51- Regresso

P.O.V.
Caitlin

Il tappo della penna è come la bacchetta di un batterista; colpisce a tempo il tavolo sul quale lavoro, o sul quale almeno fingo di farlo, rimanendo con gli occhi puntati alla sala delle riunioni.

Lexie è davanti a me, e per fortuna non si rende conto di niente. Allontano lo sguardo ogni volta che lei lo separa dal telefono, così da risparmiarmi ogni sua storia, priva di senso.

Sfortuna vuole che non stia sfogliando le notizie dei vari giornali locali, ma un profilo social di una persona pienamente capace di strapparle dei profondi respiri, con i quali sembra condannare se stessa e me alle sue sofferenze.

«Oh mamma, così non ce la faccio proprio!»

Non dovrebbe parlare. Affianco a noi molti designer e artisti progettano, ma è vero pure che io dovrei revisionare i loro lavori e non lo sto facendo affatto.

Quello che sto analizzando è la gravità della mia vergogna, mentre passo gli occhi da Reiner a Ethan allo stesso tempo.
Il primo dei due sembra discutere, senza troppe enfatizzazioni, qualche tema serio, che può riguardare i nostri turni come qualsiasi iniziativa che abbiamo in atto.
Il secondo, invece, gli presta la dovuta attenzione, ma ogni tanto il suo capo si abbassa, appoggiando il mento, e privandolo, della presa tra indice e pollice, mentre tiene un gomito posato sul braccio della sedia.

«È passata una vita dall'ultima volta che ho visto spalle del genere...»

Questa è la sua anormale affermazione, e mio malgrado mi spinge a gettare uno sguardo più approfondito verso la ricerca che sta svolgendo.
Non c'è bisogno che mi applichi molto, però.

Cambiando veloce la foto, Lexie mi posiziona sotto gli occhi l'immagine bianco e nero di un fisico scolpito. Con titubanza, mi spingo a confermare l'esattezza del nome riportato.

«Perché sei sul suo profilo?»

«Semplice curiosità.»

«Lo consoci da molto tempo?»

È qui che decide di posare sul ripiano la sua arma, mordendosi un labbro mentre mi analizza con ironia.

«Direi di sì, proveniamo dalla stessa città, abbiamo fatto le scuole insieme. Ma confesso di aver sempre avuto una cotta segreta, e mai confessata, per quel ragazzone. Chissà se rivelargli il mio sentimento può portare a qualcosa.»

«Lo conosci da tempo, ma non sai chi sia suo zio, ovvero il nostro capo.»

«Nessuna idea, no. Non mi è stato mai presentato.»

«Dovresti provare a farlo...» mormoro, vedendole però scuotere la testa lenta. Proseguo nel chiarire la mia posizione. «Se provi qualcosa per lui dovresti dirglielo.»

«E credi che un uomo così rimanga single tanto a lungo? No... No, Ethan ha una ragazza in mente. È cambiato da anche troppo tempo. Credo che non sia corrisposto, anche se è assurdo, chi non vorrebbe una ragazzo come lui?»

«Di uomini con un bel fisico se ne trova a bizzeffe, se è ciò a cui stai puntando.»

«Come se Ethan fosse solo questo... no... no, lui è molto altro», mi sorride, tenera, lenta. «Lo imparerai a conoscere, non appena inizierà a lavorare qui.»

«Non mi interessa farlo. Se non è uno dei miei dipendenti allora mi limiterò a scambiarci il buongiorno.»

«Giusto, Sneg, dimenticavo la tua profonda dedizione al lavoro. Intervallata da una vita coniugale più che appagante. Allora; vuoi dirmi quando rivelerai a tuo marito che questo è il tuo vero lavoro?»

«Presto» sussurro, ancora con un lieve cenno di incertezza. «Pensavo di farlo sabato sera.»

«Fra tre giorni, wow! Notizia importante. Come credi che la prenderà sapendo che da tempo sei tornata al ramo che ti compete?»

«Io... non ne ho idea, spero che possa essere una sorpresa. Ho atteso di diventare qualcuno per poter ricevere la giusta sicurezza e il rispetto, compreso il suo.»

«Sono certa che andrà bene, Sneg. Sei brava in ciò che fai e tuo marito te ne deve rendere merito.»

