59- Tracce
P.O.V.
Caitlin
In ufficio sono successe molte cose strane.
Reiner è su di giri per questo nuovo lavoro. Lexie è impegnata con la voce popolare dei social, che esprime libere opinioni sul nostro operato senza garantirci tutela, e di Ethan non c'è più traccia.
So che è tornato alla casa blu per rivedere alcune delle foto da presentare alla mostra ma non ho idea di cos'altro stia facendo.
Per quanto mi riguarda, invece, ho finito di allestire la mostra che andremo ad erigere. Ho già imparato la maggior parte delle spiegazioni relative a quadri e alle foto, e non attendo che altro materiale sul quale buttarmi.
Tutto pur di fuggire a ciò che mi aspetta in casa. Un continuo e ridicolo silenzio che mi soffoca.
«Lexie, sai dove si trova Reiner?» Chiedo alla diretta interessata, mentre è occupata con una miriade di schermi e di fogli. Una ragazza la aiuta a sorreggere il tutto e consultarlo nel mezzo del corridoio, dove probabilmente ha chiesto assistenza.
«No, non ne ho idea. Ethan sa niente?»
«Non trovo nemmeno lui.»
A questo punto il suo volto cambia, e assume immediatamente le note della preoccupazione. Lascia tutto nelle mani della sua assistente e si occupa di estinguere tale mistero.
«Aspettami qui, Sneg, mi occupo di tutto io. Siamo così distratti e pieni di impegni da non renderci conto di cosa ci capita attorno.»
E detto ciò scompare, a caccia di uno dei suoi due amici, senza favorirmi un indizio in merito alla precedenza.
Dunque mi occupo della ragazza, non poco in difficoltà, aiutandola a sorreggere tutto il materiale che per causa mia le era stato lanciato addosso.
«Se vuoi posso aiutarti io» le rendo nota la mia libertà, e questa si illumina.
«Sul serio? Anche sulle informazioni degli ultimi notiziari?»
Aggrotto la fronte, a disagio. «Non ne so molto di pubbliche relazioni, ma posso aiutarti a catalogare le novità.»
Almeno finché Lexie non torna, da qualsiasi luogo verso il quale è andata.
P.O.V.
Michael
Osservo il medico di base cambiare la fascia attorno alla ferita e valutare il danno della mia ustione, all'altezza dell'avambraccio.
Ruota il mio polso, studiando l'epidermide come un campione da laboratorio, e giungere da una mesta conclusione.
«Direi che si tratta di un caso molto particolare, la ferita non guarisce con facilità. Mi hai detto di esserti ustionato con il cofano dell'auto, è corretto?» Annuisco, permettendogli di procedere con la sua deduzione. «Allora è molto strano. Orami sarebbe dovuta guarire. Temo che le lascerà per sempre il segno.»
Non importa. Le vene sono molto in risalto, con quella reticolazione violacea di nervi ma non è niente di preoccupante. So bene adattarmi, specie verso qualcosa che non può essere guarita.
«Continua però a spargere frequentemente la pomata che ti ho consigliato. Si spera che conduca, ad ogni modo, a una più veloce cicatrizzazione.»
«D'accordo, dottore.»
Preso atto del mio completo supporto, si avvicina alla sua postazione per trascrivermi nuovamente la ricetta, e ciò mi ricorda il motivo per il quale mi sono sottoposto a una simile visita infrasettettimanale.
«Dottore?»
«Sì, Michael?»
«Si ricorda di mia moglie Katrina?»
«Certamente, è successo qualcosa?»
«Ormai ci ha in cura da diversi anni e sa... la sua condizione» gli ricordo, con un'espressione che cerca il suo consenso e questi, abbassando la testa come si è soliti fare di fronte a una disgrazia, mi risponde solennemente.
«Sì, certamente. L'hiv.»
«Recentemente è venuta da lei per una visita di controllo?»
«Qualche settimana fa. I risultati parlavano chiaro, l'infezione sta subendo un regresso.»
«Questo cosa significa?»
«Significa che molto probabilmente, se tutto andrà per il meglio, tua moglie potrà tornare a condurre una vita normale.»
Lo seguo con gli occhi mentre si accomoda alla sua seduta, intrecciando le mani in una posa di professionale distacco. Non vuole promettermi niente, e allo stesso tempo non mi preclude una simile possibilità.
