45- I segreti dei barman

P.O.V.
Caitlin

Le mani scivolano lungo la seta arricciata di questo tubino, mostrando al mio riflesso la donna nella quale mi sono trasformata, per questa serata di gala.

Dei pesanti orecchini in oro scendono dai lobi in dei motivi concentrici, in grado di richiamare la luce nella loro torsione non appena questa ne colpisce i brillanti e mi dona luminosità e grazia.

Sembra volermi dire di essere pronta, questo specchio affisso alla parete. Capelli in ordine stranamente quasi del tutto sciolti, se non per la presenza di piccole forcine, abito color panna, con scollo a cuore, scarpe in oro a tacco alto con laccio e un profondo respiro incastonato, come la pietra al centro di un anello, nei polmoni privi d'ossigeno.

Analizzo la donna che mi guarda di rimando, truccata con del sottile ma prolungato eyeliner che enfatizza il chiarore e la tristezza dei suoi occhi. Sembra essere piena di timori ma nemmeno un dubbio ci collega attraverso una rete di pensieri. Non esiste niente tra noi, se non un comune passato che questa serata tende a farci dimenticare.

Aggiusto per l'ultima volta il gancetto di uno degli orecchini e poi mi volto, afferrando la borsa.

Michael è seduto alla sedia della cucina che, ormai, è trono di ogni suo attimo di riposo. La sigaretta tra le mani è la rappresentazione della calma che sta vivendo, in mia sola attesa, pronto come è di vedermi lasciare questa casa senza la sua presenza.

«Sei sicuro di non voler venire?»

Affiancato dalla flebile e verticale colonna di fumo, proveniente dal mozzicone acceso, mi sorride debolmente, trasmettendomi amore e tristezza insieme.

«Sei molto bella» commenta, scorrendo lento gli occhi dai miei piedi fino ai miei occhi. Lascio che questa ispezione abbia luogo, avendo il solo augurio di riuscire a convincerlo. I pantaloni della tuta, però, e la maglietta larga e strategicamente bucherellata di casa, vanno contro ogni mia speranza e mi ridimensionano nei confronti della realtà.

«Michael...»

«Saprai divertirti anche senza di me, ne sono certo.»

Non è la risposta che avrei preferito sentire, per questo mi faccio avanti e lo raggiungo, chinandomi verso terra in modo da far peso sui tacchi ed essere alla giusta altezza.

«Va tutto bene tra di noi?» Chiedo, accucciata a gambe serrate, le mani sulle sue cosce per poter lasciare piccole carezze, la testa sollevata.

Le sue di dita, invece, si sollevano per sfiorarmi leggero il mento. Con il pollice passa sopra il mio labbro inferiore e quello stesso gesto viene seguito dagli occhi.

«Non dovrebbe?»

«Non ne abbiamo più parlato, di quella discussione, insomma.»

«C'è qualcosa di cui vuoi parlare?»

«Che cosa pensi di me, Michael?»

È l'unica domanda alla quale sono stata in grado di pensare a mente lucida, forse perché potrebbe essere la chiave di tutto.

«Ti amo», mi dice con un mezzo sorriso. «Che cosa dovrei pensare?»

«Credi che io abbia fallito, rispetto a ciò che facevo un tempo? Mi vedi come una perdente?»

«Forse non stiamo correndo nella stessa gara» commenta, ed io aggrotto la fronte, senza riuscire a capire. Pensavo che fossimo sullo stesso terreno di pista, non era partito tutto così? Usciti dalla biblioteca, diretti alla mia facoltà.

«Perché dici questo?»

Segue del silenzio, durante il quale la sua mano ed il suo sguardo si allontanano.

«Farai tardi alla festa.»

«Avevi detto che avremo parlato, sto provando a farlo.»

«Dipende da ciò che vuoi, Cat. Dipende se ti basta.»

Un gigantesco dubbio si forma in me, a causa di ciò che ho trovato ieri sera nel suo giubbotto ma anche per via di molto altro. Come la sua continua fuga, quando non gli spetta l'attacco.

«Stiamo parlando solo di lavoro?»

La richiesta torna a far balenare i suoi occhi, e quel lampo potrebbe significare molte cose. In specifiche occasioni è stata la scintilla di una violenta rabbia, in altre lo scoccare di una lancetta sul tempo di un erotismo che mi ha travolta. Altre ancora è stato dolore. Oggi, si manifesta solo come la strana sorpresa nei confronti di un dubbio che nemmeno credeva possedessi.

