8- Non esistono più uomini così

Avrebbe potuto portarmi in molti posti, Los Angeles offre delle alternative invidiabili, ma forse non voleva scendere nel banale e poi... adora in un modo incredibile la provocazione, quindi come non cedere? Nonostante fossi stato condotto, ad occhi chiusi dopo il nostro incontro all'angolo di una strada, fin qui, come non arrendersi e dimostrare la resa?
Non è facile farsi scudo a questi smeraldi, provare a deluderli e vederli intristirsi. Non desidero affatto che lo facciano, quindi lascio a loro il divertimento di questa ennesima sberla con la quale si è intrattenuta nel colpirmi, arrivando ad ammettere persino il mio sorriso.
Proprio non me lo aspettavo, e la bruciante consapevolezza che Katrina sappia dove colpire ustiona il mio ego forse troppo espanso. Non la credevo fautrice di un simile gesto, ma eccola di nuovo pronta a sorprendermi.

«Che succede? Hai inghiottito qualcosa di amaro per caso?» Domanda affacciandosi di fronte la mia visuale, ed io ruoto la testa, affinché la mia espressione non l'avvantaggi verso la consapevolezza che già sfoggia, mentre mi limito a rispondere con un grugnito.

Preso in gabbia, braccato da enormi locandine e luci sparate dal soffitto di un led bianco, il mio animo non sa dove voltarsi per trovare pace, sentendo già l'aria venire a mancare dal momento che la lunga fila di fronte a noi, in questo spazio chiuso, sembra aver risucchiato tutto l'ossigeno presente.
Come si può credere di passare un buon pomeriggio chiusi in questa enorme e artificiale scatola di latta?
L'insegna luminosa dell'uscita di emergenza si fa dannato tentatore di un'alternativa, ma non cedo al suo compromesso. Devo concentrarmi su altro e chi meglio di lei?

La repentina cecità avuta per strada non mi ha permesso di studiarla come dovrei, quindi per fortuna riescono a farlo adesso, i miei occhi, rischiarati da quella che ora è diventata benedetta luce plastica.
Al momento è distratta e non mi presta attenzione, motivo in più per considerarla maggiormente bella, non sapendo di essere notata.
Credo che sia la prima volta che la vedo indossare abiti informali, eccezione fatta per l'incontro in biblioteca.

Porta dei semplici jeans a campana e una maglietta chiara, sui toni sbiaditi di un rosa, e al collo ha molte collane di diversa lunghezza. Scarpe di tela e capelli, ancora una volta, legati in una disordinata crocchia, al momento nascosta sotto un cappello Newsboy. Credo di non averglieli mai visti totalmente sciolti. Mi domando fin dove arrivino. Forse a metà della schiena ma mi piacerebbe scorgere la cascata di quei ricci e passare le mani tra le increspature.
Sopra la maglia, poi, ha un semplice giubbotto fine e nero, con i bottoni particolarmente grandi.
Avrei dovuto immaginarmelo, non è la ragazza che si mette in tiro, pronta a fare buona impressione. Ancora di più se lo scopo è uscire con un ragazzo che ha già baciato e con cui si pente di correre troppo veloce. Sono riuscito a convincerla ma non del tutto, quindi, fortunatamente, ho ancora questa occasione per poterla convertire verso una fiducia contro la quale non avrà armi.

«Quale ti piacerebbe, in questa scelta?» Mette il coltello nella piaga, continuando a osservare di fronte a sé, forse finalmente consapevole del mio sguardo.
Il coraggio di fronteggiarla mi ritorna indietro, senza rendersi consapevole della sua spericolatezza.

«Fai tu, per me è indifferente.»

Il volto di Katrina si volta nella mia direzione, con un sorriso fin troppo manifestato.

«Lo credo bene.»

Mi ha portato in un cinema. Un cinema. Mai torto fu più grave. Sono un attore di teatro che rifugge dall'impersonalità del grande schermo, dalla recitazione a tavolino e dalle telecamere a pochi centimetri dal viso. Detesto tutto quello che vedo proiettato da pellicole o riprodotto in hd da un DVD. Per non parlare dei siti streaming. Rifuggo da tutto ciò che disonora l'arte e forse sono parte di un cliché, perché tutto questo Katrina lo aveva previsto.
Con solo due gruppi davanti allo sportello della biglietteria, si avvicina sempre di più il nostro turno ed io ancora non posso crederci. Le avevo fatto conoscere la magnifica bellezza della foresta luminosa, e ora lei mi ricambia con questo. Quanto realmente mi detesta?

«Buonasera, due biglietti per lo spettacolo delle sedici e trenta, per cortesia» avanza Cat al mio fianco, chinandosi verso il microfono apposto al vetro, senza concedere alla mia distrazione, che non si sofferma sullo schermo della proiezione, di intuire il titolo. Ma riesco a muovermi per tempo non appena la vedo estrarre il portafoglio. Metto la mia parte, non la totale, avendo imparata a capirla, e sfido con lo sguardo la sua rabbia per poi vincere una piccola vittoria.

