79- È questo il desiderio?

"Se mi fossi liberato dei miei demoni
avrei perso i miei angeli."
Tennessee Williams

P.O.V.
Caitlin

Il passato può tornare nel presente.
Rivivere è possibile, così come respirare di nuovo odori dimenticati nel tempo. La frizzante brina di un mattutino giorno che entra, in un raggio, dalla finestra e scivola lungo la schiena nuda, tra le bianche lenzuola. L'odore di una pianta in fiore che hai trattato con così tanto amore da conoscere ognuno dei suoi petali. Il sapore salmastro del mare, il leggero fresco del vento in questa giornata... in cui sembra essere tornata l'estate.

Apro, con lentezza, gli occhi per vivermi la bellezza del giorno.
Questa luce dorata che illumina il lato balneare di tutta la costa sembra polvere magica in grado di seppellire nel passato i ricordi e darti indietro solo buon umore.
Incuriosita dalla natura, vestente gli abiti di una fata, osservo oltre questa finestra aperta il mondo che si macchia di bellezza, al di fuori.

Tutto può tornare reale.

Così come lo sono questi lenti baci che mi risalgono lungo la schiena, partendo dalla zona dei lombi per poi risalire fino alla nuca.

«Buongiorno» sussurra una voce tenera al mio orecchio, ed io mi volto sulla schiena, stendendomi supina per poterla vedere in viso.

Nei suoi occhi c'è una particolare calma a governarli. La completa tranquillità che abbiamo vissuto in molte domeniche pomeriggio od in altri momenti trascorsi nudi, proprio come adesso, dentro un letto.
I corpi tanto vicini da non farvi passare nemmeno il vento attraverso ed è Michael a impedirlo, rimanendo in parte sopra di me, con un gomito impiantato nel materasso in modo da sorreggere il suo volto sorridente, mentre mi guarda.

Sollevo una mano e parto ad accarezzare la sua fronte, per poi scendere lungo le rughe che si sono generate al lato dei suoi occhi. Le trovo bellissime, in certi momenti piene di ironia. In altre affascinanti, perché testimoniamo il tempo che abbiamo trascorso insieme.
Per non parlare delle sue guance e del leggero strato di barba che le scurisce.
C'è una piccola parte, di quest'uomo, che non conosco come se fosse mia?

«Buongiorno» replico, con un filo di voce per non destare i problemi prima che questo sole diventi più caldo e arrossisca i frutti delle nostre piante, rossi come le sue labbra sulle quali ho posato le mie, un'infinità di volte.

Vorrei continuare ad accarezzarlo ma non me lo permette. Si solleva lentamente, lasciando scivolare il lenzuolo lungo il corpo e tenendolo come un mantello, in grado di coprirgli le spalle così come di mostrare, a me sola, la sua nudità frontale. La sicurezza con cui solleva le mani per accarezzarmi prima un fianco per poi dirigersi fino alla collana che tiene al collo non è scontata.

Lascia scivolare via il pendente, il mio anello nuziale, quindi torna a me stendendosi leggermente più distante di poco fa e chiedendomi, senza alcuna parola, la mano mentre mi porge la sua.

Rimango immobile sotto i suoi occhi, ragionando attentamente sulla mossa che sto per compiere e che si traduce nella parola perdono, sinonimo del termine della nostra guerra.

E così sia, ormai è inutile ostacolare il fato.
Tendo la mia mano e con attenzione scorro lo sguardo lungo la delicatezza con la quale fa passare l'anello al mio dito, lasciandolo tornare nell'avvallamento che già si era creato, scavando l'epidermide.

«Finalmente posso tornare a respirare» mi dice, pronunciandosi in un profondo sospiro ed è visibile la tensione che abbandona i suoi muscoli, permettendogli finalmente di rilassarsi.

Quello che provo io, invece, è qualcosa di completamente diverso. Non c'è alcuna ansia in me. Fisso quel gioiello, nello splendore del sole, e lo rivedo nello stesso posto dove già lo avevo immaginato. Sembra di non averlo mai perso e dunque è quasi scontato riaverlo a brillare nella sua coreografia di diamanti.

«Che cosa vuoi fare, adesso?» Gli domando con semplicità, pronta a sentire la sua risposta. «Cambiare città? Cercare, ancora, un nuovo lavoro? Allora, che altro?»

Non c'è alcuna antipatia nel mio tono ma una semplice resa che però gli fa allontanare lo sguardo, quanto basta per rispondermi.

«Nessuna nuova città, Cat, rimarremo qui.»

Sollevo le sopracciglia, generando delle rughe sulla fronte.

«E la Land Art?»

Michael tace e decide di tornare ai miei occhi per potermi dire quello che pensa del nostro futuro.

«Se ritieni che non sia una minaccia per il nostro futuro, allora potrai restare.»

«E lo è, per te

Serra le labbra. Lo vedo chiaramente, quel ringhio trattenuto a stento dietro quella bocca tanto rossa. Però, noto anche il tentativo di tenerlo a bada e non posso non essere che affascinata da questa sua prova di resistenza.

