67- Contatto

P.O.V.
Michael

No, no, no! Non può lasciarmi. Non può andarsene così. Sono solo su questa spiaggia mentre la vedo andarsene e non riesco a fermarla. Non può farlo.
Questa è l'unica scelta che non le era concessa, la sola strada vietata da quando questo anello, all'anulare, ci ha legati.

Ed io da parte mia non dovrei concederglielo, ma come posso impedirglielo? Il terrore mi ha gelato gli arti, e la solitudine piomba su di me come un antico manto di cui mi ero dimenticato il peso.

Non voglio essere solo, ho bisogno di lei. Di mille occhi sulle poltrone rosse, dei suoi soli fissi nei miei. Ho bisogno che qualcuno mi guardi, che si accorga di me.

Sono stato lasciato solo su questa spiaggia, dimenticato. Le persone, domani mattina nelle loro passeggiate, mi cammineranno sopra, senza accorgersi che mi ritrovo a terra?

L'aria pura del mare all'improvviso si riempie di polveri, e la ciminiera della Down Town torna in funzione come il meccanismo della porta dell'inferno che si spalanca, solo per assorbirmi.

Avevo trovato la mia pace, il mio cielo... ma sono solo un angelo destinato a cadere, ho le mani, le mie ali, sporche di polvere e zolfo. Per me non c'è speranza, sul serio?

Caitlin... non lasciarmi.

Mi prendo la testa tra le mani, le unghie che si conficcano nella cute alla ricerca di un dolore in grado di svegliarmi da questo incubo.

Il divorzio. Che situazione assurda.
Una parte di me vorrebbe piangere. L'altra, immersa in un'oscurità profonda, vorrebbe camminare spedita verso di lei e costringerla, in qualsiasi modo, a ripensarci.

Possono due persone come noi, così tanto innamorate, divorziare?
L'ho baciata, e per quanto non mi abbia ricambiato il suo desiderio di farlo era palese. Caitlin sta soffrendo almeno quanto me di questa assurda decisione, questa è la sola cosa che mi da conforto, ma dal momento che è da sempre stata la più masochista tra noi non abbandonerà questo ridicolo pensiero tanto presto.

Le mani scendono ed i polpastrelli accarezzano il viso, fino alle labbra, mentre il vento di polveri impervia.
Ho freddo come non lo provavo da tempo e paura che non credevo di poter più provare.

Vuole portarmi via ogni cosa. Strapparsi da me come un cerotto.

Devo trovare un modo per combatterla, e farò qualsiasi cosa per vincere.
La ricompensa sarà solo lei, come ogni singola volta.

Di scatto mi avvio velocemente in casa. Chiudo le porte dietro di me, non mi curo nemmeno del gatto che cerca le mie attenzioni.
Mi fisso solo intorno alla ricerca della giusta ispirazione.

Che cosa posso fare? Devo trovare qualsiasi cosa per farla ripensare e forse posso riuscirci.
Sorrido.
Non mi ha nemmeno ridato l'anello, penso, e il che significa che c'è speranza.
Caitlin sta solo combattendo contro sé stessa. Tornare a parlarle può essere la soluzione ma oggi no. Oggi è troppo presto. Le darò modo di riflettere su quello che ci siamo detti e poi mi presenterò alla sua sede di lavoro. La convincerò. Caitlin è sempre stata accondiscendente alle mie parole, sa quanto le mie scelte siano le migliori.

Devo tornare ad averla dalla mia parte. Solo così riusciremo a vincere, e a sconfiggere per sempre il rombo della centrale che continua a picchiettare contro il timpano, ad una cadenza regolare.

P.O.V.
Caitlin

Mi accascio per terra, comprendimi la bocca con una mano per non lasciar udire il mio pianto.
Sono crollata appena ho superato la porta di questa casa. Il corpo ha rigettato tutte le parole che ho emesso e adesso prova ad allontanarle creando fiumi infiniti sulle mie guance.

Non ce la faccio più di sentirmi sempre così a pezzi. Ogni confronto con Michael mi sfinisce e mi lascia piena di dolore, non potremo andare avanti così nemmeno volendolo. È da pazzi, nessuno dei due lo merita.
Eppure fino ad ora l'assurdo ci era sembrato perfetto, il solo luogo dove imparare insieme a convivere.