Vuole l'uguaglianza dei sessi, e così sia. Si gioca ad armi pari. E se tanto vuole ripagarmi della cena offerta direi che potrà essere possibile una soluzione, specie dopo questa tortura. Una piccola ricompensa sempre al seguito di qualche sofferenza, no? Funziona così l'altalena tra noi due. Riequilibra le parti.
Che mi conceda la mia parte, quindi. Alla restituzione dei debiti passati possiamo fare i notarili conti dopo.

«Grazie molte» saluta quindi, Cat, l'addetta che ci ha assegnato i posti, poco prima di lasciare spazio ad altri condannati a morte, in modo che possano beneficiare dell'ennesima tortura.

Con la coda dell'occhio la vedo spiarmi con un mezzo sorriso, e devo lottare per non manifestare il divertimento che sento dentro. Accidenti, ancora non riesco a crederci. Piccola farabutta...

«Dicono che sia davvero un film bellissimo.»

«Mh mh.»

«I più grandi giornali hanno lasciato splendide recensioni.»

«Immagino lo abbiano fatto» visto che l'occhio del grande fratello, con cui viene spiata l'intera società, si assicura con premurosa attenzione che tutti i soggetti possano rincretinirsi di fronte alla rifrazione dei raggi uv.

«Michael...?»

Volto la testa verso di lei, che tenta in tutti i modi di rimanere seria.

«Ti stai pentendo di questa uscita?» Domanda, con i suoi occhioni da cerbiatta, quasi stesse cadendo dalle nubi. Piccola e ingrata bambina...

«Sei pessima», ammetto con candore, rivelando adesso la curvatura del mio sorriso nello scoprire il suo gioco.
Si scosta con lo sguardo, allontanando gli occhi, ma non abbastanza velocemente da impedirmi di vedere la soddisfazione e sì, anche un reale e sincero sorriso, persino da parte sua.
Credeva che avrei fallito così facilmente? Con chi crede di parlare?

«Allora, quale è la proiezione da premio Oscar?» Domando, mentre i nostri passi vengono costretti alla marcia su una rossa e sfibrata moquette, sulla quale, al nostro fianco, un gruppo di bambini ha preso a correre, per finire dentro una delle sale dove prende vita un film di animazione.

«Facciamo a sorpresa?»

«Sai? Credo di essere riuscito a capirti, e di avere anche indovinato il genere» ammetto con candore, giungendo fino al bancone delle bibite e delle varie cibarie.

«Sentiamo, allora.»

«Sicuramente un rosa, una storia d'amore» le rivelo, vedendola poi stringere le spalle.

«E chi lo sa?»

Il profumo salato dei poc corn appena sfornati giunge fino a noi, che vi passeggiamo a fianco.
Una ragazza attenta alle eventuali, e piacevoli, conseguenze di un appuntamento non si delizierebbe certo di una simile seduzione. Il gusto di quel cibo rimane nella bocca, e il partner potrebbe, chi lo sa?, magari non gradire, motivo per cui decido di adescarla ancora di più nella mia trappola, tendendo la direzione contro il vetro che li mette in mostra, quasi si trattasse di una vetrina.

«Pop corn?» Chiedo quindi, vedendo Katrina compiere un mezzo giro con il corpo e fissarmi in maniera diretta, con un'espressione alquanto interessata.

«Molto volentieri, grazie.»

Ci avrei scommesso, per cui l'anticipo alla fila della cassa, ordinando per lei. Quasi è una soddisfazione riuscire a pagare quei tre dollari senza dividerli, ma è concessa solo grazie alla sua distrazione. I suoi occhi, infatti, sono proiettati nella direzione della macchina che sforna la mia ordinazione, ed ecco che posso compiere la mia mossa, del tutto studiata.

«Ti piace il suono, eh?»

Un lieve rossore le bagna le guance, e tenta maldestramente di non rivelarmelo mentre, in sottofondo, lo scoppiettio di quelle piccole porzioni di nuvole bianche continua a bollire nel calore di una strana felicità.
Non dimentico mai niente di quello che ci siamo detti, ricordo sempre nella testa, per anni, i copioni recitati, quindi se vuole sfidarmi a questo gioco che faccia pure. Sono certo di poter vincere, nonostante la sua grinta.

Non stacco gli occhi, fiero di me stesso, dal maxi schermo, incrociando le braccia al petto ora che la trama di questo film mostra il suo sviluppo, e che dire? Non avevo sbagliato. Ma non ottengo nessun merito perché Katrina si mostra indifferente, mentre afferra, dal rotondo contenitore, i suoi salati frammenti di allegria.