Sorrido appena, volendo chiudere una questione tanto spinosa, e per fortuna Lexie lo intende, tornando al suo telefono e chiudendo di colpo tutte le app rimaste aperte. Compreso il profilo di Ethan.

«Mi annoio da morire qui» si lamenta, gettando la testa all'indietro.

Il mio di telefono si illumina un'unica volta, mostrandomi il mittente di un nuovo messaggio.
Scorro l'icona e leggo il testo.

"I risultati sono pronti, ti aspetto in ambulatorio".

Blocco lo schermo e lo allontano dalla mano.

«Preferiresti una folla concitata di giornalisti, non è vero?»

«Darebbero, senza dubbio, una svolta alla nostra giornata piatta. Non credi anche tu?»

«Ognuno prova adrenalina per cose diverse. È incontrollabile, come molte altre sensazioni» commento, concentrandomi sui progetti che ho di fronte, e costringendomi a non sollevare mai più lo sguardo.

P.O.V.
Michael

Un bosco fiabesco ed incantato mi apre i suoi cancelli, mostrandomi una scritta bianca dal carattere corsivo a fare da insegna. Riporta il nome del negozio, senza rinnegarne magia e originalità.

Cat ne sarebbe incantata, ed è proprio per lei che sono qui. Voglio comprare una nuova pianta tropicale, di quelle che sbocciano in fiori e sopravvivono grazie al terriccio del loro vaso, venduto assieme. Niente composizioni, non le piace nulla che possa essere stato reciso.

Mi sono informato preventivamente prima di arrivare fin qui, e ormai so con precisione cosa regalarle per il nostro quarto anniversario di matrimonio.
Non ci siamo mai fatti doni troppo costosi, a causa della situazione economica e del desiderio di ricercare la bellezza anche nelle cose più piccole, ma arrivo a chiedermi lo stesso se possa essere sufficiente. Sentendo la fioraia parlare delle ricercate particolarità di questa pianta, sembrerebbe di sì.

Saldo il conto da pagare e afferro il sotto del vaso, raggiungendo la macchina animato da un solo pensiero: sorprenderla.

Quando arrivo di fronte al suo hotel mi stupisco nel trovare anche solo un misero parcheggio a quest'ora della mattina. Continui gruppi di nuovi ospiti entrano ed escono dall'ingresso principale, nei loro abiti firmati e nelle loro marche incapaci di svalutare la preziosità dell'oggetto che porto sotto braccio.

Giungo fino al bancone della reception e mi guardo intorno, in attesa di vederla spuntare fuori da ogni angolo... ma altri non ricevo che Raimòn, nel suo completo nero e nei suoi capelli tirati dalla lacca.

«Si?» Domanda nella mia direzione con un cipiglio, rigirandosi la penna stilografica tra le mani mentre analizza i miei abiti. Valutando probabilmente se sia in grado o meno di acquistare, anche per una sola notte, una delle loro stanze.

Non mi ha riconosciuto.

«Sono il marito di Katrina Abrich, sa dirmi dove posso trovarla?»

Un profondo sospiro gli fa sollevare il petto, ed espirare con forza, abbassando nuovamente gli occhi. «E perché la cerca in questo hotel?»

«Sono gli orari del suo turno, ho deciso di raggiungerla prima che tornasse a casa.»

«Non è qui» mi sorprende nel dire, e per un attimo temo di aver confuso l'orario con il lavoro da interior designer. «Da almeno quattro anni» dice poi, e la sorpresa mi colpisce come un pugno in pieno viso, senza però vedermi retrocedere.

«Se vuole scusarmi...»

Ha altro di cui occuparsi, per cui si allontana. I miei dubbi, però, non sono stati ancora sfatati, ed è vedendo la figura di Irma, china verso il pavimento con uno straccio pregno d'acqua, che decido di fare la mia mossa.

«Irma, ¿cómo estás

«Bien, gracias

La confusione mi fa ritornare dallo spagnolo all'inglese, non appena porgo la mia domanda.

«Sai dove è Katrina?»

«Katrina?»

«Mia moglie.»

«Non lavora qui da molto tempo.» Le sue sopracciglia si aggrottano, quasi fosse confusa lei stessa di questa richiesta.

«E non hai idea di dove si trovi, al momento? Quando vi siete sentite, l'ultima volta?»