«La sola cosa che voglio è che non ci lasciamo. Mai più.»

«Nient'altro?»

«No. Nient'altro.»

Decido di rimanere in silenzio affinché possiamo meditare entrambi sulle parole che ha appena emesso.
Mi auguro che sia vero, desiderio che lo sia, sul serio.

«Ho abitato a casa di una mia collega» lo informo, osservando ogni sua reazione ipotetica come spontanea. Sembra mantenere la calma. «Il fatto è che ho lasciato alcune cose a casa sua. Pensavo di passare a riprenderle, prima di tornare a lavoro.»

«D'accordo.»

«E tu?»

«Io rimarrò a casa. Mi aspettano molti manoscritti da correggere ed anche una chiamata da fare... devo informare Emily di lasciar cadere l'istanza di divorzio. Sei d'accordo?»

Sollevo la mia mano tra di noi, in modo da dimostrargli quanto le mie azioni siano sempre più esplicative delle sue mezze parole.

«Ho di nuovo l'anello di matrimonio, no?»

Non dice alcuna parola ma la brillantezza del suo sguardo mi fa rendere conto dell'importanza di un simile traguardo, così come la dissolvenza che stanno per subire tutti i dolorosi incubi che ci siamo trovati a condividere.

Nella mia vita ho esitato molte volte, ma mai quanto come nel periodo di tempo che impiego per riuscire a bussare alla sua porta.

I colpi del mio pugno sono indecisi e forse è possibile da loro stessi riconoscerne la proprietaria. Può essere il motivo per cui il volto di Lexie non si mostra sorpreso, venendomi ad aprire.

Non ha mai avuto l'abitudine di fissare attraverso gli spioncini, preferendo di gran lunga la sorpresa della novità stessa eppure... ecco che è sempre battuta dalla sua esperienza.
Doveva essere certa del mio arrivo, così come della mia faccia contratta.

«Ti serve niente?»

Il suo tono freddo mi ferisce. Provo una fitta indescrivibile al centro del petto.

«Lexie, ti prego...»

«Scusami» sussurra, per poi cercare la giusta calma. «Non dovrei proprio comportarmi così. Immagino tu sia venuta per prendere le tue cose.»

«Posso entrare?»

«Hai vissuto qua dentro tre settimane. È casa tua, in pratica.»

L'invito, dunque, non mi raggiunge esplicito ma mi esortano i suoi gesti a seguirla all'interno dell'appartamento.
Cortesemente la ringrazio, con la stessa freddezza che possono avere due amiche conosciutesi solo superficialmente. Non traspare nemmeno lontanamente un indizio del tempo che abbiamo trascorso assieme.

Decisa a mettere fine così all'imbarazzo, mi chino per mettere in atto una suddivisione ben fatta di tutta la mia oggettistica di casa. Scarpe, trucchi, qualche gioiello e delle magliette ancora sparse in altre stanze.
Sono certa di dimenticarmi altro ma i suoi occhi annullano l'invio di qualsiasi pensiero al mio cervello, mentre mi fissano le mani.

«Hai di nuovo l'anello» fa notare.

«Siamo tornati insieme.»

Annuisce, intrecciando le braccia al petto ed assumendo una posa rilassata. Ancora una volta del tutto priva di sorpresa.

«D'accordo... sono felice se tu sei felice.»

Non sembra volermi offrire altre parole in dono e una parte di me cerca di convincersi che quella freddezza possa starle bene.

«Porto queste cose a casa e poi torno a lavoro...»

«D'accordo.»

«Lexie...»

«Tranquilla, Sneg, non è cambiato niente. Ti aspetto alla Land.»

Vorrei essere riuscita a trarre il conforto che le sue parole mi offrono ma la sua veloce ritirata non mi rende partecipe della sua completa affidabilità.

Lexie si sta allontanando con passi lenti e calibrati, uscendo dalla mia vista con la stessa insolita calma con la quale l'ho vista vestirsi in momenti particolarmente difficili.
Ed eccola, l'avversaria contro la quale deve schierarsi!

Se solo sapesse che sto combattendo già da sola contro me stessa, e che mi trovo a terra, forse un po' di pietà la mostrerebbe ma è colpa mia se non riesce a farlo.
Fingo di essere in piedi per vederla sferrare uno dei suoi colpi peggiori, avendo sempre adorato prepararmi al peggio, così da potermi trovare stupita nel vivere il meglio.

Ricordo di aver paragonato più volte, nella mia mente, questo percorso al corridoio di una scuola media, pieno come è di occhi che spiano e di voci sussurrate.
Quello che c'è di peggio è il loro fasullo tentativo, ad oggi, di passare inosservate.

I dipendenti stanno notando la marcia funebre con la quale io e Lexie stiamo camminando a fianco e rimangono sorpresi come me quando, di colpo, mi abbandona a metà del tragitto per poter far i conti, direttamente, con i suoi doveri.
Prendo un profondo respiro e decido di non pensarci, capitando di fronte a Reiner nella mia marcia e trovandomi costretta, poco dopo, a rallentare.

