solo assicurarmi che tu stessi bene e confermarti, ancora una volta, che la tua difficile empatia aveva centrato in pieno il nervo del mio problema.
E di Leixe? Che cosa dire? Reggerebbe quasi il confronto con Evie se solo quella dolce figura femminile non mi fosse tanto simile.

«Sneg! Dove sei? Come stai? Perché non sei a lavoro?»

Giusto... giusto, ho camminato tutta la notte. Chi se lo sarebbe mai aspettato da un simile cadavere?
Mi sono trascinata tra gli odori maleodoranti delle zone nascoste della città, ritrovando lo specchio di Los Angeles come un vecchio ricordo.
Sì, ho riavuto qualcosa indietro, ma si è fatta mattina e tardo con l'appuntamento del mio presente che si interfaccia dal microfono del telefono.

«Arrivo... arrivo presto ma ti chiamo per dirti... che ci siamo lasciati. Ed io non mi sento bene, Lexie, mi mancano le pasticche. Sono in un hotel» getto fuori le parole, sentendole affievolire a causa della mia stanchezza. «... non so bene dove mi trovo.»

«Mandami subito la posizione e ti raggiungo.»

«Lexie, le pastiglie...»

«Andrò subito a prenderle, ma tu non muoverti da lì!»

Sorrido mentre la telefonata termina e la moquette struscia contro la mia faccia.

Grazie, grazie angelo custode che stai volando in mio soccorso. So che, con il vento che ti spinge sulle ali, farai presto a raggiungermi. Mi trascinerai via dalla morte, non le permetterai mai di raggiungermi.

Ti prego, fai presto. Privandomi dell'amore mi sono io stessa esiliata dalla vita ed adesso affogo... salvami con il tuo perdono, riportami la pace.

L'acqua scorre sulle mie labbra, riportando freschezza alle parole che vi rimangono intrappolate, senza la forza di uscire.

Mi trovo, ancora una volta, sul divano della sua casa, con la sua figura di fronte ed accomodata a una delle poltrone.

Lexie mi fissa in attesa, compassionevole nella sua premura.

«Che cosa vuoi fare, adesso?»

Mi stringo nelle spalle, presa dallo sconforto e senza sapere cosa dire.

«Non ne ho idea...»

«Vuoi tornare in Irlanda?»

«Sì... no...»

«Vuoi lasciare il tuo lavoro qui?»

No, non vorrei farlo. La supplico di credermi. La guardo al fine di comunicarle tutte le parole possibili da dire e sembra da sola in grado di comprendere.

«Non vorresti lasciarci... ma hai paura del tuo ex marito.»

«Non mi permetterà di andarmene così.»

«Devi richiamare Mark. Far partire di nuovo la causa di divorzio senza mettere di mezzo un giudice. Devi provare a convincere Michael affinché eviti di farlo. Non hai speranze in tribunale, lo sappiamo entrambe.»

«E come dovrei farlo?»

«Devi trovare un modo.»

Smetto di pensare per qualche secondo, mettendo alla luce un'ulteriore fatto rilevante.

«Lexie... Ho scoperto che è stato Michael a picchiare Reiner, temo che conosca questa casa. Mi dispiace, non avrei mai voluto che potesse presentarsi qui o che arrivasse a colpire uno di noi.»

«Cat, non hai colpa, lo vuoi capire?»

«È stata mia la colpa di essermi fidata.»

«Hai deciso di essere ingenua, Cat, e non è un male finché non ti accorgi di quello che hai fatto. Ma ora dobbiamo uscire da qui, tuo marito non deve raggiungerti prima di aver firmato quelle pratiche di divorzio.»

«Dove andiamo?»

«Alla Land Art. Sa che ci lavori ma non oserà entrare una seconda volta per portarti via. Ora abbiamo una guarda all'ingresso e ho fatto il suo nome alla ragazza della reception. Non ti raggiungerà nemmeno scavalcato uno ad uno gli addetti. Saremo la tua protezione.»