«Mi chiama una sera a settimana, per chiedermi come sto. Eres muy amable

Sto per esaurire la mia pazienza, voglio delle risposte. «E non ti ha detto dove lavori?»

«Probabilmente è alla Land Art Society, puoi provare a sentire lì.»

Che cosa? Alla Land Art Society? Opera lì adesso?

«Grazie mille, Irma.»

La donna annuisce, tornando alle sue manzioni e permettendomi di andarmene.

Dentro di me provo una mescolanza di sensazioni differenti. Esiste la confusione come la sorpresa, la curiosità al passo della rabbia, e non posso non promettermi di aspettare il suo tempo. Deve esserci una ragione per la quale ha deciso di non parlarmene. Forse non è nemmeno un lavoro tanto stabile come immagino, o forse vi è entrata solo da pochi mesi.
Magari ha fatto altro, nel frattempo, e si vergognava di dirmelo.

Essere rimasto all'oscuro della sua vita mi spinge verso un'emozione nera e incontrollabile, per la quale dovrei abbandonare tutto, pianta e macchina, ed iniziare a camminare verso la sua strana verità. No, non devo farlo. Devo aspettarla. Devo ascoltarla.

Provo a ripetermelo, e nello scorrere dei minuti l'idea diviene sempre più accettabile, facendomi credere di potercela fare.
Posso tornare a essere partecipe dei suoi segreti, non è certo la prima volta.

Recupero le chiavi e  lo scatto di luci giustifica l'accensione del veicolo, nel quale mi rifugio impostando la strada verso casa, dove mi attende dell'ulteriore lavoro e nuove storie, dentro le quali perdermi.

P.O.V.
Caitlin

Il bianco è sulle pareti. Sul camicie del dottore, sugli arredi di questa stanza. Sugli spazi lasciati vuoti all'interno dei fogli stampati, con temibili scritte, e sul dorso del piccolo mouse, che emette dei brevi click comandati dal dottore che sta stampando i risultati.

Afferra la mia cartella e confronta i precedenti test con quelli che ha di fronte. Possibili scenari si affacciano nella mia mente, e nessuno di loro comporta un responso positivo.

«Ci sono dei problemi?» Chiedo esitante, e l'uomo abbandona i suoi occhiali da lettura, assieme ai fogli, per potermi fissare negli occhi prima di parlare. Deve essere più seria del previsto.

«Signora Abrich... sono fiero di poterle comunicare che la sua carica virale è in netto calo.»

Il cuore inizia a battere a un ritmo atroce. «Che... che cosa significa?»

«Che l'infezione sta regredendo, signora. Il suo sistema immunitario si sta rafforzando, ma non è ancora del tutto forte. Occorrerà del tempo.»

Io... non so con quali parole potermi esprimere. Credo che presto i muscoli facciali inizieranno a farmi male, visto il sorriso che sfoggio e che chiede la replica del suo, ormai familiare e gentile.

Non resisto e mi alzo in piedi, per poter fare il giro della scrivania e stringere il mio dottore tra le braccia. Questi ride, mi ricambia con qualche pacca sulla schiena mentre lo stringo più forte, abbracciandolo al collo in una stretta infantile.

«Grazie, grazie!»

«Il merito non è mio, Katrina, ma solo tuo. I farmaci hanno fatto il giusto effetto. L'aids è sempre più lontano ormai, devi prepararti a una possibile, per quanto improbabile, ricaduta ma al tempo stesso devi capire il miglioramento del tuo corpo. Sii pronta a tutto.»

«Lo sono da anni, dottore» commento, allontanandomi per poter fissare la bontà di questo viso rotondo e ormai solcato di rughe, solitamente premiato dalla professionalità ma, al momento, stranamente vittima dell'imbarazzo.

«Può tornare al suo posto, così le spiego come continuare il suo trattamento?»

«Credo di sapere tutto, ormai.»

Invece scopro di non saperne niente. L'infezione sta regredendo ma, proprio per questo, non devo permettermi di abbassare la guardia di fronte a qualsiasi esemplare dei famosi sintomi, o dimenticarmi le pasticche, prima di andare a letto. Inoltre, c'è una lista infinita di ulteriori raccomandazioni, ma ho solo una domanda in grado di approfondire.

«Ecco, io vorrei chiederle... io e mio marito da tempo pensiamo alla possibilità di avere un figlio, che cosa ne pensa, adesso?»