Emetto un breve lamento in merito alle mie patetiche scelte proprio quando Lexie si affaccia alla porta del soggiorno, trovandomi seduta a terra.
In poco meno di un attimo è di fianco a me e mi chiede spiegazioni.

«Ho chiesto il divorzio da mio marito.» Spalanca per un attimo gli occhi, senza riuscirci a crederci. «Ti prego, non devi dirlo a nessuno.»

«Perché non vuoi che si sappia? Che cosa ti ha fatto?»

«Ti prego, voglio solo che non se ne parli, non sono pronta ancora...» supplico, sentendo il labbro tremante mangiarmi metà delle parole.

«E allora perché lo stai dicendo a me, Sneg?»

Odio dover ammettere la mia mancanza di indipendenza, specie quando tento di ottenerla disperatamente.

«Ho bisogno di aiuto... ti prego, puoi trovarmi un avvocato?»

Stavolta l'ho sorpresa sul serio, ma non c'è niente che possa sconvolgerla completamente. Si riprende presto e torna ad essere l'amica di cui ho bisogno.

«Vedrò cosa posso fare.»

L'acqua della doccia mi scorre lenta addosso, e lascia gocce immobili come gioielli sulla mia pelle.
Ho la testa abbandonata all'indietro contro le piastrelle e attraverso il vapore non riesco a vedere niente.

Quello che scorge la mente è solo l'immagine di uno specchio, appannato ma solcato da una frase che non è stata dimenticata.

"Rinuncia alla tuo potere di attrarmi ed io rinuncerò alla mia volontà di seguirti".
La frase che mi aveva scritto Michael in quell'hotel, a Roma.

Precipito sul fondo della doccia con le mani nei capelli e condanno me stessa, perché quando le cose in una coppia tendono a un funzionare la colpa deve essere stata di entrambi.
Divorziare, però, è necessario. Non rinuncerò a questo punto e per riuscire a farlo lottare è l'unico modo.

Prendo un profondo respiro ed esco dalla doccia, chiudendo l'acqua in meno di un attimo, quasi come se la velocità mi permettesse di scappare anche dai pensieri. Recupero un accappatoio e le infradito, per poi tornarmene in camera così da cambiarmi.

Prima di riuscire a farlo, però, trovo Lexie nel corridoio. Mi lancia una veloce occhiata per poi soffermarsi solo sul mio viso.

«Reiner sarà con noi stasera, per cena. Si era già organizzato e può darci una mano, se a te sta bene. È amico di un bravo avvocato. Non gli diremo che è per la tua causa di divorzio, cercherò solo di farmi passare il contatto. Dopo tu e il tuo legale sarete protetti dal segreto professionale.»

Annuisco debolmente, ancora non del tutto certa di poter sostenere una conversazione con lui ma sicuramente affatto pronta a tirarmi indietro.

«Rimandiamo, però, se vuoi...»

«No, fallo venire. Non è un problema e in questo modo non dubiterà di niente.»

«D'accordo, allora... come preferisci.»

«Grazie, Lexie.»

Sorride, molto debolmente. «Di niente, Sneg.»

Passo entrambe le mani sul tessuto del mio abito nero, semplice e a maniche lunghe ma abbinato a delle calze e delle scarpe che lasciano intendere un accenno di premura, nel prepararsi.
Non l'ho avuta, e non sto affatto bene come questo specchio si finge invece di mostrare. È tutta una grande bugia ma mi aiuta a credere ancora che non sia del tutto vero, almeno finché la corrente di problemi non mi investe.

Devo solo fingere e sorridere qualche volta. A Reiner basterà, viste le distrazioni che eserciterà su di lui Lexie. Posso farcela.

Il campanello di casa suona e sono la più vicina delle due a raggiungerlo.

«Lexie, vado io!»

«D'accordo, io sono ancora in cucina!»

«Tra poco veniamo a darti una mano.»

«Perfetto.»

Giungo fino alla porta e aprendola... non trovo certo quello che mi aspettavo.
Ethan è di fronte a me con le mani nelle tasche dei jeans ed un maglione verde, immobile mentre se ne sta di fronte a me che lo fisso, presa dallo sconcerto.

No, no! Lui non dovrebbe essere qui.
Occuparmi di Reiner è una cosa, ma di lui...

