73- Il coefficiente di incostanza

P.O.V.
Michael

La rabbia che provo mi costringe a prendere a pugni qualcosa, e trattandosi dell'anta di uno dei mobili della sua cucina Emily sobbalza dal divano, a seguito del rumore proveniente all'interno.

Non me ne importa di niente. Non riesco a regolarmi. Cammino, da mezz'ora, su e giù in questa stanza tanto da aver quasi provocato un solco a terra, a causa delle mie suole irrequiete, e non me ne interessa.

Sono io il mostro del racconto? Sul serio? Dopo che l'ho amata in quel modo, senza confini?

"Il ragno è colui che non si assume la colpa. La persona che non coglie la gravità degli errori commessi. Il vero assassino di tutta la storia."

La sua voce me lo ricorda, da ore, ed avrei voglia di gridare. Scagliarmi contro Emily e percuoterla di frasi in grado di svegliarla dal torpore nel quale sembra caduta in modo da tirarci fuori da tutta questa situazione di merda.

«Non voglio andare in tribunale. Segnatelo sui tuoi maledetti appunti! Mia moglie non metterà piede in quella stanza alla presenza di un giudice!» Ruggisco, e non serve a niente.

Emily solleva entrambi i palmi nella mia direzione, in un tentativo di calmarmi ed è vano.

«Michael... fermati un attimo, ragiona. Non hanno alcuna prova per andarci contro. Agli occhi di un giudice Caitlin apparirà per quella che è, ovvero una donna disperata in cerca di attenzioni.»

«Non parlare così di mia moglie!»

Gliel'ho urlato contro. Nonostante tutte le esclamazioni fuoriuscite dalla mia viscida bocca in questa mattinata, nonostante tutti i colpi impartiti ai muri, alle porte, ai tavoli, Emily non hai mai mostrato paura. La prova adesso, però, dopo che le ho urlato addosso, difendendo mia moglie e lo capisco... l'ho ferita.

Ogni cosa si ridimensiona e sono costretto ad arrivare fino a lei, assumendo un tono di voce calmo mentre le afferro le mani.
Ho bisogno che stia dalla mia parte perché solo in questo modo riuscirò ad avere di nuovo Cat. Il mio avvocato non può voltarmi le spalle, non può lasciarmi così alla deriva... specie se ci troveremo di fronte a un giudice che esprimerà un giudizio estraneo, distaccato, stabilendo le sorti della nostra vita.

Lo abbiamo già visto in passato, con Dominic. Cailtin riesce, in un modo incredibile, ad avere tutti gli uomini dalla sua parte e non è dovuto solo all'interesse che è naturale provare per lei... ma anche al suo magnetismo, alla sua naturale propensione ad assumere il ruolo di vittima, al suo animo realmente ferito.

Non voglio che un'altra persona la porti via da me. Non voglio privarmi di lei, è la cosa migliore che mi è capitata. È l'amore della mia vita per cui nemmeno Emily deve andarsene. Deve rimanere concentrata su quello che stiamo facendo. Mi occorre la sua mente brillante e la sua capacità di vedere oltre le sfide apparentemente impossibili che ci vengono messe di fronte.

Sì, Emily è un bravo avvocato, è una donna astuta, averla dalla mia parte significa vittoria... non deve lasciarsi trascinare via dalla tristezza in questo modo, no,no,no.

Afferro con più convinzione le sue mani e la costringo a fissarmi negli occhi.

«Ehi... va tutto bene, perdonami per aver alzato la voce, non volevo, sono solo agitato...»

«Non è niente» mormora, lasciandomi intravedere nella vibrazione delle sue corde vocali un leggero oscillamento, dovuto a un principio di pianto. Ma nonostante questo, Emily lascia perdere presto e non riesco a credere di averla vinta così facilmente. Per ottenere il perdono di Caitlin mi sono sempre dovuto destreggiare in struggenti suppliche che finivano con lo spogliarmi del tutto.

Via gli strati superficiali, via le frasi di convenienza, i discorsi preparati a tavolino e le emozioni preimpostate... eccomi nudo, e solo una volta tale Caitlin si auto costringeva a credermi, facendomi pensare che il mio lavoro fosse stato quasi del tutto vano.