Risulta così difficile porre una richiesta del genere, e lo faccio con dolore e speranza mescolate insieme. Pendo dalle sue labbra e il dottore ne è consapevole.

«Una persona sieropositiva corre il rischio di trasmettere l'infezione al nascituro in una percentuale del 15% o 20%. Se la trasmissibilità, però, cala fino al regresso, ed il parto è assistito da un controllo specializzato, può abbassarsi fino all'1%. Ci sono dei rischi, quello è sicuro, perché i farmaci sono teratogeni, ossia possono provocare delle malformazioni al piccolo. È necessario possedere una condizione clinica stabile per non correre gravi rischi. Dopo di che si può ricorrere all'inseminazione artificiale.»

Si dipinge ancora come un sogno molto lontano, anche se a sentire il medico può essere più vicino di quanto si crede. La mia malattia deve solo trovare una forma stabile, smettere di mutare e assumere un carattere di rischio o di speranza.

Altrimenti, potrebbe rimanere viva l'idea dell'adozione, per quanto possa risultare logorante una guerra di pratiche ed assistenze legali. La nostra condizione economica è più stabile, ma non ancora rigogliosa.

Dovremo pensarci bene prima di mettere al mondo, o scegliere di avere, una nuova testa, sotto il tetto della nostra calda capanna.

«La ringrazio, dottore. Seguirò tutti i suoi consigli alla lettera.»

Altro non posso fare, per questo mi trascino fuori dall'ambulatorio, fino alla macchina. E vista l'ora tarda che si è fatta, in direzione della mia casa.

Il tramonto dipinge di rosa e arancio il cielo oltre il parabrezza della mia auto, e mi accompagna con le sue luci soffuse fino all'ingresso del nostro piccolo nascondiglio.

Poso le chiavi sul tavolo della cucina e poi avanzo verso il soggiorno, sentendo le zampe di Hazel calpestarmi i piedi, chiedendo attenzione. Mi chino quanto basta a passare una mano sul suo capo, e di conseguenza gli vedo tendere il corpo. Si muove affinché il mio tocco passi dalla sua testa al suo collo, e quindi lungo tutta la spina dorsale del suo piccolo corpo fino alla coda. Se ne va via lasciandomi il compito di dirigermi verso l'uomo che mi sta aspettando sul divano. Il camino acceso, gli occhiali da lettura posati sugli occhi, un bicchiere di vino rosso sul tavolo da fumo e dei fogli in una mano.

Raggiungo le sue spalle e poi mi chino, facendo ondeggiare i capelli ai lati del suo campo visivo, e in compenso la sua testa si sorge all'indietro per poter fissare la mia supremazia.

Non resisto a quella bocca offerta e la bacio, lentamente, gustandomi il suo sapore, mentre la mano sinistra di Michael si solleva, ostentando il dito con la fede argentea, e si posa sui miei capelli, quasi a proibirmi di andarmene.

«Ciao...» mormoro, non appena mi allontano da quella perdizione e fisso i suoi occhi socchiusi, stanchi.

«Ciao...»

Potrei rimanere per tutto il giorno così, persa nel suo sguardo, ma intrappolando leggero la mia mano nella sua Michael sembra incentivarmi ad altro.

Sotto la sua guida, compio il giro intorno al divano con la continua supervisione del suoi occhi fino a che, con una lieve pressione, non mi incoraggia a sedermi sulle sue gambe.
L'espressione che sfoggia mi piace particolarmente, per cui non rinuncio a un simile contatto e mi siedo quasi come su di un trono, con la schiena rigida, la testa sollevata per direzionarsi nel suo sguardo, e le braccia intrecciate al suo collo. Debole solo nel lasciar trasparire tutto l'amore che provo e nello stringere mio marito a me, dopo tutta la giornata che abbiamo trascorso distanti.

Non occorre nient'altro, se non le sue labbra che si posano sulle mie, viziandole con un lento bacio.

«Mmh! Signor Flint, vuole per caso dirmi qualcosa?»

«Solo che ho desiderato questo per tutto il giorno, signora Flint.»

Rido sulla sua bocca e stavolta sono io a baciarlo per prima, posando entrambe le mani sulle sue guance per intrappolarlo.