Mi sollevo dal lettino, e mi ricompongo reinserendo il braccio all'interno della maglia. Quindi tiro il tessuto sulle spalle, verso l'alto per evitare le pieghe, e finisco con il presentarmi di fronte a lui in un confronto diretto.
«Significa che potremo prendere in considerazione la possibilità di avere dei figli nostri?»
Rimango in attesa di un'altra risposta ben calibrata ed offro il tempo che serve, al mio medico, per poterla far nascere.
«Sì, se la situazione resta stabile. Ma si tratterebbe di una gravidanza sempre assistita, non dobbiamo sottovalutare la trasmissibilità dell'infezione.»
Certamente, mai far uscire gli eventi fuori dal nostro controllo, anche se sono stufo di tutta questa prevenzione.
«Si tratta di una buona notizia, dottore.»
«Lo è. Katrina può tornare a stare meglio.»
«Me lo auguro.»
«Come ti è sembrata in questi giorni?»
«Straordinariamente in forze.» Sorrido, ironico e furioso.
«Questo è un bene. Il virus tende ad attaccare il sistema immunitario e può ripresentarsi sotto vari sintomi. Uno di questi è la stanchezza.»
«Mia moglie mi aveva parlato anche di una possibile risalita della febbre e di erezioni cutanee.»
«Sì, tutto questo. Ma tieni soprattutto sotto controllo la sua stanchezza, tramite dolori muscolari. Può essere un segnale chiave.»
«E se tutto ciò non si presentasse affatto?»
L'uomo si stringe nelle spalle, picchiettando tra loro l'indice delle mani. «Allora vuol dire che potremmo aver superato la fase più dura, e che le medicine possano essere ulteriormente ridotte.»
Annuisco lentamente, provando l'improvviso bisogno di accendermi una sigaretta e di uscire da questa clinica. Si tratta solo di un'impulso fisiologico attraverso il quale riesco a ragionare più placidamente, ma mi stupisco di non provare nemmeno l'ipotesi di una rabbia. Sono calmo, e assolutamente controllato nonostante lei non abbia mai accennato a un simile ipotesi di futuro, probabilmente avendo incominciato ad abituarmi alle sue bugie. Od avendo imparato a prevederle.
«La ringrazio, dottore, per il tempo che mi ha riservato e per i suoi consigli. Mi farebbe piacere avere sue notizie personalmente, nel caso le analisi di mia moglie migliorassero ulteriormente.»
«Non ci sono problemi, poi ti procurerai tu di comunicargliele.»
«Certamente.»
Avanzo in modo da stringergli la mano in un congedo formale, ed esco finalmente dalla clinica.
Una volta in strada posso finalmente accendere la mia sigaretta e fissare le macchine che corrono lungo il viale urbano che affianca il mare, e riflettere sui cambiamenti che stanno avvenendo.
Forse è il caso che parli di nuovo con Miranda. Il suo nero umorismo scende ben a patti con il mio cinismo.
P.O.V.
Caitlin
Principiante aiutante di una ragazza completamente abbandonata a sé stessa, mi occupo ancora di riunire le varie notizie giornalistiche che Lexie ha selezionato.
Quello che sono riuscita a fare si traduce in una sintesi di ogni articolo di giornale, in grado di evidenziarne i problemi ed i possibili recapiti telefonici, assieme a valori forniti da nostri sostenitori che ci proteggono a spada tratta.
«Sneg, sei ancora qui?»
Per fortuna Lexie è tornata tra di noi, e curiosa della mia nuova mansione saetta gli occhi da me alla ragazza al mio fianco.
«Sì, mi sono occupata delle pratiche che hai lasciato. Per il momento sono ancora ferma.»
«Di cosa hai bisogno?»
«Sono riuscita a organizzare lo schema di articolazione della mostra e i vari pannelli, ho parlato con i tecnici delle luci e imparato i copioni. Mi mancano le opere conclusive da esporre, e di ricordare il nome dei loro artisti.»
«Ottimo. Io, invece, sono appena tornata da una discussione proficua con Reiner che, tra parentesi, sta trascorrendo l'intera giornata con l'auricolare all'orecchio, in riunione con finanziatori e altri sponsor.»
«E che cosa ti ha detto?»
