50- Particolari novità
P.O.V.
Caitlin
Quattro anni dopo
Il tempo sovverte molte leggi, stabilisce nuove regole, ti lascia modo di adattarti ma c'è una cosa che sopravvive per sempre ed è la fiducia che gli riponi. Ognuno trova i propri idoli, che siano la Dea bendata, maledetta fortuna, o il più bipolare Destino. La mia fede è lo scorrere dei giorni che si affianca alla consapevolezza di veder ripetere certi eventi, allo scadere di ogni epoca.
Ciò che è già accaduto si ripete, ripresentandosi al solo scopo di vederti reagire in maniera o meno diversa. Questo è ciò a cui i miei trentacinque anni mi hanno condotto, quasi a un carattere di placido cinismo ed una scarsa aspettativa di una nuova attrattiva.
Per questo mi sorprende, e crea una strana dose di dubbi, l'atipica aria che c'è nella Land Art Society, in questa giornata.
Passando per i corridoi con la mia cartella vedo del fermento. Gruppi continui di ragazze che si fermano a spettegolare, con tanto di mano posata di fronte alla bocca quasi in un ritorno al liceo.
Le loro voci sono state zittite da ogni mio placido "shh!", che imponeva loro di tornare a lavoro.
Odio le perdite di tempo, ed odio dover discutere con addetti privi di ogni responsabilità, che si occupano giusto di fare delle fotocopie, più lente del suono dei miei tacchi, contro il pavimento tirato a lucido di questo posto.
Nonostante questa freddezza che sono costretta a trasmettere, tramite il mio ruolo, mi stupisce il tornare a provare una strana dose di curiosità verso queste nuvole di bisbigli, e piccole risatine.
Ho quasi il divieto, autoimposto, di aprire parte del mio cuore a qualunque dipendente, in modo che si non sia avvezzo a simili smancerie. Alcune volte mi sono lasciata andare, anche io sono umana, ma è veloce il ritmo agli obblighi e alle mansioni di questo lavoro.
A causa di ciò, non posso chiedere a nessun altro che a Lexie novità. Sperando che osi staccare gli occhi dallo schermo del suo nuovo portatile, allontanandosi dalle prime pagine dei giornali e dai problemi delle pubbliche relazioni per un po'.
«Lexy... Le, che sta succedendo?» Domando, avvicinandomi alla mia amica in piedi, con un gomito posato sull'alto bancone in legno della segreteria, sfoggiando così il biancore del suo braccio nudo che conduce fino alle spalle scoperte, dal momento che sfoggia un semplice vestito lilla, senza maniche.
«Che intendi?»
«C'è qualcosa di strano.» Lo avverto, non è una fantasia.
Questa società, questa specie di trampolino di lancio per giovani artisti e che abusa di uno slogan mirato all'ecosostenibilità del nostro pianeta, non è mai stata tanto in agitazione, ed è percepibile per chiunque, persino per i nuovi entrati. Lo vedo da come vivisezionano, con gli occhi, ogni persona che supera l'ingresso della nostra fortezza.
«Ahh! Forse ti riferisci all'incontro di questa mattina.»
«Che cosa abbiamo in programma?»
Picchiettando contro lo schermo del telefono, solleva i suoi occhi celesti il tempo che serve ad analizzare i gruppi di persone che passano per strada, visibili tramite il vetro della nostra entrata.
Dopo i problemi di ieri, a seguito di una nostra campagna provocatoria, sono certa che si aspetti turisti da ogni angolo.
«Noi niente, è Reiner a occuparsene. Avremo un nuovo ingresso nella compagnia, niente di meno che un parente del supremo capo.»
Avanzare domande sarebbe inutile, perché perfino Lexy non sembra conoscere a fondo l'uomo che paga i nostri stipendi, ed offre un lavoro garantito a tutti noi. Lo avrei immaginato, però, come un tipo modesto. Il non rivelare il suo volto al vertice del nostro "movimento propagandistico e rivoluzionario", come lo ha chiamato una volta Reiner, gli attribuisce un anonimato capace di tutelarlo da schiaffi e meriti, al tempo stesso.
La stampa non lo reclama. Il pubblico a favore dell'ambiente non lo venera.
Tutti siamo a conoscenza dell'abnorme ammontare del suo conto bancario, ma niente di più.
Né la sua storia, né le sue origini.
Adesso, però, si scopre che la sua maschera di modestia è fatta di cera. Si squaglia di fronte a una fiamma e cola giù fino a terra.