«Ciao... è stato Reiner a propormi di venire. Se è un disturbo vado via...»

Non vorrei cacciarlo e allo stesso tempo lo farei. Ethan nota troppe cose, lascia troppe frasi a metà che richiedono spiegazioni e a fine serata Reiner saprà già tutto quello che è successo.
Il pensiero è terribile, accompagnato dall'orrenda previsione che lo vede scendere a compromessi con le strategie del suo avvocato, per spillare la soluzione miglior al mio tremendo caso di divorzio. Non voglio mettere Reiner in mezzo, desidero che non si preoccupi così da agire da sola.

A fare da contrasto ad ogni pensiero rivolto a Ethan, invece, esistono le frasi che ci siamo detti quando eravamo soli, oltre che l'onnipresente desiderio di scendere a patti con la sua calma per beneficiarne io stessa.

Guardo quegli occhi troppo azzurri, e non ho la forza di combatterli.

«Nessun problema, entra. Lexie è in cucina.»

Mi faccio da parte, lasciandolo passare e sentendo dall'alto il suo sguardo che non mi abbandona mentre richiudo la porta alle nostre spalle. Non occorre certo che lo inviti ad avviarsi in cucina per raggiungere la nostra amica, evidentemente in difficoltà. Fa tutto da solo ed io lo seguo, stappando il vino che Lexie aveva gentilmente preparato e abbandonato su un tavolo, finendo poi per versarmene una generosa quantità nel bicchiere.

«Ethan... ci sei anche tu» mormora sorpresa lei, con le mani coperte dai guanti per il forno mentre è china ad afferrare una teglia da quel calderone. Io, nel frattempo, butto giù un'ingente quantità di vino rosso.

«Posso darti una mano?»

«Ma certo, prendi questo e portalo a tavola. Tra poco Reiner dovrebbe arrivare.»

Ethan afferra il vassoio con gli antipasti della serata e mi passa accanto, osservandomi. Faccio finta di non prestargli attenzione e mi volto, mettendo in ordine alcuni degli utensili lasciati fuori dalla nostra cuoca.

«Rilassati, Sneg, è tutto sotto controllo.»

«Ne sono sicura, sembri nata per la cucina» la prendo in giro, cercando di smorzare la tensione che mi sento addosso.

«Andrà tutto bene quindi adesso, se vuoi, vai di là. Reiner mi ha appena scritto, sta parcheggiando la macchina nell'isolato.»

«D'accordo...»

Abbandono la stanza solo per lasciarla sola nel suo habitat ed evitare di provocare qualche danno. Arrivo nel soggiorno e trovo Ethan appoggiato allo schienale di una delle sedie, ad osservarmi.

«Non possiamo fare altro?»

«Mi ha appena cacciata dalla sua cucina, quindi temo di no. Ti sei occupato di qualcosa questo pomeriggio?»

«Ho concluso il problema della mostra, non devi fare altro. Tra tre giorni ci sarà l'inaugurazione, non devi preoccuparti di altro.»

«Avrei preferito tu me lo avessi detto.»

«Rimanevano solo da scegliere poche fotografie. Era il mio campo, ti ho lasciato la loro descrizione e l'autore tra le tue cose.»

Annuisco lentamente, accomodandomi a tavola. Evita di pormi la stessa domanda ed è una fortuna, perché probabilmente non risponderei. Porto il bicchiere alle labbra e bevo un altro sorso, udendo poi dalla porta il pungo di Reiner battere.

Sarà una lunga serata, penso, mentre Ethan si avvia ad aprire. L'attimo dopo ecco il nuovo arrivato giungere a noi con una bottiglia di vino pregiato. Non poteva lasciare miglior dono. Ho bisogno di offuscarmi la mente per un po', smettere di pensare a neri occhi che mi odiano.

«Ciao, Lexie, dove lo lascio?» Sento chiedere da dietro il muro che divide i due ambienti.

«Va benissimo anche sul tavolo, vuoi metterlo in frigo?»

«L'ho appena tolto, credo sia giusto.»

«Perfetto, allora andiamo di là che è tutto pronto.»

Avverto i loro passi avvicinarsi, poi le mani di Reiner soffermarsi leggere sulle mie spalle, il suo volto chinarsi in avanti e le sue labbra premere sulla mia guancia, mentre resta dietro di me.
Sorrido, avendolo immaginato. Lo fa sempre, ormai me la prenderei se se ne dimenticasse.

