75- Ricordi di gentilezza, ferite di rabbia

P.O.V.
Caitlin

Vorrei che il destino fosse più clemente verso le persone che si vogliono bene. Mi piacerebbe pensare che nella vita mia e di Evie ci fosse già stato scritto il capitolo della nostra ricongiunzione ed al contempo desidero sperare che non avvenisse così.

Per strada, di fronte al tribunale, mentre ci teniamo strette l'una all'altra in un abbraccio che torna a donarci il respiro. Sento il profumo sulla pelle di Evie e vorrei piangere per la presenza della mia amica più instabile al mio fianco. Desidero maledire l'avvocato che l'ha portata fino a me e rassicurarle che non può più accaderle niente, niente di male.

«Pulcino...» sussurra la sua voce al mio orecchio, e d'impulso l'abbraccio più stretta, scoppiando a piangere.

«Mi dispiace... mi dispiace, Evie, mi dispiace...»

«Shh, non devi preoccuparti di niente, calmati. Sono qui, con te.»

La sua mano mi accarezza i capelli ed io tremo, sentendomi cullata dalla donna che avrebbe bisogno di amore più di qualsiasi altra. Non voglio che si trovi qui, voglio che si salvi, che se ne vada lontano.

«Avanti, Katrina, non piangere.»

Il problema è che non sono in grado di impedirlo. Vengo scossa da un profondo singhiozzo quando mi trovo a sollevare la testa e cadere negli occhi di lei. La paura è scomparsa, adesso. In loro non viene covata che la tristezza, mista al rimpianto.

«Ti prego, andiamocene da qui» le sussurro piano, in modo che il mondo non senta.

«Dobbiamo aspettare il tuo avvocato...»

«No» l'avvocato ha sbagliato. «Ti prego, andiamo via.»

Montare sulla sua auto è come tornare a respirare la libertà. È desiderare che il suo piede prema sull'acceleratore e mi trascini via da questo inferno... ma non posso scappare. Le indico la strada verso la casa di Lexie e la raggiungiamo. Torniamo ad occupare l'ultimo luogo che mi è rimasto come rifugio, riempendolo di parole contratte.

«Evie... Evie, mi dispiace, i-io... io...» la voce si spezza, chiudendo la frase come si chiude la porta di casa vincolandoci all'interno. Il cuore va in tachicardia ed il petto mi si solleva ed abbassa in fretta, vittima di un panico che è la mia amica a scongiurare, chinandosi verso di me dai suoi tacchi alti per raccogliere i miei cocci.

«Pulcino, prendi un respiro profondo. Parlami con calma, non abbiamo fretta. Non vado da nessuna parte.»

Purtroppo, è questo il punto. La nostra amicizia la costringe a rivivere un incubo che si è lasciata, da molto tempo, alle spalle, ed io non posso permetterglielo. Quando camminava per strada, da sola, sotto i commenti squallidi degli uomini che le passavano vicino, io non le ero vicino. Io... odiavo quello che aveva fatto, mentre vivevo dall'altra parte del mondo ignara e ora lei non può darmi il suo appoggio, non può rivivere tutto da capo.

«No, Evie, devi andartene da qui.»

«Cosa stai dicendo? Sono qui per il processo...»

«Non è niente che ti riguarda!» Urlo sul suo viso, e la forza della mia voce le fa strabuzzare gli occhi. La paura mi fa tremare ed arrivo a contrarmi in me stessa, vittima di me come di nessun altro. «Non è niente che ti appartenga» sussurro, e detto ciò scivolo fino a terra, facendo i conti con il pavimento gelido.

Evie rimane in piedi, sopra di me, lasciandomi da sola a disprezzare il carattere patetico che ha assunto la mia anima. Sono così diversa da lei, così ridicola al suo confronto...

«Ehi, guardami» sussurra ad un tratto, e mi accorgo che è chinata alla mia altezza adesso e mi sta fissando negli occhi. In un primo momento vedo sfocato il suo volto ma poi questi assume, nuovamente, chiarezza e mi permette di reggere il suo sguardo.

