78- Il tango

"Perché il mio cuore piange?
Sensazioni che non posso combattere!
Sei libera di lasciarmi
ma allora non ingannarmi
e per favore credimi quando ti dico
che ti amo

Io che ti amo tanto, che farò?
Mi hai lasciato, mi hai lasciato in un tango nell'anima il mio cuore se n'è andato
non ho più voglia di vivere
perché non riesco a convincerti
a non venderti, Roxanne!"

Moulin Rouge - Roxanne

P.O.V.
Caitlin

Un ballo. È questo che richiede Lexie da me. Solo la partecipazione a un ballo, un festeggiamento per i  risultati raggiunti dalla compagnia.

Lascio scorrere le mani lungo il nero tessuto dell'abito che indosso ed osservo il mio riflesso allo specchio. Questa donna che mi corrisponde ha uno sguardo perso nel vuoto e le ossa delle clavicole più sporgenti del solito, a crearle un gioco di luci ed ombre sulla pelle.

Sarò presente a questa serata ma con che cuore? La tristezza lo attanaglia. Nei giorni scorsi, quest'ultima era stata stordita da una serie di eventi che l'avevano illusa, facendole credere di non fare più parte di me e invece, adesso, eccola qui.
Con la sua invidia è arrivata a modificare l'espressività del mio viso e ne ha mutato completamente i connotati.

Ricordare momenti felici non è un antidoto abbastanza potente da farla scomparire e ciò mi fa pensare all'impossibilità di allontanarla per sempre. Continuerà a vivere in me, nonostante tutti i sorrisi che Lexie mi rivolge, nonostante gli sguardi rassicuranti di Ethan... nonostante i discorsi di Reiner che mi tranquillizza, nel dirmi che non prova alcun dolore. Ma io vedo i tagli lungo il suo viso, i lividi lasciati... e per quanto non abbia la certezza riguardo chi glieli abbia provocati il pensiero di supporlo mi uccide.

Temo che il mio amico, come tutti noi, indossi una maschera al solo scopo di vedermi felice.
Non mi è utile affatto. Quando ci penso cado nello sconforto perché mi è inevitabile il supporre di dover qualcosa, a tutti loro... a tutti, tranne che a Ethan, a causa del rapporto che abbiamo. Si tratta di uno scambio, di continui confronti che riguardano solo noi. Nessun altro ha visto, ancora, le foto che mi ha scattato dunque nessuno è a conoscenza del suo miglioramento.
La strada che sta percorrendo spiana la mia... ma non ho ancora raggiunto il suo stesso risultato.

Quello che avverto è il costante pensiero che mi stia mancando qualcosa. Mi sento incompleta ed in certi momenti, specie quando sono sola, inguaribilmente triste.

Chino il corpo fino a terra, in modo da allacciare i flebili lacci dei neri tacchi alti, e poi torno di fronte allo specchio.

Manca mezz'ora all'evento ed io sono finalmente pronta. Quale maschera indosserò stanotte, per convincere i miei amici che vada tutto bene?

Credo di non avere più alcuna forza per ostentarla. Forse si dovranno accontentare solo della verità.

Il grande salone che accoglie il mio arrivo è il centro nevralgico di questo ex capanno industriale, ristrutturato al fine di ospitare eventi di questo tipo, e non ho modo di soffermarmi sulla sua bellezza. La mia testa rimane bassa mentre cammino al fine di raggiungere i miei amici che, come al solito, mi rivolgono un sorriso.

«Katrina, sei... bellissima» sussurra Reiner con un tono estasiato, fissandomi con gli occhi spalancati mentre ostenta un calice di champagne tra le mani. Mi approccio a un mezzo sorriso, facendo finta di non notare il livido stato del suo volto.

«Anche tu.»

E lo è davvero, nel suo abito grigio scuro particolarmente elegante, almeno quanto l'amica che cerca posto tra le mie braccia.

Stringo Lexy contro il mio petto e la supplico di perdonarmi. Per tutti i problemi dei quali la sto caricando assieme alla mole abnorme di preoccupazioni. La mia amica, nonostante tutti i suoi tentativi di apparire autoritaria, con me sorrideva molto. Ad oggi gliel'ho visto fare solo in rari casi, e per la maggior parte il merito è di Reiner.
È riuscito a subentrare nella trama della sua vita in un modo eccellente, quasi fosse parte di un piano sapientemente elaborato.

Con dolcezza la separo da me, in modo tale che possa prendere posto serenamente tra le sue braccia e dopo averle offerto la giusta dose di rassicurazioni che richiede, tramite uno sguardo, ho il diritto di voltarmi dall'altra parte cercando una via d'uscita alle loro domande. Ma proprio su quella strada si interpone Ethan.

