P.O.V.
Michael
I miei occhi non vedono altro che uno sconfinato bianco. La parete sembra la pelle di un tamburo che vibra all'intercettazione di ogni minimo suono e si contorce, in sé stessa, secondo una mutazione elastica. I rumori mi ritornano contro.
Sono frasi e parole che continuano a gridarmi dentro.
Voglio il divorzio, trovati un avvocato.
Prometto di farti realmente felice un giorno. Di esserti vicina. Questa è la mia promessa.
Queste frasi sono state dette dalla stessa donna, eppure è come se non fosse così. Appartengono a due momenti distinti della vita, questo è vero, della nostra storia d'amore ed è certo il drastico calo di interesse.
Mia moglie mi aveva fatto una promessa, alla bocca della verità, che non ha saputo mantenere. D'altronde, posso dire lo stesso di me.
Ci sono così tante variabili che non puoi calcolare nel corso di tutti questi anni ma una sola cosa era certa e lo è rimasta; ci saremo sposati e amanti.
Siamo ancora entrambi, vincolati e innamorati.
Anche se il suo desiderio è traducibile nell'abbandono di questi anelli non credo che la situazione possa cambiare, sfortunatamente per Cat.
Devo resistere quanto basta perché si accorga di quanto questa situazione sia assurda.
«Sicuro che non vuoi altro?»
«Sono apposto così, Emily, grazie» le rispondo con gentilezza e lei mi sorride, venendosi a sedere a fianco a me. Siamo nel suo soggiorno, ancora una volta, per revisionare alcuni dettagli del caso.
«Quando si terrà l'udienza?» Chiedo a bruciapelo, non essendo venuto per sapere altro che questo.
«Tra una settimana. Mi sono confrontata con i miei colleghi all'ordine e ho scoperto chi è il suo avvocato.»
«È uno bravo?» Domando, intimorito. Emily mi sorride.
«Molto, ma io lo sono di più.»
Alla risposta rido sincero, capendo bene ciò che già avevo dato per scontato. «Sei nata per fare questo lavoro.»
«Lascia perdere un discorso simile, adesso. Piuttosto, non mi avevi detto tua moglie fosse ricca, o comunque abbastanza benestante da potersi permettere un avvocato così!»
«A questo proposito...»
«Non iniziare di nuovo, Michael. Ce lo siamo già detti. Non voglio un soldo.»
«Sul serio, non capisco perché tu faccia così.»
«Sto agendo secondo il volere di un mio vecchio amico...»
Ergo: un uomo che ti sei scopata.
«... motivo per il quale non voglio che questi mi paghi la parcella.»
Mi sta bene. Più che bene. Avere il meglio dando niente è più o meno quello che forse sta facendo Cat dal momento che...
«Mia moglie non è ricca.»
«Allora c'è qualcuno che la appoggia. Dovremo stare attenti ma sono certa che potremo vincere.»
«Non è negativa tutta questa sicurezza? Finirai per convincermi troppo. Se andrà male?»
«Ricordo che un tempo la mia positività ti piaceva. Che fine ha fatto quel vecchio uomo? Lo tieni sepolto da qualche parte lasciando questo vecchio brontolone a tenermi compagnia?»
«Non sono tanto vecchio» commento, con il braccio steso lungo lo schienale del divano e la vedo scorrermi gli occhi addosso.
«I capelli hanno iniziato ad assumere una sfumatura grigia, in qualche ciocca, ma non importa. Stai bene come sempre.»
Sorrido, vedendola osservare i capelli inquisitori, proprio al di sopra del mio capo. Si tratta di sfumature sparse, abbastanza evidenti anche se sembra star prestando attenzione ai particolari.
«Emily, voglio chiederti una cosa. Il caso di Miranda...» Lo sguardo di lei si fa più triste e il suo umore mi contagia.
«Non è mai stato risolto. La troupe teatrale non è mai stata risarcita del danno morale.»
«Credi che abbia fatto quell'incidente in macchina di proposito?»
Si stringe nelle spalle, mostrandomi chiaramente che un simile pensiero aveva già fatto la sua conoscenza.
«Miranda era una donna difficile da comprendere. Solo tu sembravi conoscerla meglio.»
«Ho passato molto tempo con lei...»
«Eri il suo preferito, e l'allievo più bravo.»
Abbasso la testa, fissando la trama del copri divano.
«Non abbastanza bravo, però.»
Se solo lo fossi stato non avrei provato vergogna, e sarei rimasto al suo fianco fino alla fine. Impedendole di finire.