«Evie... ti prego, vattene da qui... non voglio coinvolgerti in tutto questo, promettimi che non testimonierai.»

Ringrazio, solo adesso, il cielo che Michael non fosse presente a quell'udienza. Evie, però, esita, incerta di fronte alla mia richiesta.

«È questo quello che vuoi?» Annuisco, lenta, mentre tengo le gambe strette al petto e le braccia a circondarle. «Perché?» La risposta non è improvvisa e la certezza che mi avvince la costringe a formularmi di nuovo la domanda. «Perché, Katrina?»

«Perché questo non è il tuo dolore. Si tratta del mio» e non devi più rivivere niente di quello che Michael ti ha fatto.

Evie tace ma percepisco dai suoi occhi, ancor prima che dalla sua voce, la sua resa. «D'accordo, ne rimarrò fuori se è questo che vuoi... ma almeno per oggi permettimi di rimanere al tuo fianco, voglio sapere cosa sta succedendo.»

«Sto divorziando da Michael» dico con un sola dose di fiato, riuscendo a malapena a sussurrarlo.

«Ti ha fatto qualcosa?»

La testimonianza di Stephany decide di tornarmi alla mente proprio in questo momento, rievocando le parole che aveva speso a suo favore ed unendosi anche al discorso di Ben. Il loro fervore, la loro certezza... il modo in cui mi hanno fissata.

«Io... non lo so più» gemo, ed è allora che le braccia di lei tornano a stringermi, facendomi rendere conto di non avere più lacrime.

«Ci sono qui io, non devi avere più paura di niente. Sei con me, Katrina, puoi dirmi tutto.»

Sì, posso farlo, perché lei ha vissuto il mio stesso inferno. La domanda è una sola, però, e mi distingue in un contrasto netto da Michael; sono tanto egoista da approfittarne?

Ormai non so più da quanto tempo siamo rimasti in silenzio. Credo che i minuti non siano identificabili solo dal meccanico spostamento della lancetta dell'orologio ma che si sia sovrapposto, al nostro, l'arresto di un ulteriore universo che ci ha obbligate a tornare a vivere dall'istante in cui ci siamo lasciate.

«Questo è il momento in cui devi raccontarmi tutto, pulcino, partendo dall'inizio» mi avverte, per mettere fine alla serie di elucubrazioni che mi stanno trainando alla deriva.

«Abbiamo iniziato a litigare, più del solito, a causa del mio lavoro. Credo che sia complicato sintetizzare tutto ciò che è successo, ma Michael ha provato a mettermi incinta, come ultima mossa, per avere il controllo su di me ed assicurarsi che restassi in casa con lui per sempre.»

«Non ha messo il preservativo?» Mi domanda, e annuisco lenta. Le unghie si conficcano, con la stessa forza che hanno avuto contro il braccio dell'avvocato, nel legno al di sotto di questa sedia, lasciando il mio corpo accartocciarsi nel dolore, mentre è di fronte al suo. «Dimmi, almeno, che gli hai trasmesso l'hiv» mormora, in un divertimento macabro mentre rimane rigida con la schiena contro la sua sedia, a me di fronte.

«Questo non lo so. Quello che è certo è che non sono rimasta incinta. Ho preso la pillola del giorno dopo ed eccoci arrivati qui.»

Un breve silenzio accompagna questa frase, ma Evie è decisa a non lasciar sopravvivere nessun mistero tra noi. «Dove ci troviamo?»

«In casa di una mia amica, e collega.»

«Hai seguito il consiglio di Sebastiaen, non sei rimasta sola. Una mossa saggia.»

«Lo è stata davvero? Perché è proprio da sola che continuo a sentirmi, ogni volta che penso a questa causa.»

Non sa come rispondermi e non ha il tempo di farlo. La porta si apre rivelando Lexie di ritorno, ed ogni nostro ulteriore discorso viene intrappolato nell'aria.

Mi sollevo in piedi il tempo che occorre a Lexie di giungere fino a me, e di prendermi tra le braccia visto lo stato in cui mi trovo.