Una raccomandazione è ciò che più odio, e vorrei, da una parte, che Reiner non accettasse mai un simile ingresso.
Ho lavorato tosto, per arrivare fin qui.
I primi anni ho alternato il mio nuovo lavoro ad altri due. Dopo quella telefonata, alle docce di una piscina comunale, ho portato le mie dimissioni a Raimòn, ed ho abbandonato la mia vita di stracci e divise d'hotel. L'unica persona a mancarmi di quel posto è Irma, pur avendo scoperto che le nostre diversità si accentuavano, e ci separavano, ancora di più con la distanza. Lei è completamente diversa da me, ha figli e parenti, un albero genealogico da mantenere. Non ha tempo per sogni o discorsi a vanvera. Non ha tempo di parlare al telefono, la sera, per più di una mezz'ora, che dall'altro capo qualcuno la reclama rinfacciandomi, in un eco, l'incompiutezza della mia vita.
Sì, ho lavorato molto, moltissimo per evitare che le persone potessero considerarmi "una favorita", che era riuscita a ottenere il proprio posto senza nemmeno il sostegno di un colloquio.
Uno sforzo vano, perché le voci avevano continuato a vorticare come corvi sulla mia testa, aspettando che raggiungessi il giusto stato di decomposizione in modo da mangiarmi.
Lexie è la sola a non averlo mai fatto. Con i suoi capelli metà castani e, da metà lunghezza in poi, biondi, il suo sguardo pulito, i suoi milioni di pendenti alle orecchie, sembrava una vecchia compagnia di liceo. Nello sfoggio di un'espressione innocente e indagatrice allo stesso tempo, che ti aspetta per sentirti parlare ma al tempo stesso già legge in te ciò che si prospetta di trovare... mi ha insegnato a dare ancora più peso alle parole perché, come racconta il suo lavoro, le parole colpiscono.
Gestisce il rapporto dell'azienda con la stampa, e si preoccupa di non condannarci a scandali. Avrei voluto l'attenzione dei suoi occhi celesti, costantemente contornati da ombretto rosato, mascara ed eyliner, su ogni istante della mia vita, raddrizzando il tiro degli eventi.
Forse sapeva chi fossi già prima che entrassi, è il braccio destro di Reiner, e molte volte la sua mente, le sue idee, e le sue stesse parole. Questo mi offre modo di pensare, e arrivare a una conclusione.
«Tu lo conosci.»
Nemmeno è una domanda, ma decide di rispondere. «Sì.»
«Ed è bravo?»
Sorride, spostando gli occhi dalla strada a me. «Il migliore.»
«E in quale campo?»
«Temi un po' di competizione, Sneg?»
Ruoto gli occhi, dal soffitto al pavimento, per far notare la mia irritazione. E cosa dovrei temere? Occupo il ruolo di guida museale ad ogni nostro allestimento. Prendo in prestito le teoriche lezioni dell'adolescenza e le affino, unendole, con le novità suggerite dal nostro nuovo modo di fare arte, concordato insieme a un equipe di giovani talenti, alla quale presenzio.
Assieme a Reiner e ad altre figure molto più competenti che, però, mi lasciano parlare.
Quello che non mi può essere soffiato via è il ruolo di supervisore ai lavori intercontinentali, che per nostra futura eccedono nella nostra società. Con quello tengo tutti in riga e non permetto a nessuno di superarmi.
Temo, però, che il parente del grande capo non voglia un simile incarico. Troppe responsabilità e carte da firmare. Un cimitero, a cielo aperto, dell'astrattismo sotto ogni forma, e se è vero che è bravo vorrà vantarsi della sua dote, con chiunque sia abbastanza prostrato da chinarsi ad adorarlo.
«Voglio solo sapere cosa accade nella compagnia, tutto qui.»
«Quindi non sei neanche un po' curiosa?»
Si è completamente dimenticata dei giornalisti, lo vedo. Ora mi sta sorridendo sbarazzina, nei suoi anni freschi come il continente dal quale prende le sue origini, la sua amata Russia, grazie al ramo della madre.
Nata in America, lascia al proprio nome il compito di mascherare la sua provenienza, per utilizzare una sorta di strano fascino, durante un primo incontro.
Ancora non me ne spiego il motivo, ma gli uomini sono particolarmente attratti dalle russe. Lexy, poi, è un'esemplare di femmina da non sottovalutare.