«Che cosa c'è? Era l'unico genere presente» si procura solo di dirmi, con la mano sollevata a pochi centimetri dal viso, permettendomi di studiare la delicatezza delle sue dita e lo smalto che ne evidenzia l'eleganza.

«Mh mh» continuo imperterrito nella mia lotta, rimanendo a fissarla per quale istante. Minuti di certo più meritevoli di quelli dedicati a questo assurdo spettacolo.
Come si può credere a storie d'amore tanto sciocche?

Si dividono in due grandi gruppi, tutti i racconti.
Nel primo caso il protagonista veste i panni di un povero idiota che vorrebbe sostituire, ai tempi moderni, la vecchiaia di un principe azzurro ormai bloccato dall'artrite. La vede, se ne innamora, e la vuole a tutti i costi, nonostante gli inevitabili inconvenienti che capitano di mezzo. L'invidia antagonistica delle persone o l'interesse per la vita, le relazioni, di altri. La protagonista femminile, invece, sfoggia i comportamenti di una fantastica principessa, immacolata e pura, intoccabile dagli eventi.
Mostra un bel sorriso, piange la lacrima nella quale è racchiusa tutta la sua anima, e sconfigge il cattivo mostro, quindi l'invidia. Fine della fiaba.

Seconda alternativa entrambi i protagonisti sono tormentati. La maggiore delle volte per motivi assurdi, quasi fossero usciti da alcuni romanzetti per vecchie casalinghe disperate. Si logorano la sporca e nera anima per poi rivelare il coniglio bianco e gentile che vi abitava. Assurdi e poco credibili.
Posso mostrarci cinico, ma la realtà è che sono realista.

Quale è la mia religione? Sempre l'amore, indistinto, carnale, attaccato all'anima di un altro come un parassita.
In entrambe queste due versioni romanzate qualcosa non torna, e se ne intuiscono bene i motivi: i tormenti, le paure, i dubbi... dipendono sempre da altri. Gli attori sono vittime.

C'è qualcosa che però il teatro mi ha spiegato ed è il tormento dell'animo umano.
Nella vita vera non esistono nemici esterni, all'interno di una coppia o nel proprio quotidiano, siamo solo noi stessi a farci la guerra.
Quello che sono non dipende da ciò che mi ha fatto mio padre, il suo male sono riuscito a curarlo. La mia crescita e le imprecisioni che porto sono solo frutto di me stesso, dell'uomo che sono voluto, e non dovuto, diventare.
Non accuso altri dei miei peccati e non mi rendo sottomesso carattere di un bordo pagina.
Sono me stesso, un grigio sfumato, la macchia che la vita ti premette e consente di diventare. Completamente reale.

Katrina mi ha stregato, di colpo, senza alcun motivo, come se fosse stata scritta da dei poeti la nostra storia, ma solo perché io gliel'ho permesso. Solo perché credo, più di ogni cosa, all'amore e ho lasciato aperto il mio cuore al suo caldo vento, altrimenti non sarebbe stato destino.
E lo stesso vale per lei, per quanto adesso tenti in tutti i modi di sfuggirmi, non credendomi. Eppure è così possibile, Cat, tutto questo... è possibile.

Nella sala si genera un sottofondo di respiri e mezze frasi, più assordanti di un boato, quasi come il rumore dei pettegolezzi delle vecchie in una chiesa, di domenica, o al mercato locale.
Capisco presto che il motivo è attribuibile al giovane fusto, delizioso principe sfondato di steroidi, costretto a togliersi la maglia, secondo gli ordini assurdi dettati da una patetica scena.
Per cosa? Per asciugare il viso di lei, bagnato dalle lacrime della pioggia.

Cat sospira pesantemente, buttando fuori da quelle dolci labbra il proprio respiro e attirando i miei occhi, spostati poco prima sullo schermo.

«Non esistono più uomini così» tiene a farmi sapere, scorrendo con occhi sognanti i muscoli del giovane maschio e divorandoselo.
Sollevo entrambe le sopracciglia, certo che stia fingendo, ma non replico niente, per quanto una frase del genere mi abbia infastidito.

A cosa pensa che dovrei credere?
Al torrido pensiero che ha avuto, sulla trazione di un movimento scenico, o sulla galanteria costruita sulla base di un copione, che tantissime donne chiamerebbero amore?

Abbasso la mia incredulità tornando di nuovo fino a lei, e mostrandomi quantomeno indifferente, se non annoiato, da tutta questa grande bugia.
Cerco, quindi, di riacquisire nuovamente il mio divertimento, provando a conoscerla.

«Allora?»

«Allora?» Ripete nella mia direzione, affilando i suoi bellissimi occhi da sotto la visiera del cappello, in tela nera.
Allungo una mano afferrando alcuni poc corn, lasciandoli sospesi, come aveva fatto lei, davanti alle mie parole.
Quest'azione le calamita gli occhi sulla mia bocca, soggiornandoci per lunghi attimi, nei quali devo sforzarmi di non ridere.