«Ehi... Katrina, come è andato il processo? Hai divorziato?»

Lo dice contro il mio orecchio ma Evie riesce a sentirla, e fortunatamente comprende anche di dover rispondere al posto mio.

«No, ha voluto che il processo fosse rinviato.»

«Per quale motivo?»

«A causa mia, temo» dice in un mezzo sorriso che mi costringe ad allontanarmi da Lexie per fissarla con aria di rimprovero. Non ho voglia di litigare, o che qualcuna di noi si assuma colpe che non ha.

«Non provarci nemmeno...»

«Vuoi lasciarmi scritta una lista di cose che posso fare? Sta diventando davvero ingestibile la giornata» commenta, divertita, ma non mi lascio avvincere purtroppo dal suo finto buonumore.

«Noi ci conosciamo?» Domanda Lexie in direzione di Evie.

«Temo di no. Piacere, io sono Evie. Scusa se mi sono presentata qui senza preavviso, ho accompagnato Katrina» le comunica, tendendole la mano destra per porgerle la stretta di questa prima conoscenza. Lexie le dedica un sorriso e si appropria della mano con piacere, solida come è in ogni sua certezza.

«Ogni amica di Katrina è mia amica. Avanti, accomodiamoci. È quasi ora di cena, avete mangiato qualcosa?»

«Proprio niente, ho cercato di raggiungere questo luogo in tempo per il processo.»

«Allora preparo qualcosa. Magari la tua presenza metterà di buon umore anche Katrina, facendole tornare a mettere qualcosa sotto i denti» commenta, allontanandosi per dirigersi in cucina ma non deve sperarci troppo.

Quello che è successo mi ha tolto, ulteriormente, l'appetito e non mi rimarrà che tornare a fingere. Posso augurarmi solo che questa piacevole, ed insolita, conoscenza tra due amicizie importanti della mia vita fiorisca tanto bene da non accorgersi di ciò che mi sta appassendo, e mi sta portando ad un silenzio costretto, sempre più facile da abitare.

L'ultima volta che mi sono trovata a condividere questo balcone è stata la notte in cui Ethan mi aveva sfiorata.
Da allora non ci avevo messo più piede ed ora eccomi di nuovo qui. Sulla stessa sedia, ma in compagnia di Evie che sta osservando le macchine scorrere veloci, in questa nera notte.

Dal momento in cui ci siamo accomodate non abbiamo detto una sola parola, e l'unico rumore è stato il respiro della città accompagnato dalle pulizie che Lexie ci ha obbligato di lasciarle, da sola, fare. Non mi è stato difficile accordarmi a questo lieve sottofondo, e avrei creduto di potervi rimanere connessa tutta la sera, almeno prima dell'arrivo di Lexie.

Con un sorriso esausto, la mia amica ci raggiunge e decide di appoggiarsi, con i reni, al lato della balaustra più corta per poterci fissare entrambe con la dovuta vicinanza.

«Sei sicura di non aver bisogno di una mano con qualcos'altro?» Le domando, ma assolve ogni mio tentativo di mettermi a disposizione.

«Non preoccuparti, ho già sistemato tutto. Tra poco vi lascio sole a discutere per conto vostro, immagino che abbiate molto da raccontarvi.»

«Dove vai?»

«Ethan mi accompagna da Reiner, in un locale. Non mi è rimasto molto carburante alla macchina, e prima di decidermi a fare il pieno si è offerto.»

«Sempre più deciso a farvi da Cupido» affermo, in un mezzo sorriso.

Evie volta la testa di me, ed analizza quella curvatura assunta dalla mia bocca. Lexie, invece, sbuffa divertita.

«Credo che sia fin troppo felice di vederci insieme. Dice di averlo sempre saputo, e che aspettava solo che ce ne accorgessimo, da soli, entrambi.»

«Chi è Ethan?» Interviene Evie, in una domanda lecita.

«Un nostro amico» risponde, prontamente, Lexie, ma io correggo il tiro.

«Un amico di Lexie e di Reiner, da molti anni. Io l'ho conosciuto da poco.»