«E tu? Vuoi dirmi qualcosa?» Domanda con un leggero affanno, non appena le nostre labbra riescono ad allontanarsi quanto basta.

Ci sono molte cose che desidererei dirgli, ma non è ancora il momento. Del mio continuo sfogo fisico alle piscine comunali che, un tempo, frequentavamo insieme, della realtà del mio lavoro, di quello che mi ha detto il medico. Quello che mi blocca è la possibile reazione che può avere alle prime due novità, e la falsa speranza che potrei donargli nell'offrirgli la terza.

«No» mormoro, rimanendo a fissare le sue iridi immobili.

«D'accordo, allora.»

Non riuscendo a sottostare ulteriormente a quegli occhi neri e teneri, allontano lo sguardo e finisco per scontrarmi con un nuovo membro di questa casa. Adornato con tanto di rosso fiocco.

«E lei?»

«Un regalo anticipato per il nostro anniversario» commenta dal basso, posandomi un piccolo bacio sul collo, quasi ad attirare nuovamente la mia attenzione.

Ci riesce benissimo, ed è per questo che torno a sorridergli. Per il regalo, certo, ma anche per il fatto di non essersi dimenticato una data tanto importante, e possedendo la consapevolezza che quel giorno sta per avvicinarsi. Sabato sera ricorderemo il nostro amore, passato e presente, ed insieme ad esso, grazie alle mie rivelazioni, otterremo per noi anche il nostro totale, e complicato, futuro.

P.O.V.
Michael

Seduto su questa poltrona di soggiorno con la solita, inimitabile, penna rossa in mano dovrei concentrarmi sul lavoro, con il rischio altrimenti di rimanere indietro con le scadenze. Sfortuna vuole che non riesca  a farlo, e stia fissando oltre le portefinestre di casa nostra il mare.

Forse si tratta di un richiamo. Spostando gli oggetti presenti dalle mie gambe al divano mi avvio verso la spiaggia, distante pochi metri. Non ho scarpe né cappotto. Avverto subito il breve tratto di ghiaia che mi separa dai sottili granuli e anche il vento gelido, non appena riesce ad accarezzarmi perfino le ossa.

Niente pare abbastanza forte da farmi cambiare idea, e così non vado che avanti, giungendo fino a pochi passi dalle onde.

Siedo sulla sabbia e fisso il mare, dal colore verdastro, particolarmente scuro. Intorno non ho nessuno, se non una folla di continui pensieri, e sibillini questi mi parlano, mi pongono delle domande.
Mi costringono ad afferrare il telefono e rimanere alcuni secondi a fissare lo schermo nero.

Ieri notte Cat non mi ha detto niente del suo lavoro. Avrei preferito lo avesse fatto, in questo modo sarei stato più tranquillo. Se succedesse qualcosa non saprei nemmeno dove cercarla.
Si tratta della sua sicurezza, mi dico inserendo il codice del telefono e digitando sul motore ricerca "Land Art Society, Messico" prima di premere invio.

Fortuna vuole che esca fuori un'unica soluzione. La loro sede è a La Paz, in una via che non mi è nuova.
La ricerca potrebbe concludersi qui ma inavvertitamente mi accorgo di voler scoprire chi è che la comanda.

Stavolta escono più risultati, e non so bene qual fare coincidere. Ci sono molti nomi di operatori ma dopo alcuni minuti, sfogliando diverse pagine virtuali, riesco a ricavare un nome. Reiner Black. Ecco, uno dei soci fondatori, assieme a una certa Lexie Drawn. Sono soci alla pari ma a rappresentarli, secondo quanto dice un articolo, vi è una figura più in alto, una specie di filantropo.

Prima di poter pensare a come risolvere un simile mistero, sto già componendo un numero, ed appartiene al mio vecchio collega rimasto prigioniero degli archivi comunali.

«Felip, avrei bisogno di un favore, puoi aiutarmi?»

P.O.V.
Caitlin

Mi sembra di essere tornata a liceo. O nella mia vecchia casa, con mia madre che mi ordinava le cose da fare. Credo che la prima condizione possa essere più calzante e non secondo i canoni del mio odio, perché ho odiato veramente troppo la mia genitrice, ma secondo l'insieme di condizioni che si sono andate a creare. Proprio come al liceo c'è la bellissima ragazza in vista, la bella Lexie che mi sta camminando davanti in un abito da invidia, ci sono i gruppi di ragazze che confabulano come di maschi che si lamentano della loro distrazione, e poi c'è l'inadeguata di turno, ovvero io.