Abbasso di colpo gli occhi, certa di non potergli sfuggire. Registro solo l'elegante colletto della sua camicia ed il doppio petto del suo abito scuro prima di fissare la punta lucida delle scarpe, priva di coraggio.

Non voglio crollare adesso, di fronte a lui. Sono stanca di sentirmi tanto patetica.

«Katrina...»

La sua voce, docile, sussurra il mio nome con la stessa tenerezza che impiegherebbe la sua mano nell'accarezzarmi il viso. Vivere nel conforto che offre sarebbe più facile di respirare, ma finirei per appoggiarmi a lui e non ho il diritto di farlo.

«Va tutto bene» dico solo, per poi scappare via. O meglio, allontanarmi con lunghi passi. Ho notato che mi manca il respiro nel muovermi troppo velocemente.

I muscoli non rispondono più alla volontà della mente, e si sono ristrettiti tanto da affilarmi le gambe con la sporgenza delle ossa lasciandomi a valutare l'impossibilità di usarli.

Appoggio una mano al tavolo dove servono gli alcolici. Sono così stanca da non sorreggermi in piedi.

«Mi scusi, posso averne uno?» Rivolgo la mia domanda al cameriere che se ne è preso carico e questo non se lo lascia ripetere due volte. In fondo, è il lavoro che deve svolgere per tutta la serata. Non sono certo la prima donna triste che si è ritrovato a servire, almeno per quanto riguarda la sua carriera.

Qualcuno sopraggiunge alle mie spalle e so già di chi si tratta, prima ancora di sentire nell'aria il suo profumo.

«Che cos'hai?»

«Non è niente...»

«Ti prego, guardami.»

Fortunatamente non ho modo di farlo. Una coppia di uomini si avvicina a Ethan per congratularsi dei suoi lavori passati. Sembrano conoscere molto della sua fotografia e vorrei restare ad ascoltarli se solo non sapessi che cosa mi aspetta, rimasta sola con lui.

Scivolo dall'altro lato della sala, sentendo la voce di Ethan affievolirsi e farsi sempre più lontana. Mi concentro, unicamente, sul rumore dei miei tacchi che percorrono l'intero profilo dell'ampia stanza, permettendomi di raggiungere l'angolo più isolato, mentre continuo a tenere stretto in una mano il mio calice.

Con la schiena appoggiata ad una delle colonne che divide questo spazio dalla hall di ingresso, posso beneficiare del suono dei violini provenienti dall'orchestra al mio fianco.

La loro melodia è struggente e predisposta a passare in secondo piano rispetto al brusio di sottofondo. Beneficio io sola dell'accompagnamento, e su queste eleganti note ripercorro la trama dei miei problemi.

Osservo l'archetto di uno degli artisti venir guidato, con maestria, lungo la corda di una lunga nota lasciando trasparire un dolore che, in realtà, è bellezza nella sua forma più sincera.

L'apice della sua agonia è un grido acuto... ma muore nello sfarfallio di note molto più basse che lo seguono.

Anche le mie emozioni hanno volteggiato al di sopra di quegli stessi suoni. Il mio grido di rabbia è stato l'apice di una sofferenza, vomitata sulla sabbia di una spiaggia messicana, ma le conseguenze sono state catene di altri, attentanti, urli minori che simboleggiano differenti stati del mio animo.

Mi sento triste, almeno quanto amareggiata. Sola, quanto compressa. Delusa, quanto codarda.
Scorro gli occhi su Reiner e Lexie che si stanno tenendo per mano, un gesto tanto piccolo quanto pieno di significato. Michael non lo ha mai fatto. Posava una mano, stringendola, sul mio gomito oppure applicava una leggera pressione sulla mia schiena. Mi rivendicava. Mi piaceva. Non era sbagliato. Era un altro tipo d'amore, più irruento, dentro il quale sono ancora intrappolata.

Sorrido, abbassando lo sguardo sul dorato contenuto del mio calice perché mi faccio pena. Figurarsi cosa provano per me gli altri. Forse pensano che sia una stupida ed infantile ragazzina che si è lasciata sfuggire un uomo tanto importante, l'unico che l'aveva saputa amare nonostante il disastro che era.

Non saprei cosa rispondere loro perché quelle maligne voci sono a conoscenza di una realtà che non posso negare: amo ancora Michael, e farsi la guerra in questo modo mi sta distruggendo pezzo per pezzo.

Se solo ci fosse un modo più semplice per evitare di provare tutto questo dolore, per far scomparire la preoccupazione dal volto dei miei amici, per permettere a Ethan di costruirsi una nuova vita adesso che è guarito del tutto dalle sue paure... lo accetterei.