Ad ogni modo, è consolante. Certe discussioni con mia moglie mi privavano del tutto dell'energia e ne ho bisogno adesso, per cui non ringrazierò mai abbastanza la fortuna di una vedere una donna tanto semplice in mia presenza.

Si accontenta di poco, Emily, e questo è un bene. Una carezza, una frase consolatoria, ed il gioco è fatto.

Le sorrido al di sotto del suo capo abbassato e lei mi ricambia, sollevando la testa e finendo con l'abbracciarmi di slancio. In ginocchio a terra, con le gambe leggermente divaricate e in mezzo alle sue, spalancate, finisco per avvertire il profumo dei suoi capelli quando nasconde la testa nel mio collo.

Sorrido, nella rievocazione di una posa che assumeva sempre quando le dicevo qualcosa di gentile che la metteva in imbarazzo o dopo aver fatto l'amore. Passo poi una mano, con lentezza, sulla sua schiena, sapendo quanto le piacciano le mie carezze.

«Emily...»

«Mh?»

Il suo tono, decisamente informale adesso, mi fa sorridere con ancora più convinzione.

«Va tutto bene, ora?»

«E a te?»

Sospiro e mi decido di stringerla con più forza, intrecciando le braccia attorno al suo corpo. Le mie carezze fanno bene a lei quanto fa bene a me avere un contatto con il suo corpo.
È sempre stato di conforto in momenti estremamente difficili come questo. Mi ha concesso di nascondere le mie paure e dimostrarmi forte, nonostante non lo fossi affatto.

«Meglio, adesso che ci siamo chiariti.»

Si solleva leggermente, facendomi intravedere i suoi capelli scorrere all'estremo del mio campo visivo, passando dalla coda dell'occhio al centro della mia pupilla ed eccomela di fronte.

«Michael... devi essere più tranquillo. Abbiamo la ragione dalla nostra.»

L'abbiamo sul serio?

Ogni confronto con Caitlin mi fa sembrare di essermi macchiato di superbia, ma in fondo è quasi del tutto impossibile scendere al suo confronto. Mia moglie è impeccabile, in tutto ciò che fa, perché svolge per ogni sua azione nel ruolo di imputato, di giudice e di carnefice, desiderosa la maggior parte del tempo di attribuirsi le colpe.

«Ascoltami... proverò a convincerla a ritrattare.»

«E come? Perché? Michael, non puoi. Non ti è concesso di avvicinarti.»

Sapeva già una volta emessa una frase simile, Caitlin, che non l'avrei rispettata. Non posso starle lontano e lo abbiamo visto anche nella sala della nostra riunione. Quello che le ho detto è vero. Mi manca, la rivoglio. E se per ottenerla devo vincere qualche suo blocco, beh... in quello sono un esperto.

«Lascia fare a me, prometto di rispettare tutte le regole» le mento, ma poco importa, non lo scoprirà mai se sto attento. «E vedrai, mia moglie ritratterà.»

«Se arriveremo al tribunale ci occorrerà la testimonianza di Stephany, come abbiamo già discusso.»

«Non ci saranno problemi, per questo.»

«Non ho finito: anche di qualcun altro. Di fronte al giudice dovremo dimostrare di avere un pieno appoggio evidenziando la differenza con gli accusati, perché loro non hanno prove, o testimonianze.»

«Di alcun tipo?» Domando, e non posso nascondere la sorpresa. Caitlin non chiederà la testimonianza di alcun fantasma del nostro passato?

«Il suo avvocato mi ha praticamente confessato, in maniera involontaria, che è così. Dovrebbe essere stata una sorpresa destinata ai preliminari del caso ma ecco che ha rovinato la sorpresa.»

«Non riesco a crederci...»

«Non essere sorpreso. Se le cose stanno così vuol dire che non hanno trovato nessuna persona in grado di sostenere la loro tesi ed è una fortuna per noi. Allora, chi altro potremo chiamare?»

Ragiono su una simile domanda e poi... ecco ottenuta la risposta.

«Raimònd. Si tratta dell'ex capo di Katrina. Gestiva l'hotel Red Line insieme ad un'altra donna, la vera proprietaria di quel posto, imparentata con un vecchio magnate. Entrambi odiavano mia moglie, la consideravano scostante sul lavoro, con la testa sulle nuvole ed un costante vittimismo» mormoro.