Ethan ci fissa entrambi dall'altro lato del tavolo e resta in silenzio. Abbasso la testa. Forse si starà domandando il perché non mi sia sottratta, rispetto alla strana ritorsione che ho avuto nei suoi confronti questo pomeriggio. Restando in silenzio è difficile da spiegare. In verità credo che sia difficile farlo anche a parole, quindi evito proprio di giustificarlo.

Saluto con una mezza frase Reiner, che nel frattempo si è accomodato capotavola alla mia destra, destinando il fronte opposto a Lexie e lasciandomi dinanzi a Ethan. Questi è l'ultimo ad accomodarsi, e quando lo fa solleva la sedia con una mano, per poi arrivare al tavolo con la fronte china.

«Non ho preparato niente di eccezionale, ormai è un abitudine avervi qui da me, quindi non aspettatevi trattamenti di favore» inizia con il raccomandare la padrona di casa, ma Reiner non perde tempo a contrattaccare.

«Quel vestito che indossi non è già un gesto di favore?» Chiede sfrontato, facendo riferimento all'attenzione che ha avuto verso i suoi abiti. Voleva essere carina, per una sera, e ci è riuscita in pieno. Ancora di più quando pone entrambi i pugni, spazientita, sui fianchi e lo fissa con aria di rimprovero. Non si lascia intimidire. «Non prendertela, sei molto bella.»

«Grazie, hai rimediato un po' alla tua arroganza.»

«Anche tu, Katrina.»

«Grazie...»

«Allora! Una veloce cena tra amici e qualche offesa verso i colleghi di lavoro? Ve lo dico giusto per prepararvi, al momento ce l'ho a morte con i commercialisti» parte con il dire Reiner, afferrando il vassoio che Lexie gli porge, ed io sorrido con circostanza dietro l'orlo del bicchiere.

La serata trascorre piacevolmente ed ogni tanto riesco anche a subentrare nei discorsi, incentivata dalla mia amica, senza farla apparire una forzatura. Sono i due capotavola, però, a condurre maggiormente le danze, e questo perché si assomigliano molto, mentre io e Ethan ci lanciamo rapide occhiate e rimaniamo in silenzio.

"Mi sento molto più simile a te che a loro" mi torna alla mente la sua voce, mentre i denti della mia forchetta giocano con il cibo, senza portarlo alle labbra. È rimasto quasi tutto sul piatto ma non ho fame. Lo stomaco è serrato in un nodo di nervosismo e non accenna ad abbandonare la propria tensione fino a che, si promette, Lexie non farà la sua domanda, in merito all'avvocato.

«Sai, Reiner, volevo parlarti di una questione...» inizia con il dire lei, quasi mi avesse letto nel pensiero.

«È successo qualcosa di grave?» Domanda subito, pronto al peggio.

«No, niente del genere...» La tensione mi porta ad aggrottare la fronte, percependo in bocca un sapore amaro. Mi auguro che nessuno lo noti. «Ecco, si tratta solo di una pubblicità diffamatoria. Non mancano gli articoli che ci vadano contro, prima dell'apertura di questa mostra. Come sai, i nostri eventi sono sempre sulla bocca dei giornalisti quindi ecco... mi domandavo se tu potessi darmi il numero di qualche avvocato, magari quello che ti ha sostenuto alla causa contro gli azionisti. Vorrei davvero uscirne al più presto.»

«Certo... ti posso passare il numero. Intendi Mark, non è vero?»

«Proprio lui.»

Conoscere il nome dell'avvocato che mi difenderà in tribunale rende tutto troppo reale. Non posso ancora credere a quello che sto per fare. Mai avrei pensato, mettendo questo anello al dito, che sarei arrivata a questo. Voglio davvero farlo?

Il volto di Michael si presenta di fronte ai miei occhi, e me lo domanda. Voglio, sul serio, andare avanti con questa causa?

«Nessun problema, ti inoltro subito il contatto.»

«Grazie.»

Lascio uscire fuori, in un respiro profondo, l'aria, in modo da lasciar scivolare via l'oppressione sul mio petto e non mi importa se qualcuno stia vedendo o capendo. Voglio solo tornare a respirare tranquillamente, beneficiare di nuovo di una libertà che faccia i conti solo con l'amore.