Se solo esistesse un modo... avrei il coraggio di affrontarlo?

Avverto solo la pesantezza dei miei occhi appannati da un principio di pianto quando una mano afferra il mio bicchiere dal suo busto in vetro, permettendogli di giungere fino a terra per poi prendere la mia mano.

Vivo questo nuovo contatto, palmo contro palmo, e devo sbattere più volte le palpebre per metterlo a fuoco.

Michael sta camminando all'indietro verso la sala, tenendomi per mano, in un abito completamente nero che richiama la cromia del suoi capelli ed occhi.

Non posso impedire al mio corpo di seguirlo e così finisco per permettergli di avermi a pochi passi, mentre siamo al centro della sala.
La musica cambia e nell'aria, adesso, suona il ritmo del tango.

In un'altra vita avevamo preso, assieme, le lezioni per questa danza tanto romantica quanto struggente. Si trattava di uno dei suoi balli, o meglio dei suoi suoni preferiti come ricordava il nostro primo appuntamento, e dunque ecco la maestria nuovamente esposta dei nostri passi. Eccoci, di nuovo, qui. Su una pista da ballo e su di una melodia che ci richiede di avvicinarci l'uno all'altra, per ancora un'ultima volta.

Michael mi trascina fino a sé mentre i miei occhi, deboli, piangono ancora delle lenti lacrime.

«Come sei arrivato qui?»

Averlo così vicino, come non accadeva da tempo, dona incertezza alla mia voce. Sotto quelle iridi nere la mia mente dimentica completamente l'accordo sui termini della nostra distanza e soggiogata sembra chiedere adesso, in tradimento, di arrivare ancora più vicino per poter avere un po' del suo respiro.

«Immaginavo che avresti partecipato ad un evento del genere. Ho fatto il tuo nome alla ragazza all'ingresso... porti ancora il mio cognome.»

La sua mano è posata sulla mia schiena mentre i passi seguono il ritmo della danza. Si tratta di un gioco di gambe. Una volta fermo, un mio piede è costretto a sollevarsi lungo il suo polpaccio, per poi scalciargli vicino, dettato dal ritmo della musica.
Compiuto quel gesto, Michael mi attira ancora di più a se e per un lungo attimo le mie labbra e le sue rimangono prossime allo sfiorarsi.

Avverto il freddo del suo respiro, il caldo che risale lungo il mio corpo per addensarsi sulle guance e sono costretta a voltare il capo, per non soccombere.

Qualche altro passo di tango compiuto nel più crudele silenzio tra noi, mentre la corda di quel violino sibila demoniaca in quest'aria divenuta pesante.

«Mi era mancato, averti tanto vicina.»

Nemmeno so cosa rispondere. La verità ferirebbe entrambi in due modi distinti. A lui farebbe sgorgare il nettare della rabbia. A me, solo della paura.

«Perché stavi piangendo, Cat? Mi stavi pensando?»

«Sì» gemo.

«Allora perché piangevi?»

Con eleganza, i suoi gesti mi esortano a compiere un giro completo, prima che la sua mano mi tiri di scatto al suo corpo. Mi toglie il fiato e grazie ai primi bottoni sganciati della sua camicia intravedo una piccola cordicella nera dalla quale pende un piccolo anello: la mia fede.

Sollevo gli occhi verso di lui, trafitta dalla tristezza.

«La porto sempre con me» mi dice, facendo ripartire la danza che per una minuscola frazione di tempo si era interrotta.

«Stiamo divorziando» gli ricordo.

«E...? Non posso indossarla? Appartiene alla donna che ho amato più di chiunque, persino più di me stesso.»

La testa mi gira, e non a causa del tango che ci costringe a compiere veloci virate. Con le sue parole mi sta facendo del male e questo è il motivo per cui avevo richiesto che stesse lontano da me.

«Sono parole sbagliate...»

«È la verità» mi dice «ti amo ancora.»

Librando in aria la sua mano, stretta come è attorno alla mia, mi costringe a voltarmi per far urtare la schiena contro il suo petto.
Lexie e Reiner stanno parlando tra di loro, proprio di fronte a me, mentre la bocca di mio marito arriva tanto vicina al mio orecchio da far uscire la voce nel più piccolo sussurro.

«Possiamo ricominciare.»

Chiudo gli occhi, sentendo quelle parole rimbombarmi dentro. Ruoto di nuovo e stavolta mi scontro con il suo respiro.

«Ci siamo appena conosciuti» parte con il dirmi, mentre i miei occhi serrati vogliono credere a questa bugia che mi sta promettendo. «Proprio qui, in questa serata di gala. Ti ho notata subito entrando, con questo abito nero che accarezza le tue curve e con quel calice di champagne in mano.»