«Dipende cosa intendi con tutto il resto.»

«Noi?» Ritenevo di possedere abbastanza coraggio da sostenere a lungo il suo sguardo, ma la testa da sola si inflette. «Noi ti bastiamo?»

Questo è il più grosso timore che ho, perché sono lucidamente consapevole del divario che esiste tra di noi. Michael è l'esemplare di uomo che tutti vorrebbero, maschi e femmine purtroppo; è cultura, arte, amore, empatia, comprensione, seduzione, peccato, tutto in un unico pacchetto. È qualcosa che non ho mai avuto, l'amore e il sesso fusi come in una lotta, la fragilità e la grinta allo stesso momento, e sono drasticamente consapevole di non meritarmelo. Non mi compiango ma sono troppo poco al suo confronto e per questo credo di non esserne degna affatto, ma cosa è l'amore se non una vittoria sulla ruota della fortuna? Quel fulmine a ciel sereno e l'evento all'improvviso che tramuta tutti i piani, variandone la rotta?

Le sue mani mi afferrano e, in un attimo, mi portano cavalcioni sul suo corpo. Mi comandano la testa ed ecco che, l'istante dopo, siamo premuti bocca contro bocca.

Chiudo gli occhi per gustarmi l'incursione della sua lingua non appena permetto alle mie dita di intrecciarsi ai suoi capelli, per averlo più vicino come sta tentando di fare anche lui, applicando pressione sulla mia schiena. La inarco, portando i nostri petti a scontrarsi mentre il bacio va così a fondo da lasciarmi senza fiato, con la testa che mi gira ma senza nessuna voglia di distanziarmi, perché mi era mancato da pazzi.

Intrappolo tra i denti il suo labbro inferiore assaporando il gusto che in sé porta, non appena sento la sua bocca allontanarsi con lentezza a recuperare fiato.

Torbidi, gli occhi che mi spiano. Sembrano fissarmi da dietro un velo opaco che li ottenebra e li rende ancora più neri della loro normale iride. Quei bellissimi pozzi scuri dentro i quali mi sono persa, per lunghi pomeriggi.

«Niente è più importante di quello che proviamo», mi sussurra la sua bella bocca, non appena la mia l'abbandona. «Io non ho mai sentito niente del genere per nessuno, prima di te. Mai così tanto, mai così intenso.» I suoi polpastrelli scivolano a sfiorarmi la pelle nuda della clavicola, per poi scendere lungo tutto il mio braccio provocandomi dei brividi. Sento il corpo teso in risposta ai suoi gesti e il cuore, ormai, aver deciso da che parte schierarsi. «Tu mi hai tirato fuori dalle tenebre» sussurra, non appena il suo tocco accenna nuovamente una carezza alla mia bocca, poi lungo tutto il viso. «Mi hai offerto una seconda vita che mai avrei pensato di poter avere e mi sei stata affianco, nei momenti semplici come nei più difficili. Come potrei non amarti, Caitlin? Come potrebbe non bastarmi?»

Questa parole così disperate e allo stesso tempo così sincere si abbinano a un paio d'occhi che sembrano desiderosi di trasmettermi, da soli, tutto ciò che la sua voce sussurra nel dirmi. La meraviglia con la quale quest'uomo mi guarda... mi chiedo se altre hanno provato una sensazione simile, il sentirsi la cosa più importante che esista a questo mondo solamente perché è la persona che ami a considerarti tale. Non c'è niente di paragonabile, o carezza lenitiva più dolce che saprebbe calmarmi tanto.

«Non lasciarmi» sussurra, una voce disperata, roca.

«Credi che possa farlo?»

«Ho commesso tanti errori, in passato, Cat, ma voglio rimediare, voglio essere felice. Con te. Se solo tu me lo concederai.»

Un'altra donna sfrutterebbe questo momento per chiedere spiegazioni, sventolando la fotografia trovata la scorsa sera del suo uomo con il preferito tra i vecchi amanti, ma non sono io, perché riesco a vedere quanto il dolore lo sfiguri e non voglio infierire.

Mai oserei fare del male a quest'uomo che mi sta aprendo il suo cuore con la speranza di vedermi prendermene cura.

«Non lasciarmi» prega di nuovo, e la passione con cui cede al bisogno di avermi vicino per un'intera vita mi spingono verso un bacio lento, e particolarmente dolce, con il quale metto il sigillo alla nostra promessa.

«Non lo farò. Niente si metterà tra noi. Saremo sempre così, insieme.»