«Bene, forse attraverso di loro potremo far luce su altri aspetti del carattere di Caitlin. Può esserci utile, per cui continua a pensare anche ad altri testimoni.»

Lo faccio, nonostante il cuore avverta fitte leggere di dolore. Questo è tradire mia moglie, per cui non lo dovrei fare... non dovrei tirare fuori il suo vecchio lavoro, non così, eppure una parte di me mi dice di farlo, anche solo per vendicarmi un po' di una delle molte bugie che mi aveva detto. Il lavoro alla Land Art era stato oscurato proprio dalla finta occupazione al Red Line quindi è ora di chiedere il conto.

Caitlin ha ragione, ci faremo entrambi a pezzi, eppure una parte insana di me crede di riuscire a vedere una luce, dietro tutto questo complottismo, ed è indicativa della strada più semplice: Caitlin si dovrà ricredere, solo in questo modo potremo essere felici.

Quello che rimane da fare è convincerla a vincere la sua testardaggine, la vera accusa per cui un vero giudice potrebbe punirla in eterno, condannando anche me dello stesso reato.

P.O.V.
Caitlin

In ogni piano perfetto esiste un coefficiente di incostanza, qualcosa che non sei in grado di calcolare e non puoi evitare di vivere, quando te la trovi davanti.

Ciò che provo aprendo la porta di casa, e trovandomi Ethan di fronte, è reale. Il ricordo caldo del suo bacio mi macchia di vergogna ma non mi fa abbassare, allo stesso tempo, gli occhi. Sono i suoi a vietarmi di farlo e mi domando se non sia parte stessa del mio percorso, del mio tentativo di raggiungere la luce, la sua presenza qui.

Sarebbe un ottimo padre. E Ghaazi un bambino fortunato ad averlo ma... per quanto riguarda me? È una fortuna la sua presenza qui?

Non lo so più per certo. La confusione regna sovrana in ogni azione e non mi permette di ragionare con lucidità.

«Ciao...» mormora la sua voca calda e tento solo di non arrossire, presa dalla confusione, come un'ingenua di fronte ai suoi sbagli. «Ho saputo da Lexie dell'incontro con l'avvocato e...»

Inizia a compiere una serie di passi nella mia direzione ma la mia mano lo ferma. Si è sollevata da sola, ed ha come vietato il suo incedere, bloccandogli la strada.

Ci troviamo da un capo all'altro della casa ma vedo i suoi occhi scendere, scendere e scendere fino a quella mano e soffermarcisi. Si tratta della sinistra e la sua nudità mette in mostra... la mancanza del mio anello.

Ethan tace, rimanendo a fissare quel dito spoglio. Accorgendomi di stare appena tremando abbasso il braccio e provo a recuperare la voce.

«Arrivo subito da te, mi tolgo il cappotto.»

Nessuno dei due riesce a illudersi che la mia mano si sia librata in aria per quel motivo, ovvero per avvertirlo di una semplice azione che si sta per compiere nel giro di pochi minuti, ma come al solito Ethan non fa domande e gliene sono grata.
Mi permette di spogliarmi del soprabito, a fianco dell'ingresso, in modo da raggiungerlo.

«Allora? Che stavi facendo?»

Riesco a mantenere la giusta distanza tra di noi, così da non avvertire la destabilizzazione che provoca la sua presenza al confine del mio spazio di vita, e mi sorprendo di compiere il gesto con una simile facilità.

Ethan sta mantenendo le distanze volontariamente, e finge di non darci peso, o forse non è un problema affatto, non lo so per certo. Non riesco a capirlo la maggior parte delle volte, il che è un bene... perché risolvere i suoi misteri mi tiene occupata la mente e così non sono impegnata a pensare ad altro.

«Semplice riorganizzazione della confusione di Lexie. Mi ha spedito qui con il compito di catalogare tutti questi articoli, stampati da un sito internet, che parlano dell'inaugurazione. Un tempo se ne sarebbe occupata la segretaria ma quella povera ragazza si è spinta ad una parola di troppo ieri sera, con Reiner al locale, e ora è nel mirino di Lexie.» Rido brevemente, andandomi ad accomodare alla poltrona del soggiorno, ed è proprio mentre sono di spalle che la sua voce mi raggiunge, a un tono molto più basso. «Allora... la riunione?»