Se solo avessi indossato dei dorati gioielli, adesso questo racconto sarebbe stato identico a quel ricordo lontano di Michael, di fronte al mio quadro di filastrocca.

«Ho usato tutto il mio coraggio per farmi avanti ma ora eccomi.. ti ho raggiunta. Sei bella, ma la tua anima mi racconta altro, hai sofferto?»

Serro gli occhi. «Sì.»

«Non dovrai farlo più, allora, perché io ti proteggerò» sussurra e non posso vedere l'attimo in cui la sua bocca si posa sulla mia ma arrivo a percepirne la consistenza. Ferita, mi lascio baciare e in quel contatto riverso tutto il dolore che ho subito, tutte le lacrime assieme al desiderio.

Mi allontano l'attimo in cui i miei occhi si aprono e se lo trovano davanti. Lo stesso uomo dei nostri vecchi tempi, eppure completamente diverso.
Faccio per scappare ma me lo vieta.

«Non andare.» Il suo tocco è deciso e dolce allo stesso tempo, come il suo sorriso. «Non abbiamo finito di ballare.»

No, niente è cambiato. Arrivo ancora una volta a cedere e tornare tra le sue braccia, lasciando che siano loro ad offrirmi quel conforto che tanto promettono, accarezzandomi con amore.

«Quello che sto facendo è uno sbaglio.»

«Sei mia moglie... non dovresti trovarti da nessun'altra parte se non al mio fianco.»

«Michael....» ti prego, stiamo divorziando.

«Shh...» La sua testa si rifugia nel mio collo e vi prende dimora, così da nascondermi per alcuni istanti il suo viso di fronte alle parole importanti che sta per pronunciare.

«Questo ragno che tanto detesti ha tessuto la sua ragnatela ed è finito con l'intrappolarvisi. Non sei con me e sono tornato a non avere più un senso. Sei stata tutto ciò che di più buono mi è stato offerto dalla vita e non ho mai pensato di meritarlo. Sei l'impossibile, Cat, e non riesco ad averti.»

Un nodo molto stretto mi stringe la gola e non importa la stanchezza che sta avvertendo il corpo. È il dolore di quel cappio avvitato a costringerlo ancora a danzare, a compiere quei passi sfiancanti fino a sfinirsi.
Sono stanca ma niente è mai abbastanza, niente... se significa ballare ancora con lui.

«Voglio tornare nella tua vita, nei tuoi occhi. Fissami ancora con quell'azzurro color del cielo, guardami... sì, così, Cat, guardami.»

Finisco col perdermi. In quel nero inchiostro vive una profonda tristezza ma sembra rischiararsi nell'osservarmi.

«Mi era mancato così tanto.... Sono lo stesso uomo che ricordi, non è cambiato niente. So che rivivi costantemente quello che abbiamo vissuto, e che adesso conosci i miei sbagli. Conosci il lato più cattivo di me, lo stesso che non avrei mai voluto mostrarti perché me ne vergogno.
So essere egoista e pieno di invidia... la persona peggiore, in grado di ferirti, ma anche la migliore per amarti. Lo sai, questo? Te lo ricordi?»

«Non può tornare tutto come prima...»

«Non lo farà.»

«Michael...»

«Ti amo. Ti amo.»

Il mio cuore compie una veloce capriola. Nonostante gli anni passati, prova ancora qualcosa di intramontabile sentendolo pronunciare simili parole.

«Solo una volta» sussurra mio marito, fissandomi le labbra. «Ricorda a entrambi quelli che provi, solo una volta.»

Farlo è quasi impossibile. Che persona masochista riesco ad essere? So bene quanto quest'uomo sia stato in grado di farmi male ma sembra bastarmi la piega docile che hanno assunto i suoi occhi per farmi tentennare. Il motivo, forse, è che non riscontro alcuna bugia al loro interno e dunque evitare di cedere risulta impossibile.

«Ti amo» confesso e di colpo sulle sue labbra prende forma un docile sorriso. Mi adagio su quella culla che mi dondola, accogliendo il mio corpo quasi stesse sdraiato su uno spicchio di luna affianco ad un firmamento delle più candide stelle.

«Allora, Cat, possiamo ricominciare.»

«No, Michael...»

«Come hai vissuto questi giorni, lontana da me?»

«Male...»

«Io non riesco più a dormire... le poche volte che lo faccio mi sveglio di scatto e vedo che non sei più accanto a me. Eri il mio talismano, contro tutti i problemi.»

Questa parole sono tanto belle quanto, forse, piene di falsità. Mi intingo nel veleno, decisa a ferirlo a mia volta. Un gesto suicida.

