72- Il bivio

P.O.V.
Caitlin

Vorrei tornare indietro nel tempo. Riavvolgere il nastro. Fissare la mia vita quasi fossi il terzo personaggio, l'occhio estraneo, sulla scena che osserva tutto con distacco. Valutare le scelte e comprendere quali di loro si sono dimostrate essere giuste, quali invece sbagliate ed intervenire nel momento in cui sono state fatte.

Non si può modificare il passato ma lo si può sognare. Si può immaginare di rivivere l'attimo in cui tutto è cambiato, così, ad occhi chiusi, con un paio di labbra premute contro la tempia che ti ricordano l'amore che hai cercato.

Dove ho perso la rotta?
Ho confuso i miei demoni per i miei angeli. Nella vecchia Los Angeles ho lasciato che la passione prendesse e sbranasse tutto, ogni libbra di pelle lasciata intatta a seguito di diversi attacchi e non dico di aver compito uno sbaglio... ma di essere stata cieca, di fronte a molti eventi.

Adesso, però, sono tra queste braccia e mi sento al sicuro. Sento il ritmo di un tenue respiro contro il viso ed è come avere le ali.

Sono l'argilla che le sue mani modellano per poter dare una nuova vita alla mia, trasformandomi in qualcosa che funziona in sua presenza ed in una mia solitudine. Una persona migliore che riesce a sorridere, senza sentirsi sbagliata o nell'errore di farlo e questo è un suo merito, più che mio.

Opera dell'artista che ha reso una cosa tanto inanimata in grado di avere una tachicardia.

Ti prego, Ethan, non tradirmi.

Ho bisogno di lui più che mai, che le cose tra noi restino in questo modo... sfocato, sì, non definito in certi tratti ma perfetto nella sua incompiutezza, grazie alle emozioni che provoca.
Sicuramente non ha idea del potere che suscita in me ma è qualcosa di molto forte, in grado di sconfiggermi.

Non protesterei se ora la sua mano passasse tra i miei capelli tornati ricci. Non oserei sottrarmi a qualsiasi forma di contatto possa instaurarsi tra di noi, perché ultimamente respiro solo in sua presenza e mi piace, davvero tanto. È sbagliato?

Apro leggermente gli occhi da sopra la sua spalla e precipito in quelli di Lexie. Mi sta fissando dall'altro capo della sala ed è difficile interpretare la sua espressione vista la lontananza. Eppure... mi sembra di aver ottenuto una risposta.

Sì, è sbagliato.

Mi allontano con indecisione, non vorrei farlo, ma Lexie si sta avvicinando a noi. La bocca di Ethan si separa dalla mia pelle lentamente ma è come ricevere uno schiaffo.

Non c'è confusione nel suo volto o rammarico, quando ormai sono lontana. Rimane immobile a fissarmi con una mano ancora premuta contro la mia schiena e non posso far altro che godermi quell'ultimo tocco, a malapena esistente, prima di sentirlo abbandonarmi per sempre.

«Ciao, Sneg! Ti va di accompagnarmi fuori? Vorrei prendere un po' d'aria fresca.»

Ethan si allontana al termine della frase e così non ho scelta, la seguo fino alla seconda uscita del locale.
Non appena l'aria fredda della notte ci arriva addosso la sento protestare di non essersi presa il soprabito ma io non avverto freddo. Quello che sento, sulla fronte, è ancora il bacio di Ethan.

«Allora... come stai? Nemmeno ti ho vista arrivare» esordisce, frizionando tra loro le mani per produrre calore.

Ricordare l'attimo in cui sono entrata nel locale mi porta ad allontanare gli occhi, presa dal malessere ci quello che sto per dire.

«Hai saputo la novità da Mark?» Lexie stringe gli occhi, tentando di ricordare. Non ce ne è bisogno, glielo dico io. «Domani c'è la prima udienza, non ancora in tribunale. Si tratta di un appuntamento tra i nostri avvocati, con noi presenti, per discutere in merito alla divisione dei beni.»

