69- Essere complici è tornare bambini

P.O.V.
Caitlin

Lascio cadere la testa all'indietro, contro lo schienale di questo divano, presa dalla noia di convivere con quattro sole pareti.

Non c'è molto da fare all'interno di questa mia nuova casa ed i pensieri iniziano a farsi assordanti. Se solo mi fermo ad osservare, i miei occhi ricadono costantemente sull'anello e su tutti i pensieri ad esso correlati.

Mi sollevo di scatto, e inizio a camminare per la stanza. Questa bellissima prigione da arresti domiciliari ricca di fiori. Sfioro una pianta, così come il contenitore che la protegge. Un tempo mi piaceva lavorare l'argilla. Creare dei vasi o dei soprammobili con cui decorare casa, ma la pittura aveva preso il sopravvento su tutto. Come una madre, che ti protegge.

Poso le dita sulla mia pancia, riflettendo su quello che ho fatto e sui risultati che ancora non sono arrivati. I passi mi conducono fino al bagno, e quando mi siedo sulla toletta del wc, sfilando lenta gli slip, rimango in silenzio. Questo è il mio secondo giorno di ritardo.

Sollevo nuovamente le mutandine e mi alzo in piedi, presa dall'angoscia, arrestandomi con una mano posata sulla bocca solo una volta trovatami nei pressi della finestra. Vedere il celeste chiaro del cielo mi dona la giusta serenità, e per alcuni secondi mi permette di dimenticare i problemi.

Che cosa dovrei fare, se avessi la conferma di aspettare un figlio da Michael proprio ora, durante la causa del nostro divorzio? Riuscirei, ancora una volta, a togliere la vita a una figura tanto innocente?

Temo la risposta che so già di possedere, motivo per il quale ancora non ho comprato un test di gravidanza. Non voglio credere che sia reale, non voglio pensare alle percentuali di efficacia che ho letto, perché, molto probabilmente, mi priverebbe del tutto della forza della quale mi sono fatta carico.

Calcolo le settantadue ore di efficacia della pillola, ricollegando il momento di tale uso nella confusione mentale dei miei ricordi. Tramortita dagli eventi, nemmeno ricordo con precisione quando è stato. Indosso avevo il vestito leggero a fiori, con cui sono rimasta le prime notti nell'albergo ad ore essendo scappata di casa, e ricordo le lacrime, l'angoscia di quel momento disperso del tempo.

Espiro con forza e arrivo alla conclusione di dover solo aspettare, e sperare.

Il cielo, adesso, assume un connotato specifico e capisco il motivo per il quale mi dona la giusta tranquillità. Lexie mi ha costretta a non sentirlo ma la mia amica è fuori, per un intero giorno assieme a Reiener, a causa del lavoro.

Non so cosa fare. Restare da sola mi sta distruggendo e non ho le forze per affrontare un altro allenamento di nuoto. L'ultima volta mi sono accorta di quanto il fiato mi fosse venuto a mancare. Il fisico non sta reggendo. È vero, sono dimagrita, ma essendo già stata nel peso forma questa soglia di rimozione sta arrivando a farmi contare le ossa.

Non dovrebbe andare così. La prima lezione che mi insegna l'hiv è di tenere al mio corpo e di custodirlo come un tempio sacro. È il luogo che mi ospita, per quanto malandato, ed io non sto avendo clemenza di lui.
Non ho modo di averne quando la testa è rivolta altrove, e poi nemmeno me ne interessa. Il cibo ha un sapore amaro ma il poter discorrere, senza vincoli, con una persona... è una boccata di ossigeno che al momento mi manca.

Prendo il telefono, ma rimango immobile, senza sapere come iniziare. Il nome di Ethan è riportato in alto, sulla barra della chat. Non ci siamo più sentiti dalla cena in compagnia dei nostri amici e non so come esordire.
Nemmeno vorrei risultare ridicola. Sappiamo entrambi quanto bisogno io abbia di aiuto ma non voglio che provi pena.