«Ciao» pronuncia la voce sorridente del mio amico, e sembra l'unico disposto a fare i conti con il buon umore.
Spalanca le braccia ed ecco che vi posso trovare rifugio, premendomi con forza contro il suo petto e seppellendovici, di piatto, il viso.
Sento il suo profumo ovunque e il lento battere del suo cuore.

«Hai fatto la cosa giusta» mi dice.

«Lo credi davvero?»

«Hai deciso di dare un'altra possibilità all'uomo che, in fondo, ami. Nessuno ti rimprovererà mai, per questo. Nemmeno Lexie, nonostante il suo apparire scostante.»

«Sembra arrabbiata con me...»

«Non lo è. La verità è che vuole solo il tuo bene, come tutti noi. Sono felice, inoltre, che sei tornata a pieno ritmo a lavoro, però devi promettermi una cosa. Qualsiasi altro segnale che noterai all'interno del tuo matrimonio...»

«Saprò cosa fare, non preoccuparti.»

«Sono qui, sei hai bisogno di me. Per qualsiasi cosa.»

«Lo so.»

Prende un profondo respiro, scaricando tutta la tensione che vi si era addensata.

«Ora mi devo preoccupare di un'altra questione. Sta per arrivare una delle modelle che ho ingaggiato per la nuova linea di sartoria. Deve indossare il tuo vestito bianco per gli scatti, spero che non sia un problema per te l'averglielo chiesto.»

Aggrotto la fronte, senza riuscire a capire.

«Non ci sono già delle fotografie, con quell'abito?»

Reiner mi fissa con compassione. «Sneg... non so se ricordi ma ci sono stati dei problemi, quando l'hai indossato.»

Sì... sì, ma poi Ethan mi aveva scattato quelle foto. Ethan...

Lo cerco con lo sguardo e lo trovo in un attimo, sul fondo della sala e con altri cinque colleghi vicino, a sfogliare delle carte senza sollevare lo sguardo.

Non gliele ha date...

«Scusami, Sneg, ma adesso devo andare...»

«Certo, vai pure.»

Perché Ethan non gli ha passato quelle fotografie? Forse non era fiero del risultato ottenuto.
Prima di accorgermene, sto procedendo in avanti, fino a lui.

A lui che, con la testa ancora china, non sta prendendo atto del mio arrivo, a differenza degli addetti che si allontanano. Ci lasciano soli in meno di un attimo ed ecco che sono al suo fianco.

«Ciao.»

La mia voce richiama i suoi occhi che, mesti, mi rivolgono un'occhiata veloce senza, però, esclusione di colpi. Partono dalla testa e scendono fino alle mie scarpe, senza trovare punti di ancoraggio in grado di trattenerli.
Scivola via il suo sguardo assieme a parte dell'attenzione che mi aveva rivolto, tornando alle sue carte.

«Ti serve qualcosa?»

Nel riflettere sulla risposta intreccio le mani, indecisa sulle parole da lasciar andare.

«Reiner mi ha detto di aver ingaggiato una nuova modella, per il servizio di pubblicità degli abiti...»

«Le foto sono rimaste nella macchina fotografica. Mi sono dimenticato di trasferirle.»

«D'accordo, allora... gliele darai?»

Chiude la cartella contenente i documenti e la abbandona sul tavolo, posandovi una mano quando torna a fissarmi.
Tento di leggere all'interno del suo sguardo cosa sta provando ma è difficile da interpretare, quasi come durante il primo periodo della nostra conoscenza.

«Non mi appartengono, no? Torneranno al loro proprietario.»

Sposto il peso sull'altro piede, provando a non interpretare una simile frase sotto una differente chiave di lettura.

In realtà le foto sono state scattate con la sua macchina, quindi si può dire che gli appartengono...

«Hai altro da dirmi?» Mi domanda, ed io scuoto lenta il capo, in un senso di negazione. «Bene.»

Recupera la cartella picchiettando due volte il dorso contro il legno del tavolo, dando una specie di ritmo ai suoi pensieri, dopo di che mi lascia sola ad osservare il vuoto.
Forse, la stessa sensazione che ha provato lui quando me ne sono andata dalla sala da ballo.

Sto svolgendo i miei compiti con più difficoltà del solito, e nella sala comune della società per avere un continuo confronto con gli altri addetti ed interruzioni in grado di tenermi vigile, quando Lexie arriva fino a me.

Le carte che sembra avere in mano sembrano, nonostante il piccolo carattere delle scritte, delle liberatorie.
Recupero la penna prima ancora che sia lei a dirmi cosa fare e tendo la mano, prestando il consenso per la nomina del mio nome nei nostri lavori futuri.

Dall'alto e nel pieno silenzio mi osserva mordendosi un labbro per masticare le parole da dire.

«Sei stata coraggiosa.» Sollevo la testa, lasciandola parlare. «Voglio dire... a credergli ancora. Ad aver dato una possibilità al tuo matrimonio.»