«Eppure è molto più rilassato nel parlare con te che con noi...»

«Questo perché entrambi gli fate domande troppo impertinenti.»

«Poco importa, basta che ci sia uno di noi a capirlo» commenta, accendendosi una sigaretta distrattamente, presa dalle sue riflessioni. «E voi vi capite molto bene.»

Evie osserva la mia amica con uno strano distacco, passando gli occhi sulla sigaretta e sulla lieve luce che emana all'estremità, nel cupo sfondo di questa notte senza stelle.

«Perdonami, Lexie» parte con il dire, in un tono di voce particolarmente sommesso, che non le ho mai sentito utilizzare, «ma se non te lo chiedo io temo che Katrina non lo farà mai. Puoi allontanarti, leggermente? Il fumo le fa male.»

No, non glielo avrei mai e poi mai chiesto.

«Evie, è casa sua, può fumare dove vuole, non è un problema» commento, tremendamente a disagio di fronte a questa richiesta ma Lexie pare non sentirmi.

«Hai ragione, io... non ci avevo pensato, Sneg, perdonami» mi dice, rifugiandosi nell'angolo più lontano di questo balcone, terribilmente distante da me.

Non volevo questo... anche se faceva male, la sua presenza vicino, non avrei voluto privarmene.

«Questo mi fa pensare che anche tu sappia della sua malattia» commenta a un tratto Lexie, nel suo angolo sperduto di mondo.

«Sì, è così.»

«Un vero sollievo, nessun altro ne sa niente e stava diventando pesante da nascondere!»

Non me lo aveva mai detto, ma forse è la possibilità di parlare con un estraneo o di farlo allo sguardo di Evie a rendere più semplice tutto.

«Sono convinta che suo marito lo sappia, e che questo non gli abbia mai impedito di continuare a farlo» risponde velenosa, ma io non do modo al suo odio di attecchire. Non parlerò male di mio marito, nonostante le mancanze che ha avuto nei miei riguardi.

«Credo che Ethan sia arrivato» dice Lexie, sporgendosi leggermente indietro con la testa per osservare la strada. «Aspettate qui, lo faccio salire.»

«Potresti scendere tu» le suggerisco, ma non vuole darmi ascolto.

«È ancora presto!»

E detto ciò, scompare all'interno della casa per poter aprire al citofono. Io e la mia compagnia di silenzi rimaniamo, invece, immobili ad attendere la serie di concatenati eventi che hanno portato alla creazione di questa serata.

Non ho idea di quando ripartirà, dunque la scelta migliore sarebbe prepararsi gli argomenti da affrontare per non farmi trovare impreparata.
Sono trascorsi molti anni ed in essi sono stati contenuti così troppi problemi da non poter essere esternati, senza conseguenze, in questa notte così silenziosa.

Forse, vorrebbe che raccontassi, eppure sa benissimo che non lo farò.
Mi piacerebbe far vincere il silenzio per queste ore.
Passare la notte accanto alla mia amica ferita, ma non vinta, ed osservare con lei questo solo attimo di pace.

In fondo, le migliore amicizie si firmano nei silenzi e quello che ho avuto con Evie non l'ho avuto con nessuna.

Odio, rispetto e gelosia allo stesso tempo. Un po' assomiglia a ciò che ho vissuto con Michael, e forse il motivo è che anche Evie è una parte di lui, per quanto lo possa odiare.
Il vecchio Jeremy ha vissuto all'ombra di mio marito ed Evie è finita per assorbirlo... un processo tremendo, che l'ha lasciata priva di forze ma che ora mi consente di farle vedere quello che non riesco a mostrare ad altri, a causa di quel gioco di riflessi che mi illude di riavere indietro Michael, anche solo per poco.

Sono in grado di reggere un confronto con entrambi? Evie e Michael sono una combinazione indistruttibile, capaci di averla vinta su tutto, ed è come se possedessero anche le stesse espressioni.