La vera domanda è... sono la sola, di entrambi, ad averne?

«Ciao» digito contro la tastiera, e prima di ripensarci premo invio per poi rimanere in attesa. I minuti scorrono, li vedo passare dall'orologio sullo schermo.
Probabilmente ha da fare, anche se Reiner ha dato a tutti la giornata libera come premio della conclusioni dei lavori, due giorni precedente l'inaugurazione della mostra. Forse, proprio a causa di questa libertà ha da fare. È il suo giorno libero ed io l'ho disturbato.

«Ciao» riporta la sua risposta.
Le ansie scivolano di colpo via.

Che stai facendo?

Picchietto con le dita sullo schermo, mentre attendo di capire i suoi impegni. Se si tratta di qualcosa di importante scomparirò dalla sua vista così come sono entrata.

Sono in giro per la città.

Questo non riesco proprio a interpretarlo ma non è importante che lo faccia. Sono passati solo pochi secondi dalla lettura del suo messaggio che ecco sento il telefono squillare e il suo nome brillare nei maiuscoli caratteri dati da una chiamata.
Sgrano gli occhi, presa dallo stupore, ed esito a scorrere la linea verde di accettazione avendo quasi creduto si trattasse di uno sbaglio.

«Ciao!» Mi ripeto, ma stavolta ho la voce un po' troppo secca. Niente convinzione data da quel primo messaggio coraggioso, sono ritornata a terra.

«Ciao!»

Sento il suo sorriso. Nonostante non possa vedermi, lo ricambio in maniera incosciente.

«N-non mi aspettavo una chiamata» tento di giustificare la mia voce e l'emozione ma stranamente Ethan si mostra misericordioso, decidendo di non dare vita a una serie di battute sarcastiche.

«Volevo sentire la tua voce, sapere come stavi. Attraverso un messaggio non si capisce molto.»

«Va tutto bene...»

«Lexie e Reiner sono fuori città» commenta, ed in sottofondo alla sua voce riesco a percepire il traffico. Non mi aveva mentito.

«È così, tornano domani mattina.»

«Immagino tu sia annoiata.»

Passo una mano tra i capelli, divertita dalla sua astuzia.

«Lo sono eccome!»

«Quindi immagino, anche, che la tua lista di amici si sia ridotta a me.»

«Ho un sacco di amici, invece!»

«Vuoi che ti faccia compagnia?»

Perdo ogni tono ironico. La mano è ancora tra i capelli ma adesso percorre le ciocche con lentezza.

«Hai da fare?»

«No.»

Lo dice con un tono deciso, quasi stesse aspettando solo un mio invito.

«Nemmeno io» mormoro, restando in silenzio in attesa che dica qualcosa. Mi raggiunge solo il silenzio per cui sono costretta a sussurrare la mia volontà. «Ti va... di restare insieme, oggi?»

«Sì» risponde, e rimango sorpresa dalla reazione che hanno le mie labbra: si spalancano subito in un enorme sorriso, lanciando scie di felicità ovunque, attorno. «Dove hai voglia di andare?»

«Ti andrebbe di restare in casa? Ecco, io non...»

Non voglio rischiare che Michael ti veda.

La frase è talmente meschina da rimanere nella mia testa soltanto. Ethan non mi lascia da sola a tradurla e corre in mio soccorso.

«D'accordo» mi dice. Il cuore ripristina leggerezza.

«Va bene...» sussurro, senza volerlo.

«Va bene!» Replica lui, nello stesso tono di voce basso, quasi ci stessero spiando.
Mi viene da ridere e adesso sono certa di vedere anche il suo volto sorridente.

«Ti aspetto qui...»

«Dieci minuti e sono da te.»

«D'accordo... ciao...»

«Ciao.»

Butto giù per prima la chiamata, sentendomi meno sola.


Avverto il sopraggiungere dei suoi passi ancora prima che questi arrivino sul pianerottolo ma quando il campanello di casa suona attendo paziente dietro la porta, per non fargli intendere che mi trovassi già qui ad aspettarlo.