Offusca tutte noi con la sua bellezza, nonostante continui a ripetermi di non svalutarmi. Con i capelli sciolti starei meglio, ma non li libero mai a lavoro.
«Di cosa dovrei essere curiosa?»
«Di che tipo è...» commenta, senza argomentare ulteriormente, ma non importa. Conosco la sua malizia.
«Sono sposata.»
«E non hai occhi per guardare? Beh, lo capisco, tutte noi conosciamo tuo marito. Non ti ho mai espresso i miei complimenti più sinceri.»
«Smettila!» Rido.
«Un uomo del genere deve fare impazzire. Ecco perché sei fuori di testa.»
«Sì, lo fa» confermo.
«La mia Sneg, che arrossisce non appena nomina suo marito...»
«Vuoi finirla?» Le chiedo, ma il buon umore non mi lascia.
Sistemo una ciocca di capelli scivolata dalla stretta dell'elastico, e nel compiere il gesto di riportarla dietro l'orecchio vedo, con la coda dell'occhio, la mia fede argentea e il mio solitario brillare sotto la luce solare.
«Non hai niente da temere, è solo uno dei molti artisti presenti in questa nostra grande famiglia. Inoltre è amico di Reiner. Se ti fidi, almeno un po', dei legami che stringe, potresti startene un po' più sicura.»
«Ma io non mi fido per niente di lui» mento con divertimento, facendola scuotere il capo.
«Fortunatamente, lui di te non dice lo stesso. Ti adora ogni giorno di più, inizio ad essere invidiosa.»
«Tu si che non hai niente da invidiare.»
«Mi occupo dei giornalisti, vedi se riesci a chiudere la porta sul retro. Non vorrei che entrassero di soppiatto da un altro degli ingressi.»
«Vado.»
Non esito nel dirlo e farlo, dirigendomi immediatamente verso la porta a vetri che fiancheggia il giardino interno, presente a piano terra. Le sedute vuote, collocate in quella coltre a cielo aperto che riposa su un letto di sassi bianchi, mostrano l'orario di inizio del nostro turno di lavoro, non potendo beneficiare di pause.
Sigillo l'entrata con il mazzo di chiavi che Reiner si è preso la briga di replicare, solo per agevolarmi nei miei continui spostamenti. Dopo di che sento il suono di notifica del cellulare. Ho un nuovo messaggio.
Mi appoggio con le spalle a una delle pareti, afferrando lo smartphone, e il cuore velocizza ancora nel leggere il nome del mittente.
Oggi mi sono imbattuto
in un manoscritto particolare.
L'autore fa riferimento
a un'opera teatrale famosa, e
indovina di quale si tratta?
Proprio "La gatta sul tetto che scotta",
e questo mi ha spinto
a chiedermi... dove è la mia Cat?
Stai bene amore mio?
Che cosa fai?
Mi domando se questo batticuore avrà mai una fine, se smetterò di sentirmi così a seguito di ogni messaggio di Michael, ma non è forse questo l'amore? Sapersi sorprendere delle cose più piccole, provare l'emozione di non sentirle arrendersi mai. Mai, mai, mai.
P.O.V.
Michael
Non stacco gli occhi dallo schermo del telefono, aspettando impaziente una sua risposta.
Quando mi raggiunge, da sopra questa marea infinita di fogli sparsi, il mio cuore reagisce di conseguenza, lasciandosi guidare da un caldo vento di passione.
Certe cose non cambiano mai.
Anche io mi domandavo dove fosse
mio marito ma, interpretando il suo messaggio
come una richiesta di aiuto, provo a indovinare.
Seduto sulla poltrona del nostro soggiorno,
con la sua penna rossa in mano, a correggere
i pensieri cartacei di nuovi e giovani scrittori,
non è vero?
Confido nel tuo sesto senso, che saprà
premiare chi lo merita. Io sto bene, grazie
del tuo interessamento coniugale, posso
esserti d'aiuto?
Due messaggi, che contengono la sua ironia e la sua dolcezza insieme, ma nessun riferimento al luogo in cui si trova. Sospiro pesantemente, deciso a non farci caso, per il momento.
Solo se sarai in grado
di rispondermi a questo:
come si possono ricevere
le attenzioni di un gatto
che ha palesemente
deciso di ignorarti?
Premo invio nell'attimo esatto in cui Hazel mi passa di fronte, scavalcando le mie caviglie incrociate. Sollevo entrambe le sopracciglia.