«Grazie.»

«Devi amarlo molto...»

«Sì, lo faccio.»

«Non permettere che questo diventi un suo vantaggio» mi dice imperativa, ed io sorrido sentendo tornare la mia amica.

«Stai tranquilla, Reiner si è gia raccomandato.»

«Vogliamo solo il meglio per te.»

«Lo so... grazie.»

«Fammi sapere se ti serve qualcosa.»

Annuisco, lasciandola così tornare, libera, alle mansioni che deve svolgere. E sta per farlo quando, a metà percorso, si blocca per tornare a me.

«Ti ricordi il motivo per cui ti chiamo "Sneg"?»

«Deriva da "Sneguročka", no? Uno dei personaggi fiabeschi della tua cultura russa.»

«Sì, è "la fanciulla di neve". Non ti è mai piaciuto perché hai sempre pensato, una volta che ti ho raccontato il significato della parola, che ti vedessi come una ragazza distante da tutto, razionale fino all'inverosimile, che sapeva quello che voleva e come ottenerlo. E lo sei, sei determinata ma non hai nemmeno un po' della freddezza che credevi ti avessi attribuito. Vuoi sapere che fine fa, la mia regina delle nevi?»

Inclino la testa ed annuisco piano, timorosa delle sue parole.

«Essendo figlia dell'inverno e della primavera non aveva diritto di innamorarsi ma questo accade, e così Sneg si sciolse.»

«Un destino molto triste.»

«Tu credi?»

Rimango ad osservare il suo volto in attesa di una risposta che non raggiunge la mia mente. Lexie ha posto un indovinello e con esso se ne va via, senza lasciarmi soluzione.
Abbandona il mio spazio di lavoro e torna nel suo ufficio per mostrare, alla mia mente confusa, la stanza piena di lavoro da portare a termine e di gente che sgomita, in fermento, per arrivare da un luogo all'altro. Tra questi, immobile come una statua, Ethan. In piedi e lontano ma sempre di fronte a me.

Il racconto di Lexie ricorda molto la legenda delle Cascate delle Marmore a Terni, della ninfa Nera e di Velino discioltisi nell'acqua con la differenza che, stavolta, il coraggio è solo della protagonista.
A lei sola la volontà di amare e la difficile scelta di annullarsi pur di farlo.

Non so cosa aspettarmi non appena poso le chiavi sul tavolo di casa.
Il nostro gatto mi passa tra le gambe in una lenta frizione lenta che sembra essere un caloroso benvenuto, oltre che una specifica richiesta di cibo.

Mi chino quanto basta a passare la mano lungo il suo pelo rossastro, lasciandogli arcuare la schiena nella ricerca disperata di una carezza.

Anche io la ricevo, lungo la schiena.
Concedo al mio corpo di godersi il calore di quella mano che mi culla ed arrivo a chiudere gli occhi, lasciandomi coccolare da quel tocco.
Poi mi sollevo in piedi e mi volto verso di lui che già mi ha presa tra le braccia.

La sua bocca si posa sulla mia ed il cuore rallenta, ritrovando la propria calma.

«Bentornata a casa.»

Noto subito il suo sorriso accentuato, i suoi capelli scomposti e la parte sopra del pigiama piena di pieghe.

«Non ti sei alzato dal letto?» Domando, e lui mi stringe più forte, trascinandomi verso di se.

«Non ho dormito per giorni, Cat. Lasciami recuperare.»

«Come stai?»

«Molto meglio, adesso che sei qui.»

Mi bacia ancora una volta, come a rassicurarmi, e lo ricambio lenta godendomi il contatto.

«Ti va di preparare qualcosa? Ormai è ora di cena» mi domanda, ed io annuisco.
Tornare fianco a fianco, di fronte ai fornelli del gas con padelle e salse a nostra disposizione, ci fa acquisire un altro frammento di intimità che si era scomposto nel tempo.

Mentre sbuccia la cipolla, Michael ride nella mia direzione delle lacrime che stanno sgorgando dai suoi occhi, interrompendo per un attimo il racconto superficiale di ciò che mi era successo in giornata.
Rido con lui dei suoi occhi rossi e tento di bloccarlo quando, inconsciamente, si porta una mano fino al viso e fa per strusciare.

«Devo tenerti sempre vicino, per evitare di combinare un guaio.»

Sorrido ma evito di pensare alla dose dei nostri errori, augurandomi che solo insieme possiamo entrambi ricavare il meglio. Felici di un amore in grado, adesso, solo di curare.

Il silenzio regna sovrano sopra ogni cosa e vibra nelle orecchie come una sorda frammentazione di suono che si dirama, come un'onda, nei pensieri.

Non riesco a interagire con ciò che mi si materializza, con lentezza onirica, attorno, ma il tatto è costantemente presente. Avverto, chiaramente, la morbidezza di un paio di mani che scivolano lungo il mio corpo provocandomi ondate di calore sempre più corrosive, fino ad accorciarmi il fiato. La loro presa è ferrea ma tanto dolce da scivolare lenta lungo la mia pelle, quasi l'attrito fosse stato del tutto annullato da un olio caldo che mi bagna e scivola verso le estremità.