Poso la forchetta sul tavolo, e mi sollevo dalla sedia per dirigermi in bagno.

La casa adesso è silenziosa. Solo l'acqua, proveniente dal rubinetto del lavello della cucina, scorre. Lexie e Reiner sono proprio uno di fronte all'altro, con un asciugamano solo, intenti a riporre i piatti nei loro ripiani. Da lontano li vedo fissarsi negli occhi e ridere, probabilmente il mio amico ha fatto una battuta. Le loro mani si avvicinano inesorabilmente e per alcuni secondi quel contatto li immobilizza, nella flebile illuminazione della cucina. Spero che almeno loro, un giorno, possano essere felici.

Non volendo disturbarli ulteriormente mi allontano, finendo nei pressi del tavolo che per tutta la sera ci ha ospitato e che adesso, nel buio della stanza, sfoggia un semplice vaso di fiori al centro. La luna lo illumina, e proviene dalla portafinestra del balcone.

Sporgo lo sguardo e oltre quel vetro noto Ethan, di spalle. Il verde scuro della sua maglia è a malapena visibile a causa dell'oscurità esterna mentre i capelli, a causa dei riflessi lunari, quasi appaiono bianchi. Non riesco a vedere il suo volto, ma sono convinta che sia così anche per lui.

Con cautela, mi avvio verso la sua direzione notando la luna essere solo un protagonista quasi del tutto assente sulla scena. Quello che vedono sono le facciate delle altre case, dal margine opposto della strada, le intermittenze dei lampioni e anche, una volta aperto quell'infisso che mi separa dalla scena, il rumore del traffico cittadino ancora presente, nonostante l'ora tarda.

La porta si chiude alle mie spalle facendo passare quasi del tutto inosservato il mio arrivo, ed eccomi su questo terrazzo con una coperta avvolta attorno alle spalle, perché non ho trovato un solo giacchetto pesante nell'armadio di Lexie. Ethan, invece, sembra quasi non accorgersi del freddo. Se ne seduto su di una sedia, nella più completa notte, con le spalle rivolte verso l'interno della casa e la testa in alto, verso la luna.

L'indice premuto contro la tempia, il pollice sotto il mento e il medio contro la bocca. Non dice una sola parola, ma si accorge di me e volge lentamente il capo. Io rimango immobile, e in piedi, di fronte a lui. La coperta calda di lana mi offre il giusto calore e mi tiene protetta. Sono al sicuro, con lui su questo piccolo balcone che, per fortuna, ha un'altra sedia a disposizione.

«Posso sedermi?» Non risponde. Non mi aspetto che lo faccia. In qualche modo è quasi del tutto scontato. Mi siedo a quel supporto e mi accorgo di essere rivolta completamente a lui. Pochi passi più avanti ho il termine della ringhiera e a fianco un piccolo spazio che permette come un corridoio, per tornare sui propri passi. I braccioli delle nostre sedie in plastica verde si toccano tanto da formare un angolo retto ma la vicinanza è relativa, non appena Ethan posa i gomiti sulle ginocchia e si sporge verso di me.

La testa mi gira. Ho bevuto molto e mangiato poco, in verità non ho beneficiato affatto di quella splendida cena. Credo che i risultati inizino a farsi visibili nel contorno di quest'aria circondata dai rumori, e priva di suoni tra i nostri volti. Mi osserva, fisso, negli occhi, ed io non riesco ad allontanare i miei. Qualcosa ci tiene uniti e mille pensieri mi possiedono mentre lo ricambio. Poi, più niente. Siamo di nuovo soli, nascosti dall'oscurità.

Un piccolo neo è presente sulla parte alta della sua palpebra destra. Non lo avevo mai notato, come non avevo visto la sfumatura dei suoi occhi così da vicino. Avere il buio intorno è quasi del tutto inutile, ogni cosa del suo viso è visibile come se fosse alla luce del giorno perché la mia mente riconosce i suoi tratti e li ricollega costruendo una propria immagine.

Per un attimo ho come la consapevolezza che ci stiamo dicendo molto altro, e che i suoi pensieri siano fautori dei miei in un modo che non riesco a spiegare. Come se Ethan capisse tutto e sapesse, di quello che mi sta succedendo, del peso che mi porto addosso...