Resto per qualche secondo senza fiato, notando il suo aspetto curato. Non è niente di diverso dal solito, niente abiti particolarmente eleganti, ma i capelli gli stanno bene e anche questo pullover nero con sotto una maglia bianca. Inoltre, sfoggia anche un sorriso in parte ironico che sembra farsi beffa della mia allegria.
Quanto è visibile la mia felicità?

«Ciao» dico con un tono sottile di voce e gli vedo mordersi il labbro inferiore, per evitare di ridere. Subito dopo le sue sopracciglia si aggrottano, dandogli un finto aspetto severo che è tradito dal divertimento con cui mi si rivolge, nella parola più gettonata che ci siamo scambiati negli ultimi venti minuti.

«Ciao.»

Entra, senza che lo inviti formalmente a farlo, e si guarda intorno a caccia di indizii.

«Si può sapere dove sono andati?» Chiede mentre è al centro del soggiorno, per poi voltarsi e fissarmi. Mi stringo nelle spalle.

«Puoi immaginarlo...»

«Dagli sponsor della mostra, quindi...»

Annuisco. «A consegnare direttamente gli inviti per l'inaugurazione.»

«Siamo stati bravi. La mostra è venuta su particolarmente bene. Ci sarai all'apertura?»

«Mi aspettano i turni dei successivi giorni di apertura. Verrò al dopo festa, come tutti i dipendenti. Non me la sento di affrontare tre ore di formalità.»

«Io invece sono stato richiesto. A nome di mio zio» commenta, avviandosi verso il divano con passo lento.

«Allora sei costretto ad andare...»

«Sarebbe più semplice se venissi anche tu.»

«Perché dici questo?»

«Credi che Lexie e Reiner mi saranno vicini visti i ruoli che occupano? Invece tu e io siamo al pari. Entrambi fautori dell'evento, entrambi artisti...»

«Non sono più un'artista da tempo...»

«... come ti ho detto siamo molto simili» continua il suo discorso, quasi non mi avesse sentito. Ma lo ha fatto, lo capisco chiaramente non appena si volta e mi sorride, in maniera alquanto calcolata.

Intreccio le mani al petto e assumo una posa austera, che vorrebbe trasmettere inclemenza.

«Quale fortuna che mi è capitata oggi... di solito non parli molto, mister Lance, ma deve essere il tuo giorno buono.»

«Riesco ad essere simpatico, se mi si impara a conoscere.»

«E modesto.»

«Oh! Di quello ne sono certo!»

Sorrido, perché nonostante il suo tono ironico ne sono certa anche io.

«Non scherzare troppo, io al contrario tuo non sono affatto una persona tanto ironica» lo avverto, incamminandomi verso la cucina per prendere un bicchiere d'acqua e sentendolo seguirmi.

«Invece credo che un pizzico di ironia sia nascosto anche sotto tutto quel cinismo.»

«Hai bisogno di qualcosa?» Domando. Mi sono fermata e lui ha fatto lo stesso, quindi siamo entrambi vicini al lavello della stanza, fianco a fianco.

«No, tu ne hai bisogno?»

Aggrotto le sopracciglia. «In cosa mi potresti aiutare?»

«Faccio una salsa di pomodoro buonissima.»

Scoppio a ridere per un attimo e rimango con la bocca aperta. «Hai iniziato ad avere un'ossessione con il cibo!» Lo avverto, prendendomi nel frattempo il mio bicchiere d'acqua e riempiendolo fino all'orlo.

«Tu invece te ne dimentichi proprio»gli sento dire mentre esco dalla stanza, bevendo appena un sorso.

«Ho gia Lexie a farmi la morale, ti prego non mettertici anche tu...»

Solleva entrambe le mani, in segno di resa. «Come non detto, volevo solo essere d'aiuto.»