«Non voglio che nessuno si faccia male, nemmeno Michael.»

«Allora muoviti e dargli il tempo di non trovarti, perché stanne certa... non è ancora finita.»

Con una ritrovata energia, grazie alla medicina che ho assunto, mi metto a sedere con più convinzione alla sedia del mio ufficio, con Lexie di fronte che mi osserva e commenta il fatto che, quasi, non lascio trasparire l'essere stata male.

«Lo scopo sarebbe quello, Lexy, sì.»

«Perché ti importa tanto di quello che pensano gli altri?»

«Non voglio che nessuno si preoccupi, ho già fatto uno sforzo immenso nel chiamarti.»

«Lo immagino, un vero affronto alla tua testardaggine. Per questo non vuoi che dica a Reiner dell'hiv?»

«Né a lui né a nessun altro.»

«Agli ordini, capo.»

«Questa battuta dovrei dirla io.»

«Non sono io il tuo capo ma Reiner. Il che è molto peggio per te. Allora? Starai bene mentre sono via? Lo sai come funziona il telefono qui, il cancelletto e poi il due ti permette di chiamare al mio interno.»

«Vai, Lexie, non preoccuparti per me. Se ho bisogno di qualcosa ti chiamo.»

«Immediatamente, però. Nessuna esitazione o testardaggine.»

«Agli ordini, capo.»

«Ecco, come non detto. Adesso ti lascio, non abbatterti troppo in mia assenza. Questo è il solo ordine. A dopo, Sneg.»

Lo dice dopo avermi sistemato tutto il necessario intorno, nella limitrofa vicinanza, per poi giungere sul ciglio della porta nel dedicarmi quel lento saluto.

«A dopo, Lexie... e grazie.»

«Non hai da ringraziarmi di niente, sono qui per te.»

Ad enfatizzare la frase decide di strizzarmi un occhio e poi sorridermi, prima di chiudere la porta.

Osservo da dietro i vetri la sua ritirata, spiandola oltre le tapparelle orizzontali e prima che la possa vedere tornare alla sua postazione noto che fa tappa altrove.

Raggiunge Ethan e gli parla in un orecchio, con una mezza frase veloce. Non sono mai stata in grado di leggere il labiale ma so bene cosa significa, prima ancora di averne una conferma.

Ethan solleva gli occhi verso di me e mi analizza, in lontananza. Poi annuisce brevemente a Lexie e torna al suo lavoro, trascinandosi dietro i miei occhi.

Non so bene cosa farò nel mio futuro ma ho il giusto tempo per pensarci, analizzando tutti i pro e i contro delle strade che posso percorrere.
Se riesco a convincere Michael a firmare il divorzio, che cosa posso fare?

Non ho più avuto rapporti con la mia famiglia da anni, non sanno niente del mio matrimonio e della mia vita lontano da loro. Non voglio che ne sappiano niente. Inoltre, non mi hanno mai cercata dunque non sarò certo io, per prima, a supplicare un loro perdono.

Rimanere è un'opzione ma sarà possibile con Michael, nella stessa città?
E se raggiungessi sul serio Dominic e sentissi, per la prima volta dopo anni, la sua reale versione dei fatti?
Cosa non aveva visto in Michael e aveva trovato in me?

Se me ne andassi, cambiando città, quale luogo sarebbe migliore per il monitoraggio della mia malattia?

Le domande sono molte ma trovo il modo di rispondere loro, sciogliendo una matassa intrigata di dubbi mentre occupo, in solitudine, la mia stanza di lavoro.
Assieme alle risposte, trascorrono le ore e presto, troppo presto, il sole cala in un tramonto anticipato e poi in una notte.