La mano di Emily scivola nella mia e di colpo sembra tirarmi giù dalla seduta. Sollevo la testa per osservarla in preda alla confusione ma il mio avvocato mi sorride, e sembra incredibilmente docile nel farlo.
«Avanti, seguimi, voglio portarti in un posto» mi dice, con la stessa gioia di una bambina che sta per combinare un guaio.
«Dove?»
«Vuoi lasciarmi fare, per una buona volta?»
Le sorrido, concedendole questa piccola vittoria.
Il viaggio in macchina non è molto breve ma fortunatamente riesce a distrarmi il paesaggio al di fuori del finestrino, godendo della vista come il preferito dei cinque sensi prima che lei me ne privi.
Stiamo percorrendo una leggera discesa ma le sue mani, poste di fronte ai miei occhi, mi impediscono di cogliere particolari di questo viale in ghiaia.
Mi viene da ridere ma riesco a trattenermi. Il suo buonumore è contagioso e vittima del suo sesto senso, mosso sempre in forma di aiuto nei confronti del mio.
«Non ho ottenuto questo lavoro da molto ma già siamo a buon punto. Dovevo offrire un supporto legale ad un'associazione mossa alla sensibilizzazione delle minoranze. Nello specifico ai giovani con la sindrome di Down. Siamo riusciti a spuntarla bene ed ora questo posto é tutto loro.»
Un'odore familiare mi raggiunge ma non riesco a definire a cosa appartenga. Da dietro le palpebre coperte non è possibile vedere niente e l'attesa accresce la curiosità.
Nel procedere, poi, certi rumori si fanno più distinti e riesco a percepire chiaramente il battere allegro di alcune mani oltre che le risa.
Sorrido da sotto i palmi di lei e mi lascio guidare, fino a un punto nel quale le voci sembrano essere mediamente vicine ma non ancora percepibili.
Non appena lascia liberi i miei occhi sono senza fiato.
Mi trovo nella quinta di un teatro, e davanti a me, sul palco, c'è una di quelle bambine speciali con un sorriso enorme che si sta esibendo, e di fronte a lei, sulle poltrone rosse, gli amici la applaudo.
Avverto un'anomala tachicardia e non posso evitare di fissarmi attorno. Le luci, la scena, il tessuto nero di questi divisori laterali che arrivo a sfiorare con i polpastrelli... mi era mancato, ed Emily lo sapeva.
Mi volto verso di lei, grato di questo fantastico gesto.
«Grazie...»
Di risposta mi sorride e poi mi invita a prestare attenzione allo spettacolo. Si tratta di un'opera piena di umorismo ed il ragazzo che interpreta la parte dell'attore principale è particolarmente sveglio per la sua età.
In un solo attimo riesco a immedesimarmi in lui ed eccomi tornato sulla scena, a interpretare il figlio di Re Lear. Il fianco mi sta sanguinando, sono appena stato ferito a morte e, quando volgo lo sguardo verso le quinte, Katrina mi sta fissando.
Chiudo gli occhi, li riapro e la visione scompare, lasciandomi dentro un lieve torpore dato dai dolci ricordi.
Quando, pochi minuti dopo, questi bravi commedianti lasciano il palco i miei piedi si muovono in autonomia.
C'è silenzio nel teatro ed un faro luminoso, e bianco, sta puntando verso il centro della scena. Arrivo a lui e sollevo gli occhi, ricevendo addosso l'emozione di una simile vista.
Fila e fila di sedute gravano su di me, facendosi curiose e stavolta non ho da offrire altri che me stesso, come quando ero bambino.
Rilascio una breve risata, dettata dalla troppa euforia e poi mi piego sulle ginocchia quasi avessi corso un'incredibile maratona. I talloni sostengono il peso del mio corpo e lo scaricano sulle punte dei piedi, indolenzendomi lievemente i muscoli in un dolore che è gradito.
«Non hai idea da quanto tempo volessi tornare.»
Questo è il mio posto, il luogo a cui appartengo. Nessun altro sarà mai tanto casa, lo capisco in un attimo, o luogo di lavoro o rifugio. Nessun altro luogo sarà mai come questo. Mi domando come sia riuscito a separarmene tanto, sembra di tornare a vivere.
La notte ancora non riesco a dormire bene, giusto una o due ore, ma di colpo mi sento rigenerato. Che magnifica sensazione. Proprio quello di cui avevo bisogno, per continuare ad essere felice.
«Quei bambini erano una forza» commento, ricordando il volto di una piccola ragazzina bionda in prima fila, in particolare. «Sai, ce ne era una che assomiglia, particolarmente, alla figlia di Stephany.»