Inarco la schiena quando quei palmi risalgono dalle cosce fino a soffermarsi sui fianchi. Una bocca, voluttuosa e lenta, si posa sulla mia e va a caccia della mia lingua in un bacio che non riesco a negarle e che mi tramortisce per la sua intensità.

Mi gira la testa e tremo secondo i brividi di una febbre calda, senza riuscire ad allontanare la bocca così come muovere un muscolo. L'arco generatosi dall'incontro con il letto è un ponte di aria fredda che si scontra con la mia pelle nuda.
L'amante sopra di me sembra accorgersene e decide di porvi rimedio passando una mano lungo la mia spina dorsale mentre l'altra rimane stretta al mio fianco.

L'attenzione che mi riserva è una devozione che non si può esprimere. La passione con cui mi bacia trattiene un ardore che traspare dal bisogno con cui cerca, costantemente, un nostro contatto.

Volto la testa di lato, presa dalla necessità inconscia di respirare e di avvertire la morbidezza di quelle labbra lungo la mia pelle.

Vengo presto accontentata ed ad occhi chiusi avverto la bocca scendere lungo il tendine del mio collo per finire a lasciare un breve ma intenso morso sulle mie clavicole.

Gemo una supplica inarticolata e finalmente anche le mie mani riescono a sollevarsi, andando a intrecciarsi tra i capelli ricci di lui nell'istante in cui il suo tocco arriva ai miei capezzoli.

Nonostante la sensazione di appannamento riesco a distinguere con lucidità i momenti di passione cieca da quelli di tenerezza estrema ma è assurdo pensare quanto, nonostante tutto, al di sotto continui ad essere presente una strana forma di dolce desiderio che mi rimescola i pensieri e mi supplica di non farlo allontanare.

Con i denti tormenta i miei capezzoli fino a farli appuntire e con la lingua ne tranquillizza il turgore, lasciandomi supplicare per un ulteriore contatto.
Una richiesta espressa con troppa fretta.

La bocca scende, le mani risalgono e presto mi trovo vittima di entrambe.

Disperata, sento le mie labbra spalancarsi ma la voce non emettere alcun suono. Le dita dei piedi si intrecciano e le guance si fanno ancora più calde, soffocate dai capelli e dall'ardore con cui questa figura mi trattiene a se e mi bacia, incendiando una serie di punti erogeni fino a crearne una mappatura della quale sembra già conoscere le coordinate.

Le mie dita sono intrecciate ai suoi capelli ma perdono sempre maggiore contatto mentre la sua testa discende, lasciando scontrare la mia pelle con la morbida increspatura dei suoi ricci quando la bocca si diletta a lasciare infinite cure nel mio ombelico.

E poi, ancora più in basso. Arrivo a vedere le stelle quando la sua lingua si appiattisce su quel fascio di nervi tesi che tanto lo brama. Ancora di più, quando arriva a stuzzicarlo; devo combattere contro quel piacere per non soccombere.

La mia anima è divenuta d'un tratto liquida mentre il volto è prossimo all'ustione.
Ancora voltata con la testa di lato, tento di respirare contro la piega delle lenzuola, di godermi questo dono inatteso che nella notte è venuto a cercarmi.

A un tratto, però, le gambe iniziano a tremare e non è sufficiente la presa delle sue mani a serrarle.
Scalpito per potermi liberare, pur non volendo affatto farlo.

Di colpo la sua bocca si allontana ed io spalanco gli occhi, voltando la testa verso di lui che si sta leggermente rialzando, facendo così i conti con i suoi occhi chiari.

Resto in loro mentre mi posa un bacio lento sul monte di Venere per poi risalire lungo un tracciato che conduce fino alle mie labbra.

Il torace, pieno di scolpite fasce muscolari, è spolverato da una leggera striscia di peluria che urta contro il mio petto, provocando una dolce frizione.

Finalmente posso ricambiare la premura e scorrere la bocca, una volta liberata dalla sua, lungo il suo collo per poi discendere fino a un suo capezzolo.
Lo sento tremare e vedo, chiaramente, che trattiene un sorriso.

Mi approccio a ricambiarlo e la sua mano si posa a lato del mio viso, sulla mascella, attirando la mia attenzione.

Indossa ancora dei jeans ed il materiale urta contro la pelle sensibile delle mie gambe nude. È incredibile come la percezione sia tanto viva in un momento simile, quasi reale almeno quanto la sua bocca dal sapore estraneo ma ormai riconosciuto.

Febbrile per le sensazioni che mi ha promesso, scorro con le mani lungo il suo corpo fino al bottone dei pantaloni, per poi passare una mano nelle stoffe al di sotto, toccando la sua pelle.

Geme, proprio come avevo fatto io, sulle mie labbra e niente è più importante.