«Sei agitata?»

«Molto» di rivedere Michael. Di dover fissare nei suoi occhi e ricordare di non dover provare niente.

«Vuoi che ti accompagni?»

«Non credo sia il caso.»

«Voglio comunque esserci, quando finirai quella riunione. Passerai da me alla Land Art?»

«D'accordo, il punto di incontro è vicino, passerò.»

«Bene.»

Vorrei tornare indietro nel tempo, penso di nuovo, volgendo il capo verso la sala non appena la porta alle mie spalle si apre e rivela Ethan, con il volto rivolto nella nostra direzione. Ma forse non servirebbe a niente. Cammino costantemente nell'impronta dei miei vecchi sbagli, escludendo ciò che mi fa bene... per paura di essere realmente felice.

Volano molte parole nell'aria, rassicurazioni che il mio avvocato mi sta rivolgendo consigliandomi persino che cosa dire, come atteggiarmi, quando parlare, quasi fossi una scimmia che batte le mani e lui il mio addestratore. Nemmeno lo sto a sentire, ho gli occhi fissi sul colletto della sua giacca inamidata chiedendomi, senza alcuna ragione, se fa parte del suo mestiere l'apparire tanto perfetto.

Sembra essere uscito da una rivista platinata. Avrà dieci anni più di me, quindici probabilmente, ed è un bell'uomo ma c'è troppa finzione in lui, nei sorrisi che rivolge non appena una persona che conosce, e che ci passa vicino, arriva a salutarlo nel corso di questo suo sproloquio rivoltomi o nel suo modo di pensare, troppo freddo e calcolatore.

Probabilmente coverei del fastidio, ascoltandolo, ma per fortuna ha finito. Non c'è altro che non mi abbia raccontato capace di esistere dietro questa porta. Ha provveduto a tutto e mi rassicura che troveremo un modo per cavarcela, di non lasciarmi intimorire.

Non appena apre il portone che ci divide con la stanza destinata alla mia tortura psicologica, ho come la sensazione che l'infisso pesi più del dovuto. Come una pesante pietra, di fronte a un cunicolo nella roccia. La spalla dell'avvocato enfatizza lo sforzo dei muscoli delle braccia e tutto sembra rallentare... la visione del tavolo, che l'apertura dell'ingresso rivela, si fa sempre più amplia mostrandone il centro, evidenziato da due portapenne, e il bracciolo di una delle sedute nere che lo affianca.

Entro subito dopo il mio legale a passi lenti e quando sono dentro la stanza sollevo gli occhi in direzione delle due sedie, cadendo subito in quelli neri di lui.

Non capisco cosa provo, né cosa provi lui. Quelle iridi sono tanto difficili da leggere... Rabbia? Sollievo? Aspettativa? Angoscia?

Mio malgrado, sento il respiro tornare nei miei polmoni alla sua vista, quasi che la sua assenza mi avesse rilegato ad un'apnea soffocante, fatta di brevi tempi di recupero del fiato.
Michael mi sorride, leggermente, allo stesso modo in cui faceva all'università. Sto per ricambiarlo prima di rendermi conto di chi sia l'avvocato dalla sua parte.

Il mondo precipita, e quel mezzo sorriso che consideravo pieno d'amore si disperde nell'oblio della dimenticanza, defluendo in una smorfia di fastidio non appena si rende conto dell'ulteriore ostacolo che intralcia la nostra felicità.

«Signora Caitlin Flint... la prego, si sieda.»

La voce di Emily è come un unghia appuntita contro la lavagna, uno stridio fastidioso che giunge, con un affilato strumento in mano, fino a me per distruggere ogni cosa.

Non so se il fastidio che è stata in grado di farmi provare sia stato gratuito ma tento di incassare la prima vittoria della giornata andandomi a sedere, secondo quanto mi ha detto la strega, ad una delle postazione designate.