«Nello spazio tra una chiamata e l'altra?» Abbassa la testa verso il carico di lavoro che è rimasto sul tavolo e del quale ci siamo occupate, tirando un veloce conto di ciò che rimane da fare. «Che la situazione si sta stabilizzando ma abbiamo ancora da affinare gli ultimi ritocchi. Gli altri dipendenti dovranno occuparsi del trasporto delle opere alla mostra, mentre noi quattro dovremmo concludere il tutto.»
«Noi quattro?»
«Tesoro, hai finito con questo lavoro per oggi?» Domanda nella direzione della sua assistente, che annuisce con fervore. «Perfetto, allora aspettati una mia chiamata. Anche in serata. Per il momento però è tutto, puoi andare.» E a seguito di questo comando, impaurita dall'amichevole autorità di Lexie, la diretta interessata scompare dalla nostra visuale, unendosi agli altri ragazzi che stanno lasciando la compagnia. «La chiamo tesoro perché non mi ricordo mai il suo nome» mi informa, afferrando i manici della borsa e le varie cartelle che ho catalogato.
«Lexie, dove stai andando?»
«Esattamente dove te. Prendi la tua roba, usciamo con Reiner.»
«Ma abbiamo ancora da fare! Lo hai detto anche tu.»
«Infatti continueremo a lavorare, ma non qui. Allora, sei dei nostri o vuoi tornare a casa?»
Mi mordo un labbro, vedendola già pronta a partire e conoscendo bene la risposta a una simile domanda.
Ci troviamo di fronte a una porta grigio scuro, di un condominio che non conosco, caratterizzata unicamente da uno spioncino nero. Nemmeno il campanello riporta il nome del proprietario e dunque non ho minimamente idea del luogo nel quale Lexie e Reiner mi hanno trascinata.
I due si guardano, nel tempo di attesa conseguente al suono emesso dal citofono, e sembrano sfoggiare una strana intesa.
Per tutto il tragitto della macchina, le loro voci non hanno fatto altro che sovrapporsi, in linea con due differenti chiamate mentre io me ne sono rimasta dietro, sui sedili posteriori, vittima di tutti i miei dubbi.
«Sono ancora decenti i capelli?» Chiede Lexie in direzione di Reiner, e mi stupisco che non abbia chiesto la mia di opinione. Forse perché i nostri canoni di perfezione non si trovano sulla stessa lunghezza d'onda e Reiner è più preciso di qualsiasi donna capace di alzarsi presto la mattina per passarsi la piastra, oppure, molto più semplicemente, sta facendo in modo di evitarmi, in modo da non permettermi di porgere domande.
«Lexy, non stai andando a un gran ballo... avanti» commenta questi, tornando a fissare dritto mentre, oltre la porta, si avvertono il rumore di passi.
«Cosa c'entra, è che non mi sono vista per tutto il giorno allo specchio.»
«Oh! E sei riuscita a resistere?»
«Piantala, forse mi sono specchiata in qualche pozzanghera» lo prende in giro, voltandosi per strizzarmi l'occhio.
Di solito i loro battibecchi sono divertenti, come diverte è l'esasperazione che conduce Reiner a gettare indietro la testa e sospirare con afflizione.
«Signore, dammi la forza di sopportare questa donna» pronuncia, e finalmente riesco a sorridere anche io, per quanto non possano vedermi.
Ma una simile curvatura non sopravvive nel mio sguardo quando la porta si spalanca, e mi mostra Ethan, in una felpa bianca che si mimetizza con il pallore della sua pelle e nella comodità di quella che immagino essere la sua casa.
La testa di Reiner torna dritta e sul suo volto si manifesta un'artefatta gioia che rimbalza anche su Lexie, per quanto più sincera. Ora capisco la questione dei capelli.
«Ehilà!» Proclama il mio amico, avanzando di un passo per entrare dentro casa ma la mano di Ethan lo blocca.
«Di cosa avevamo parlato l'altro giorno nel tuo ufficio, Reiner? Una settimana.»
«Certo, ma stavolta si tratta di lavoro. Vedi? Ho portato con me anche Katrina.»