«Stephany ha avuto una bambina?»
«Credo che ormai vada per i sei anni.»
«Vi siete rivisiti, di recente?»
«No, giusto qualche anno fa. L'ho aiutata a tenere la bambina.»
«E credi di essere rimasto in buoni rapporti?»
Mi volto verso di lei, non riuscendo a capire l'origine della sua domanda.
«Credi», prosegue lei nel chiarire,«che testimonierebbe a tuo favore, nel corso della causa?»
Taccio per lunghi istanti, prendendo in considerazione l'idea.
«Possiamo provare...»
Emily annuisce e afferra lesta il telefono. La vedo comporre un numero e tornare quindi sui propri passi, lasciandomi udire la sua voce attraverso la cornetta del telefono.
Sta salutando la nostra vecchia conoscenza con un tono di voce informale, pieno di allegria, ed io ascolto quel suono mentre me ne resto fermo al centro del palco, fissando dritto verso il centro la luce proiettata.
P.O.V.
Caitlin
La sorpresa non se ne è andata, come non è scomparsa la faccia contrita di Lexie o la figura di Ethan.
Adesso siamo seduti tutti insieme al tavolo del soggiorno e sto cercando di controllarmi, inutilmente, dallo sgridare con lo sguardo lui, che dietro le mani portate alle labbra sembra nascondere un sorriso.
«Vuoi raccontarci come è andata?» Le domando gentile, certa che parlare possa aiutare.
«Non c'è niente da raccontare. È successo e basta.»
«Si è sporto lui per primo?» Chiede con arroganza Ethan, misto al divertimento, ed io inclino la testa in segno di rimprovero. Non sembra interessargli.
«In verità non so chi abbia iniziato per primo. Eravamo accomodati al bancone del servizio bar dell'hotel. Il barman ci aveva appena servito dei cocktail e stavamo scherzando...»
«La camera dell'hotel l'avete usata?»
«Ethan!» Esclamo, e lui si stringe nelle spalle, spalancando le braccia.
«Che c'è? Sono i miei due più vecchi amici, se non li prendo in giro io chi altri? Hai idea da quanto aspettassi questo momento?»
A vederla sotto questo punto di vista provo il desiderio irrefrenabile di scoppiare a ridere, ma Lexie non sembra essere della stessa opinione.
«Tu lo sapevi?» Gli domanda, stringendo leggermente la mano attorno alla sua tazza di camomilla.
«Sei cotta di lui da anni ma, allo stesso tempo, sei troppo testarda.»
«Che cosa ha fatto lui?» Chiedo io invece, e gli occhi di Lexie sembrano ripercorrere la scena.
«Dopo che ci siamo baciati si è scostato, e mi ha fissato negli occhi. Credo volesse dirmi qualcosa ma non gli ho dato tempo di dirla. Sono corsa via, prendendo le chiavi della macchina.»
«Un comportamento veramente maturo, lo volevi anche tu quel bacio, no?» Avanza nelle sue domande scomode Ethan, recuperando dalla tasca il telefono e componendo il numero di sblocco.
«Credo di sì...» sussurra lei, e vedendola in difficoltà provo l'improvviso bisogno di correrle in aiuto.
«Ascoltami, non è successo niente. Se non sei convinta glielo puoi dire, in fondo si è trattato solo di un bacio» le dico, anche se per me pure un solo bacio acquista un significato importante.
Ethan mi guarda male, forse perché non mi trovo a fiancheggiarlo, e quando si solleva in piedi camminando per la stanza affianca il telefono all'orecchio, facendo partire una chiamata.
«Ehi! Amico, come stai? Hai finito con gli sponsor?»
Scatto in piedi e cerco di strappargli lo smartphone mentre Lexie, scioccata, rimane a fissarlo da lontano. È tutto inutile, è troppo alto, le mie mani afferrano il vuoto. Inoltre sono demotivata dal suo sguardo consapevole di superiorità.
«Come è stato il viaggio, allora?» Un lungo attimo di silenzio, nel quale credo che Reiner stia raccontando i dettagli del suo lavoro. Mi sbagliavo.
La bocca pronunciata di Ethan si spalanca in un sorriso che mette in mostra i denti bianchi, ma la voce non ne tradisce troppo l'eccesso di ironia. «Come? L'hai baciata? E ti è piaciuto?»
Vedo, con la vista periferica, Lexie sobbalzare leggermente, attirando lo sguardo di entrambi.