Sto aspettando l'arrivo dei miei amici per poter andarmene e sono a fianco alla finestra, appoggiata di lato contro lo spigolo di muro che sorregge l'infisso, mentre me ne sto fissa con lo sguardo perso nel vuoto della sala sgombra, ragionando sull'unica opzione possibile in grado di convincere mio marito a firmare.

L'ho ricercata nella memoria ed ecco che, da quella che credo essere una mezz'ora, lampeggia come il faro di un led nella mia testa.
Non si tratta di niente di incisivo ma è la sola opzione sincera che posso mettere in atto. D'effetto quanto basta a supplicare la sua coscienza di impugnare quella penna, ma mai niente pari alla  grinta che possiede Ethan entrando in questa stanza, sbattendo la porta alle sue spalle.

Arriva fino a me in un attimo ed il fiato mi si accorcia. I pensieri corrono via impazziti e la mente non registra che la corta distanza a dividerci.

Nei suoi occhi leggo la rabbia, una rabbia cieca, e non so per cosa giustificarla.

Il mio volto allo specchio, quando poco fa avevo guardato, mostrava un viso completamente ripreso dagli spasmi di dolore provati in hotel, osteggiando un rossore che è sinonimo di ottima salute.

Non avrei voluto niente di meglio.
Ethan non mi dovrebbe vedere in una simile forma, non voglio che si privi della rabbia che adesso indossa, sono sicura giustamente perché il suo cuore è sempre sulla strada più corretta da percorrere mentre il mio sbanda, affascinato dal prestigio delle curve.

«Hai detto tu a Diana di farsi avanti e di chiedermi di uscire?»

Non c'è rimasto più nessuno nella sala comune. Alcun volto che possa ricollegare a questa Diana ma di colpo mi ricordo della ragazza di quel set fotografico, la nostra collega che aveva una cotta per lui.

«Sì, l'ho fatto.»

«Perché?» Esala, preso da una strana forma di disperazione. Intreccio le mani in difficoltà, sperando che la realtà non gli generi ulteriore rabbia.

«La ragazza era interessata a te...»

«Ma io non lo sono a lei!» Replica in un attimo, spalancano le mani quasi stesse a simboleggiare che tutto, in realtà, è tanto ovvio. «Non importa niente quello che io voglio?»

Quella strana sensazione, che credevo di avere perso, torna a generarsi come un cappio al collo, riproponendomi ricordi di quella notte che avevo immaginato trascorrere insieme, in un sogno troppo spinto che richiede di non essere una bugia.

«Non farlo mai più, hai capito? Te lo chiedo per pietà, non tu. Ogni volta è Lexie a lanciarmi queste sfide e non sono pronto ad ascoltare una ragazza che è stata mandata da te. Perché lei, poi? Pensavi che mi piacesse?»

«Può non piacere?» Domando piano, ricordando di averla vista seminuda.

«Può di certo, nonostante le caratteristiche che sembra tu abbia puntato.»

«È molto bella...»

«Io non la voglio.»

«Perché?»

«Avanti, non farlo.» Inclina la testa, come a incentivarmi.
Io mi sto ancora torturando le mani, presa dall'ansia di dover spiegare quale sentimento mi aveva mossa.

«Le ho detto di provarci... se poi eri tu a non volerla glielo avresti detto.»

«E che cosa era la tua? Una prova?»

«No...» sussurro e la disperazione nel non comprendere ciò che mi aveva guidato, con semplicità, sembra essere portata allo stremo nei suoi occhi.

«Posso capire le motivazioni di Lexie, perché la mia amica vuole vedermi felice e per farlo prova ad impicciarsi di affari che non la riguardano, ma tu che cosa vuoi?»

«Anche io voglio che tu sia felice...»

«Sul serio? Perché non lo sono affatto» mi dice, con le ombre delle tapparelle che percorrono in strisce grigie il suo volto estremamente serio che ha mentre mi fissa, dritto negli occhi.

«Se non mi vuoi allora non darmi ad altre.»