Avrebbe dovuto fingere di guardare così quel povero attore, sarebbe risultata più credibile. Adesso potrebbe sentirsi veramente ignorato e usato per secondi fini.

«Hai detto che giù in portineria non c'era scritta la programmazione di altri generi» pronuncio lentamente, sostenendo la sua falsa. «Quale è il tuo preferito?»

Riprendendosi dalla trance, Caitilin sfugge lontano con lo sguardo, ed io mi gusto il sapore dei poc corn con un sorriso.

«Mi piacciono i thriller» mi confessa, mentre le battute del film continuano a scorrere a tutto volume.

«Sul serio?»

«Sì, mi affascinano» ammette con candore, generando la mia sorpresa. Momentanea, unicamente, perché se mi soffermo a riflettere, in effetti, il thriller può essere davvero il suo genere. Gli intrecci, la furbizia, l'ingegno, e la custodia di un segreto.
I miei ricordi ancora intrappolano la tintura della sua tela, scorrendovici sopra non appena riemergono, stanchi, da una giornata all'insegna dello studio.

«Piace molto anche a me. Non mi tiro mai indietro nello scoprire un segreto, o sciogliere i fili elettrici di una situazione difficile, per così dire.»

A queste parole, Cat posa la tempia sul rivestimento blu scuro della poltrona, facendo risaltare, da sotto il cappello, il principio della sua mossa frangia, i riccioli rossi e la fila delle poltrone vuote, dietro di sé.
Siamo accomodati all'ultima postazione, il famoso trono per gli amanti, in questa stanza semivuota che vede radunato il pubblico nel perfetto baricentro.
Le nostre parole non li raggiungono, così come noi non riceviamo indietro i loro commenti mentre rimaniamo così, fermi a fissarci.

«L'ho fatto apposta» ammette con candore lei, minuti dopo essersi persa nei miei occhi.

«Lo so.»

«Allora perché non sei fuggito via? Puoi scappare adesso, se vuoi.»

«Avresti potuto scegliere qualsiasi altro posto, e sarei comunque rimasto.»

«Perfino la Down Town?»

Questa domanda, pronunciata con la sua dolcezza, mi fa sorridere, spingendomi ad essere nuovamente sincero.

«L'"Urth Caffè" dove la gazza ladra ci ha trovati era a pochi passi dalla mia vecchia casa.»

«Dici sul serio?»

«È così, ma non è stato un problema per me. In fondo eravamo insieme.»

«Perché, Michael? Perché? Ci conosciamo appena.»

Sorrido dolcemente, lasciandole una carezza sulla guancia. Il calore presente sulla sua pelle mi raggiunge fino al cuore, cullandomi dentro una stretta nella quale oscilla, per sempre perso.

«Sul serio? Eppure mi sembra di farlo da tutta una vita» le confesso, allungando ancora le dita per sistemarle una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Affascinato dalla sua resa poi scendo ancora di più con il palmo, posandomi sul suo collo, di fianco, e sentendo pulsare la sua arteria.
Nella cupa atmosfera della stanza osservo dentro i suoi occhi, pronunciando le successive parole.

«Ti batte forte il cuore» noto, vedendo, appena, il rossore delle sue gote.

«È che ho il battito cardiaco accelerato» arriva a dirmi, con l'angolo del labbro superiore, nello specifico il destro, sollevato e visibilissimo alla luce del grande schermo.

«È così, eh?»

Annuisce velocemente, smorzando la tensione che sento addosso, ma non può impedire ai miei occhi di scivolare veloci lungo il suo profilo, rapaci alla vista del piccolo scollo dei seni nel quale finiscono le collane. I fianchi, per quanto stretti nei jeans, e le gambe, lunghe e intrecciate, probabilmente perfette. Non sono mai riuscito a vedergliele scoperte, un po' come i capelli. Caitilin non è mai totalmente libera, e non ne capisco il motivo. Mai un centimetro di pelle scoperta ma sempre intrappolata dai tessuti, nascosti da abiti lunghi, e mai l'assenza di un elastico o di mollette. Eppure sfugge sempre qualche ciocca di riccioli al suo controllo, quasi fossero indomabili e impossibili da imprigionare in quella stretta.

«Tu invece?» Chiede ancora, forse per riportare il mio avventuroso sguardo fino a lei.
Espiro anche io, profondamente, per rivelarle la dolce e fantasiosa versione della realtà.

«Io proprio il contrario. Batte appena, sono vicino alla morte.»

«E per quale ragione?»

Dovrei davvero rimanere serio, ma non ci riesco, vedendo dentro le sue pupille il riflesso del luminoso lampo che mi attraversa.