Abbiamo finito per accomodarci al tavolo del soggiorno, lo stesso che due giorni fa ci ha ospitati solo che io, avendo mantenuto il mio posto, mi ritrovo allo stesso lato dei ricordi mentre lui si è spostato dove era Lexie, e quindi alla mia sinistra, capotavola.

Il sole lo illumina da dietro, rischiarandogli ulteriormente i capelli, e alle sue spalle vedo ancora le sedie come le abbiamo abbandonate sul balcone.
Arrossisco e abbasso lo sguardo, non potendo lasciargli leggere la memoria che ho di quella notte.

Ignaro del fatto, tiene una mano alla bocca e l'altra contro il tavolo a far battere leggeri i polpastrelli, ad una cadenza regolare.

«Eee..? Che esperienze propone il parco avventura di casa Lexy?»

Sorrido, divertita. «Oh, non vuoi sapere davvero delle sue avventure...»

«Persino mentre ci sei tu in casa sua? Che sfrontata!»

Divento di mille colori. «Possiamo evitare di parlarne?»

«D'accordo... ma dovremo al più presto vedere di sistemarla con Reiner.»

Una leggera dolcezza mi pervade e mi da il coraggio di rivolgermi a lui mostrandogli il mio sorriso. È rimasto nella stessa posa, sorreggendosi il mento e fissandomi dall'alto con un accenno di ironia.
I suoi occhi rimangono aguzzi nello scrutarmi.

«Che cosa c'è?» Mormora, e non posso sottrarmi alla risposta.

«Sai davvero essere leggero, se vuoi.»

«Mh, il resto delle volte quindi sono difficilmente sopportabile...»

«Vuoi fraintendermi di proposito. No, quello che voglio dire è che sei riuscito a distrarmi... grazie.»

Cambia notevolmente il suo sorriso, mutando l'ironia costruita di poco fa in sincerità.

«Di nulla...»

Rimango immobile nel suo sguardo finché non lo allontana. Scompone anche la posa che aveva assunto e finisce per posare la schiena contro lo schienale, lasciando scivolare la mano destra lungo il tavolo, la stessa che la scorsa notte mi ha accarezzata.

Volto la testa di lato ricercando la solitudine, almeno per poco, fintanto che la sua voce non mi riporti con la mente al presente.

«Dico sul serio, che cosa facciamo qui?»

«Non ne ho idea» commento, lasciandogli libera scelta. Non passa nemmeno mezzo minuto nel più completo silenzio che mi sento in bisogno di raccontargli di questa assurda situazione.
Potrei non farlo, e giustificare la mia reclusione qui per quello che in parte è; bisogno di condividere del tempo con gli amici, allontanandomi dalla mia vita coniugale, ma conterrebbe in sé una bugia. Non mi sarei mai allontanata, se si fosse rivelata ospitale.

«Sto avviando una causa di divorzio contro mio marito» sussurro. Dopo resto in ascolto di quel minuscolo silenzio.

«La domanda non cambia: cosa ci facciamo qui?»

Volto la testa verso di lui, per accertarmi che capisca.

«Non vorrei che mi vedesse camminare con un altro uomo per strada. Potrebbe farsi un'idea sbagliata e motivare la mia richiesta di divorzio per un suo semplice pensiero.»

«Capisco quello che intendi... ma così non continui a dargli potere?»

«Ti prego, non affrontare questo argomento, ho già fatto qualcosa che va ben oltre le mie capacità» lo informo, introducendo nella frase la solita nota di triste divertimento. «Provi il bisogno irrefrenabile di uscire fuori all'aperto?»

«Figurati, sono stato rinchiuso in una cella a Kandahar per sedici giorni» commenta, sollevandosi. «Posso resistere.»

Mi tappo la bocca, per evitargli di vedermi ridere.

P.O.V.
Ethan

Siamo nella casa di Lexie, da soli, e ci siamo divertendo. Ho cercato di assumere un tono ironico da quando sono entrato, facilmente favorito dalla sua incapacità di articolare un discorso privilegiando, invece, uno scambio continuo di saluti.
Quante volte ci saremo detti "ciao"?