Mentre sto camminando con le mie cose, appunti, fogli e agenda, in due mani, ripetendomi  continuamente nella testa "non voglio andare". Non voglio affrontare Reiner perché so che, a questa riunione, parteciperanno tutte le persone che hanno un ruolo all'interno di questa società.
E, a quanto ho saputo, Ethan supervisiona ciò che avviene nel laboratorio modelli, ovvero le statue che solitamente ci adoperiamo nel creare, così da spedirle ad eventi di spicco, o nelle nostre gallerie d'arte.

Come spazio creativo progettuale è molto svalutato al momento e forse è per questo che Reiner lo ha assegnato lì. Magari si aspetta che dia una svolta alle cose, e una simile riuscita mi incuriosirebbe. Non dovrò certo lottare per vederla. Il suo reparto e il mio sono strettamente collegati.

«Lexie!» Richiamata a pochi passi dalla sala riunioni, la mia amica si volta verso di me ma io non faccio un passo, per cui è costretta a riavvicinarsi per potermi stare a sentire. «Sicura che io debba partecipare?»

«Certo! Reiner non ti avrebbe convocata altrimenti. Avanti, non ti sei portata quella marea di carte dietro per niente, giusto? Su, entriamo che tra poco inizia!»

E così dicendo mi lascia sola, scomparendo all'interno della stanza.
Picchietto il piede per terra, arrivando alla conclusione di quanto tutto questo risulti ridicolo. Ho superato il liceo da un pezzo, sono un'importante membro di questa società, sono amica di Reiner.

I ragazzi che sono sotto il mio controllo non dovrebbero vedermi esitare così, per questo motivo devo riuscire ad entrare.

Il mio poco entusiasmo, però, è quanto basta affinché un'altra figura possa raggiungermi, e avrei tanto voluto che fosse chiunque altro, persino il nuovo e taciturno arrivato.

«Buongiorno, Katrina. Partecipi alla riunione?»

Provo ad accennare un piccolo sorriso in direzione di Noah, il nostro produttore merchandising estero, mentre questi scorre i suoi viscidi occhi lungo tutta la mia figura.

«Sì, Noah, stavo per entrare.»

«Puoi dire a Reiner di chiamarmi, nel caso discutiate di future vendite...» prosegue nel dire spostando, grazie a una diversa inclinazione della testa, i suoi capelli castano chiaro, costantemente ordinati alla perfezione. Ha due anni più di me, un fisico tonico, costantemente in corsa, con un viso all'apparenza gentile... ma io so quale quale serpe nasconda, e per questo non mi lascio mai raggirare.

«Certamente, Noah, nel caso riferirò.»

«Sto ancora aspettando una tua risposta positiva al caffè che ti ho proposto l'altro giorno...»

Ora mi è quasi impossibile nascondere l'orrore, il sorriso che tenta di rimanermi... e l'arrivo improvviso di Ethan non appesantisce che questa condizione di difficile sopravvivenza.

Saetta gli occhi da lui fino a me, poi con un'espressione neutra mi indica con un cenno della mano la porta della sala riunioni.

«Vogliamo entrare?»

«Certo.»

«Dopo di te.»

Ed è così che riesco ad allontanarmi da Noah, camminando di fronte a Ethan con ancora tutti i miei oggetti tra le mani.

Trovo Reiner accomodato al centro della tavola ovale, di fronte a lui Lexie, ai lati altri nostri collaboratori.

Solo quando la porta si chiude alle mie spalle posso tirare un sospiro di sollievo e dichiararmi libera dall'uomo che mi sono lasciata dietro quella barriera in alluminio, ma non da quello attuale. Unicamente due sedie si dimostrano libere, e per fortuna non ci vedono costretti ad accomodarci di fronte. Ethan rimane nella mia diagonale ed è il più lontano da Reiner, che nel frattempo si occupa di prendere le redini della situazione, dando il via al nostro incontro.

«Grazie per essere riusciti a raggiungermi con così poco preavviso. Volevo discutere con voi del nuovo progetto "Rose" così da valutare come procedere. Lascerò spazio alle idee, se ne avete, ma prima occupiamoci dell'aspetto burocratico.»