«Mancanza d'affetto» la prendo in giro, notandola poi spalancare le labbra, voltare la testa all'attenzione del film, e passare la lingua contro i denti, quasi stesse subendo l'afflizione di questa mia grave constatazione.
Che cosa posso dire? Sono affascinato anche dalle sue bugie, e senza dubbio stregato dal gioco di quella lingua. Appoggio la testa indietro, rimanendo a fissare il suo lieve trucco, per poi scorrere con l'attenzione lungo il morbido profilo di quella bocca, perfettamente disegnata.

Con un patetico imbroglio potrei obbligarla a voltarsi e baciarla, ma non voglio farlo perché desidero ardentemente che la prossima volta sia lei a fare la giusta mossa, in modo che scelga noi, da ora a un per sempre.
Non voglio perderla, ma nemmeno costringerla. Spero con tutto il cuore che si renda conto di quanto bene funzioniamo, solo se siamo insieme.

«Perché invece non mi dici le reali motivazioni per le quali non ti piace il cinema?» Propone, allontanando così il cuore pulsante della conversazione.
Poco importa, ad ogni modo.

«Non è chiaro? Si tratta di finzione.»

Soffoca una risata, tornando a me. «Perché stanno recitando? Non è quello che fai anche tu?»

«Sì ma quante volte loro possono ripetere una scena? Infinite. Basta un ciack. Noi invece? Mai. Dove non arriva la memoria ci aiuta l'improvvisazione, e quella è vera recitazione. In fondo il cinema deriva dal teatro.»

«Quanto sei saccente, ed è tutto qui?»

Mi mordo un labbro, pronto a ricevere il suo sconcerto per quello che sto per dire.

«Per la verità, non adoro molto stare da quest'altra parte e osservare.»

«Non posso crederci.»

«Ma è così... mi annoia.»

«Mentre un'opera a teatro no. Sei più interessato, perché la ritieni più sincera.»

«Proprio così. Vedi? In qualche modo riesci a capirmi.»

«Sai che cosa credo?» Mi chiede, avvicinandosi al mio viso e togliendomi il fiato. Rimango immobile ad aspettare qualsiasi suo tipo di mossa. «Che ami l'imprevisto. Quel qualcosa che rompe le righe.»

«Può essere.» Ammetto, ridendo appena, e alternando la visione dei suoi occhi a quelle delle sue labbra.

«E credi che qui sia impossibile ottenerlo?»

«In questa specie di galera, in cui restiamo tutti immobili, a fissare uno schermo? Ne sono certo.»

Persino i suoi occhi brillano nel buio. Affilatissimi agli angoli, luccicano stuzzicati. Ancora di più quando si presta ad un sorriso che non ha alcune intenzione di fare prigionieri, unicamente vittime. Ed io sono una di loro.

«Mi hai sfidato, Michael. Dovresti davvero imparare a non farlo mai.»

Prima che possa rispondere, la sua mano cade nella mia, formando un intreccio, e sono costretto ad alzarmi in piedi, secondo le sue direttive.
Mi sta trascinando in un'altra sala, e adesso sediamo nuovamente all'ultima fila delle postazioni, di fronte a un film di guerra sufficientemente sanguinario.

«Allora non era l'unico genere!» Mi rendo conto, affascinato dallo schermo, prima che Cat si rivolga nuovamente a me.

«Seconda guerra mondiale, gli americani combattono i tedeschi. Si tratta di storia, e questo ti affascina, e inoltre c'è da includere anche la bravura degli attori. Non è semplice girare scene del genere, sono piene d'azione. Ancora troppo banale?»

«Eccome» confesso, tornando poi a sentire nuovamente la sua mano nella mia, e deliziandomi di quel contatto.

«Benissimo.»

Così come siamo arrivati ce ne andiamo, sentendo addosso molte paia di occhi. Una volta fuori dalla sala scoppio a ridere.

«Cat, ma si può sapere che fai?»

«Ti do l'inaspettato. Abbiamo pagato il biglietto, ma chi ci costringe a vedere un film solo?»

«Cat... »

«Entriamo qui» ordina, e presto il buio cattura i nostri vestiti, scurendone le colorazioni.
Se possibile, questa proiezione è peggiore della precedente. Si tratta di una pellicola straniera e gli attori si rivelano totalmente incapaci a trasmettere qualsiasi tipologia di emozione, ma non dico niente, avendo in petto un cuore troppo allegro per farsi capitano di guerriglia. Lascio a lei il comando di tutto, arrivando così a beneficiare per lunghi minuti di questa patetica mostra di ignoranza.

«Ancora no?»

Scuoto il capo, solo perché percepisco il bisogno di tornare ancora al nostro contatto.

«D'accordo.»

Di nuovo fuori, di nuovo nella grande sala dove affacciano le porte. Rallento i passi per beneficiare sempre di più della sua stretta, tardando l'arrivo del buio, il più possibile.