Ad ogni modo, è stato divertente. Non avrei mai tirato fuori l'argomento del divorzio ma poi si è proposta da sola di farlo... e mi è piaciuto, significa che si fida di me, e che quella carezza rubata, due notti fa sul balcone, non era stata troppo avventata.

Forse, in parte poteva esserlo. Katrina era particolarmente bella quella notte, vestita di tristezza e di speranza. Mi aveva seguito sotto i raggi della mezza luna in cielo e mi aveva raggiunto.
Non ero riuscito a resistere.

Avrei dovuto evitare di toccarla ma non aveva niente di sporco, o alcun secondo fine, il mio gesto. Volevo semplicemente sfiorarla, rassicurarle che ci sarei comunque stato per lei, sempre.

Ed infatti, eccomi qui. Privo di idee su come portare avanti questa giornata ma elettrizzato di starlo facendo con lei.

«Come mai ti avevano imprigionato?»

«Puoi immaginarlo...» le rispondo, continuando a passeggiare per la stanza ma senza allontanarmi troppo né da lei né dal suo sorriso.

«Hai scattato una foto a qualcosa che non dovevi!»

La risposta mi lascia a bocca aperta.

«Come?»

«Avanti, sono certa che tu lo abbia fatto!»

«Mi credi tanto sprovveduto?»

Ma, in effetti, l'ho fatto. Solo non in Afghanistan.
Dopo aver visto il mio ritratto fatto a penna, sulla pagina della sua agenda, ho deciso di ricambiare il favore. Sono tornato a casa e ho rovistato tra i vecchi rullini analogici, ripercorrendone gli anni. Con la dovuta calma, sono giunto fino alla scatola che conteneva gli scatti della sua mostra a Los Angeles e ne ho recuperato uno, in particolare, che la ritraeva a mezzo busto nel suo abito dorato.

Adesso è nel mio portafoglio, mi tiene compagnia. Non mi sembrava giusto non ricambiare quella gentile cortesia, e poi si tratta di progresso.
Lei non riusciva a disegnare prima di ritrarmi. Io non riuscivo più a scattare, a seguito della guerra, prima di incontrare lei e il suo lavoro su quella spiaggia.
Non ci riesco ancora. Mi domando se tornerò mai a farlo.

«No, mi sono esposto troppo con le mie idee e la cosa non è andata a genio ad alcune guardie della città» rispondo così da allontanarmi dal pensiero di quella foto, e per fortuna Katrina non ha notato la deviazione dei miei pensieri.

«Mh! Che tipo tosto! Sempre dalla parte del bene...»

«Puoi evitare quel tono da presa in giro?»

«Scusami, è che mi viene naturale...»

Sollevo gli occhi al cielo e finalmente trovo pace all'interno di questa stanza. Mi ero mosso per primo, entrando, in direzione del divano. Ecco che vi ritorno. Probabilmente è l'unica cosa comoda che Lexie ha scelto per questa casa-mausoleo. Inoltre, da qui posso godere per intero della figura di Katrina accomodata sulla sedia.

«Posso farti una domanda?» Mi chiede, esitante.

«Solo se dopo posso fartene una anche io. Il nostro gioco, ricordi?»

«D'accordo, accetto...» mormora.

«Ti ascolto, allora.»

«Lo stai ancora cercando? Il piccolo Ghaazi, intendo.»

Il volto di quel piccolo che potrebbe essere mio figlio, per tutto l'amore che gli rivolgo, si manifesta a me nel suo solito sguardo triste, strano, con gli occhi all'ingiù e la bocca retta immobile.

Il mio piccolo guerriero di fango.

«Sì... lo sto ancora cercando...»

Solo che non è affatto facile.
Stamattina ho visto il mio vecchio capitano, lo stesso che ha puntato la pistola alla tempia di Naijya e ha minacciato di sparare. È tornato all'ambasciata a causa della sua ferita, gli è stato amputato un arto, ed ora vive lontano dalla guerra e senza un braccio a causa della stessa.