Entrambi ci desideriamo e questi suoi pochi vestiti fanno presto a scomparire. Le mie dita abbassano le stoffa mentre una sua mano mi sorregge la gamba destra e l'attimo dopo è dentro di me.

La pienezza nel suo corpo nel mio fa esplodere tutti i sensi.
Un lampo accecante mi passa dietro gli occhi ma scompare quando i suoi fianchi iniziano a spingere.

Non posso resistere, il piacere è troppo forte e la sua bocca ha ripreso a baciarmi, amandomi completamente con una forza che non ritenevo possibile e che mi annienta.

Sono a corto di qualsiasi pensiero coerente mentre le sue mani mi afferrano con sempre maggiore forza ed il corpo si inclina di più, scavando alla ricerca di un punto in grado di farmi soccombere.

Non posso resistere, non voglio farlo e così mi lascio completamente andare.
L'orgasmo mi tira via dal mio corpo, abbattendosi sul suo e provocando lo stesso piacere che vi si infrange, di risposta, contro.

Entrambi appannati ci fissiamo vacui ed è impossibile nascondere ormai quello che proviamo.
Impossibile continuare a celarlo.

Mi risveglio di scatto dal sonno con il fiato spezzato e un calore liquido tra le gambe. Il cuscino assorbe il mio concitato respiro mentre, alle mie spalle, riposa un uomo ignaro di ciò che è successo.

Con il cuore ancora in tachicardia mi fisso intorno per un attimo, poi scivolo fuori dalle coperte sentendomi improvvisamente sporca.
Non è il mio corpo ad essere macchiato, ma la mia anima, penso, osservando la schiena nuda di Michael sotto le coperte.

Poso una mano sulla bocca per evitare di fargli sentire il mio pianto e collasso, nel mio peccato, perché non riesco a fare altro.

Il mio corpo ospita a chiare lettere il piacere che ho provato nel pensare ad un altro uomo troppo noto ed i capezzoli, ancora tesi contro la camicia da notte, urlano una passione che non si è stemperata del tutto.

Cado fino a terra, coprendomi più forte la bocca con gli occhi pieni di lacrime e chiedo perdono per ciò che ho provato.

La prudenza ha abbandonato il mio inconscio e ha lasciato libero il desiderio del mostro che sono.
La mia colpa non può essere espiata.

P.O.V.
Ethan

Mi sollevo di scatto dal letto con il respiro spezzato e il corpo che risente dei postumi di quel sogno erotico ricco di dettagli.

Provo a respirare profondamente ma ho la gola riarsa. Il corpo rigido ed ancora teso, i boxer macchiati, le labbra secche e gli occhi impazziti che corrono nel vuoto intorno, quasi sperando che dall'altra parte del letto possa esserci lei.

Con esitazione tiro via le coperte, notando che la mano mi trema leggermente nel farlo.
Raggiungo il bagno, accedendo l'acqua della doccia, e lascio scivolare via dal mio corpo i boxer ragionando sull'ultima volta che il mio corpo aveva reagito, inconsciamente, in un gesto tanto eccessivo.

Conoscendo bene la lontananza della risposta, con rabbia entro all'interno della cabina, lasciando che l'acqua mi scivoli addosso trainandosi i pensieri.

Poso la fronte contro la parete di maioliche e cerco il vuoto totale. Il nulla assoluto... ma la mente mi ripropone immagini del suo corpo nudo.

Espiro con rabbia, allontanando la testa e arricciando le dita contro la parete quasi potessi staccare questi decori e togliere di mezzo tutto.

Non devo permettermi di farlo.

Non posso immaginarla un'ulteriore volta.
Katrina non mi appartiene. È nel letto con suo marito, lo ha perdonato di tutto.
È suo il compito di stringerla ed io non ho il diritto di niente.

Nemmeno di sentirmi così.

Chino il capo afflitto, cercando ancora una volta la freddezza necessaria per combattere i miei pensieri. Risulta sempre difficile ripristinarla, specie dopo essermi confrontato con lei.

Averla vicina a lavoro è una tortura.
Averla addosso a me, nell'immaginazione, la notte significa morire.

L'acqua trascina dietro con se le mie impurità, cancella il desiderio rimasto sul mio corpo e tenta di rafforzare il carattere del quale devo rivestirmi per uscire da questa stanza ed evitare di correre fuori per strada, così da raggiungere la macchina e lei.

Chiudo il getto con forza e recupero un asciugamano, tirando indietro sulla testa i biondi capelli che si sono appiattiti con la forza dell'acqua e poi espiro, esco.
Cerco il giusto equilibrio tra i pensieri, sicuro di aver già esaurito tutte le mie ore di sonno.

P.O.V.
Caitlin

Afferro una mela dal colore rosso acceso tra la frutta esposta nel nostro soprammobile al centro della tavola, e me la rigiro tra le dita.
Una scelta pessima, visto il messaggio pieno di peccato che incorpora, ma un'abitudine alla quale non so rinunciare.