Riesco a scorgere un suo piccolo e timido sorriso, prima di vedere la sua testa abbassarsi lenta in direzione della mia pelle scoperta. Appena sento la sua bocca depositarsi morbida, tra il seno e la clavicola, chiudo gli occhi e mi godo il suo respiro, il profumo che è intrappolato sul suo collo, le sue mani che si rianimano leggere e mi scivolano addosso per potermi stringere, con più certezza.

Avremo tempo per tutto, è questo che sembriamo prometterci. Il tempo che ci serve a poterci completare. Una vita intera, se può essere considerata abbastanza, in modo da riavere indietro la certezza che più di tutte bramavo e che mi permette di possedere nuovamente la lucidità che basta per poter procedere in una situazione che sì, richiede dei sacrifici, ma tramite la quale ho scoperto per cosa vale veramente la pena di lottare.

La musica accresce di potenza per ogni metro che bruciamo in direzione del party.

Evie è al mio fianco, in una tuta nera elegante che nella parte superiore mostra solo due fasce verticali a coprirle i seni, lasciando in mostra il corpo magro e pallido nel loro solco e ai fianchi laterali, eppure non appare né eccentrica né volgare. Al suo lato non sfiguro ed era un rischio, viste le persone che ho visto incedere verso la nostra stessa meta, con abiti tanto eleganti da far invidia a una serata di gala. La mia amica, invece, ha solo esagerato tramite la tintura di uno smokey eyes nero che, noto, le dona particolarmente, ed enfatizza il suo look da cruda battagliera, pronta alla lotta.

Un umore che si rispecchia anche nel suo parlato, dal momento che, una volta scese di macchina, non ha proferito una sola parola, permettendoci una camminata nel più completo, e pensante, silenzio, fino ad arrivare qui.

La curiosità mi attanaglia, sarei tentata di infastidirla nella speranza di ricevere una simpatica protesta in cambio, ma temo che la donna presente al mio fianco non sia la mia amica. Per scoprirlo, porto avanti una battuta stupida.

«Allora... anche stavolta ti sei portata dietro un microfono? Avremo dovuto entrambe indossare scarpe da ginnastica, per poter correre subito dopo», dichiaro con una risata forzata, analizzando i tacchi alti, pieni di neri lacci, che si è messa addosso e con i quali marcia spedita, più veloce di me.

«Sarà una serata utile per entrambe» sibila, ma non mi lascio intimidire dal suo tono gelido.

«Perché? Hai deciso di vendermi a qualche principe dell'Arabia Saudita?»

«Ti piacciono gli uomini che hanno il controllo?»

«Facevo per dire.»

«Anche io facevo per dire.»

«Va tutto bene? Sembri strana.»

«È l'agitazione, mi rende un pezzo di ghiaccio» commenta, ma io non sono sicura che possa essere del tutto vero e studio i suoi comportamenti con la coda dell'occhio, vedendola poi arrivare di fronte alle due mastodontiche guardie all'ingresso.

«Documenti, prego» dice una delle due, nello specifico quella di destra, che regge in mano un rigido blocco di fogli, che mi figuro essere la lista degli invitati alla serata.

Ecco che per la prima volta, in tutta la sera, Evie si cala addosso un largo sorriso. Molto finto, ma convincete per le due guardie. Avrei voluto avere lo stesso, ma si sarebbe trattato di una bugia.

«I documenti non li ho, ma ho intestato l'ingresso a nome di questa ragazza. Dentro ci aspettano» dice, con un tono particolarmente accattivante, in grado di attirare l'attenzione anche dell'uomo a sinistra, al quale dedica una lunga occhiata.

Il primo dei due, adesso, si concentra su di me in attesa, mentre io sono rivolta a Evie e Evie è catturata dalla seconda guardia. Mi offre le spalle, senza garantirmi una spiegazione e così sono costretta, con uno sbuffo, a cercare dentro la borsa il documento che spero di avere.
Lo tendo quindi alla guardia, che ne trascrive i dati, e una volta finito ci lascia passare.

«È di nuovo una tua strategia per fregarmi?» Chiedo stizzita, sputandole addosso veleno non appena ci lasciamo alle spalle i due uomini.

«Però, hai armi affilate. Le usi spesso o ti piace sfoderarle solo con me?»

«Perché me lo chiedi?»

«Magari ci possono essere utili. Questi grandi omaccioni si lasciano intenerire con gli occhi languidi di una donna, almeno quanto si lasciano tramortire dalla sua forza» mi informa, lanciano un sorriso accattivante a uno di quegli uomini, poggiato con un gomito a un tavolo, di cui tanto ne elogia i difetti.