Di colpo ogni cosa si ferma. Il tempo, il mio respiro, il mio battito... tutto resta immobile per un lungo istante durante il quale continuiamo a fissarci, indossando sentimenti tanto limpidi adesso da non poter essere diversamente interpretati.

L'incantesimo sopravvive ma il tempo si infrange quando Ethan china la testa verso la mia ed inizia a baciarmi.
Ho la schiena inarcata contro lo spigolo del muro ma non muovo un solo muscolo per allontanarmi. Sento quelle labbra sopra le mie proprio come le avevo sognate e supplico loro di non andarsene.

Sollevo entrambe le mani, le poso sulla sua nuca e lo incentivo a farsi più vicino. Sempre più vicino a me, perché sono insofferente a questa distanza.

Seguendo la mia richiesta, le braccia di Ethan mi si stringono attorno, la lingua si fa spazio nella mia bocca e tutto esplode in un lampo. Desideri e realtà si mescolano mentre la sua lingua si intreccia alla mia, costringendola ad una danza più serrata, con le sue mani che, nel frattempo, stanno perlustrando il mio corpo e si soffermano ad afferrarmi i fianchi.

Devo allontanare la testa di lato per tornare a respirare e gemere debolmente per quella sensazione calda che sta prendendo vita all'altezza dei lombi e non mi fa rendere conto di ciò che sta accadendo.

Ethan mi allontana dalla mia postazione e mi spinge a retrocedere sulla parete alle mie spalle ed ora eccomi qui, con la schiena premuta contro il freddo intonaco ma il corpo inclinato verso il suo alla ricerca di contatto.

La sua bocca sta lasciando dei baci lungo il mio collo nudo prima di tornare alle mie labbra, riprendendo quello che stava facendo.

Non riesco a toccarlo abbastanza, non riesco a stringerlo a me a sufficienza.
Le mie mani, adesso, premono sulle sue scapole trattenendolo ed Ethan si fa più vicino, finché non c'è più un margine di respiro tra i nostri corpi.

Le redini che trattenevano la nostra prudenza sono scomparse e niente ci trattiene.
Lascio che le sue mani mi incendino, che mantengano quel loro rispetto nell'accarezzarmi ma che si soffermino, bisognose, su punti specifici del mio corpo. Il termine della schiena tirandomi a se, il mio sedere stringendo pelle e stoffa del mio abito in una sola morsa, la pelle nuda delle mie gambe scivolando verso l'alto, la frammentazione delle mie costole perché possano fare da ponte al seno sinistro dove la sua mano destra si sofferma, stringendo piano nel suo palmo anche il mio cuore.

Nemmeno nei miei sogni era presente una passione simile. Sto implodendo e le mie guance stanno andando a fuoco mentre la sua lingua stuzzica ancora la mia permettendo ad entrambi brevi respiri rotti, in pochi momenti di pausa.

Non riesco a non ricambiarlo mentre parte con lo sfregare il mio capezzolo sotto la stoffa, continuando a stringermi al termine della schiena, ed è così che inizio ad accarezzarlo. Lungo il volto, scendendo per il collo, mi introduco nella sua camicia e nelle feritoie lasciate libere dai bottoni. Districo dalle asole i primi tre in modo da avere più spazio per toccarlo ed ecco, poco dopo, i miei palmi contro la sua pelle calda.
Ethan geme debolmente, ed è costretto a posare una mano dietro la mia nuca per continuare ad avere il controllo di questo lungo bacio mentre lo distraggo.

Disegno cerchi infiniti sulla sua pelle e lascio scorrere le dita tra la sua peluria bionda, per poi tornare al di sopra della camicia e scendere con le mani fino a intrappolare i suoi fianchi al limite con i pantaloni.

Mi vuole, lo voglio anche io... ma devo allontanarmi da lui per tornare a ragionare.