Ed ecco che dai due lo sguardo di Ethan scivola fino a me, costringendomi ad abbassare la testa. Non credo che la mia presenza gli sia gradita, anzi, temo che abbia iniziato ad odiarmi. Forse per il modo con cui parlo di suo zio, per le frasi che ho detto, per quelle che mi ha detto lui o per avergli rotto la statua in laboratorio. Non posso saperlo, ma tra di noi la conversazione non scorre più con sincerità. Per quante poche parole ci fossimo, in precedenza, trovati ad utilizzare.
«Allora? Vuoi tenerci sulla porta tutta la sera o ci lasci entrare?»
La domanda è retorica, perché Reiner non attende una risposta. L'attimo dopo lo supera e fa il suo ingresso all'interno dell'abitazione con la quale sembra avere confidenza, seguito da una Lexie che si procura anche di aggiungere un:
«Grazie!»
Ethan non fa niente per fermarli. Rimane immobile sulla soglia, a fissarmi.
Sento il suo sguardo addosso pesante come la punta della spada di Damocle posta sul capo, e nel mio disagio riesco ad articolare solo una mezza frase.
«Posso andare via, se vuoi.»
Lo capirei. Se fossi al suo posto non potrei garantirgli facile accesso alla mia casa, dovendola dividere con Michael e non avendo mai voluto mescolare gli aspetti lavorativi con quelli affettivi, dati da rapporti umani.
Non siamo uguali però, sembra dirmi, spostandosi di lato per permettermi di passare, nonostante non sia affatto a conoscenza dei miei pensieri.
Sollevo la testa che avevo chinato per avere conferma che sia ciò che vuole davvero, e riesco quasi ad ottenerne la certezza.
I miei passi sono timidi mentre si fanno avanti, completamente differenti da quelli degli altri due nostri amici che, ormai, sono accomodati al divano del soggiorno, separati unicamente da una pila abnorme di fogli.
Li raggiungo, senza sedermi al loro fianco e rimanendo in piedi in prossimità di un mobile della sala, mentre sento la porta richiudersi dietro di me ed i passi di Ethan raggiungerci.
«Allora? A cosa devo la vostra visita qui?» Questo ciò che chiede, non appena arriva fino a noi con le mani nelle tasche dei jeans, in una completa resa di fronte all'imprevedivibilità della vita.
«Non sei più venuto alla compagnia. Ci chiedevamo dove fossi» inizia con il dire Reiner, e improvvisamente ricollego una simile informazione alla mia richiesta di oggi pomeriggio.
Ero stata io a notare la sua assenza. Nella fretta, come evidenziato da Lexie, nessuno ci aveva fatto caso, e questo l'aveva spinta a parlare con Reiner e andare a cercare il suo amico. Ed eccoci qui.
Mi avrebbe fatto piacere saperlo per tempo, Lexie è a conoscenza di come siamo rimasti in rapporti io e Ethan ed è proprio per questo che si sottrae al mio sguardo, non appena tento di comunicare silenziosamente con lei.
Che tu sia maledetta, Lexie, per il modo con il quale ti lascio condurre le redini della mia vita.
«Capisco, e quindi avete deciso di venire a casa mia.»
Sembra lanciare fiamme l'espressione di Ethan, e non capisco se questa divertita rabbia possa avere a che fare con la mia sgradita presenza qui o con l'insistenza dei suoi due amici.
Ad ogni modo, pare essere un discorso che in passato hanno già affrontato e che li ha condotti fino a un'esasperante ripetersi degli eventi, al quale però Reiner ha trovato una soluzione.
«Calma con le supposizioni, cowboy, non siamo affatto venuti a vedere se stai bene anche se non ti sei fatto vivo per giorni, dopo che i militari ti hanno trascinato all'ambasciata» chiarisce Reiner, per quanto tutti in questa stanza sappiano bene che non sia così. Furbamente, aveva trovato un pretesto per stargli vicino. «Come ti ho detto siamo qui per motivi di lavoro.»
«Allora chiarisci di cosa si tratta, così potremo presto tornare tutti ai nostri alloggi.»
Ecco che però queste parole tornano a rimettermi in causa. Reiner scivola fulminino con lo sguardo fino a me, ma non si lascia trascinare da una simile cattiveria. Io, invece, in parte ne riemergo ferita.