«Sono venuta qui per farti un favore.»

«Lo so.»

«Quindi mi aspetterei una risposta in cambio.»

«Quale risposta può esserci, Katrina, se non la più ovvia? Non voglio far sapere che sono qui.»

«E il tuo scopo è passare come la semplice donna di uno di questi... uomini pieni di soldi, per intervistare chi vuoi?»

«Ci sei arrivata, pulcino.»

«Ed io che faccio, nel frattempo?»

«Puoi lavorartene uno anche tu.»

Sgrano gli occhi. «Te lo scordi», mormoro, poi in un tono più basso di voce aggiungo: «sono fidanzata.»

Ride, per la prima volta in questa serata, voltandosi verso di me per mostrarmi la sua faccia. L'ilarità non mi contagia, e la fisso senza capire.

«Il tuo ragazzo non lo verrà certo a sapere da me, non preoccuparti.»

«Non importa, è sbagliato.»

«Sei molto dolce, Katrina. Molto, molto dolce.»

«Non voglio essere un animaletto tenero.»

«Non ho detto che lo sei, e poi non ci sarebbe niente di male. Hai paura che uno di questi uomini ti sottovaluti? Però è vero, se continui ad atteggiarti così, nascondendoti alle mie spalle, che puoi passare da verginella, e qualche importante figura orientale potrebbe decidere di comparti. Sai, la purezza dalle loro parti vale» mi beffeggia, facendomi notare come effettivamente io stia camminando non abbandonando le sue spalle. Usandola come una specie di scudo umano sono riuscita, inconsciamente, a sfuggire agli sguardi che molti uomini mi hanno lanciato.

Per avere la mia indipendenza mi allontano, se pure di malavoglia, e così non rimane che tenere basso lo sguardo per poter non scontrarmi con altro.

Addosso però sento quello di Evie che, di nuovo, si fa beffa di me.

«Meno paura, pulcino, nessuno ti mangia, qui.»

Ignoro un simile commento, non lasciandola da sola, però, non appena si avvicina al bancone del bar, dove viene servito l'alcol in sottili calici di cristallo.

«Che cosa prendi?»

«Non voglio bere» mi limito a dire, pur passandoci da novellina, ma Evie mi ignora.

Tende la mano per attirare l'attenzione del barman, non appena ci siamo accomodate a questi alti sgabelli che ci mettono in mostra come trofei su piedistalli, e ordina per entrambe.

«Un Daiquiri per la mia amica e per me un Whiskey Sour.»

«Sicura di poterlo reggere?» Le chiede divertito, e Evie solleva un sopracciglio.

«Rischio di venire a letto con te, dici?»

Storco la bocca di fronte alla provocazione di lei e al divertimento di lui, che non commenta ma si limita a procedere nella preparazione, spostandosi lontano da noi non appena deve recuperare del ghiaccio.

Nello stesso attimo, Evie si concentra su di me e nota il mio rammarico.

«Che cosa c'è? Disapprovi?»

«Sei sposata» le ricordo, e lei annuisce.

«Già, ma questa è la prima regola di quando ti trovi a frequentare una festa simile: farti amico il barman. Lui sa i segreti di gran parte di questi invitati, e sai perché? Perché gli organizzatori sono sempre gli stessi, per tutti questi ricchi facoltosi, perché vogliono tutti il meglio, ed il meglio è solo un'associazione, alla cima della compagnia, quindi bang!, hai centrato? Potevi farti amica anche l'organizzatrice, ma la tipa mi sembra troppo su di giri e poi il ragazzone mi aveva notata per primo.»

Con il dito mi indica una ragazza particolarmente magra, con capelli castani lunghi e il continuo vizio di spostarseli dagli occhi. Forse, preda di un'agitazione che non la lascia vivere e che costringe le sue orbite a correre veloci da una parte all'altra della festa.

Vedere lei mi riporta alla mente la sfilata sulla spiaggia di Los Angeles, e arrivo ad addolcirmi nei suoi riguardi.

Il barman giunge poco dopo con i due cocktail alcolici, strizzando un occhio a Evie che lo ricambia, mentre si mette in bocca la cannuccia in un modo sfacciatamente provocante. Io mi limito a bere, e tento di non notare questa sua sorta di tradimento.