Separo le nostra labbra che si uniscono in un ultimo, piccolo, schiocco e poi scivolo leggermente di lato, finendo con la schiena sulla parete a fianco seguita dagli occhi di lui che mi osservano, mantenendo la loro postazione.

Rimaniamo a fissarci e sono io la sola ad avere il respiro rotto. Ethan sta cercando di controllarsi e lo fa, lasciando nascere un piccolo sorriso triste ad un tratto.

«Immagino di dover dimenticare, non è così? In fondo, si è trattato solo di un bacio, non avevi detto lo stesso a Lexie? Dimenticare ciò che prova per Reiner ed andare avanti.»

«Io non voglio dimenticare» dico piano, a corto di fiato.

Ethan mi osserva, rimanendo per alcuni istanti fermo. Poi compie una minuscola mossa e mi raggiunge, passandomi i capelli ricci dietro l'orecchio.

«E allora cosa vuoi?»

«Fare la cosa giusta.»

«Quindi starmi lontana.»

«Credo che quello che è appena successo dimostri la mia incapacità nel farlo.»

«Nemmeno io ci riesco.» Inghiotto boccate di ossigeno mentre le sue mani continuano ad accarezzarmi. Il viso, le guance, il collo, le spalle. «Ricordi quella casa di chi ti avevo parlato? Quella bianca, con il tetto e gli infissi blu scuro, in riva al mare?»

Annuisco debolmente, inclinando la testa al suo tocco. Non posso evitarmi di farlo.

«L'ho comprata» mi dice, e per alcuni secondi lo guardo con tutto l'orgoglio che riesco ad ostentare e lui mi sorride, dolce. «Sì, sono tornato a camminare in spiaggia ed il merito è solo tuo. Mi hai dato la forza per combattere.»

Non ha idea quanto una simile frase possa appartenergli. È stato lo stesso per me, Ethan mi ha aiuto ma ancora di più... ha dato luce ai momenti più bui che stessi passando.
Non era solo lì per me, era il più vicino tra tutti gli altri.

«Per questo motivo, quando sarai pronta, quando avrai sistemato tutte le questioni della tua vita... io ti aspetterò lì. Ti aspetterò fino a che non arriverai, sulla riva del mare.»

I suoi occhi sembramelo prometterlo e le labbra suggellano il contratto. Si posano delicate sulle mie in un piccolo stampo che è la firma di una promessa.
Mi aspetterà, se vorrò tornare, su di una terra che ricorda il luogo dove, per la prima volta, ci siamo incontrati.

Lo osservo andarsene dalla stanza e voltarsi, per lasciarmi un ultimo sorriso ed una finale consapevolezza: adesso, devo farcela da sola.

Gocce di nera tintura si riversano sulla conca di un lavabo in pietra grigia, fino a scivolare nel tubo di scarico, perse nell'oblio di un oscuro passaggio.

Sollevo la testa, con i capelli bagnati che mi costringono a tenere il mento rialzato per poter avere il volto dritto, mentre sono china in avanti, con le mani appoggiate all'unico mobile del bagno sopra il quale è presente uno specchio.

Il mio riflesso è il risultato delle mie scelte, della vita che voglio lasciarmi alle spalle insieme ad un'infinita gamma di ricordi.
Rivedo le sue dita scorrere tra le mie ciocche, intrecciandosi nei capricci dei ricci rosso fuoco.

Ora, di quel colore non è rimasto più niente che cenere, il nero ha sostituito ogni cosa ed enfatizza la pesantezza del mio sguardo, il mio desiderio di rinascere ma anche la mia, inusuale, somiglianza al nemico.

Ci stiamo per lasciare e la forza che devo cercare all'interno del mio corpo per non soccombere è un grido di rabbia per non essere riuscita a resistere... ma presto tutto verrà soffocato e non ci sarà più una parola, più uno sguardo, che ci ricorderà gli errori che abbiamo commesso.

Sarà tutto dimenticato, tra le pagine di un racconto che ha dato vita e morte al nostro amore.

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