«D'accordo, allora vedo di chiarire subito. Siamo dovuti venire qui perché in ufficio non c'è modo di trascorrere una mezzora senza interruzioni. Io e Lexie non riusciamo a parlare, e dobbiamo confrontarci sull'aspetto mediatico di tutta questa faccenda. Dall'altra parte, invece, Katrina ha già adempiuto a tutti i suoi compiti e, per quanto in anticipo, deve presto occuparsi anche dell'altro lato della mostra che ancora curi tu, ed ecco chiuso il giro. Io e Lexie ora lavoreremo sulle nostre cose mentre tu e Katrina sulle vostre. Spiegazione conclusa.»
Sì, avrei senza dubbio voluto esserne resa partecipe. Lo stupore che mi trafigge assieme alla rabbia, a seguito di questa informazione, non sfugge allo sguardo attento di Ethan che si ammorbidisce, adesso, rendendosi conto che non ne sapevo niente.
Non è l'unica vittima in questa faccenda, Reiner conduce tutto questo gioco da solo, con la partecipazione straordinaria di una Lexie che non sprecherebbe nemmeno un secondo per far colpo su Ethan.
«Spero che tu non abbia sprecato tutto il tuo tempo senza far niente...» lo stuzzica ancora Reiner, e fortunatamente riesce a strappargli un sorriso.
«Non preoccuparti, Reiner, ho già valutato tutti i progetti e scelto quale far partecipare.»
«Ottimo, allora. Buon lavoro.»
Torturo le mani in questo imbarazzo che mi vede ancora in piedi, ed esclusa da qualsiasi tipo di conversazione mentre Lexie si mette subito in azione e Reiner la segue.
Provo il desiderio di uscire da questa casa e di lasciare la promessa della realizzazione dei miei doveri in coincidenza con il giorno in cui Ethan si degnerà di tornare di nuovo nella nostra sede. Temo, però, che possa non avvenire tanto presto e che questa situazione vada chiarita, subito.
Mi concentro su di lui e scopro che mi stava già fissando, sondandomi da lontano, immobile, come se stesse decidendo cosa farne di me.
«Andiamo» gli sento sussurrare, prima che possa voltarmi la schiena per farmi strada.
«Se ve ne state lontani è meglio. Non vorrei che ci fosse troppa confusione in sala» commenta Reiner, intento a leggere uno dei fogli che Lexie gli sottopone.
«Credo che ci accontenteremo della cucina, Reiner» gli risponde l'altro, in una piegatura di suono che tanto assomiglia a un sorriso, e questi si stringe nelle spalle, tornando al proprio dovere.
Ethan è ormai sul ciglio dell'altra stanza quando si volta nuovamente verso di me, rimasta nel soggiorno. Effettivamente, ha un mezzo sorriso sul viso ma è molto debole, stanco come la posa che ancora assume con le mani in tasca, e la schiena leggermente inarcata.
«Non vieni?»
Si tratta di lavoro, mi dico, costringendomi ad avanzare fino a lui e lasciando le voci dei miei amici affievolirsi, fino a che non è quasi del tutto impossibile udirli.
Entrata nella cucina, noto con stupore che l'arredamento, come il resto della casa, è moderno ma pratico all'uso. Di poco valore economico ma ugualmente raffinato.
Mi domando se abbia preso questo appartamento in affitto, o sia stato in grado di acquistarlo a favore di una sedentarietà.
«Vuoi qualcosa da bere?» Lascia primeggiare le buone maniere, ma nego qualsiasi approccio, riuscendo finalmente a sedermi, in questo caso su una delle sedie che contornano il tavolo presente di fronte ai fornelli.
Ethan, invece, prende un bicchiere d'acqua e una busta bianca già rotta nel suo sigillo adesivo, e pone entrambi gli oggetti sopra il tavolo venendo a sedersi di fronte a me. Immagino che dentro quel contenitore possano esserci le cartoline delle fotografie scelte, assieme alle fotocopie delle relazioni inviate dai rispettivi ideatori. Me ne da conferma quando lascia scivolare il contenuto lungo il ripiano di legno, ponendolo di fronte ai nostri occhi.
«Non sapevo che saremo venuti da te» sussurro, volendo chiarire questo punto prima di partire con il lavoro.
Mi osserva diffidente, concludendo la sistemazione dei vari appunti tra di noi. «L'ho notato.»
«Non sarei venuta, altrimenti.»
«E perché mai?»
Non capisco se stia facendo il doppio gioco o se voglia risultare semplicemente gentile. Ad ogni modo la situazione fa nascere la tensione di un irritazione che mi raschia il fondo della gola.