Sono di fronte a Michael ed ho gli occhi puntati contro il tavolo. Provo un assurdo desiderio di non vedere più la sua faccia in modo da non farmi ingannare e far procedere Mark, con tutta la sua trafila di azioni legali.

Dall'altra parte del tavolo, però, avverto come un leggero movimento: inclina sempre la testa per cercare il mio sguardo, quando non lo sto fissando. Forse lo sta facendo anche adesso. Non dovrebbe, Emily si trova proprio al suo fianco e non poteva chiedere di meglio. In fondo è il suo posto d'onore: di nuovo al suo cospetto, pronta a prostrarsi ai suoi piedi proprio dove l'ho trovata a strisciare. Questa fede d'oro al mio dito esplicherebbe la vincita che ho già ottenuto, se solo non avesse perso del tutto il suo valore.
Michael mi ha privata anche di questa esultanza, la convinzione di essere la sola donna importante nella sua vita visto tutto quello che abbiamo passato.

Nonostante dica di amarmi, nonostante desideri tornare da me... questa donna è al suo fianco, e l'unica cosa che riesce a suscitarmi è la rabbia.

Sperava nella mia gelosia? Sperava, con un metodo del tutto adolescenziale, di provocare il mio fastidio e punzecchiare il nostro assonnato amore, in modo tale da farmi cadere nelle sue braccia?

Una mossa patetica, penso, ragionando al tempo stesso con la sua coerenza. Michael possiede il fascino di un uomo, il cuore di un uomo scalfito dalle delusione e dall'età... ma allo stesso tempo ama come un bambino, follemente, in maniera tanto pazza da essere insana, proprio come me... ecco perché ci siamo completati tanto bene. I nostri cuori, ancora infanti, si ritenevano liberi di amarsi fuori dagli schemi, ed ecco che ne è stato. I limiti erano mirini rossi di laser assassini, e ci hanno feriti.

Con un orecchio sento Mark discutere dell'atto di proprietà della casa mentre con l'altro ascolto le voci del nostro passato. Quella di Emily ancora stride, presente come è in entrambi i mondi, e mi provoca un fischio all'interno del cervello da essere udibile persino nella più completa sordità.

«Michael non vuole niente, siamo disposti a lasciare tutto alla sua cliente.»

Percepisco solo questa frase ed i miei occhi sgranano. Non vuole niente? Non desidera nulla di ciò che abbiamo costruito insieme? È questa la sua mossa?

Prima ancora di pensare sul serio di farlo, i miei occhi si sollevano verso di lui e lo fissano inferociti. Eccolo che lo trovo a fissarmi, proprio con la testa piegata di lato come mi ero immaginata.
La coincidenza tra immaginazione e realtà mi trafigge in pieno petto ma non posso lasciarmi sconfiggere. Troppo tardi. La rabbia, nella sua smania di belva circondata di bava, ha placato la furia del proprio cuore e si è lasciata vincere dalla malinconia.

Davvero non vuole niente delle nostre vecchie cose?

«Non siamo ancora scesi ad un accordo...» mormora Mark, ma Emily lo interrompe prima che possa continuare.

«Non c'è bisogno, lasciamo tutto alla signora Cailtin.»

Il mio vero nome assume un timbro strano nella bocca dell'arpia, quasi tentasse di comunicarmi la sua scoperta di ogni mio singolo segreto perché è stato Michael a raccontarglielo.

Quanto ancora può farmi male?
Emily è come un vecchio ricordo, ma ancora mi tormenta alla strega di un oggetto abbandonato sullo scaffale ma assieme al quale sei costretta a vivere.

«Se mio marito non rivuole indietro niente allora non le voglio nemmeno io» mi pronuncio, senza alcuna forma di fastidio nella voce.