Ci siamo fissati, nel corridoio, come se non fossero passati anni e come se le bombe continuassero a esplodere, creando un carnevale di polveri, attorno a noi.
L'odio non è passato come non è trascorsa la guerra, nello sguardo di entrambi. Ormai privi di qualcosa di fondamentale per vivere, ma non del tutto arresi.

«Si hanno notizie?»

«È difficile da identificare, non ha documenti... e non parla in inglese. I soldati di rango inferiore possono non conoscere la lingua.»

«E pensi che sarà facile, quando lo troverai?»

«Sei convinta che possa farcela» noto con stupore, sentendola avere il possesso su un qualcosa che da solo non riesco a ottenere. Annuisce, e la sua sicurezza mi da forza. «Parli dell'adozione?»

«Sì.»

«Non sarà facile in termini legali ma spero di riuscirci. Sono la sola persona che lo ama.»

E lui ha bisogno di me, tanto quando io ho bisogno di lui.

"Eeethan! Mi presti il tuo maglione blu?"

Chiudo gli occhi per un'istante, godendo della sua voce in lingua madre. Quel maglione che mi ha chiesto in un segno di affetto e che adesso diviene, a distanza di anni, l'unica cosa in grado di identificarlo.

Era il solo che possedevo. Oltre a quello non ne ho altri, e non desidero averne. Voglio che torni, integro, a casa.

«Sono certa che ci riuscirai, e che saprai trovarlo. Se quel bambino ti vuole bene niente potrà separarlo da te.»

La sua visione della vita è così bella... Katrina... ha un cuore tanto nobile.

«Grazie.»

«Quale è la mia domanda?»

Sei felice di essere qui, con me?

«Sei certa di non voler venire all'inaugurazione?»

P.O.V.
Caitlin

Abbiamo finito con il parlare per tutto il resto della giornata di argomenti futili o più complessi come la mia vita nel Donegal e mi accorgo, sempre di più, che stiamo imparando a conoscerci.

Non c'è alcuna forma di imbarazzo, tra noi, traducibile in lunghi silenzi.

Al momento, Ethan si sta prendendo gioco delle letture erotiche e rosa di Lexie, nascoste nella parte più recondita della libreria in corridoio.
Non sono riuscita a fermarlo nonostante ancora provi, con vani tentativi, a strappargli la copia dalle mani in modo che smetta di leggere la quarta copertina.

«"Il principe era alto e troppo muscoloso al suo confronto. Le origini tedesche, che si manifestavano in ogni tratto caratteristico del suo viso, gli conferivano un aspetto ancora più austero, mentre la rimproverava. La giovane contadina, però, non poteva fare a meno di sentirsi attratta".» Legge con finto trasporto ed io devo mordermi le labbra per non ridere mentre tento di strappargli via il libro. «"Ricordava, ancora, il torpore delle sue mani e della sua bocca che l'avevano sfiorata la notte prima..."», continua a leggere, ma nella mia testa non compare altri che lui, di fronte a me, con la mano posata sul mio volto e le palpebre calate, verso il nostro legame. «"... e non poteva non desiderare che riprendessero a toccarla"...»

«D'accordo, basta!» Esclamo. «Dá qui!»

«Non ho ancora finito di leggere! È assurdo che questo genere di romanzi abbia una categoria a parte!»

«Ti ho lasciato prenderla in giro abbastanza...» commento, ma lui non mi da tregua. Se non dovessi mostrarmi tanto decisa, e protettiva nei confronti della mia amica, adesso me ne starei piegata in due dal gran ridere.

«Ma ancora non sappiamo cosa accadrà! Mio Dio, ma ci hai fatto caso? Il protagonista descritto è uguale a Reiner!»

Scuoto la testa ed abbasso il braccio, sconfitta e fin troppo divertita.

«Dico sul serio! Persino le origini tedesche!»

«Puoi darmi, gentilmente, quel libro?»