«Ed è perché ti mancavo tanto che hai chiamato Emily?»

Le sue spalle si abbassano e tramite lo sguardo sembra sussurrarmi un "non farlo".

«Mi avevi messo alle strette, su quella spiaggia. Mi hai detto di trovarmi un avvocato ed io non volevo perderti... ho chiamato la sola persona che conoscevo, per essere certo di impedirlo.»

«Volevi che fossi gelosa di lei, così da tornare da te?»

«Volevo solo che ci ripensassi. E ti accorgessi di quanto ci amavamo.»

«Non ho mai dubitato del mio amore.»

«Non ho mai parlato del tuo ma del nostro.»

Un veloce movimento di gambe, la sua mano che di colpo afferra la mia coscia, portandola aperta sul suo fianco. I suoi occhi, dall'alto, neri mi guardano e scrutano l'aritmia del mio respiro, la reazione alla sua vicinanza.

«Gli altri non capiscono, non è vero? È qualcosa che in pochi arrivano a provare, qualcosa di unico. Non l'ho mai dubitato. Per questo non lo possiamo perdere. Il nostro amore è tanto grande da superare cose che altri credono impossibili. Ci considerano dei matti, perché non hanno idea di ciò che provochiamo l'uno all'altra... non hai mai avuto questa impressione, Cat? Che nessuno comprendesse le tue scelte?»

Marina sarebbe il primo grande esempio, ma non voglio parlarne con lui.
Abbasso la gamba e riprendo a ballare, distendendola per un breve attimo all'indietro a formare un piccolo semicerchio.

Michael mi osserva incantato e finita quella circonferenza vuole tornare ad avermi vicino.

«Non te ne parlo» gli dico a denti stretti e la mia rabbia provoca il suo sorriso.

«Non è importante, perché so che è così. Tutti i gesti che facciamo sono folli. Ci amiamo in un modo folle, Cat. Ci odiamo fino all'inverosimile... arriviamo a limiti infiniti, non ti accorgi? Come può una persona capire una cosa simile? Come può comprendere il motivo per il quale porto ancora questo anello al collo? Avresti fatto lo stesso, nel mio caso. Ti saresti addormentata sempre dalla mia parte, nel letto, solo per tornare a sentire il mio odore.»

Lancio uno sguardo alla sua espressione, chiedendogli se davvero lo stesse facendo. Dormire sul letto dal mio lato, intendo, e la mia curiosità pare divertirlo.

«Sì» risponde, semplicemente, senza alcuna domanda diretta. «Non sei stanca della rabbia che provi? Non vuoi tornare ad essere amata?»

Proibisco alla voce di rispondere, ma è tutto inutile perché, proprio come ha detto, viviamo una reciproca follia. E la pazzia scende, con costanza, a patti con l'inconscio. È inutile controbattere, perché i miei occhi sono solo un riflesso di ciò che sto vivendo e Michael lo attraversa, mentre inclina il mio corpo fino a terra in un lento casquette.

Rimaniamo per lunghi istanti in quella posa, tanto da provocare un leggero bruciore ai muscoli tesi del mio collo ma nonostante ciò non allontano lo sguardo. Non prima che possa farlo lui, ad ogni modo, perché se è una specie di sfida quella che mi lancia allora io non voglio mostrare indifferenza.

Quando mi solleva, il violino pronuncia la sua ultima lunga nota a termine e subito dopo ne consegue il silenzio.

Rimaniamo occhi negli occhi, con la mia fede al suo collo che brilla più del veloce lampo che gli attraversa le iridi in un attimo.

«Andiamo a casa.»

Ed è allora che la sua mano torna nella mia, trascinandomi via da questa sala. Via dalla tristezza. Via da questo senso di abbandono ma anche dagli amici che fino ad adesso mi hanno protetta.

Reiner e Lexie non mi stanno guardano ma non posso evitare loro di rivolgere loro una semplice frase, sperando che la odano.

Mi dispiace.
Spero che possano essere felici senza di me e tutto il dolore che provoco.
Forse, proprio come dice Michael, non potranno capire e mi giudicheranno un'insensibile... ma non hanno idea del controllo che mi sta trascinando via da questa stanza... e dalla sola persona che si è accorta di tutto, fin dall'inizio.

Ethan mi sta fissando e per lui non ho parole. Non ho alcun pensiero coerente da poter comunicare ma solo un'espressione contrita che lo supplica di avere pietà. Di dimenticarmi, se ci riesce.
L'incubo è quasi finito e presto potremmo tornare tutti alla nostra vita.