Desidero una vita priva di tutte quelle memorie in grado di seppellirmi dunque ecco che le ho buttate tra noi, in mezzo alla strada.
Rimango ad analizzare quanto questo gli faccia male, modificando in termini espressivi il suo volto. Solo una minuscola smorfia, al margine delle labbra, ma contiene più rabbia di quanta di creda.
È sempre stato bravo a mascherare le emozioni che non voleva si prestassero alla luce del sole, quindi eccomi nascosto pure il suo fastidio... peccato per il mio desiderio di scoprirlo.

«Forse dovremmo prima confrontarci» cerca di venire incontro alla logica il mio avvocato. Troppo tardi, ormai brucia nel più profondo inferno.

«No, non voglio niente.»

Emily solleva un sopracciglio ed analizza le carte che ha davanti, probabilmente scorrendo nell'elenco dei beni che abbiamo diviso.

«Solo un appunto, c'è un quadro all'interno della casa di due metri per tre, dalle tinte rosso scure...»

«Quello può tenerselo» replico con convinzione, fissando mio marito dritto negli occhi. Se credeva di addolcirmi con il ricordo del nostro primo incontro si sbagliava. «L'incubo è divenuto realtà» commento, ed ecco i suoi occhi macchiarsi di un nero scuro.

I due legali continuano a bisticciare tra loro appellandosi a varie clausole mentre io e mio marito ci fissiamo negli occhi. Non può esserci immagine più rappresentativa delle rabbia di questa: io con le braccia incrociate come le gambe, da un lato del tavolo con i capelli raccolti, in modo che lui non li veda mentre Michael dall'altra parte ha un braccio appoggiato sopra il tavolo, entrambe le maniche della camicia nera tirate su fino ai gomiti. Le dita giocano con una piccola moneta, il pass del parcheggio di qui, ed io vedo i vari muscoli muoversi in conseguenza al gesto, lasciando le vene sporgere al di sotto della pelle.
Potrebbe, in un attimo, sbattere con forza quella monetine contro il tavolo e preso dalla rabbia scuotere anche il tavolo con lo schiaffo di un pesante palmo, sollevandosi in piedi per arrivare a parlarmi contro il volto.

Non fa niente di tutto questo. È controllato, calmo, falsamente tranquillo nella sua immobilità.
Fisso ancora quel braccio, la bruciatura che non è ancora riuscita a scomparire e mai lo farà a seguito dell'ustione contro il cofano. Seguo quell'intrigata ragnatela di dolore e nient'altro mentre sento i suoi occhi pesanti gravare sul profilo del mio collo nudo, a causa dello stretto cignon contro la mia testa. La sensazione è la stessa di avere un respiro pesante di belva contro la giugulare: sai che con i suoi denti feroci potrebbe colpire uno dei punti deboli del tuo corpo ma la tortura, la morte, è l'attesa stessa del suo colpo.

È sentire che quegli occhi scivolano su ogni pezzo di pelle che ti sei trovata a scoprire, arrivando fino ai seni al di sotto di questa camicetta e spingendoti a chiedere se hai messo un reggiseno che non si veda, vittima come sei dell'inadeguatezza e di un desiderio di dissolvenza.

Come può un solo sguardo destabilizzarti così? Far apparire vano ogni tuo sforzo, nonostante regni un reciproco silenzio?

Sollevo la mano sinistra e stringo al petto i bottoni della camicetta. Tento di abbottonarne uno, sperando che non ci faccia troppo caso ed è certo che non sia così perché un bagliore dorato entra ai margini della nostra visuale. La fede che porto ancora al dito.

Storco la bocca ed abbasso la mano, adesso più nuda che mai.

«Temo che sia necessario l'intervento del tribunale, viste queste premesse» commenta il mio avvocato e Emily sorride, con tutta la sicurezza che mi è stata strappata, dalla sua parte.

«Se lei e la sua cliente pensate che sia giusto allora accetteremo l'incontro in tribunale.»