Finisce per cedere. Forse si è solo stancato della storia tanto piatta ma ecco adesso la copertina e tutte le pagine del volume, trascritto a caratteri cubitali, sono nelle mie mani e ho vinto.

«D'accordo, come vuoi tu! Ma sappi che è colpa tua se non conosceremo mai la fine della storia.»

Sembrerebbe quasi dispiaciuto, sul serio, se solo non stesse già rovistando tra i titoli della libreria alla caccia di una nuova preda.

«Tranquillo, ci avranno fatto sicuramente il film.»

Mi fissa con ironia, complice divertito della mia battuta, e poi incrocia le braccia appoggiandosi con una spalla alla libreria, avendo trovato la sua preda: me.

«E a te? Che genere di storie d'amore ti piacciono?»

È una domanda tanto vasta che non credo si limiti al ramo della letteratura.

«Quelle reali» commento, riponendo il libro di principi e piccole contadine ingenue sul ripiano.

«Una bella risposta, quindi sei pronta a scendere a patti con i problemi.»

«Non vedo come non potrebbero esistere.»

«Belle parole per una donna a caccia di divorzio.»

Sollevo gli occhi verso di lui e probabilmente lo guardo molto male. Storce la bocca, stizzito.

«Scusa, non volevo dire questo» si corregge.

«Allora cosa vorresti dire?»

«Mi hai raccontato dei tuoi genitori. Mi hai detto di essere tanto innamorata dell'amore da crederlo reale persino nella loro ostilità. Senza volerlo mi sono chiesto... perché tu non lo abbia trovato.»

«Nonostante tutto il cinismo che ti prepari ad avere... certi eventi ti sorprendono. Quello che è capitato al mio matrimonio è stato qualcosa che non ho potuto prevedere. I segnali c'erano, ma non ho voluto dare loro ascolto. Temo di avere da sempre avuto il brutto vizio di dover sbattere la testa contro i problemi da sola, per capirli.»

Raccontare sta diventando sempre più facile e me ne sorprendo. Ethan non prova mai a interrompermi e mi lascia spiegare con chiarezza ciò che voglio dire.
È bello scoprire di poterci riuscire.

«E a te? Che genere d'amore ti piace?»

Ho allontanato lo sguardo nel domandarglielo, ma il silenzio che ne consegue mi costringe a tornare fino a lui.

Ethan sembra riflettere sulla risposta o averla già. La sua mente gira ma è impossibile leggerla. Ci sono solo i suoi occhi, fissi su di me.

«Quello che non ti aspetti.»

La risposta mi rimane dentro, rimbombando l'eco della sua voce finché un nuovo rumore non sopraggiunge tra noi.
Mi allontano di qualche passo da lui sentendo la chiave essere inserita nella toppa e poi lancio un'occhiata all'orologio: non sono nemmeno le sette di sera.

Lexie compare poco dopo con il viso stravolto e, subito dopo averci visto, con una notevole incertezza in faccia. Non è certo che quello che stia succedendo sia giusto, ma sembra che le sia capitato di peggio.

«Lexie! Bentornata a casa, va tutto bene?» Le domando per tempo, ed è così che vedo i suoi occhi correre da me a Ethan in una frazione di secondo.

Non sa bene come dirlo, ma poi riesce a farlo.

«Ho baciato Reiner.»

Sento la bocca aprirsi in proporzione a quanto riesca a sgranare gli occhi, ma Lexie non rimane a vedere un simile scenario raccapricciante.
Mi sorpassa in meno di un attimo e finisce dritta in camera sua, spingendomi a ruotare il corpo per vedere la sua ritirata in ogni minima sequenza.

Ed ecco che mi trovo di fronte Ethan. Nota subito la mia espressione ed ecco che la imita, con un'allegria che non mi rende del tutto pronta alla battuta successiva.

«Mio Dio! Il principe... ha colpito ancora!»

Scoppio a ridere e lo spintono, non riuscendo a credere a quanto le storie d'amore narrate possano diventare realtà.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top