«Avevamo deciso così, no? Non saremo rimasti amici.»
«Questo non vuol dire che io ti odi.»
«Ma non vuoi avermi intorno.»
«Si tratta di lavoro.»
«Avrei aspettato che tornassi alla Land Art.»
«Tutto ciò che devo fare si svolge fuori dall'ufficio, al momento. Non sarei tornato tanto presto e Reiner lo sa. Motivo per il quale ti trovi qui.»
«Curioso per uno scultore» non mi risparmio di sbeffeggiare, e con stupore noto di essere capace di farlo sorridere, molto più sinceramente di come lo costringe a fare Reiner.
«Proprio come te, la mia professione si allontana sempre di più dall'ambito nel quale lavoro.»
«Ma io non voglio essere una pittrice. Tu, invece, sei costretto a tornare ad essere un fotografo.»
«Vedremo per quanto tempo deciderò ancora di dare potere a Reiner» commenta, finendo di sistemare le cose e bevendo un sorso della sua acqua.
Saetto gli occhi intorno, redendolo partecipe di una considerazione che avevo avanzato in soggiorno. «Non ci sono fotografie né quadri, qui.»
«Mh, lo hai notato?»
«Ci vivi in affitto?»
«No, l'ho comprata.»
«Hai scelto dei mobili scadenti.»
Sorride, tanto da mostrare i denti e un lampo gli attraversa lo sguardo, rendendolo luminoso non appena lo solleva verso di me, per una frazione di secondo. «Che cosa carina da far notare.»
«Immagino ne fossi consapevole da solo, non ho detto niente di nuovo.»
«Non do troppa importanza alla marca di un prodotto. Se svolge il lavoro per il quale è stato realizzato significa che è buono.»
«Mh, abbastanza semplicistico.»
«Considerami l'unica persona rimasta immune ai giochi mediatici.»
«Basta, o finirò per invidiarti...» lo prendo in giro, afferrando il primo pacco di fotografie e lasciando a lui il foglio con le relative spiegazioni.
Scorro gli esempi da lui scelti e mi accorgo, con stupore, della facile trasmissione di importanti tematiche.
Immagino che una fotografia, invece, può essere considerata "la migliore" se contiene in sé molti fattori e vi convive con equilibrio. C'è una perfetta canalizzazione tra la scena e l'osservatore, e mi sorprendo di quanto possa rendermi partecipe persino passivamente.
«Sono molto belle...»
«La maggior parte proviene da rullini analogici, per questo è tanto accentuata la profondità» mi rende partecipe di questo singolare aneddoto, suscitando nuovamente il mio cinismo.
«Esiste ancora qualcuno che scatta in analogico?» Chiedo, ma mi rendo conto di aver posto la domanda sbagliata non appena torno a lui. «Oh, scusa.»
Potrei definire una miscela di divertimento ed ostilità la macchina informe, e scura, che condanna ad ombre il suo sguardo quando tende il braccio destro in modo da posarlo allo schienale della sedia vuota al suo fianco, accomodandosi con più serenità.
«Lo fai apposta ad essere velenosa o è un trattamento che riservi nei miei riguardi?»
«Di solito non sono così» lo informo, chinando leggera la testa per poter sfuggire ai suoi occhi troppo chiari.
«No? Questo è curioso, ma puoi continuare a dirmi quello che pensi. Mio zio non tornerà tanto facilmente affinché tu possa parlarci.»
«Possiamo smettere di nominare tuo zio?» La richiesta mi è uscita fuori come un ringhio, capace di mettere in chiaro la realtà dei fatti.
«Che gioia, eccoci tornati all'argomento principale. Eppure credevo di averlo addolcito, ai tuoi occhi.»
«Puoi credere quello che vuoi. Non siamo amici, quindi non deve interessarmi.» E sono già fin troppo stanca di controbattere, penso tra me e me ma, proprio mentre lo faccio, gli occhi registrano il colore, di un rosso particolarmente spento, di un oggetto presente sul mobile della credenza.
Mi alzo dalla sedia nel suo stesso istante, eppure riesce a precedermi ponendosi tra me e il libro.
«Perché è a casa tua?» Domando, tentando di fissarlo da vicino nonostante sia costretta a piegare leggermente la testa.