Ricordo che è a causa di un'antica credenza se la fede matrimoniale viene messa all'anulare sinistro. Si suppone esista una vena capace di connettere l'estremità di quello stesso dito al cuore, passando per il braccio.

Che strano. Quando me la tolgo non cade nemmeno una goccia di sangue.

Il cerchio dorato rimane di fronte a me, appoggiato sul tavolo, e cade nella stanza il silenzio. Persino quell'arpia di Emily si zittisce ma non ho modo di congratularmi per il gesto.

Non avevo mai notato quanto brillasse. Sotto le luci di questa stanza pare splendere e nonostante la distanza riesco a vedere il nome mio e di Michael, insieme alla data, inciso all'interno.

È chiaramente leggibile, ma da lontano non fa più così male. In questo modo le cose devono rimanere: deve esserci del distacco, una lontananza mentale e fisica in grado di far respirare. Forse così riusciremo a vedere le verità da una prospettiva diversa, potremo permetterci di provare una carezza al cuore non appena rivivremo quegli attimi pensando a quanto siano stati belli.

Sì, davvero belli. Arrivo a sorridere, mentre il ricordo di due folli giovani, innamorati persi, balla come il protagonista di un carillon all'interno della mia testa.

«Ho solo una richiesta. Non appena usciremo da questo edificio mio marito non si dovrà avvicinare a me, se non a una distanza di cento metri. Non avremo rapporti di alcun tipo, altrimenti denuncerò lo stalking.»

«Perché cento metri?» Domanda Emily, in un mezzo sorriso incuriosito.

«Perché desidero così.»

Non c'è altra ragione o secondo fine. Io non agisco in questo modo e non dono chiavi diverse di lettura. Mio marito deve stare distante da me a una distanza di sicurezza tale da permettermi di respirare.

«D'accordo, allora» mormora lei, chiudendo questo colloquio con una serie di botta e risposta con Mark che proseguono fino alla porta, persino dopo aver annunciato una fine concordata.

Sono alle spalle del mio avvocato, ormai in piedi come tutti gli altri e prossima alla porta. Intenta a uscire quando una mano mi afferra. I due legali non si accorgono di nulla, continuando a camminare ma io sono trascinata nuovamente dentro la stanza, contro un muro, da quello che è divenuto l'incarnazione del mio dolore. 

Sollevo il mento verso il suo viso, mostrando sfrontatezza mentre, con il solito braccio appoggiato stavolta contro la parete, Michael mi guarda ad una distanza tale da far avvertire un capogiro, vista la carenza di ossigeno.

Nonostante mi obblighi con lo sguardo a tenere i miei occhi fissi nei suoi alza tre dita della mano destra, mettendole tra noi, e mi mostra la mia fede abbandonata.

Quello che riesco a notare è che, messa da parte la sfrontatezza con la quale mi osserva, sta cercando di controllarsi, mantenendo persino uno spazio tra noi tale da far scorrere una mano. Di solito mi bracca e finisce per costringermi a non scappare, mettendomi le braccia intorno.

Credo che la situazione sia facilmente ripercorribile se non arrivo a rispondere.

«Questa cos'è?» Chiede, ed il tono con cui esce la sua voce, scricchiolando tra i denti serrati, rovina il pensiero appassionato della giovane tredicenne che è in me, ancora agonizzante per un suo contatto.

«Non la riconosci? Ne hai una pure tu, al dito» comento, sprezzante.

«E sai perché non la tolgo? Perché ti amo.»

Provo il bisogno improvviso di andarmene. Tento di farlo, ed ecco il suo braccio ostacolarmi. «Lasciami passare» sibilo ma tutto è inutile. Mi costringe a tornare con la schiena alla parete, in modo da fissarlo negli occhi.

«Mi hai detto che per te è lo stesso, e ora mi fai questo. Quanto è volubile la tua volontà?»

«Non funziona in questo modo, il nostro rapporto?» Sibilo, sprezzante. «Tu ferisci me e io ferisco te. Perché hai scelto Emily per il nostro divorzio? Non esistono altri avvocati, in tutta l'America?»