E l'unico modo per farlo è nascondere sotto il tappeto di sabbia, di queste terre, la polvere dei nostri sbagli, affinché il mare la inghiottisca e finisca per disintegrarla, una volta e per sempre.

P.O.V.
Ethan

Katrina se ne sta andando. Sta abbandonando, mano nella mano con suo marito, questa sala piena di musica e gente che adesso... si fa di colpo silenziosa, vedendo il mio collasso.

Il suo volto, la sua espressione piena di pianto, non mi abbandoneranno mai. Sembrava chiedermi scusa. E di cosa? Ha idea di come mi senta adesso?

Mi manca il respiro.
Disfo il nodo della cravatta e supplico i due uomini che mi hanno sottratto da lei di lasciarmi andare, ora.
Ho bisogno di aria. Di gridare quanto più forte possa essere possibile.
Ho bisogno di sfogarmi fino a che del mio male non ne rimarrà più niente.

Il tempo è tornato ad essere più mite e proprio quando non desideravo il suo ritorno l'afa appesantisce nuovamente l'aria impedendole di filtrare dai polmoni.

Dietro gli occhi rivedo il loro ballo, le mani di lui che la accarezzavano.

Sbatto una mano contro il muro, per sfogarmi, e me ne pento un attimo dopo.

La scorsa notte, su un telo bianco, aveva ballato con me in libertà.

Io non sono così e quello a cui sto pensando... è qualcosa di immensamente sbagliato, lo sa anche Katrina.

Possibile che io non impari mai?

Sorrido nella notte mentre sento il mio corpo venir fatto a pezzi. Mentre rivedo le mani di lui lungo la sua gamba, quel bacio che l'aveva portata a ritrarsi.

Nemmeno posso pregarla di non farlo.
Si tratta di suo marito, che diritto ho di sentirmi così?, dell'uomo che ama ed è giusto questo mio senso di vuoto. Mi ricorda il luogo al quale appartengo, quell'obbligo pieno di pareti create dalla mia confusione. Dalla paura, dalla rabbia, dalla tristezza che mi hanno impedito di giungere fino a loro e trascinarla via.

Io non ne ho il diritto.
Non posso dirle cosa deve fare.

E non voglio farlo, ma dannazione... fa così male.

Ripercorrere i propri sbagli e riviverli, sentirsi ancora una volta allo stremo delle forze.

Vorrei tanto urlare contro questo muro ma il dolore della voce mi ritornerebbe contro.
Vi poso dunque la fronte e chiudo gli occhi, tentando di ragionare.

C'è un assoluto silenzio ed il cuore tenta di rimanere calmo quanto il mio corpo, ma è stato così tanto sfruttato da non essere più certo di governare sulla mia anima.

Quando Lexie mi raggiunge mi trova esattamente così e con la poca forza di volontà che mi è rimasta mi volto su un fianco, in modo da appoggiare una spalla lungo questa parete di cemento e darle al contempo le spalle.
Non voglio che veda la mia pena o che ne provi una squallida compassione.

Non ho mostrato a nessuno il mio volto in certi momenti, solo a Katrina.
Credo di non essere pronto a mostrarlo a nessun altro, credo di non volerlo.

«Eth, hai visto cosa ha fatto Katrina?»

Taccio per dei lunghi istanti, provando a regolare la mia voce.

«Se ne è andata, Lexie.»

La mano di lui sulla sua gamba nuda, mentre il vestito, a causa del loro ballo, si scosta... la sua bocca premuta contro quella di Katrina.

«È tornata da suo marito, non capisci? Ha rinunciato alla causa di divorzio... non dovremmo più cercarla.»

La tristezza che indosso, al momento, mi getta a terra ma sono abituato a vivere sotto il suo peso. Quello che ero arrivato a sperare era che almeno Katrina non si ritrovasse a fare lo stesso, ed eccomi accontentato.

Almeno uno di noi due, forse, riuscirà ad essere felice.

P.O.V.
Caitlin

Il luogo che mi accoglie è quasi impossibile da riconoscere. I suoi spazi sembrano notevolmente più grandi e le luci troppo scure per illuminare, se pur parzialmente, la nostra vecchia casa.

Non avevo mai trascorso un tempo tanto lungo fuori da qui ed ora... eccomi tornata.
Michael torna a prendermi per mano e mi perdo, verso la sincerità di un gesto spontaneo che ci trascina fino alla camera da letto.

Subito mi irrigidisco ma la sua voce mi tranquillizza, in un orecchio. La solenne promessa di un ritorno che non avrei mai sperato.

Le sue dita giungono fino alla calotta del mio soprabito e lentamente me ne privano, lasciando questi scivolare lungo le mie nude spalle.