«Sono convinto che ci sia stato un motivo per il quale è fuggita via» continua ad argomentare all'interfono, senza renderci completamente partecipi di quella chiamata privata. «Credo che tu debba venire qui a casa e parlarne direttamente con lei, di quello che provi. Sì, è tornata. L'ho vista rientrare poco fa... d'accordo, amico, ti aspettiamo.»
Non appena butta giù la chiamata, Lexie schizza via in camera, presa dalla vergogna o posseduta da un istinto improvviso di cambiarsi e così resto sola con Ethan.
Gli sono a pochi centimetri di distanza ed i suoi occhi sono ancora più difficili da sorreggere così. La sua espressione, tra il divertito ed il furioso, mi precipita addosso mentre rimette nella tasca il telefono.
«Sei stato uno stronzo» commento sincera, ma lui non ne sembra troppo sconvolto.
«Tu non avresti dovuto appoggiarmi?»
«Lexie non sa quello che vuole...»
«Ti sbagli», mi dice, «desidera Reiner da un pezzo solo che non ha il coraggio di farsi avanti e prenderselo. Non lascerò cadere nel vuoto questo miracoloso evento pieno di coraggio, nonostante tutti i tuoi tentativi di sabotarlo.»
Non so bene come ribattere a un simile discorso, ma rimango senza parole solo con la frase successiva, detta a un tono di voce più basso mentre si china verso di me, prima di andarsene via.
«Non si tratta mai solo di un bacio.»
Il suo profumo mi avvolge i sensi ma l'attimo dopo scompare, lasciandomi unicamente il ricordo delle sue parole.
I piedi di Lexie non riescono a stare fermi un attimo. Battono a terra presi dalla frenesia, ed ancora il mio amico sembra non arrivare.
Mi trovo vicino alla finestra e lontana da entrambi: Ethan è vittima delle cattive occhiate di Lexie mentre io lo sono delle parole di lui. Non riesco a discostarmene, e mi domando il perché ogni sua frase non riesca a uscire con serenità dalla mia testa.
Basta solo una sua occhiata, nel momento in cui penso di averle perse per sempre, ed ecco che tornano alla luce.
«Non essere tanto agitata...»
«Parli presto, tu» gli ringhia contro Lexie, dopo quelle parole avventate.
«È vero, non sono stato certo io a decidere di baciarlo.»
«Nemmeno io, se per quello.»
«Questione di semantica.»
«Parla come mangi, sbruffone, o la prossima volta che combini un guaio me la vedrò io con te.»
«Lexie? Posso dirti una verità che non saprai accettare?»
La domanda è retorica per questo non attende la conferma. Si sporge verso lei e le sorride, amichevole.
«Non mi abbandoneresti nemmeno se facessi il più grande dei peccati» le dice, fronteggiandola impavida ed è lei la prima a cedere. Torce il viso di lato e sussurra un:
«Bastardo fortunato.»
Questo lo fa sorridere e lo porta a darle il giusto spazio. Non appena arriva fino a me mi accorgo di non poter sfuggire nemmeno io alla sua indagine.
«Che cos'hai?»
«Credo sul serio che sia stata una mossa troppo avventata invitarlo qui.»
Sorride e unisce le mani dietro la schiena mentre si accosta al muro. «Io invece credo che non lo sia. Vedrai, Reiner prova lo stesso. Non verrebbe qui sapendo che c'è lei, altrimenti.»
Questa frase mi risulta strana, ma decido di lasciar perdere.
«Forse è il caso che li lasciamo soli, non appena Reiner arriva» dice. Sollevo un sopracciglio.
«E dove vuoi andare?» Sul terrazzo?
«Non provateci nemmeno! Non vi muoverete da qui!» Esclama lei. Me l'ha detto sussurrando ma a quanto pare non è stato sufficiente. «Ad ogni modo... Sneg... ti ho preparato una stanza, la seconda in fondo al corridoio. Non puoi continuare a dormire su quel divano, devi avere i muscoli a pezzi.»
«Non ce ne era bisogno, Lexie, sto bene... ma grazie.»
Dopo queste mie parole di ringraziamento vedo la mia amica come sconnettersi e tornare a fissare il portone.
Ethan mi guarda, con un'espressione indecifrabile.
«Che cosa c'è?»
Non risponde. Il campanello di casa suona e Lexie scatta in piedi.
«Non farti prendere dall'ansia!» Le dico, io stesso febbricitante. «Prendi un bel respiro e prova a spiegargli come sono andate le cose.»
Segue il mio consiglio e prende un profondo respiro, volgendosi con il corpo alla porta. Sto per fiancheggiarla quando, di colpo, sento la mano di Ethan nella mia.