Ruoto il capo verso di lei e noto immediatamente il modo in cui contorce le labbra, presa dall'impazienza.
Anche Michael lo fa. Senza accorgersene lascia alla bocca il consenso di muoversi con autonomia, ferendogli il volto con atteggiamenti simili alla sconfitta.

Ogni pensiero si disperde non appena sento la voce di Ethan raggiungere il soggiorno.

«Sei pronta? Possiamo partire?»

Socchiudo gli occhi, lasciandomi cullare dalla dolcezza della sua voce e sperando che, dopo una giornata simile, sia in grado di portarmi a largo.

«Non ancora, ho gli ultimi ritocchi al trucco. Nel frattempo puoi aspettarmi sul balcone, Katrina è lì con un'amica.»

Non sento sopraggiungere alcuna risposta. Forse è bastata un suo sguardo particolarmente eloquente a far battere Lexie in ritirata ma non posso saperlo.
Avverto solo il ritmo veloce dei passi di lei allontanarsi, lasciando noi tre soli.

Passo entrambe le mani sul viso, passando con forza i polpastrelli sulla fronte.
Vi sono rimaste, ancora, le piccole macchie rosse sulla pelle a seguito del mio pianto e sono certa che se le vedesse si accorgerebbe subito del mio stato. Non voglio che qualcun altro si preoccupi e lui è fin troppo bravo a capirmi.

Quando sono certa di averle seriamente cancellate prendo un profondo respiro, attirando di più a me la pesante coperta che tengo sulle gambe, in modo da riscaldarmi da questo freddo insolito e sono consapevole di star compiendo il tutto sotto lo sguardo di Evie.

Non ho tempo per soffermarmi sui suoi pensieri, o meglio non voglio averne. Sollevo semplicemente la testa verso sinistra, in direzione del punto in cui immagino comparirà la sua figura... ed attendo con insolita speranza il suo arrivo.

Dei biondi ricci, degli occhi chiari ed un sorriso gentile si affacciano sulla scena dipinta dai colori del silenzio per potersi approcciare a me con la dovuta precauzione.

«Ciao...» mi sussurra.

Basta la sua voce a far scomparire tutti i cattivi pensieri ed a tornare a farmi sorridere, vittima della dolcezza.

«Ciao...»

«Posso aspettare qui con voi? Lexie non ha ancora finito di prepararsi.»

«Certo, vieni pure» gli dico, incitandolo a sedersi alla sedia al mio fianco.
Non si fa pregare due volte e non mi sorprende che, appena seduto, le sue buone maniere prevalgano.

Tende la mano in direzione della donna al mio fianco, sorridendole calmo.

«Piacere, io sono Ethan.»

Nella notte, la mano della mia amica si solleva, lasciando tintinnare leggermente i bracciali che porta al polso per ricambiare la cortesia della stretta.

«Io Evie, e ho appena risolto il mistero della serata» commenta, lasciandomi un veloce sguardo. La fisso senza capire, rifiutando qualsiasi tipo di sua eloquenza. «Mi sono chiesta per tutto il tempo dove avessi visto Lexie, e poi viene nominato il nome di Reiner. Subito dopo compari tu ed ecco uniti i puntini. Credo che ci siamo già conosciuti, è possibile?»

Attendo la risposta, vittima adesso della curiosità.

«È possibile, dove di preciso?» Domanda lui, deciso come noi a sciogliere il mistero.

«Di fronte a uno degli hotel di proprietà di Reiner. Doveva rilasciarmi un'intervista ma prima di entrarle mi ha vinta un capogiro, e stavo per cadere a terra. Mi hai presa per tempo e dietro di te c'era una donna... che credo essere stata Lexie.»

Non posso evitare di manifestare la mia sorpresa. Quanti casi, il destino, ci ha posto di fronte con insistenza? Ethan è entrato nelle nostre vite prima ancora che lo conoscessimo e lo ha fatto inconsciamente, senza volerlo, ma questo non nega la sua presenza.

C'era, in fondo, sin dall'inizio. Sin da quando, bambino, aveva posseduto "il trionfo della morte" e lo aveva firmato con le sue iniziali.