Resto stregata dal fulgore della lucida buccia, persa in dei pensieri che non mi fanno render conto della presenza di Michael alle spalle.

Mi tocca ed io sobbalzo.
Salto, letteralmente, all'indietro fino a raggiungere l'altro lato della cucina.
Lui in risposta solleva entrambe le mani e se inizialmente si mostrava divertito adesso legge il mio terrore.

Non sono ancora pronta per un nostro qualsiasi contatto non calcolato. Ricordo ancora la notte in cui ha provato a mettermi incinta, la stessa che ho provato con forza a mettere da parte nella mente la notte del nostro tango, in cui ci siamo avvicinati con forza e debolezza ad un letto per tornare a riavere parte della nostra intimità. Oltretutto, poi, il mio inconscio non sopporta la sua carezza, dopo ciò che ha sognato stanotte.

«Scusami... non volevo spaventarti, va tutto bene?»

Deglutisco con difficoltà, provando a respirare di nuovo.

«Non ti ho visto arrivare.»

«Ero in soggiorno, ho appena finito di prepararmi.»

Scorro gli occhi lungo la sua figura, notando l'eleganza dei suoi abiti.

«Vai in editoria?»

«Ho un incontro con il capo, devo lasciargli le annotazioni dei manoscritti letti e dargli delle liste di pubblicazione. Probabilmente stanotte farò tardi.»

Annuisco debolmente, avvertendo un lieve capogiro.
Michael mi fissa con preoccupazione, quasi domandandomi se stesse andando tutto bene.

«Non preoccuparti, mi trovi a casa.»

Un piccolo sorriso si manifesta sul suo viso e, con prudenza, torna a farmisi vicino.
Posa un bacio sulla mia bocca e mi accarezza, con un mezzo sorriso.

«Ne sono felice... sai che andrà tutto bene, vero, Caitlin? Riprenderemo da dove abbiamo interrotto. Ci sono stati dei problemi come in ogni coppia, è normale.»

Ti prego, smetti di parlare, lo supplico, perché mantengo a stento il reflusso faringeo a bada e ho quasi del tutto esaurito il controllo nel mettere a regime le mie parole.

«Sì, lo so.»

«Bene. Torno stasera, non aspettarmi sveglia!»

Annuisco debolmente, ancora una volta, vedendolo allontanarsi con il sorriso sincero di chi ha ottenuto indietro tutto.

Rigiro tra le mani il mazzo di chiavi della mia macchina, dentro la quale ho nascosto tutti i miei pensieri per la lunghezza del viaggio fino alla Land Art, ed ora eccomi all'interno sperando di allontanarli.

«Sneg!» Ho appena superato l'ingresso, ma la voce della mia amica è una salvezza alla richiesta di distrazione che mi auguravano. «Avrei bisogno di qualche ora del tuo tempo, sei disponibile?»

Mi snocciola una fila di doveri manageriali, relativamente facili da svolgere ma comprensibili, con un'ulteriore aggravante. Il cervello si offusca nel percepirla, e lascia indietro tutta la fila di problemi.

«Devo lavorare con Ethan?» Chiedo, priva di fiato.

«Non siete soli, ovviamente, è un lavoro da sei persone! E ti stanno già aspettando, quindi vai dritta alla sala comune.»

Il suo tono non ammette repliche e sono costretta ad ubbidire. Trascino i piedi a terra con difficoltà, trovando quasi impossibile il compito di adempiere alla sua richiesta, e poi arrivo alla grande sala che ci accoglie tutti all'interno.

Ethan è in piedi, quasi al centro di questo luogo, e proprio come ieri non mi sta fissando.

Le immagini sognate la scorsa notte mi passano veloci come lampi e registrano tutto ciò che gli occhi adesso possono vedere con chiarezza, alla luce del giorno.

Dovrei smettere di guardarlo, ma per qualche motivo non ci riesco ed è per questo che finisco per incastrarmi nei suoi occhi, non appena solleva la testa quasi mi avesse percepito in piedi su questi piccoli gradini.

Imperturbabile. Ecco l'aggettivo giusto per definirlo. Da lui non traspare niente ed è quasi come se gli fosse indifferente la mia presenza qui.
Forse è il modo che ha per non ferirmi con la sua totale noncuranza, ma non ha idea di ciò che provoca in me.

Delusione mista alla rabbia, mentre scendo le scale per raggiungere la postazione di lavoro. E inoltre, anche immancabile tristezza con cui vorrei provare ad urlargli contro, per vedere di svegliarlo da questo grigio torpore.

Non c'è niente da fare.
L'amicizia che avevamo instaurato sembra essersi dissolta nel vento, come tutte le nostre ore di discorsi e reciproci rimproveri. Forse il mio tentativo di recuperare il mio matrimonio ha generato la sua indifferenza. Se mi credeva una ragazza più forte si sbagliava di grosso.

«Va tutto bene?» Mi domanda e per un attimo mi aggrappo all'illusione che me lo abbia chiesto perché, ancora, di me gli importa.