Il tragitto che mi separa da quel supporto piumato mi consente di ragionare bene sulla risposta, e non ho altre soluzioni che mettere in mostra la verità non appena lo raggiungo.

Ethan mi mostra la sua schiena mentre continua a catalogare, con mesta stanchezza, tutti gli articoli di Lexie.

«L'ho rivisto, e ho visto il suo avvocato. Si tratta della donna con la quale usciva o andava a letto, non mi importa, prima di me.»

Ad una simile frase gli vedo voltare, con estrema lentezza, il corpo e mostrarmi quindi il suo sorriso. L'ho detta con malinconia, vinta da una profonda tristezza ma la sua sorpresa rischiara anche un po' il mio viso, spingendomi all'autoironia.

«Sul serio?» Mormora.

«Sul serio.»

«Un patetico tentativo di farti ingelosire, non prova niente per lei se la usa così.»

«Beh, ci è riuscito.»

Il silenzio cala tra noi, e non ho modo di chiedermi se ho rovinato qualcosa. La mia mente, al momento, non riporta che l'immagine di Michael e tutto il dolore che ne scaturisce.

«Non dovrebbe farti ingelosire, invece» sussurra dopo un tempo infinito, continuando a rivolgermi la sua schiena. Scorro con gli occhi lungo il suo maglione nero. Ieri notte è stata probabilmente l'unica volta che l'ho visto vestirsi con un capo blu. Gli dona molto, ma sono troppo timida per farglielo presente.

«Perché? Perché la sta usando?»

«Sì... e perché non può accadere niente tra due persone se una delle due prende e basta. Non c'è confronto, né scambio... né tanto meno amore, sarebbe una copia sbiadita di quello che ha provato con te, che lo spingerebbe solo a rimpiangerti.»

A seguito delle sue parole la mia fronte brucia, ma non è per via del caldo.
È a causa dell'impronta ancora perfettamente percettibile del suo bacio ed una domanda vortica in questa testa completamente pazza, eccessivamente surriscaldata.

Al contrario di quanto sta accadendo a noi?

Mi sollevo di scatto dalla poltrona e faccio per nascondermi in camera di Lexie. Ho bisogno di rimanere per un attimo da sola ma non avevo tenuto conto dei suoi soliti riflessi.

Eccomi a un centimetro dal suo corpo, che mi fa scudo impedendomi di procedere all'interno della stanza.

«Spostati, devo passare.»

La sua testa si sposta da un capo all'alto, in un lento no.

«Spiacente, ma in questo luogo possono accedere solo donne che posseggono anelli di fidanzamento o simili.»

Sgrano gli occhi. «Lexie adesso ha un anello?»

«Ti avevo già parlato del litigio con Reiner per quella dipendente, no? Ebbene, per fare pace lo ha costretto a compare un bel solitario molto brillane che adesso sfoggia al dito, come un militare sfoggerebbe la sua nuova targhetta a simbolo di un gesto eroico.»

«Però, a me aveva detto che volevano andarci piano» commento, ridendo.

«Dove è la tua fede, Caitlin?» Non mi segue nel divertimento lui, piegando la voce in un tono serio.

«L'ho tolta» mormoro, e stavolta lo sguardo è sul serio costretto ad allontanarsi da lui. Non fa nemmeno più caso a queste mie manifestazioni di mancanza di coraggio.

«Perché?»

Mi occorre un lungo minuto per pensarci ed un altro ancora per poter rispondere.

«Non la sentivo più mia. La vedevo al dito e non lo ritenevo giusto.»

Ethan rimane in silenzio, poi si sposta lentamente dalla porta permettendomi di entrare. Sussurro un piccolo "grazie" e mi faccio largo all'interno di quel luogo quasi del tutto estraneo, fingendo di cercare uno dei suoi trucchi dal momento che continua a fissarmi dalla soglia.

Non appena mette un piede qua dentro, non perdo l'occasione di beffeggiarlo.