«Avanti, dimmi che sei gelosa» mi dice mio marito contro il viso, respirando il mio respiro mentre è tutto vestito di un cupo nero. «Dimmi che provi ancora qualcosa...»

«Così che tu possa gioirne e sfruttarlo a tuo favore?»

«Così da poterci baciare, e farla finita con tutto questo schifo» mormora, e le sue parole mi provocano una fitta allo stomaco. Michael scivola con gli occhi fino alle mie labbra e li vi si sofferma, uccidendomi. «Mi manchi. Mi mancano i tuoi baci, mi manca fare l'amore nel nostro letto... tu non provi il bisogno di tutto questo?»

Certo, mi manca, perché lo amo. Sinceramente, però, non nel suo modo contorto.

«Allora?» Mi incalza, ma non c'è bisogno che risponda. Mio marito mi sorride e lascia passare le mani vicinissime, attorno al mio volto, quasi mi stesse accarezzando i capelli. «Sai... cento metri è una distanza un po' difficile per fare l'amore.»

«È quello che meriti» mormoro, ma la sua bocca arriva troppo vicina. Volgo il viso di lato ed eccolo... il respiro della bestia che ti alita addosso. Sento il freddo del suo fiato.

«Ed una volta che avrò scontato questa punizione, che ne sarà di me, Cat? Hai già pensato a questo?»

«Sarai a pezzi, proprio come me.»

«Che modo cruento di finire il nostro bel rapporto» se la ride, ma non c'è alcuna ironia.

«E credi che sia stata io a decidere una cosa simile?»

Accosta ancora di più la bocca alla mia pelle, giungendo fino alla carotide con i suoi denti aguzzi... ma non avverto che le sue labbra, perché il desiderio che cova è il tormento, e sa come procurarmelo.

Il bacio di Ethan sulla fronte brucia tanto da provocare un mal di testa istantaneo e vorrei vomitare per quello che sento adesso, lasciar uscire tutti i demoni dalla mia bocca e rimanere svuotata di tutto questo dolore.

«Caitlin... oggi ripensavo alla nostra seconda notte a Roma, in quel motel scadente affianco al Colosseo con una vista mozzafiato. Indossavi la tua camicia da notte di velluto con i merletti bianchi, lo ricordi?»

Deglutisco. Si tratta della prima notte che mi sono concessa a lui, la prima che le sue mani mi hanno sfiorato. Recentemente l'ho rievocata alla mente anche io, ricordando la scritta su quel vetro del bagno appannato, ma lui ricorda dettagli più spinti... come quando gli ho dato il mio cuore, prima ancora di concedergli il corpo.

Forse, siamo costretti a rivivere ogni tappa del nostro percorso. La vecchia seduzione si accompagna a questa costretta lontananza: due magneti che vivono ai poli opposti e tentano di non calamitarsi. Quale sarà la prossima tappa di questo doloroso tour? Che cosa c'è stato a seguito di quella notte?

Tremo al solo pensiero di ciò che ne è seguito, e di quello che ancora deve capitare tra noi, al fine di allontanarci per sempre.

«Quella donna, dai capelli rossi sparsi sulla coperta di quel letto sfatto con la luna a illuminarle il viso appannato, non mi avrebbe mai detto di no. Era accecata da me come io da lei. Come continuo ad essere, accecato da lei.»

«Forse sei accecato sul serio, non vedi quello che sta accadendo» sussurro, trovando la forza di voltare il viso per poter tornare a fissare le sue iridi nere.

«Vedo cosa sta succedendo, stai cercando di allontanarti da me.»

«Per non rivivere quello che ho già passato» sussurro. Poi raccolgo tutto il coraggio. La fede nuziale è ancora tra le sue dita ed ora pende dalla mano inanime, abbandonata contro il suo fianco.