«È un ricordo molto specifico ma può essere, ricordo un evento simile» si presta a conferma lui, e vedo chiaramente la sua indagine dalla memoria del tempo, la sorpresa che sfoggia nel riemergere con un simile risultato.

«Non ricordo mai un gesto gentile che mi viene rivolto, anche se tendo a non dimenticarmi soprattutto delle cattive azioni.»

«Come tutte. Dunque, sei una giornalista?»

«Proprio così, ed ho conosciuto Reiner la sera stessa di Katrina.»

«Forse un po' prima» sibilo, ben ricordando l'accordo che fecero entrambi per condurmi fino a Sebastiaen. Evie sorride.

«Proprio come me, anche Katrina non dimentica le cattive azioni, solo che di solito tende ad ignorarle» dice, pungente per la seconda volta in questa serata senza ottenere una reazione da parte mia.
Non le dirò altro in merito a Michael, voglio che ne sia completamente estranea e che torni a vivere la sua vita con il marito che la aspetta a casa, felice e lontana da me. «E sì, forse un po' prima...»

«Hai fatto molti articoli?»

«È la giornalista più brava che conosca» metto in chiaro, rivolgendo a Ethan tutta la mia franchezza. Ne è sorpreso.

«Katrina esagera, ma dalla mia parte ormai ho molta esperienza. Tendo a dare voce a persone che non l'hanno e provo a smascherare chi si approfitta di loro, niente di più.»

«E attualmente stai lavorando per questo?»

Solleva il sopracciglio e mi fissa. «In un certo senso, ma sono stata licenziata troppo in fretta.»

Prendo un profondo respiro, avendo dimenticato quanto sia in grado di ferire questa mia presunta amica.

«Tu,invece, di cosa ti occupi?» Rigira la domanda a Ethan, e mi è impossibile non seguire l'espressione del suo viso.

«Ero un fotografo di guerra. Adesso non scatto più.»

«Hai finito le battaglie?»

«Non direi» mormora, abbassando gli occhi a terra dopo avermi fissata una frazione di secondo.

«Allora credo che tu debba tornare a farlo.»

«Lo credo anche io» sopraggiungo, e la testa di Ethan si solleva subito, soffermandosi su di me.

Un milione di emozioni lo attraversano, tanto veloci da impedirmi di focalizzarmi su ciascuna ma le parole non mi distraggono. Rimaniamo muti nel fissarci e non provo ad allontanarmi da un contatto simile. Quello che tento di fare è comunicargli tutta la fiducia che ho nei suoi riguardi e tutta la sicurezza che impongo nelle sue capacità. Non dimenticherò mai quegli scatti che gli ho visto postare sul suo profilo social, i colori e l'intensità di un momento che è riuscito a cogliere appieno.
Non riuscirò mai ad abbandonarlo... perché, ormai, è una parte di Ethan a vivere in me, nello stesso meccanismo di condanna che subisce Evie.

«Ethan, sono pronta, possiamo partire.»

Lexie sopraggiunge sulla scena, presa nell'entusiasmo del suo provocante ed attillato, perfetto per una serata da strage di cuori, vestito nonostante sia uno solo al quale lei vuole mirare.

«Se preferisci, però, prendo le chiavi e vado da sola...» commenta, ad un tono molto più basso, passando gli occhi da me a lui. Lo registro con la via periferica.
Con malavoglia, preso da una strana sensazione di fastidio, Ethan si allontana da me e si solleva in piedi, deciso a portare a termine il suo incarico.

«Non preoccuparti, Lexie, ti accompagno.»

«Sei sicuro?»

«Avanti, andiamo.»

«Prendo la borsa e faccio strada!»

Quasi saltellando, Lexie rientra dentro casa per recuperare quanto detto e, sicuramente, per urlarmi a un passo dalla porta una delle sue veloci frasi di congedo.
Ethan, invece, esita, rimanendo a un passo dalla portafinestra che lo congiunge al soggiorno.