Con le mani unite dietro la schiena, e lo scaffale alle spalle, lui non si muove di un passo e si pone come barriera tra me e il libro di D'Annunzio.
«Quel libro è tornato al suo legittimo proprietario, ecco tutto.»
«Mi hai detto di odiarlo mentre per me significa molto, quindi lo voglio indietro.»
Tento di aggirarlo schivandolo sulla destra, ma lui mi segue e ripete la mia mossa, parandolo.
«Comprati una nuova versione, no? Perché vuoi proprio quella? E poi, non ti infastidisce che siano presenti le sigle del mio nome?»
«Prima che tu me lo dicessi, non ci avevo nemmeno fatto caso» mento, perché il pensiero che il libro fosse già stato sfogliato, vissuto, da qualcun altro lo rendeva un oggetto maggiormente prezioso ai miei occhi innamorati del vintage, e di tutto ciò capace di contenere un'anima. Pur trattandosi della sua. Rivoglio quell'edizione indietro, è stato Michael a donarmela.
«Mi spiace, Katrina, ma non l'avrai.»
«Quello è un dono di mio marito!»
«No, è il regalo di mia zia e non lo ruberai.»
Annuisco con rabbia, perché il termine "rubare" non era certo un'azione che avrei imputato a mia discolpa, ed arretro mio malgrado, perché una parte di me è cosciente di non poter vincere una sfida contro di lui, nonostante l'altra parte scalpiti e mi spinga a lottare, con le unghie e con i denti, per avere la meglio contro questo muro di pietra.
«D'accordo, come vuoi.»
Solleva entrambe le sopracciglia, rimanendo nella sua posa. «Sai essere accondiscendente?»
«So conquistarmi quello che mi spetta, a tempo debito.»
Una simile risposta lo fa sorridere spudoratamente, senza lasciargli pronunciare una sola parola.
Lexie decide di sopraggiungere proprio nel mezzo di questa battaglia, fissandoci con stupore.
«Scusate, interrompo qualcosa?»
«Che ti serve, Lexy?»
«Hai mica un po' di vino in frigo? Reggere una discussione con Reiner sta diventando pesante.»
«Certo» mormora, allontanandosi dallo scaffale e rimanendo a fissarmi. Sa che, per le parole che ho appena pronunciato, non posso correre slealmente e prenderlo, devo guadagnarmelo, per cui decide di darmi fiducia e accostarsi al frigorifero dal quale fa uscire la bottiglia.
Un cavatappi e la lama di un coltello a togliere la plastica. Pochi secondi dopo il vino è stappato e Ethan sta afferrando i calici.
«Ne vuoi un po' anche tu, Katrina?»
Riesco a cogliere l'ironia della sua voce, e il palese paragone che sta facendo tra noi e loro, mettendo a confronto due tipi di situazioni niente affatto calme.
«No, non bevo mai mentre lavoro.»
«Per caso sei della polizia?» Mi prende in giro Lexie, e devo dire che ha scelto una battuta carina prima di morire per mano mia. Si somma al carico di insopportabilità con il quale già mi ha costretto a convivere, venendo qui, quindi niente da fare. Il suo destino è prescritto.
Tento di comunicarglielo con lo sguardo mentre il nostro gentile, e affatto scortese, ospite si procura a versare il liquido rosso dentro due bicchieri. A quanto pare persino lui ha deciso di non bere, ponendo tra la mani di Lexie entrambi i calici.
«Credo che sia abbastanza su di giri così, il lavoro lo rende nervoso» commenta la mia amica a un tono di voce più basso, quasi tentasse di non farsi udire dalla persona presente un paio di metri più avanti.
È possibile farlo? Quanto hanno sentito della nostra discussione?
«Prendilo e basta, Lexie, non fare storie.»
«D'accordo. Oh!»
Le è scivolato un piccolo tovagliolo che teneva in mano, avente probabilmente il compito di non lasciare un alone sul tavolo della cucina con il bicchiere, e quando si china a afferrarlo, dopo aver posato uno dei bicchieri sul ripiano, Ethan fa lo stesso. In una serie di imprevedibili mosse il vino finisce contro la maglia bianca di Ethan, e Lexie si porta la mano libera sulle labbra, completamente spaesata.
«Scusami Eth, giuro che te la lavo.»
«Non è un problema, Lexie, figurati.»