Non c'è modo. Se questa è la sua decisione
allora considerala una sentenza definitiva.
Marito mio adorato, non ci sono sotterfugi
che ti possono permettere di guadagnare
l'amore di Hazel. Devi solo prestargli tempo
e amore, come tutte le cose.
Sorrido, digitando il messaggio che ne consegue, e che dichiara tutto l'amore che sento per quella bellissima, e incasinata donna, che è mia moglie, ormai da quattro splendidi anni.
Sfioro la sua pelliccia e penso ai tuoi capelli,
come potrei non amarlo?
Se solo l'avessi davanti, constaterei quanto una frase del genere sia in grado di farla arrossire, e tale reazione mi esalterebbe all'inverosimile. Provo sempre lo strano impulso di morderle le guance, ogni volta che accade. Quasi come se fossero frutti maturi, consapevole che ciò provocherebbe la sua risata sincera, insieme alle sue suppliche.
In via telematica, però, come unica risposta ricevo un rosso cuore, che ancora si lega a lei, al colore della matita che ho tra le mani, secondo quanto ha indovinato, del divano alle mie spalle, del tappeto, della pelliccia di Hazel che tanto ricorda, dalle foto che mi ha mostrato, il primo gatto che aveva nella sua casa americana.
Il nome, poi, glielo avevamo attribuito proprio per il pelo che, nel corso del tempo, ha stranamente cambiato colore, passando dal mandorla, significato stesso di Hazel, al mogano a un rosso più acceso, e vicino ai suoi ricordi.
Ogni cosa, di questa casa, è stata creata secondo sogni, aspettative e ricordi passati. La nostra stabilità ci ha permesso di aggiungere mobili alla stessa casa acquistata nella Bassa California dove continuiamo ad abitare e vivere ascoltando ancora il suono sciabordante del mare che mi fa da accompagnatore ad ogni manoscritto che mi trovo a correggere, secondo quanto richiesto dal mio nuovo lavoro editoriale.
Rigiro la penna tra le dita mentre leggo il proseguimento del racconto che ho sotto mano, e mi soffermo sull'avvenimento della gravidanza. Ancora qualcosa che manca, nel nostro matrimonio, e che è stato rimpiazzato dal tentativo di prendere sotto il nostro tetto questo randagio gattino di strana, dandogli una nuova vita. Forse, però, possiamo fare di meglio. L'adozione non è più qualcosa di impossibile. Vista la nostra nuova stabilità, il mio lavoro, i due di Cat, all'hotel in cui lavora con Irma e di decoratrice di interni, possiamo certo trovare modo di riaprire questo vecchio argomento, non più irraggiungibile.
Sospiro, distratto dai miei pensieri, e arrivo a rileggere un'ulteriore volta la frase con la quale i miei occhi si scontrano, seguendone il proseguimento, fino ad arrivare alla fine.
Non mi stanco di arrivare al termine di un racconto tanto accurato e sincero, e quasi lo arriverei a premiare, se solo non fosse per il fastidio che mi procura il finale.
Afferro con più certezza la matita rossa e arrivo a scrivere in stampatello sullo stampato, lanciando un occhio all'autore e confermando che si tratta sempre del solito con il quale mi scontro da mesi.
Anche stavolta ho una constatazione. Il finale non è autentico. Pare quasi essere irreale, qualcosa di stranamente separato dal resto. Infastidisce, non è ciò che mi aspettavo, e avrei voluto tutt'altra svolta, molto più reale.
Come può accadere un fatto simile nella vita di tutti i giorni? Come?
Il buon C.U.M., come tanto ama firmarsi, mi ha nuovamente lasciato insoddisfatto. Deve capire che per vendere ci vuole ben altro, accontentare i lettori è fondamentale, come dargli quello che si spettano. Perché decidere di optare per un finale tanto assurdo? Non è in linea con la storia.
Marco il mio concetto in rosso, mettendo in chiaro che la vita riguarda ben altro.
P.O.V.
Caitlin
Vorrei poter esprimere con un concetto chiaro l'apprensione che il suo sguardo smaschera, ma non ci sono parole per descriverla. Reiner è teso, al limite del normale, sembra la corda forzata di un arco e non sono certa se possegga la freccia per fare centro.
Il grigio che, ormai, rischiara la cute dei suoi capelli è un altro chiaro esempio del suo costante nervosismo, se non fosse palese dal piede che batte sotto al tavolo.