«Se non mi sbaglio tu non sei una donna e non porti un anello...»

«Visto che ho infranto la legge, appena sancita in mattinata dalla proprietaria di questa casa, ho anche deciso da solo che l'ingresso mi fosse concesso.»

«Una bella risposta ma mi sarei più aspettata una rivelazione scioccante, tipo tu che mi confessi di esserti sposato in passato.»

«Il matrimonio non fa per me.»

«Ah! Ti consideravo un tipo romantico.»

«E perché mai?» Ti prego, non farmelo dire. Non me lo permette, portando avanti da solo le sue risposte. «È solo che non ho trovato la donna giusta, e con Naijya la situazione era già troppo complicata con tutte le stranezze del caso, credo che sia stato meglio. Inoltre, suo marito era vivo, non avremo potuto.»

«In Afghanistan non esiste il divorzio» commento, e mi accorgo l'attimo dopo di aver emesso una frase sbagliata. In questo modo faccio apparire il divorzio come una cosa giusta ed una via di uscita. A forza di scherzarci mi sono incastrata da sola.

«Direi di no, usava ancora lapidare le donne, in certi paesi limitrofi, se considerate delle adultere.»

«Beh... avevo già compreso il coraggio che Naijya ha avuto, ma adesso la invidio anche un po'. Vorrei possederne metà del suo, mi basterebbe.»

«Ce l'hai» sussurra Ethan, ad un tono di voce talmente basso da impedirmi quasi di sentirlo, forse a causa anche dei mille giri che sto compiendo nella stanza per fingere di stare cercando qualcosa e per mettere della distanza tra noi, non appena si fa troppo vicino.

«Chissà quanto pagherebbe Reiner per rimanere impigliato per sempre nelle sue coperte» commenta dopo un po', prendendo in giro il caos della stanza.
Vorrei ridere con lui ma quando mi volto mi accorgo che, avanzando lentamente, si è fatto troppo vicino.

Lo schivo di lato, credendo di essere salva, ma l'attimo dopo mi trovo tra le sue braccia.
Presa dall'agitazione ho sollevato le mani ed ora riposano, immobili, sui suoi avambracci.

«Adesso, Katrina, in quale altra stanza vuoi scappare?» Mormora, ed ecco che mi costringe ad arrossire. Sono un'ingenua bambina e lui è un uomo troppo astuto, in grado di scorgere i miei sentimenti con una sola occhiata.

Rafforzo la stretta delle mie mani e tento di spingere, in modo da liberarmi dalle sue braccia, ma non so se è davvero quello che voglio.
Lo sento dar voce ai miei interrogativi, senza timore.

«Vuoi che ti lasci andare?»

Sì... No...

Vorrei che non mi facesse domande troppo difficili e che l'incostanza del suo buon umore non fosse un'alternanza, in grande stile, di silenzi e prese di posizione.

Alle volte risulta davvero difficile stargli dietro ma la sua è l'irrequietezza dell'impredivibilità, non c'è modo di fermarla.

«Sì... mi stai stringendo troppo» mormoro, mascherando il mio gioco solo in parte.

«Davvero? Eppure ieri, al locale, eravamo più vicini.» La sua mano destra si apre sulla mia schiena ed avverto la pressione che mi spinge, tenute, ad inarcarmi ed arrivare più vicina a lui. «Tanto così» espira, e per alcuni lunghi minuti non ho modo di replicare altro.

Proprio come ieri notte, ho il cuore in tachicardia ed i suoi occhi celeste acceso troppo vicini. Mi manca il respiro e non si tratta di alcuna conseguenza della sua stretta, mio malgrado.

La forza che Ethan esercita è magnetica, non del tutto fisica.

«Ethan...» tento di sfuggirgli, almeno con lo sguardo, ma lui mi rincorre e finisce per parlare direttamente alla mia anima, con la parte più vulnerabile di me.

«Quello che voglio dire, Katrina, è piuttosto semplice...»

Non sono pienamente convinta della semplicità dei suoi discorsi, ma temo la fine alla quale questo ci può condurre.

«...quello che voglio dire è che... sei piuttosto pessima nel dire le bugie. Il tuo viso arrossisce e schivi sempre gli occhi, di fronte ad una risposta importante. Hai un'ingenuità buona, dentro, che non vedevo da tempo e sono convinto che l'altro avvocato non la possieda.»