Avverto freddo e come la sensazione di stare ancora danzando.
Una lieve musica pare riempire l'aria ed è fatta di crepitìi, di attese palpabili, di un bisogno che è rimasto immutato.

«Questo posto era vuoto, senza di te.»

Quanto tempo è passato dall'ultima volta che mi ha pronunciato frasi tanto belle?
Credo che il mio leggero timore sia causato anche dalla loro riscoperta: hanno sempre generato una reazione distruttiva in me, figurarsi in un momento del genere.

Lo stesso in cui la sua bocca riempie di baci quel breve tracciato che unisce la mandibola alla mia spalla, scivolando lungo la curva del collo e respirandomi addosso parole cariche di promesse.

E capisco che era inevitabile. Sarei tornata da lui. Sarei tornata in questa casa, nonostante tutta la volontà possibile perché non c'è altra via.

Nonostante la pena per se stesso, questo ragno non può non essere entusiasta della sua enorme trappola e di sapere con certezza di non essere il solo ad esservisi incastrato al centro.

Siamo insieme, mentre le sue mani mi percorrono la pelle nuda, scivolando dai seni all'addome e portandosi dietro il vestito.
Non ho più alcuno scudo mentre, alle mie spalle, lo sento giocare lento con il gancetto del mio reggiseno.

Chiudo gli occhi, arrendendomi a queste carezze e decidendo di credere loro.

Non ha mai conosciuto una donna come me, mi ama, non ha mai visto una pelle più bella, un corpo che potesse rispondere al suo in una simile sintonia.

Gli credo, ed è una mia scelta. Perché l'uomo che ho alle spalle è un uomo capace di apparire tanto grande mentre, nel profondo, proprio come me sta tremando.

È fragile, commette un mondo di errori. Fa a gara con i miei ma ha dimostrato di amarmi, almeno in passato così come adesso, mentre inizia a fare l'amore con me tramite le parole.

Tutto può tornare al proprio posto e questa assurda situazione rimanere solo una parentesi nera tra i ricordi della nostra anima.

Può andare tutto bene, penso, mentre mio marito nudo sopra di me, stesa su questo letto, si infila un preservativo e mi guarda negli occhi, assicurandomi che non ripeterà più lo stesso errore dell'ultima volta.

Le mie labbra sono umide dai suoi baci ma la mia gola è secca, arida di parole, nel momento in cui china la testa verso la mia baciando la mia voce. Promettendomi una dolcezza che si traduce anche nel movimento del suo corpo, mentre si incurva ad arte.

Sollevo le braccia e le intreccio attorno al suo collo, attirandolo più vicino a me, perché se è così che deve essere allora così sia.
Non sono riuscita a trascinarlo nella mia luce, non sono stata abbastanza forte da combattere una guerra che mi ha vista distrutta prima del mio nemico, non sono stata capace di sentire l'odore dalla terra bruciata che mi creavo attorno distruggendo, nella mia lotta, chiunque fosse a tiro.

Adesso non resta che precipitare nella sua oscurità e imparare a viverci, stabilire delle regole ed illudersi che possa andare bene.
È come essere ciechi l'ignorare le pareti nere che si stanno costruendo attorno a noi, ma cos'è l'amore se non cecità?
Il nostro tango è dolore e passione, è desiderio di non essere divisi mai.

È la resa da parte di chi, per primo, aveva tentato di combattere una follia inconcepibile. Un amore considerato da molti incontrastabile.

Dunque, tanto vale arrendersi. Il mare contro cui sto lottando è una corrente troppo forte ma ho scelto io di nuotarvi. Ho concesso io, al suo corpo, di entrare tanto in comunione con il mio e di scavare in me, alla ricerca di un reciproco piacere, mentre gocce di sudore si addensano ai margini e simboleggiano il reciproco sforzo compiuto nel combatterci.

Sono stata io a farlo, e lui mi aveva corrisposto.
Solo adesso siamo completi.

Io e mio marito siamo destinati ad essere una cosa sola. In salute e in malattia. Nella buona e nella cattiva sorte.
Finché morte non ci separi.

P.O.V.
Michael

Non c'è tradimento dietro le palpebre serrate quando il suo corpo mi risponde così, con piena dolcezza di resa.

Non c'è affronto mentre le sue labbra si arrendono e mi rubano il più passionale dei baci.

È mia moglie che sto amando. Caitlin è nel mio letto e questo non è un sogno. L'incubo è finito, ed il mondo si riempie di accesi colori.

Dannazione, diventa tutto così bello. E l'amore è esaltazione, e la gioia una piacevole follia.
Torno ad essere un bambino ma stavolta, rispetto al mio passato, tutto mi è concesso, ogni singolo regalo.