La sua mano si solleva e, stavolta, non riesco a ritrarmi. La vedo avvicinarsi al mio volto e poi posarsi contro la mia guancia, leggera. Tremo. Non posso evitare di farlo perché il suo tocco è tanto leggero da essere quasi impercettibile. I suoi polpastrelli scivolano lungo la mia pelle, il palmo, poi, vi si sofferma leggero ed è come se ogni zona, al suo passaggio, recuperasse vita.

Inclino la testa, alla ricerca di quel contatto e i suoi occhi scendono fino a noi, nel punto in cui ha origine il nostro incontro.

Se voleva una rassicurazione, dopo quanto ha visto avanzare da Reiner, eccola qui. Non mi posso sottrarre, specie da quando questa carezza traduce in sé tutto ciò che non riusciamo a dirci. Le sue occhiate, durante la cena, ad ogni parola espressa in merito all'avvocato. Il terrore che ho provato questa mattina, quando si era teso ad afferrare le carte.

Sta tutto qui. Nel conforto che solo lui è in grado di offrirmi e dal quale non voglio ritrarmi.

La sua mano, ormai ferma, riposa sulla mia carotide ma le lunghe dita arrivano oltre, giungono fino dentro ai miei capelli, riposano sotto il lobo dell'orecchio e sopra la mascella concludendosi nel pollice, il solo dito che si muove e che sfiora leggero la pelle all'angolo delle mie labbra.

Osservo i suoi occhi, ormai pesanti, che non si sono allontanati e seguono come l'andamento della carezza. Separo leggermente le labbra, per prendere un piccolo respiro ed è allora che tutto finisce.

Ethan si solleva di scatto e se ne va via, forse credendo che volessi parlare. La sua mano mi abbandona ed il suo corpo scompare oltre il corridoio che era rimasto a confine con la ringhiera.

Un leggero freddo mi sferza il viso, ma quando sollevo la mano nel punto dove l'aveva posata lui quel gelido vento se ne va via, e torno a percepirne il calore. Un piccolo, e rubato, contatto.

P.O.V.
Michael

Il sole è tanto intenso da farmi stringere gli occhi. Le macchine sfrecciano veloci su questa strada a grande scorrimento, e rilasciano nell'aria nuvole grigie di vecchio smog oltre il quale vedo la facciata della sua sede.

Riportato in un insegna di alluminio tinteggiato, il nome della Land Art risplende quasi fosse stato appena affisso, e mi beffeggia con tutta la sua arroganza.

Storco la bocca, stizzito, e aspetto. Aspetto un qualsiasi segnale della presenza di lei, mentre me ne resto con le mani appoggiate al tettuccio dell'auto. Come in una processione i suoi colleghi la precedono, ed io setaccio quei volti nella speranza di vederne dei noti.

Il suo capo, la sua amica, la segretaria... qualsiasi persona in grado di dirmi dove si trovi.

Ormai è trascorso molto tempo. Dopo ore, i raggi solari terminano perpendicolari alla mia testa e bruciano, come una lente d'ingrandimento una foglia secca, i miei pensieri, mandandomi in autocombustione.

Cat non arriverà ed io non ho idea di dove si trovi.

Sbatto con forza entrambe le mani contro la macchina. Merda! Merda, merda, merda.

Dunque le cose stanno così, non si presenterà a lavoro. Non vuole vedermi, non desidera che la cerchi.

Afferro il telefono dalla tasca di scatto e compongo il suo nome, prima di dirigermi verso la tastiera e digitare le parole piene di veleno, traduttrici della mia rabbia, senza che le comandi.

Quindi vuoi che vadano così le cose?
Vuoi che non ci vediamo affatto?
Attenta a cosa desideri, Cat, il risultato
può farti molto male.

Premo l'invio e poi blocco lo schermo, prima di trovare un'idea molto più che geniale. Ho capito chi può essere il mio avvocato, e la scelta non poteva che ricadere su niente di meglio.

Scorro la rubrica del telefono fino alla voce che riporta il suo nome e poi digito al di sopra del suo contatto. Gli squilli della chiamata si susseguono, ma sono certo che non abbia cancellato il mio numero.

«Michael?»

Sorrido, sentendo di nuovo la sua voce nell'orecchio. «Ciao Emily, hai tempo? Possiamo parlare?»

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