«No, scusami è che sono così imbranata e stanca.»
«Te lo ripeto, non importa» ma è inutile che lo ridica. Sappiamo entrambi che soggetto è Lexie. Una di quelle ragazze che non può proseguire la quotidiana ruotine della vita se prima non mette in ordine tutti i problemi che si è lasciata alle spalle.
Ci si intersardisce e non c'è modo di farle cambiare idea.
«Dove è la lavatrice? Faccio subito.»
«Siamo in un condominio, Lexy» fa notare Ethan, ridendo. «Dove vuoi che siano le lavatrici? Nel seminterrato.»
Avrei giurato che almeno quella fosse in casa. Sono pochi gli americani a possederla all'interno del proprio appartamento ma con la giusta quantità di soldi e una predilezione alla comodità si riesce a ottenere tutto. E invece ecco la riprova. A Ethan non interessa. Lui, semplicemente, si adatta.
«Avanti, toglitela.»
Sgrana gli occhi di fronte a una simile richiesta. «Non farai sul serio.»
«Che cosa ti costa?»
«Sotto non ho niente.»
«E credi che mi imbarazzi? Da quanto tempo ti conosco, te lo ricordi?»
«Ma mica siamo soli» commenta, ed eccomi di nuovo in una situazione difficile. Credo che adori mettermi in difficoltà di fronte agli altri.
Prima che possa pronunciare una frase che suoni simile a un "allora esco dalla stanza" Lexy mi precede, completando divertita quel dovere per me.
«Chi c'è? Katrina? Quella è sposata con un uomo da quattro anni, e dimmi un po', cosa dovrebbe sconvolgerla? Di certo non i tuoi pettorali da contestatore seriale.»
«Io esco» riesco a pronunciare, prima di fuggire letteralmente dalla stanza.
Per alcuni secondi sento la mia uscita venire accompagnata dal silenzio, poi la voce di Lexie torna ad appesantire l'aria.
«Hai visto? L'hai messa in imbarazzo, che bravo.»
«Lascia perdere, Lexy. Si tratta solo di un gioco stupido che facciamo tra di noi.» Le risponde, costringendomi ad accostarmi ancora di più alla parete per nascondermi dagli eventi del mondo.
«Oh! Quindi ora ci giochi? Che novità.»
«Stai attenta, mi fa ancora male» sussurra, e d'improvviso la conversazione si veste di nuovi abiti.
«Sul serio?»
Un lungo silenzio, e poi la risposta di lui: «no!»
Sento come uno schiaffo che raggiunge la sua pelle, e la risata di lui che lo accompagna.
«Sei un'idiota, lo sai?»
«Volevo solo che tu non fossi invidiosa. Hai visto? Scherzo ancora con te.»
«Il tuo umorismo non mi piace per niente.»
«Sì, hai sempre preferito Reiner a me.»
«Questo non è vero...»
«Avanti, ragazzaccia, torna da lui. Ti sta aspettando con una marea di pratiche.»
«Che fortuna» commenta, ed avverto i suoi passi abbandonare la stanza. Mi rifugio ancora di più dietro il muro posto di fronte al soggiorno e che crea angolo con il corridoio conducente alla cucina e a quelli che immagino essere una camera da letto e un bagno.
Quando mi passa accanto, Lexie lascia volteggiare la felpa di lui sopra la testa come la bandiera della vittoria, e poi inserisce le chiavi nella toppa per scendere, lungo le scale, fino allo scantinato.
Nel contempo che avverte Reiner dell'azione che sta per compiere, io mi affaccio sul corridoio nell'attimo esatto in cui Ethan, uscendo dalla cucina a petto nudo, si volta di spalle e mi offre la visione della sua schiena, e come se avessi ricevuto un pugnale dritto nel petto rimango priva di fiato.
La parte destra del suo corpo è ricoperta dallo sfogo come di un'ustione, ed un livido violaceo è presente all'altezza delle costole. Scorgo anche dei segni di tagli profondi e cicatrizzati e mi rendo conto che la mancanza di raziocinio di una simile ferita può essere correlata solo da un'insieme di eventi: schegge di vetro, fiamme di un fuoco e la pesante oppressione di un oggetto, che ha comportato forse la frattura delle costole.
Semplicemente, le tracce fornite e impresse dalla guerra.
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