«Ora ho capito perché tuo marito non ti accompagna. Forse lo infastidisce vedere che ti atteggi tanto» non posso limitarmi a rimproverarla, nemmeno fosse la migliore delle amiche. Partirà tra uno o due giorni, ma se c'è qualcosa di vero è il legame che, in maniera positiva o meno, ci ha unite da che ci siamo conosciute. Per colpa sua, non riesco a mordermi la lingua e semplicemente tacere, di fronte a un'azione che non mi aggrada.

Perché si tratta di Evie.
Mi domando se avrei avuto lo stesso coraggio verso Michael.

«Apprezzo che tu stia tirando fuori un po' di carattere, ti fa apparire meno come la bambola di porcellana da collezione, ma non dovresti azzardarti a dire una parola di più sul mio matrimonio, perché non ne sai niente. Forse, ti dovresti domandare quanto possa essere stabile se mio marito, pur sapendo come mi comporto, mi lascia venire a queste cene pur sapendo che mi potrei mettere nei casini. Che ne dici? Mai considerata questa ipotesi?»

Ancora una volta, Evie è stata più furba di me e mi ha messo in riga. Ed è inattaccabile perché sarebbe potuta venire semplicemente, a questa festa, da sola, senza la mia compagnia. Non sono indispensabile ma le occorro solo per non andare troppo nell'occhio, ed ho esagerato nell'infastidirla. In fondo è vero, suo marito sembra amarla molto, ed è possibile che anche Evie ricambi, in tutto il suo modo che la fa semplicemente essere Evie, e non posso dire niente contro.

Solo che sono sempre stata testarda, e permalosa, quindi non le confesso di essermi ricreduta.

Semplicemente taccio e questo la fa sorridere, forse essendo già da sola riuscita a interpretarmi. Non so dirlo.

Quello che so è che credevo che tutti i fastidi fossero finiti quando ad un certo punto, minuti dopo, noto un uomo che mi sta fissando da diverso tempo sorridermi, pronto ad un approccio.

Evie al mio fianco è da tempo persa in una conversazione con il barman, portata avanti al solo fine di sapere i segreti di questi importanti membri dello Stato, eppure non perde quel vergognoso scambio di sguardi.

«Ti conviene starne alla larga» mi avvisa, pur rimanendo di schiena all'uomo dal quale mi raccomanda.

«Non ci stavo pensando minimamente.»

«Non lasciarlo avvicinare. È appena uscito di tribunale con l'accusa di stupro nei confronti di una quindicenne.»

Sentire una simile informazione mi lascia salire dell'acido alla trachea, tanto da farmi storcere la bocca in una smorfia di disgusto e spingermi ad imitare la posizione di lei, laterale ai tavoli della serata.

«Ecco, loro sono decisamente meglio» riesco appena a sentirle dire in tempo che due uomini si avvicinano, giacca e cravatta abbinati a un sorriso molto meno preoccupante del precedente. Sembrano avere le idee chiare, visto come si dirigono verso me e la mia amica, ponendosi rispettivamente di fronte.

«Sì, bei signori?» Chiede con disinvoltura Evie, sorridendo ai fusti che abbiamo davanti.

Ammetto di esserne intimidita, ed in tutti i modi cerco di evitare lo sguardo dell'uomo che mi si erge dinanzi perché bello quanto sfacciato. Ho sempre amato il coraggio, e questo, mi ricorda la mente, mi ha portato a Michael.

Spero che non venga mai a sapere di cosa sta succedendo qui, questa sera.

«Io e il mio amico ci chiedevamo se vi andasse di ballare», commenta proprio l'uomo a me di fronte, mostrandosi al solito il più coraggioso, come accade di frequente.

Deve aver sbagliato l'accoppiata, però, perché vinta dalla mia situazione amorosa non ci tengo a rispondere, lasciando la parola a Evie.

«Non sentiamo alcuna musica, però, e poi non vorremo certo attirare l'attenzione.»

«Possiamo far partire la musica», azzarda il suo futuro spasimante, con un mezzo sorriso. «Di chi ci guarda, invece, non ci interessa. Lasciamoli ingelosirsi.»

«Più tardi, magari, che ne dite di prendere qualcosa da bere? Così aspettiamo che la nostra pista da ballo si liberi.»

Fortunatamente, Evie ritarda la mia agonia, e così ci troviamo io e lei fianco a fianco con rispettivamente gli uomini a sinistra e a destra.

«Ti ho notato da quando sei entrata» si concede di farmi sapere l'uomo al mio lato, non appena Evie e il suo compagno si perdono nei discorsi.