Consapevole di non potermi perdere nemmeno questa parte di storia del progetto, afferro la mia penna professionale e la giro in un piccolo scatto che ne permette la fuori uscita della punta. Poi afferro l'agenda, quella agenda storica che ancora riporta la dedica di Mr L, e inizio a scrivere.

Ormai non c'è più corrispondenza tra date e giorni ma non è importante, usandola come tavoletta personale dei miei pensieri e appuntamenti. Inoltre, ho aggiunto delle pagine agli anelli, per poter farla sopravvivere nel tempo.

Sollevando leggermente gli occhi noto Ethan fissarmi con un cipiglio calato sul viso. Sta osservando la penna che scorre sulle pagine dell'agenda ed il mio modo frenetico di prendere appunti senza perdermi niente.
Non c'è nulla di male, dovrebbe fare lo stesso.

Le persone all'interno di questa azienda parlano ed io non sono stata la prima, nonostante le buone intenzioni, a dire male delle sue strane raccomandazioni. Non se ne preoccupa? Eppure, una persona normale, si farebbe mille paranoie per dimostrarsi migliore di quanto gli altri credono.

Nemmeno pare che si impegni. Se ne sta seduto in disparte e mi guarda prendere appunti, quasi fossi io il fenomeno extraterrestre che ha preso vita in questa stanza.

«Katrina? Va tutto bene, vuoi aggiungere qualcosa?»

Reiner utilizza il mio nome per intero solo in simili eventi formali, quando la situazione lo richiede.
Devo destarmi dal torpore per poter far una considerazione adeguata sui costi del nostro intervento futuro.

«Questo è vero, dovremmo limitare le spese delle agenzie. Lexie puoi pensarci tu?»

L'amica al mio fianco conferma la sua partecipazione e così posso tornare a scrivere sulla mia agenda.
Al termine del foglio mi ricordo di un piccolo appunto che avevo messo proprio all'ultima pagina...

«Ci occorrerà un supervisore, per questa parte» sento dire a Reiner, mentre la punta della penna mi macchia all'altezza delle falangi con la costanza di un pittore astratto.

«Anche un percorso di guida, attraverso il museo mobile che andremo ad allestire...» prosegue Lexie.

«Katrina te la sentiresti?»

Alzo di scatto la testa.
Le orecchie hanno ascoltato ma non lo ha fatto il cervello.
Non ho idea di che parlino.

«Ma certo» confermo, perché posso chiederlo loro anche dopo, non mi ritiro da un'impegno lavorativo.

«Ottimo, allora affida momentaneamente la tua squadra di progettisti alla ragazza che ti fa da assistente, e concentrati unicamente sulla presentazione delle opere che ti andremo a proporre... anche se sarebbe il caso te le illustrasse Ethan, si tratta del tuo ambito, no?»

Il profilo del sorriso scompare da qualsiasi sfumatura avesse assunto la mia espressione, ma se quella che al momento possiedo è una spessa lastra di ghiaccio posta contro il mio respiro, quella di Ethan è puro blindato, impossibile da scalfire.

«Ne abbiamo parlato poco fa» rammenta quest'ultimo a Reiner, tenendo gli occhi contro il vetro di questo tavolo.

«Ti sto semplicemente chiedendo un giudizio oggettivo su dei lavori, la tua competenza può esserci  molto più che utile. Nient'altro.»

Ormai i due si stanno fissando, e per quanto la calma possa regnare in questa situazione la sensazione maggiore è dipinta nel blu scuro di un filo rappresentativo dell'alta pressione, che corre dalle loro iridi, parallele l'una all'altra, e che si scontra fino a creare fiammelle, morte nel precipitare verso terra.

«Allora è deciso, domani tu e Katrina valuterete i lavori e creerete il tour della mostra. A noi toccheranno invece, cari signori, gli aspetti più tecnici» commenta Reiner, intrecciando le mani sul tavolo e fissando con un sorriso i tre professionisti, il commercialista, il notaio e l'avvocato schierati spalla a spalla, in un muro impenetrabile di difesa.

Reiner sa come vincere e come trarre il meglio, al proprio vantaggio, da una situazione.
E a questo giro temo che io e Ethan siamo stati considerati sacrificabili per poter adempiere a un simile scopo.

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