«Che cosa ci fate voi qui?»
Ovviamente si riferisce a me e a Lexie, comodamente sedute al tavolo della sala ricevimenti, di fronte a lui.
Lascio a lei il compito di rispondere, visto che è stata sua la grande idea di accomodarsi e sfidare lui assieme a qualsiasi altro compito della giornata. Ho almeno una pila infinita di progetti da revisionare e scartare, ma questo non le è importato. Con forza mi ha trascinato qui e devo ammettere... a favorirla è stata anche la mia curiosità.
«Siamo venute per parlare del nuovo progetto "Rose". Sai dirci qualcosa?»
Quasi mi viene da ridere vedendo il fumo uscire dalle orecchie di un Reiner saturo.
«Ne abbiamo già discusso ieri, Lexie» il nome di lei esce quasi sibilato, dalle mascelle contratte.
«Ma non mi è chiaro. Puoi ripeterci i temi base? Come sai è Katrina a dover revisionare i progetti, e se non sono in grado di dirle quello che cerchiamo...»
«Possiamo discuterne domani, magari?»
Ormai, tra di noi, si è stretto tanto quel rapporto di amicizia da lasciarmi sfuggire una breve risata, nell'udire l'intonazione al termine della frase.
Questo mio azzardo lo porta a rivolgermisi con l'espressione di un pluriomicida, che nonostante le sue garanzie di riuscita non riesce comunque a convincermi, perché so che si cela un cuore particolarmente buono sotto tutti quegli strati di instaurato spessore. Reiner non può niente, specie contro noi due.
«Sta per arrivare una persona importante, quindi vi pregherei di assentarvi dall'ufficio, e di tornare più tardi.»
«Avanti, Reiner, sono la tua socia» gli ricorda Lexie, mentre lui continua a fissarla con le mani intrecciate al di sopra del tavolo. «E Katrina è la migliore amica di entrambi, quindi che ne dici se rimaniamo? Così non dovremo chiederti il resoconto stasera, a cena.»
«Siete tremende. E decise a farmi fare brutta figura.»
«Io me ne starò zitta» lo informo, perché è proprio quello che intendo fare. Quello che desidero è rimanere il tempo necessario per analizzare il nuovo arrivato, e attribuirgli pregi e difetti.
Voglio sapere se è davvero bravo sul lavoro e se posso far affidamento su di lui. Ho già sotto di me molti incapaci, che si autoproclamano artisti del secolo e sono inabilitati a farsi venire un'idea originale per una campagna. Mi aspetto, almeno, che una persona tanto in vista sia un buon rappresentante della nostra società.
Il rancore che però già scopro di provare, si avvicina fastidiosamente a un pregiudizio, e non avrei mai voluto farlo nascere.
«Io invece lo riempirò di domande. Saranno anni che non lo vedo, che brutta figura credi che possa farti fare? È un nostro amico.»
«Proprio per questo, Lexy. Una cosa è l'amicizia e un'altra il lavoro.»
«Certo, dice quello che accetta di averlo nella nostra sede. Suo zio avrebbe potuto benissimo spedirlo nel cuore della Francia e invece dove decide di finire? Proprio qui, da noi. Casualità?»
«Sai che ormai odia la Francia. E il fatto che abbia scelto di venire nella sede principale, qui a La Paz, non è tanto strano. Che credi? Che si sarebbe dovuto trasferire in una succursale?»
«Sei impossibile.»
«Esci da questa stanza, Lexie, prima che mi penta di averti rivelato del suo intento.»
«Avanti, Lexie, andiamocene» esordisco a un tratto, afferrando la borsa che avevo lasciato, con divertimento, sul tavolo al solo fine di infrangere il maniacale ordine di Reiner.
«Che cosa? Che ti prende, Sneg, perché vuoi andare via?»
«Abbiamo da fare, lasciamo che se ne occupino tra loro.»
Avrei dovuto ascoltare la mia coscienza e non consentire, affatto, a Lexie di trascinarmi qui, non voglio macchiarmi di pregiudizi, non è ancora troppo tardi.
«Sneg, ripensarci, potrebbe arrivare da un momento all'altro e...»
Mi sbagliavo. Decisamente è troppo tardi.
A un passo dall'uscita, stringendo il polso di Lexie in una mano e avendo ruotato il corpo per andarmene, mi scontro contro una figura alta una spanna più di me, e per alcuni secondi un simile colpo mi toglie il fiato.