Sollevo di nuovo gli occhi e li pianto nei suoi, per raccontargli di una verità che è incisa, con quell'ustione, sulla sua pelle.

«Sei diventato il ragno del mio racconto, e non te ne sei nemmeno accorto.»

I suoi occhi si sgranano e le sue sopracciglia si sollevano. La bocca leggermente si apre ma il respiro non fuoriesce. Questa espressione la immortalo nella memoria perché questo mix di paura, ansia, ed angoscia è un concentrato di sincerità che ha fatto i conti con l'imprevedibile.

C'è qualcosa che Michael non aveva calcolato, nemmeno sanguinando di finzione su quel vecchio palco nelle vesti del figlio di Re Lear.

È il nemico di questo racconto. L'amato, quanto detestato, antagonista che tesse le sue trame come ragnatele e che ti intrappola, fino a soffocarti, senza volerlo e piangendo lacrime che crede persino essere sincere.

Michael è tutto questo, ma non se ne accorge, perché il ragno si era nascosto fin dall'inizio del racconto e nessuno lo aveva visto. Solo io, dipingendolo, ma è adesso è di fronte agli occhi di tutti e si mostra, disgustoso, nella sua realtà.

La tana che lo intrappolava è tra i suoi polpastrelli, ma ormai è scivolato dal suo circolare guscio... e non resta altro che far vedere la propria natura al mondo.

Da sola non saprei giudicarla ma saranno altri occhi, esterni, a farlo.
Quello che c'è di vero è che da sempre, nella vita, ho amato più il male che il bene, l'ombra rispetto alla luce. I chiaroscuri dei miei carboncini assumevano profondità se sporcati di nero e cioè si è rispecchiato nella sua vita: l'animo tormentato che indossa Michael ha soddisfatto e saziato il mio che ancora lo brama, come un disperato nella sua eterna fame di disturbo psichico perché c'è sempre del marcio in noi. Uno sporco, e nero marcio, che giace nel profondo della psiche ed è annegato in un abisso.

Lui ci spinge a cercare anche ciò che ci fa male, nascondendoci la vera giustizia. Ci fa credere che soffrire vada bene, perché nessun'opera d'arte prende vita senza i colpi di uno scalpello. Io però ho visto l'uscita. Ho provato la carezza di mani gentili, in grado di modellare pensieri e umore, aggiustare i frammenti di cuore ed ho compreso che quelle mani non sono solo di una nuova conoscenza... ma sono anche le mie. Sono le mie, ed io posso mettere apposto tutto. Almeno ci proverò. Perché esiste del male, sì, ma esiste del bene anche in Michael, e quel bene mi ha amata con tutto il cuore, ne sono certa.

Mi ha amata come nessuno ha fatto mai ed io ho corrisposto, amandolo in un modo che mi sarebbe impossibile replicare.
Questo non ci ha condotti che a un bivio, lo capisco fissandolo.

Di fronte a noi ci sono due strade. Posso condurre Michael alla luce o lui potrà trascinarmi con sè, verso il più profondo abisso. Quale delle due l'avrà vinta e come ne usciremo da questo scontro?

C'è solo un modo per scoprirlo ed è sempre il solito. Vivere. Uscire da questa stanza a testa alta per far credere che vada tutto bene, come mi costringo a fare. Mi separo da questo muro e cammino in direzione della porta, fingendo che il mio cuore non sia appezzi. Fingendo di non provare freddo a quel dito privato della sua catena dorata e di non sentire il bisogno, al di sotto delle coperte, delle sue mani o del suo corpo a rilasciare calore.

Questo è il nostro bivio, non esiste nient'altro, ed a seconda della strada da percorrere avranno vita una serie di scelte, più o meno controllabili, che ci lasceranno da soli a proclamare la vittoria.

Nel migliore dei casi sarà di entrambi... nel peggiore avremo vissuto un amore capace di trovarsi solo nel più appassionato dei romanzi.

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