Ho il bene più prezioso della terra perché lei mi ha detto di amarmi, me lo pronuncia persino ora, a un passo dall'orgasmo con le lacrime agli occhi.

Dannazione, la amo. E se vivere nel paradiso del suo cielo azzurro significa dover smarrire se stessi nel raggiungerlo allora ben venga la follia.
Ben venga quest'istinto che ho nel serrarla più forte, nel combattere per riaverla, nel dichiararla mia e di nessun altro, neppure di se stessa, perché nessuno la ama tanto quanto me.

Avanti, Caitlin, dimostrami quanto sei brava. Quanto sia sincera la tua resa.

I capezzoli tesi e il corpo arrosato parlano per lei ma non basta. Voglio, ancora, un altro ti amo.

Non troverò pace finché la sua voce, rotta dalla disperazione, non arriverà a pronunciarlo.

Per cui, nonostante lo sforzo estremo del mio corpo, continuo a spingere nel suo sfogando il bisogno di una risposta sincera.

Mi abbandonerà mai?
No, no, mi dice che non lo farà. Rimarrà al mio fianco, ora e per sempre.
Dio, grazie al cielo.

Mi mentirà di nuovo?
Mai, mai più. Ma posso prometterle lo stesso? Faccio finta che sia così, perché le parole mancano e non posso che pronunciare un veloce sì.

E che cos'è, che prova?

«Ti amo... ti amo, Michael.»

Gli occhi le si serrano ed il corpo si irrigidisce, spianando la strada a quel piacere inevitabile per le fa serrare il corpo all'inverosimile, stringendomi a se nell'agonia.
E riversandomi in lei non ho più pensieri da offrire, ne parole.

Il mondo è sfocato e dietro le tende il mare infuria tempestoso, a ritmo con i nostri respiri concitati quando, terminato questo idillio, ci fermiamo stanchi, senza parlare.

Non c'è peccato in quello che provo. Caitlin smacchina ogni possibile colpa, e aprendo gli occhi nei miei sembra promettermi di essere capace di perdonare anche i peccati futuri.

Quale incredibile bellezza, quale miracoloso angelo...
Caitlin mi è stata donata dal cielo quando più ne avevo bisogno e in lei vivo un sogno insperato.

Ho raggiunto l'impossibile ed adesso sono parte di esso, colmato in tutte quelle mancanza che hanno causato fessurazioni ad un'anima instabile ed a un cuore troppo innamorato da impedirsi di combattere.

P.O.V.
Ethan

Punte di scarpe strusciano sul pavimento in una lenta agonia, battendo poi un colpo a simboleggiare il cambio di ritmo. La dama viene afferrata con più forza dal cavaliere e non c'è più alcuna via d'uscita per lei.

C'è mai stata?

Gli invitati stanno continuando a danzare ma hanno solo il mio paio di occhi a fissarli ostili ed in disparte, ristrettì dai muscoli facciali in un principio di smorfia.

Non posso farci niente, stanno continuando a ballare...

La mano di uno dei ballerini si serra, con forza, sul polso di una delle ragazze così da ottenere la spinta necessaria a farle volteggiare.

Non mi compete; non è mio questo ballo, per cui mi volto e scivolo via da una visione che sta mandando a pezzi il mio cuore.

Non mi posso intromettere, non mi compete. Non è mio il diritto.

Ma me ne devo andare, perché un cuore giovane avrebbe sopportato con sufficienza la scossa ad alto voltaggio, specie se non ancora ferito.

Il mio, invece, richiede una dura lotta di ripristino continuo perchè nessuna scarica elettrica è in grado di riportarlo in vita e sopravvive, come un freddo lapideo, al centro del mio petto senza pulsare un attimo.

Devo mostrargli pietà, annegare la parte di me che vorrebbe controbattere. Tornare in quella sala e gridare.

Perché?
Perché si sono presi tutto. Perché mi hanno fatto a pezzi.

Mi sento solo su una spiaggia con un revolver puntato sulla tempia, ma stavolta non è il comandante dell'esercito a puntarmi quell'arma.
Sono stato io a farlo, complice innamorato di tutte le sconfitte che ho vissuto.

Premo quel colpo in canna ed uccido quell'uomo rimasto inginocchiato sulla sabbia, pieno di speranza.

Niente di lui è rimasto e chiedo perdono a Naijya per averlo perso, maledico me stesso per avergli permesso di sopravvivere e supplico altri occhi affinché non lo riportino in vita.

Non avrei la forza necessaria per farlo sopravvivere... seppure, quel bastardo, rinasce in un altrui respiro.
Che non ci sia più amore da dargli.
Nè alcun paio di occhi.
Nè gesti immortali.

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