«Perché dici questo? Nemmeno la conosci» espiro. Non che Emily l'abbia sul serio, vista la sua sfrontatezza ma è un modo come l'altro per mettere Ethan in difficoltà.

«Perché non la possiede nessuno. Solo tu.»

Tentativo fallito, in maniera molto più che catastrofica.

Avverto le mura costruite intorno ad una parte della mia anima, che consideravo inespugnabile, cadere di schianto e lasciare tutti i detriti a terra in un cimitero di polveri. Ha provocato un bel fracasso ed ora non sento che rumori in me... ma la voce stridula di Emily non è che un vecchio ricordo.

«Se ti chiedessi di lasciarmi andare...» tento un nuovo approccio, pronta alla sua risposta che non tarda ad arrivare.

«Te ne chiederei il motivo, e poi deciderei se la risposta è abbastanza valida da acconsentire.»

«Non si tratta di imbarazzo... ma ho davvero bisogno di allontanarmi da te...»

«Perché

Alcuno sguardo ci è indirizzato contro. Non provo alcun sentimento confuso né sono del tutto convinta di stare compiendo uno sbaglio. Solo che i suoi occhi sono troppo chiari ed io non riesco a ragionare in questo modo, con il suo volto vicino al mio viso e le sue domande complesse mentre mi tiene stretta, proprio come ieri notte.

Le sue braccia si sciolgono e per mia sorpresa Ethan mi lascia libera, compiendo piccoli passi all'indietro e provocando la mia domanda.

«Perchè? Non ti ho risposto.»

«Credi davvero di non averlo fatto? Comunichi con me in molti modi ed usare la voce è solo una delle strade che preferisci di meno.»

Sollevo un sopracciglio, affatto convinta della sua sfrontatezza.

«Credi di capirmi tanto bene?»

«Vuoi qualcosa da mangiare? Devi morire di fame» commenta ed in effetti è così.

«Si, in effetti, ma vorrei...»

«Ho già preparato la pasta con la tua salsa preferita dell'intero listino menù, offerto dal frigo di Lexie. È sul fuoco, non l'hai nemmeno notata entrando.»

Direi che è proprio quello che intendevo ma decido di essere, per una volta, io il coefficiente di incostanza.

«Non è quello che volevo dire.» I ruoli si sono decisamente invertiti. Tocca a lui sollevare con cinismo il sopracciglio destro. «Stavo dicendo che in effetti è così, ho fame, ma pensavo di uscire.»

«Insieme?»

«Prendere una boccata d'aria fuori da queste mura non ci può fare male.»

«Pensavo che volessi rimanere all'interno.»

«E infatti era così, prima.»

«Che cosa è cambiato?»

Il fatto di aver messo a contratto la distanza di sicurezza che deve mantenere mio marito, in mia presenza.

«Molte cose cambiano. Io, ad esempio, guidavo una fantastica macchina ma è rimasta nel garage della mia casa es ora sono costretta a muovermi a piedi, con mezzi pubblici, o con un servizio personalizzato da un tassametro di nome Lexie, sempre pronta a prendersi la propria ricompensa. Tu hai un auto, non è vero?»

«Temo proprio di sì.»

«Allora dammi le chiavi. È il mio turno di dimostrarti che so sorprenderti.»

Per fortuna la sua auto non è difficile da guidare. Mi muovo abbastanza bene con lei e si può dire, a seguito di numerose curve affrontate da paura a una velocità pienamente rientrante nei limiti di legge, che siamo diventate una cosa sola.

Giro la chiave all'interno del cruscotto, lasciando raffreddare il motore con una delicatezza della quale il proprietario dovrebbe essere sorpreso, e grato.
Al momento, però, non risulta in grado di farlo perché troppo intento ad analizzare ciò che ci aspetta al di là di questi sportelli, in modo da decidere che sentimento nei miei riguardi vestire.

Siamo in uno dei tratti più belli del litorale e di fronte a noi, vicinissimo, abbiamo il mare.

Nonostante gli spessi finestrini di questo fuoristrada grigio riusciamo a percepire lo sciabordio delle onde, e per alcuni istanti chiudo gli occhi, godendomi il suono.