Ben presto, con lo scorrere veloce del tempo, l'appuntamento vede protagonista le nostre risate, la nostra complicità che, racchiusa in questa piccola bolla, ci rende invisibili agli occhi degli altri per delle ore. Il massimo sufficiente per riuscire a tornare nella prima sala, di fronte alla poetica storia d'amore, e cogliere l'ultima sequenza, antecedente alla fine.

«Allora?» Mi domanda Caitilin, rivolgendosi a me. «Come finisce?»

Apro appena la bocca, non sapendo cosa dire, mentre torno a fissare lo schermo. Riesco a vedere lei con la coda dell'occhio recuperare la vaschetta di poc corn, rimasta al proprio posto durante la nostra avventura, e mangiare pochi di essi, nell'attesa della mia risposta.

«Io... non ne ho idea» ammetto, non sapendo cosa realmente fosse accaduto alla trama principale, nel corso della nostra ritirata. Vorrei dire il semplice "vissero per sempre felici e contenti", ma il tizio senza maglietta non si mostra più, e al suo posto ne è subentrato un altro, di cui non conosco la storia. Amico, fratello, conoscente o estraneo?

«Proprio così» sento dire da Cat. Volgo la testa nella sua direzione, incantato dalla sua astuzia quanto dalla capacità che ha di vedere il mondo sotto un'altra prospettiva.
I titoli di coda scorrono veloci, e il finale resta un mistero, così come lo è il futuro, al confronto della vita.


Uscendo dalla sala, l'addetto alle pulizie ci fissa con circospezione, e mi domando se abbia avuto modo di vederci direttamente dalle telecamere, ma poco importa. Ormai è fatta e lui è alle spalle, mentre Caitlin non gli ha dedicato la benché minima attenzione.

Stavolta obbedienti, i nostri passi seguono la marcia degli altri spettatori fino ad arrivare all'esterno, giù in strada, con il motore delle macchie e il loro clacson a ristabilire l'ordine cittadino.

«Beh, è stato divertente» ammette Cat, senza aggiungere altro. Volta le spalle e muove una semplice fila di passi spediti verso la mia opposta direzione.

«Già te ne vai?»
Non posso nascondere la delusione.
A questa richiesta, stupita, torna verso di me, forse senza realmente riuscire a capire.

«Il film è finito, no? Dovremmo entrambi rientrare.»

«Che ne dici di cenare insieme, invece?»

«Che?»

«Te lo prometto, nessun ristornate di pesce» ci tengo a precisare con tono piatto, per non farle percepire la mia angoscia.

«D'accordo. Mi sta bene.»

Vorrei tornare a prenderle la mano, ma mi limito a camminarle a fianco, fino al locale prefissato.
Si tratta di una semplice taverna dallo stile rustico e un'interessante particolarità: niente luce elettrica all'interno, solo la buia schermatura di pareti che ti isolano dall'esterno, e la luce di molte candele, che nel corso della sera vedono la loro cera precipitare.

Uno dei camerieri ci accoglie e ci accompagna a uno dei tavoli liberi, mentre in sottofondo una musica lenta, suonata dal vivo da uno dei violini, ci accompagna nella tratta.

Niente lusso eccessivo ma particolare eleganza. Anima. Vita. E carattere. Semplice atmosfera di cui i suoi occhi si abbeverano, e lo vedo, ne è affascinata.

«Vi lascio il menù per la scelta. Buona serata» si congeda con gentilezza il ragazzo, poco dopo il mio saluto.

«A lei, grazie mille.»

Afferro il piccolo volume in carta rilegata, e bruciata agli angoli appositamente, che mostra nella bordatura l'intreccio di un piccolo spago, per poi tornare a lei, che ancora si fissa intorno.
Le pareti con affissi piccoli quadri, ciuffi di aromatiche erbe e mensole nelle quali stazionano le candele, così come al nostro fianco, su un basso ripiano.

«Ti piace?»

Annuisce lentamente, facendomi sorridere e studiare i suoi tratti, alla luce della fiamma.

«È molto bello» commenta, permettendomi di essere soddisfatto di una simile scelta. «Non credevo che a Los Angeles esistessero posti simili.»

Resto in silenzio, non volevo rivelarle subito tutti i mei segreti.

«Prima i poc corn e ora il suono del violino?» Domanda giustamente, indicando nella direzione del musicista.
Non ci avevo fatto caso.
Prima i suoi gusti, e subito dopo i miei.

«Una semplice coincidenza. Non sempre è presente.»

«Il musicista o il violino, dentro questa piccola orchestra?»

«Entrambi» le rispondo, posando il menù per farmi complice del suo sguardo. «Vedi? L'intera compagnia è imparentata con il proprietario di questo posto. Partendo da sinistra e spostandosi a destra troviamo il fratello, il cugino, lo zio, quello che credo essere il cognato del cugino e persino il vecchio nonno.»