«Allora, vado. Mi ha fatto molto piacere incontrarti di nuovo, Evie, spero che tu possa avere fortuna con il tuo prossimo incarico» le dice, e sento la mia amica sorridere, mentre resta alle mie spalle.

«Grazie, anche a me ha fatto molto piacere.»

«A presto, Katrina»sussurra, quindi, nella mia direzione, ed io lo ricambio, indecisa se la sua scelta di andarsene sia stata la migliore.

«A presto...»

Si allontana, lasciandoci momentaneamente sole, ed è questo il momento in cui sono costretta a volgermi verso lo sguardo di Evie che mi ha tenuta prigioniera per tutto il tempo.

Ed infatti, eccolo su di me. Cado nei suoi occhi chiari e finisco per precipitare, riuscendo ad aggrapparmi solo all'ultimo minuto alla curva offerta dal suo mezzo sorriso, accorgendomi poi del suo volto stanco.

«Vorrei sapere il tuo segreto, un giorno» mi dice Evie, ma non riesco a capire che cosa voglia dire.

«Che intendi?»

Decide di non spiegarmelo, e con disinvoltura si alza in piedi, recuperando una sigaretta ed andando a rifugiarsi nell'angolo opposto rispetto a quello occupato da Lexie. Più vicino alla portafinestra del soggiorno, ovvero praticamente di fronte, ma comunque distante a sufficienza da me per poter beneficiare di quella nube di nicotina.

Comico a pensare che le due mie amicizie più strette siano colte dallo stesso vizio. Anche Marina fumava, proprio come Lexie, Evie e Michael.
Tutto ciò che ho vicino, mi ribadisce la mente, in qualche modo tende a farmi indirettamente male.

«Hai preso le chiavi?» Sento domandare Lexie in direzione di Ethan, e questi che le fa oscillare.

«Proprio qui.»

«Perfetto, partiamo.»

«Forse non ce ne sarà bisogno...»

Nel corso del loro scambio, tutti noi quattro abbiamo avuto modo di percepire le chiavi entrare nella toppa della porta di ingresso, favorendo l'ingresso di un'ulteriore persona all'interno di questa casa.

Un silenzio surreale circonda tale arrivo e poco dopo sento la borsa di Lexie, probabilmente, raggiungere terra in un tonfo.
Mi alzo in piedi di scatto, raggiungendo il soggiorno e quello che vedo mi raggela.

Apro la porta in un lampo e corro dentro casa. Fino a Reiner appoggiato alla porta e con il viso completamente ricoperto di sangue. Nonostante tutti quei colpi, con una terribile e distorta espressione comica, sta sorridendo in modo da rassicurare tutti noi.

«Reiner, che cosa è stato?!» Urla Lexie precipitando su di lui prima di quanto possa fare io, e le sue mani preoccupate sfiorano il profilo del volto del suo uomo, soffermandosi sulle ferite in un tempo tanto breve da permettergli unicamente di sussultare al contatto.

«Piano, tesoro, ho dolori dappertutto.»

«Chi è stato?» Continua, imperterrita, lei, lasciando trasparire sempre maggiore preoccupazione.

«Un uomo, giù al locale. Non chiedermi di descrivertelo, sono ubriaco. Mi ha attaccato senza motivo, si era creata una leggera rissa ma lui era partito, diretto, contro di me, e mi ha trascinato fuori. Aveva dei capelli neri, al di sotto del cappuccio, e anche gli occhi scuri, ma indossava una sciarpa e non ho neanche visto il resto della sua faccia. Sembrava snello, alto ma muscoloso. Oltre alla felpa aveva dei jeans, forse una fede al dito e delle scarpe lucide nere. Mi ha colpito con quelle e poi ha usato i pugni... c'è andato giù pesante, deve essere un ex giocatore di boxe.»

Il cuore precipita in caduta libera mentre Lexie continua a percorre, piena di terrore, le ferite del suo uomo, ed io non posso che compiere un lento gesto.

Ruoto lievemente il corpo per finire a scontrarmi con la figura di Evie contro il vetro. E dietro la sua nube di fumo mi accorgo, nuovamente, che mi stava già fissando.

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