«Perché me lo domandi?»

«Sei in ritardo...»

Oh. «Sì, c'era traffico per strada.»

«Hai riavuto indietro la tua macchina?»

«Sì.»

La conversazione termina in questo modo patetico, permettendoci di metterci al lavoro su pratiche che non sono affatto semplici quanti credessi. Con la coda dell'occhio gli vedo leggere con attenzioni le frasi riportate, valutare i pro e i contro dei vari bandi di progetto per le future mostre e dare indicazioni agli altri colleghi che gli rivolgono domande, facendo appello a lui per situazioni troppo rischiose.

Sembra saperci fare e sicuramente la causa è la gavetta fornita da suo zio. Deve essersene già occupato in passato ma grazie al cielo l'ho fatto pure io, per cui mi è semplice il solo non chiedergli aiuto.

Nel marasma di gente attorno a noi, concitata nel muoversi in cerchio al margine di questo tavolo rotondo, con le spalle, le braccia, ci troviamo costretti a sfiorarci. I corpi, lievemente, si strofinano.

Una tortura messa in pratica da un dio beffardo.
Per ore vengo costretta a recepire il suo respiro contro il collo, la sua mano contro il mio fianco, il suo petto contro la mia schiena ed è così che ad un tratto chiudo gli occhi, supplicando che questo supplizio possa avere fine.
Specie dal momento che la tortura non sembrava essere reciproca.

Ethan si è dimostrato indifferente per tutto il tempo per questo fingo di mantenere la tranquillità quando i nostri polsi si sfiorano ancora in un tocco leggero, ma poi accade l'inaspettato: un semplice errore della ragazza alle mie spalle, l'erroneo spostamento del piede e della caviglia, risulta in grado di aggravare anche me portandomi di colpo contro il suo torace.

Atterrata tra le sue braccia, che senza esitazione mi hanno strinta, le mie mani si sono sorrette, di piatto, ai suoi pettorali e la testa è andata all'indietro, fissandolo negli occhi.
Solo ora, Ethan, mostra un'emozione che non sono in grado di esprimere. La sua mascella serrata, il suo sguardo visibilmente più pesante mentre le braccia rimangono morbide su di me, sorreggendomi.

Non ho nemmeno il tempo di dire niente, di chiedere  perdono o pronunciare anche solo una mezza frase di scuse. Si allontana, come scottato, da me per uscire fuori, nel giardino della società.

Ed ora mi trovo qui, a fissare la sua schiena mentre si distanza, certa di non doverlo raggiungere. Di non aver alcuna scusa per farlo.

Che torni il silenzio tra di noi, e che ci etichetti di nuovo come sconosciuti. In questo modo solo riusciremo a stare distanti.

Digito lenta, sulla tastiera, il mio rientro a casa, a seguito di un silenzio di messaggi con mio marito identificati dalle date del nostro distacco. Quando giungo di fronte alla porta ed una volta aperta non ho ancora la sua risposta.

Cerco di non darci troppo peso e mi occupo dei soliti gesti quotidiani. Controllare che sia tutto in ordine, con i panni sporchi già in lavatrice, prima di preparare la cena da consumare in solitudine.

Mi ha detto di non aspettarlo sveglia ma forse dovrei mettere sul fuoco qualcosa anche per lui, per qualsiasi ora rientri. Non è rimasto molto in casa ma posso arrivare ad improvvisare qualcosa.

Digito un ulteriore messaggio, per essere messa a corrente delle sue preferenze, ed in risposta ricevo un basso bip dalla parte opposta della casa.

Il suono del messaggio, non essendo ancora stato letto, torna a disperdersi nuovamente mentre mi avvicino alla stanza dove credo l'abbia abbandonato. Ed eccolo lì, sul suo comodino all'interno della nostra camera.

Non mi stupisco della dimenticanza, quando Michael è preso da qualcosa ci si dedica anima e corpo... ma un dubbio mi assale. Forse un sesto senso ma arrivo ad avvicinarmi a quell'apparecchio che riporta la notifica del mio messaggio insieme ad altri tre. Una pubblicità e due messaggi di testo, da una personaggio passato inseritosi nel nostro presente.

Emily.

Ho appena letto il tuo messaggio in merito al tuo matrimonio con Caitlin. Non ci sono problemi, il divorzio verrà annullato all'istante... ma sei sicuro che sia quello che vuoi?

E poi, subito dopo un altro, privo di qualsiasi ulteriore interpretazione.

Che cosa penserà Caitlin quando scoprirà che hai picchiato il suo amico? Dannazione, Michael, lo ricordo, quella sera eri fuori di testa. Lei non è la donna per te, lo sappiamo entrambi, non siete fatti per stare insieme. Noi lo siamo, non ricordi? Tre sere fa, la notte che abbiamo trascorso insieme non ti ha fatto provare niente? Vuoi dirmi, di nuovo, proprio come un tempo, che si è trattato solo di sesso?

Il telefono mi cade dalle mani e collassa a terra, assieme a tutte le mie speranze.

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