«Però... li conosci bene.»

«Sono le prime persone che ho incontrato arrivando qui. Il cameriere è nuovo ma conosco il proprietario. Mi prese come lavapiatti quando non riuscivo a trovare un lavoro. Un giorno te lo faccio conoscere, o anche stasera se vuoi, e se è presente in cucina.»

Scorro con gli occhi verso quella piccola band vestita in abiti fin troppo usurati e schiariti dal tempo, ma piena di allegria e buon umore.
A turno, vedendomi, si approcciando a un saluto, che si conclude con il sollevamento del cappello del buon vecchio Jack, il famoso uomo al vertice della gerarchica piramide.
Sempre di buon umore, sempre sorridente nei suoi ottantasette anni e ancora lo stesso di un tempo.

Da lontano lo vedo strizzarmi l'occhio, non appena Caitlin è distratta, in segno di apprezzamento.
Sollevo invece i miei al cielo per un attimo, divertito dal suo piccolo gioco di magia.

«È la tua tana, quindi, per così dire.»

«Non ci ho mai portato nessuno, se te lo stai chiedendo. Nessuna relazione precedente.»

Eccetto una. Ma non è entrata dalla porta, lavorava direttamente dietro il bancone, e mi aveva incatenato con i suoi occhi più caldi e marroni del più fuso cioccolato.

Allontano i miei per un attimo, solo per constatare la sua assenza.
Il cameriere che ci aveva accolto ora parla con il barman che ha preso il posto del mio ricordo, dandogli le direttive sulle varie ordinazioni.

Osservo quello scambio, rivedendo in quel pallido riflesso la memoria di un tempo. Di noi, entrambi in divisa, entrambi sereni, come i mesi successivi ci hanno impedito di rimanere.

Io e Sebastien, occhi negli occhi, in due mansioni diverse ma pur sempre simili. Pur sempre vittime incatenate di questo posto, la culla e l'incontro di un vecchio amore.
Appartenente al passato, ormai.

«Così come non sei mai arrivato ad aprirti così con nessuno, prima di me» sembra prendermi in giro, tenendo lo sguardo inchiodato alle venature del legno di questo tavolo, mentre io la osservo fisso, con il gomito appoggiato, e la mano incredibilmente vicina al suo braccio.

«È così.»

Sei speciale, Katrina. Non immagini quanto.

Torna a studiarmi in maniera attenta, lenta, ed io sostengo la sua ispezione recuperando il piccolo menù, e pronunciando senza fissare le preferenze verso le quali la voglio iniziare.

«Che ne dici di farci portare del vino rosso e qualche assaggio? Poi un primo. Fanno dei primi piatti eccellenti qui.»

«Devo crederti?»

Sorrido nel pensare a cosa si stia realmente riferendo questa domanda, ma la risposta è la stessa.

«Si, Caitlin. Fidati.»

Il cameriere ritorna dopo pochi istanti, chiedendo l'ordinazione, e è lei a riportare le mie esatte parole, senza distanziarsi dai miei occhi.
Chiudo il menù concedendo la scelta del primo piatto allo chef.
Il ragazzo fugge via, nella stessa età con la quale avevo iniziato io a lavorare, e scompare con il nostro ordine, passando le porte di una lontana cucina.

«In casa credo di non avere nemmeno una candela. Ho un'immensa paura che, in qualche modo, tutto possa prendere fuoco» mi informa lei, alleggerendo l'intensità del suo sguardo, ma non troppo. Lo aggrava la colorazione che porta e il suo taglio, così affilato da togliere il respiro.

«Alle volte vale la pena correre il rischio, però. No?»

«Forse.»

E ancora una volta, penso, un forse non è un no.

Il vino arriva velocemente, così come gli assaggi, e presto posso tornare a beneficiare dell'eleganza della cantina di Tobias. Niente di meno da uno come lui. È un'intenditore nel suo campo, così come il fratello, ovvero il socio alla pari di questo posto, colui che mi ha assunto, Isaac.
Le porte scorrevoli della cucina non rivelano il suo camice colorato di capo chef, segno che la serata non può concedergli una pausa. Immagino che ne sia entusiasta. Adora da sempre l'impegno derivato dal lavoro duro.

«Ti trovavi bene, quando lavoravi qui? Sei sempre stato dietro, nella cucina?»

«No... Ho fatto il lavapiatti, poi il cameriere, l'addetto alla cassa ... quello che serviva. Era uno dei lavori migliori, se non il migliore, a livello di tempo e retribuzione» confesso candidamente, bevendo un piccolo sorso di questo buon vino per poi tornare a lei, così bella, così pallida.

«Mi piace ascoltarti, sai? Hai sempre una storia da raccontare. Parlarti non mi riesce difficile.»