Non vedo altro che un maglione verde scuro, per lunghi attimi, prima di decidermi, poi, a sollevare gli occhi.
Quello che trovo è un paio di iridi che non avevo mai visto, più chiare delle mie o di quelle di Lexie, di una sfumatura tra il celeste e il grigio. Particolari, strane. Sorprese e fisse su di me.
Presto registro molto altro, come lo spesso cappotto lungo e marrone, resistente alla pioggia, un collo con due vene più sporgenti, legate alla ritmica del cuore, e una bocca morbida, un naso acquilino e dei ricci capelli biondi, che gli cadono sulla fronte.
Compio un passo indietro, vittima di uno strano scompenso, e consapevole di star fissandolo da un po'.
La mia ritirata, però, non lascia che spazio ad altri.
L'uomo mi sta ancora fissando quando Lexie di colpo avanza, e finisce nelle sue braccia, proprio contro il petto con il quale mi ero scontrata io.
La mia mano viene tesa di conseguenza, ancora intenta a stringerle il polso, e lo sconosciuto non perde un simile contatto. Gli occhi corrono veloci dal braccio di lei a me, soffermandosi su di me.
«Non hai idea di quanto tu mi sia mancato. Saranno passati, quanto? Due anni?»
La domanda di lei risulta ovattata dagli strati contro i quali lotta, stringendolo a se ancora più in sotto della linea alla quale ero arrivata io.
«Forse anche qualcosa di più, Lexy.»
La sua timbrica è calda, forse ulteriormente addolcita dall'affetto che sembra provare per l'amica rimasta tra noi. Posa la mano sulla sua schiena, in un cenno lento di consumata tenerezza, chiudendo le palpebre così da liberarmi, e concentrarsi su di lei.
«Lexy...» la riprende Reiner troppo presto, e così la spumeggiante ragazza sorridente si allontana da quel gigante biondo, per poter riacquisire posto al mio fianco.
È tempo del nostro amico di porgere i suoi saluti. Ormai sembra aver rinunciato ad ogni atteggiamento professionale, ingenuamente infranto dalla ragazza con il vestito lilla che ancora sorride, specialmente al ricongiungimento dei due.
«Sono felice che tu sia dei nostri, fratello» sento mormorare a Reiner vicino all'orecchio dell'altro, e questi gli risponde con un sorriso sincero.
«Onorato di esserci.»
Qualche pacca sulla spalla, a stemperare tutto il romanticismo non richiesto dai due, ed ecco che mi accorgo che capita il mio turno, adesso.
«Lasciate che vi presenti» si fa oratore per noi Reiner, che con fierezza annuncia per primo il mio nome, «Katrina Abrich... Questo è Ethan Ace Lance.»
«Molto piacere.»
Tento la mia mano. Un simile gesto non ha niente dell'amore assicurato dagli altri due, ma non è certo importante che esista.
Si tratta di un approccio formale, come deve essere.
Eppure, non posso non avvertire una lieve scossa, accompagnata da uno strano calore, quando lui ricambia, accostando il suo palmo al mio.
«Il piacere è mio. Scusami per prima, io... ero sovrappensiero, non vedevo dove andavo.»
«Non importa.»
«Veramente un bel modo di conoscervi. Specie perché è quasi impossibile incontrare un Ethan distratto» commenta Lexie, sorridendo leggermente a entrambi.
«Sì, non so di cosa si è trattato.»
«Forse sei solo teso per questo nuovo lavoro, che mi dici? A questo proposito, ci accomodiamo?» Propone Reiner, accompagnando una simile proposta al palese gesto di scegliere una delle sedie, e prendere posto al tavolo.
«Ottima idea, faccio i caffè!»
«D'accordo, Lexie, ma poi sarebbe meglio che attendeste entrambe fuori. Avete molto da fare, e non vogliamo certo trattenervi.»
Può essere considerato un palese invito a farci da parte, ma mai prima d'ora avevo udito parole tanto di buon grado, e decido di accettarle con piacere.
«Va bene, Renè, ci vediamo dopo» lo saluto, vittima dell'abitudine di usare quel soprannome, ma a lui sembra non pesare, mi ricambia.
«A dopo, Sneg.»
Esco per prima dalla stanza, lasciando a Lexie gli ultimi saluti, e per tutto il tempo della mia marcia, attraverso lo scudo delle pareti verticali, sento un paio di immobili occhi bruciarmi la schiena.
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