«Mi sono chiesta, visto tutto ciò che mi hai raccontato, il perché tu sia venuto a vivere in una città tanto legata al turismo balneare, e non mi sono ancora data una risposta» lo informo, esplicando i miei dubbi in maniera diretta. «Capisco la vicinanza con le tue vecchie amicizie, il lavoro alla Land Art e tutto il resto... ma avresti potuto almeno scegliere la una zona, in cui abitare, ancora più distante dal mare e non ci sarebbero stati problemi di connessione con la società.
Questo mi ha fatto capire che stai cercando di lottare con il tuo limite ma che non ci sia ancora riuscito.»

«Desideravo vivere in un luogo caldo, affollato e pieno di sole. Il mare non era del tutto contemplato ma consapevole che ci fosse mi ero deciso ad arrivare fino a lui ed affrontare i miei ricordi.»

«Allora che ne dici di scendere dalla macchina?» Mormoro piano, fissando il suo viso visto di profilo. Ha le mascelle tese e gli occhi all'ingiù, nella apoteosi di una tristezza mescolata alla rabbia che mi fa intendere la difficoltà dell'impresa.

«Non sono ancora pronto.»

«Non è importante, è comunque un passo avanti. Ti eri mai accostato tanto, prima?»

«No...»

«Allora, vedi?, facciamo progressi.»

«Vorrei tanto ingranare la marcia, al momento, prendere il tuo posto al voltante ed andare via.»

«So che vuoi farlo ma non mi muovo da qui. Possiamo parlare tranquillamente qua dentro, e trascorrerci quanto tempo vuoi.»

«E il pranzo?»

«Me lo farò allungare da quel ristoratore dal finestrino» commento, avendo puntato uno degli uomini che vendono cozze cotte, appena pescate dal mare, su un contenitore piatto in alluminio arrossito dal fuoco al di sotto, proprio sulla spiaggia.

«Se mi sporchi la macchina preparati alle conseguenze...»

«L'ho trattata molto bene, non lamentarti.»

«Sei brava a guidare, ma scegli mete pessime.»

«Di questo ti farò ricredere, che ne dici di chiudere gli occhi e rimanere a sentire il mare? Sono convinta che stempererà un po' il tuo cattivo umore. Aspetta... abbasso anche i finestrini.»

Faccio quanto detto e poi mi occupo di tirare indietro anche la mia postazione, finendo distesa di fronte al volante e suscitando uno sguardo ricolmo d'odio sul suo volto, per quella perfetta angolazione del sedile andata persa, che decido di ignorare.

A seguito chiudo gli occhi e rimango in ascolto, sentendo il ritrarsi lento delle onde ed il colpo che produce quel suono di momentanea sconfitta, nell'incontro con uno scoglio.

«Esiste una casa, composta di aste in legno bianco che ricoprono tutte le facciate, proprio al termine di questa spiaggia. Il suo tetto è blu, proprio come le persiane. Vedendola, mi ha ricordato tanto la Grecia che una volta visitai, nel viaggio di ritorno verso casa» inizia a raccontare, dopo lunghi istanti di silenzio. Resto in ascolto. «Si trova a ridosso del mare ed è in vendita. Venendo qui avevo pensato di acquistarla, in modo da superare per sempre la mia paura e conviverci ma non ne sono stato in grado... il che è un vero peccato perché gli spazi interni sono splendidi, visti dalle foto, e la luce è pazzesca in ogni angolo dell'abitazione...»

«Sono convinta che riuscirai a viverci un giorno, e che ci porterai anche Ghaazi con te.»

Le mie parole sono sporcate dall'odore della salsedine che ormai è filtrata all'interno dell'abitacolo, e non vedo niente, i miei occhi sono chiusi. Avverto solo il rumore del mare e percepisco come il suo volto ruotare nella mia direzione quando chiama il mio nome.

«Katrina?»

«Sì?»

Un leggero silenzio ne consegue. La conversazione si dilata e si ritrae, proprio come le onde del mare.

«Grazie.»

Apro appena gli occhi, fissando nel celeste chiaro, triste quanto grato ed immobile, dei suoi.

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