Il cuore salta un battito, ed il corpo che si era mosso in direzione di lei finisce di colpo per congelarsi, senza resistere alla forza che esercita poco dopo lui tirandomi, quasi per miracolo.
Stiamo abbandonando il soggiorno in modo da lasciarli soli. No! Lexie non voleva... ma è sul serio così? Nonostante l'ansia che indossa, mentre me ne vado vedo sul suo viso nascere un minuscolo sorriso. Questi è sincero, e senza dubbio involontario.
Devo essermi sbagliata.
La mia mano quasi scompare in quella di Ethan e mi rendo appena conto del suo tocco delicato.
Ha le mani calde rispetto alle mie, costantemente fredde, e per alcuni secondi chiudo gli occhi, percependole di nuovo sul mio viso.
Quando li riapro è solo a causa della percezione di una porta, venutasi a chiudere, alle mie spalle.
Vi sono appoggiata contro e sono in una nuova stanza. La mia nuova stanza, con Ethan di fronte a me.
Rimango a fissarlo a corto di fiato, e spero davvero di non andare in tachicardia.
È vicino. Troppo vicino e mi provoca lo stesso effetto di claustrofobia che si può avere in un ambiente chiuso; mi gira la testa e l'aria mi viene a mancare.
«Adesso fa silenzio, voglio sentire cosa hanno da dirsi» sussurra, sollevando gli occhi quasi potesse vederli oltre questa porta. Io invece davanti ho il suo pomo d'Adamo e il profumo che indossa. Scivolo leggermente più lontano da lui mentre si accosta con un orecchio all'infisso.
La testa pende di lato e i ricci la seguono, mentre le pupille puntano il soffitto quasi stesse per concentrarsi.
È bello vedere la sua allegria, nonostante vada a discapito dei nostri amici. È bello... che vi regni sempre come la lucidità per ogni azione che compie.
Sbuffa leggero, tornando a me, e poi mormora un:
«Troppo lontano.»
Beh, mi dispiace che non possa farsi gli affari loro. Di questo sono piuttosto soddisfatta... e glielo direi, se solo questa situazione non mi mettesse estremamente a disagio.
Sono chiusa con lui, in una stanza. Oltretutto la mia camera, ancora priva di oggetti personali.
«A che cosa stai pensando?»
A Michael. A quello che penserebbe se ci vedesse chiusi qui.
«Perché mi hai portata in camera? Dovevamo essere entrambi di là.»
«Non mi darai mai ragione, non è vero? I nostri amici se la caveranno anche da soli, vedrai, tra poco tutto si sistemerà.»
«Li hai messi in una situazione difficile.»
«Che cosa ti blocca, Katrina? Credevo che saremo stati dalla stessa parte, non vogliamo entrambi vederli felici? Lo saranno, stando insieme.»
«Lo volevo... lo voglio, ma Lexie...»
«Credi che non sia pronta?»
«È così.»
«Alle volte occorre agire solo d'istinto per accorgersi che è stata la decisione migliore, e poi non sta a noi decidere.»
«Senti da che pulpito.»
Sorride, analizzando il mio viso. «Se sei attratta da una persona non la baci?»
Sbuffo. «Non riportare questo discorso su di me, stiamo parlando di loro.»
«D'accordo, adesso facciamo un patto. Con calma aprirò questa porta: se vediamo che stanno litigando ti darò ragione e, dopo aver goduto un po' della scena, andremo di là ad aiutarli ma... se ho ragione io e in questo momento si stanno baciando allora te ne resterai qui dentro zitta e buona, perché quei due hanno bisogno di chiarire senza noi tra i piedi.»
Alzo un sopracciglio e valuto le mie opzioni. Sono certa che adesso stiano litigando per cui tanto vale accettare.
«D'accordo, affare fatto!»
«Molto bene.» Si raddrizza e posa una mano sulla maniglia. «Pronta?»
«Pronta!»
Con lentezza apre la porta e piano piano riusciamo a scorgere l'esterno. Il nero resina del pavimento, il battiscopa, le parti chiare, una coppia di piedi in scarpe lucide... e loro due, abbracciati stretti e impegnati a baciarsi.
Spalanco la bocca, affatto fiera della mia amica, ed Ethan al mio fianco ride, braccandomi dall'alto, maligno.
Lo sento chinarsi verso il mio orecchio e poi la sua voce calda sussurrarmi piano.
«Fregata.»
Con lentezza, la porta si chiude di fronte al mio sconcerto ma, proprio come Lexie, in un primo momento non mi accorgo... di stare sfoggiando un sorriso.
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