«È una buona cosa.» Sorride alla mia constatazione, che richiama altre parole.
«Per me è lo stesso» confesso quindi, rivelando le mie carte. «Ho avuto una giornata particolarmente intensa. Avevo bisogno di vederti.»

«Ti va di dirmi perché?»

La sua bontà mi spinge al desiderio di toccarla, ora più che mai.

«Dopo, magari. La notte è ancora giovane e Isaac non riesce mai a far uscire per tempo, dalla cucina, il primo senza far tardare il cliente.»

«Isaac é il capo di questa taverna?»

Annuisco, nel divertimento del ricordo.

«Quindi... che cosa ne dici di ballare?» Proseguo nella direzione dei miei pensieri, con le mani che pizzicano, quasi, dal bisogno di un nostro contatto.

«Qui? Davanti a tutti?»

Annuisco ancora, senza smettere di sorriderle, sollevando il palmo che avevo posato sul tavolo, in modo che veda le linee intrinseche alla mia vita e decida di entrare a farne parte, ponendovi sopra le proprie.

«I ragazzi ne saranno felici. Vedrai, lo fanno tutti.»

«Per il momento non vedo nessuno» ci tiene a precisare, ma noto la sua esitazione.

«Questo perché sono troppo timidi. Che mi dici di te invece?»

Lei non lo è. E a questa domanda me lo dimostra, afferrandomi nuovamente la mano e trasmettendo brividi caldi in ogni parte del corpo.
Mi sollevo dalla mia postazione mantenendo la sua stretta, e avvicinandomi appena all'attenta orchestra, che non si perde nemmeno uno dei nostri passaggi, ma al momento sono troppo concentrato su di lei per rimproverarli.

Nonostante gli abiti semplici, l'assenza di trucco e la reticenza, è pur sempre lei, la bambina superstiziosa, tornata tra le mie braccia.
Non indossa più il cappello. Anche il soprabito è sparito, e adesso, non vi è che il sottile strato della maglietta rosa a separarla dalle mie mani, permettendomi di cadere nell'illusione di sfiorarle direttamente l'epidermide.

«Non ho mai allontanato nessun ragazzo che mi interessasse, fino ad ora, Michael» pronuncia a bassa voce, non appena il lento ballo ci porta più vicini.

«Quindi è trattamento speciale, vuoi dirmi», perché non può negare che le interessi.

«Non ho mai vissuto niente del genere prima d'ora, e mi fa paura perché tu mi guardi in un modo... che mi fa credere, mi fa sperare, che in futuro andrà tutto bene.»

Ero riuscito a respirare il profumo dei suoi capelli, ma ora sono costretto ad allontanarmi un poco per fissarla come richiede.
Il mio sguardo la destabilizza, ma non prova a scappare.

«È così, Cat.»

«Non posso crederlo. Non finché non è certo.»

«Allora, se non puoi credere né a me né al futuro, basati sulle tue superstizioni. Credi alla gazza ladra di quel giorno. Credi... al tuo desiderio, di non farmi incrociare con lei gli occhi, in modo da darci una speranza. Non esiste paura, Cat, senza tenacia.»

I suoi occhi catturano le mie parole, le sue orecchie, le sue mani, non appena si sollevano sul mio viso, scorrendo lungo il mio profilo.

Ed ecco che Cat si solleva sulle punte dei piedi e mi bacia, arriva a posarsi delicatamente sulle mie labbra non appena il violino raggiunge l'apice del suo assolo, e la mia mente imprigiona questo momento, promettendosi di non dimenticarlo.

Stringo forte a me il suo piccolo corpo in biblico, sentendo le sue collane contro il mio petto e il battito del suo cuore sulla schiena, contro le sue costole.
Le sue mani, invece, scorrono ancora sulle mie guance, sfiorandomi leggere, mentre nella mia bocca torna il suo sapore, ancora una volta macchiato dal vino. Ancora una volta, nonostante la dolcezza, pura perdizione.

Il mio cuore vola veloce librandosi nell'aria, mentre il suo profumo mi stordisce, persino dopo che si è allontanata, facendo emettere alle nostre labbra un debole schiocco.

Mi perdo dentro i suoi occhi celesti, improvvisamente molto caldi, liquidi, densi, prima che la sua fronte cerchi rifugio tra il mio collo e la mia spalla, chiedendo che il suo corpo venga stretto ancora, sempre con maggiore amore.

Non si torna più indietro adesso, penso con un sorriso, tenendola stretta a me.

Uniti in uno solo, godo dell'emozione scaturita da questo bellissimo contatto, pregando per la sua eterna vita.

Aprendo poi gli occhi vedo le porte della cucina spalancate, e Isaac appoggiato al muro a braccia incrociate, con i capelli brizzolati dall'età e un sorriso tenero, dolce, con il quale sembra dirmi, in un qualche modo, che finalmente ho trovato la mia calma.

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