Con il sottofondo delle loro conversazioni, tento di dare una mia risposta.

«Mi sembra una frase un po' troppo azzardata, per una persona che hai appena conosciuto.»

«In qualche modo dovevo farti parlare, così ho scoperto che hai anche una bella voce.»

Non vorrei rovinare il gioco a tre persone insieme, comprendendo Evie, esordendo con un "sono fidanzata!", che metterebbe fine a questi primi approcci che, lo confesso, mi inteneriscono e mancano.
Essendo in una relazione da tempo non ho più provato l'emozione di tutte queste prime volte e così decido, quasi per scherzo, di lasciarmi andare. Mai sono stata una ragazza tanto timida, specie verso degli sconosciuti, eppure non voglio nemmeno dargli delle false speranze. Tornare a percorrere questo filo semi visibile, e appeso nel vuoto, devo ammettere che mi diverte. Inoltre, forse anche lui ha una persona che lo attende a casa e sta solo provando a non rimanere fermo come un palo mentre il suo amico si dà da fare, un po' come sta accadendo a me con Evie.

«Ti ringrazio.»

«Che lavoro fai?»

Decido di sconvolgere il ricco ragazzone. «Lavoro in un hotel.»

«Lo gestisci?»

«Per la verità... rifaccio le camere.»

Per alcuni minuti mi fissa, quasi come se non avesse capito e poi... scoppia a ridere, attirando anche l'attenzione degli altri.

All'improvviso mi riesce a stare molto simpatico, e con un mezzo sorriso analizzo la sua espressione mentre bevo un sorso del mio drink.

«Dici sul serio?»

«Tanto sconvolto?»

«No, per la verità. E lo hai sempre fatto?»

«Prima ero una pittrice.»

«Non mi dire.»

Le voci degli altri erano tornate, non appena i nostri discorsi erano ripresi dopo quella breve risata, ma ora sembrano affinarsi di nuovo.

«Sembra che io sia qui per sconvolgerti» commento, iniziando anche a provare un po' di fastidio verso i mestieri che ho portato avanti e che si mostrano essere giullari di una ricca corte.

«No, scusami, non è così. Il fatto è... che sono socio fondatore di una cooperativa, nata per far spazio ad artisti emergenti.»

«Ah davvero?» Commento, perdendo interesse, e lanciando uno sguardo a Evie che finge distacco.

Scommetto che, anche questa mossa, sia studiata.

«Sì, e non lavoriamo nemmeno troppo lontano da qua. Conosci La Paz? La capitale.»

«Puoi sentire un accento straniero», commento, «ma so dove si trova la capitale della Bassa California.»

«Perdonami, volevo solo essere chiaro. Ecco, noi lavoriamo lì, e dal momento che tra La Paz e Cabo San Lucas c'è sempre c'è sempre stata della forte competizione, a causa del turismo, siamo costretti a fare molte volte su e giù, per poter comunicare con gli altri soci fondatori.»

Tutta questa enunciazione di pratiche, e spostamenti, mi ha stancata alla prima frase ma tento di non farlo vedere. Per la verità, ho provato stanchezza mentale da quando il giovane imprenditore mi ha informato in merito alla sua grande passione.

Vorrei strozzare Evie per avermi avvicinata, volontariamente, di nuovo al mondo dell'arte.

«E come si chiama l'organizzazione? Magari la conosco», mi procuro di domandargli, solo per una semplice gentilezza.

«È la Land Art Society. Devi sicuramente averne sentito parlare, è particolarmente conosciuta.»

Sgrano gli occhi di fronte a questa informazione, e il cuore salta un battito.

No. No, non può essere. Si tratta solo di una coincidenza.

«Voi... operate qui? C-cioè, a La Paz si trova la vostra sede?»

«Sì, è lì che operiamo.»

No, deve essere una coincidenza. Michael non mi avrebbe mai portato qui, per quello.

La Land Art Society è il luogo al quale Marina aveva rinunciato, quell'offerta di lavoro alla quale aveva detto di no, per fare posto a me.

A sole due ore di macchina da qui.

«Ecco, io... non lo sapevo.»

E non avrei voluto saperlo.

Nella mia mente assito alla creazione di diversi scenari, e nessuno di loro mi soddisfa.

«Sì, si tratta della sede centrale. Per la verità ce ne sono diverse, sparse sul territorio» sorride con difficoltà, avendo notato forse il mio stato confusionario o avendomi, probabilmente, presa per una donna interessata alla carriera.

Michael ha accettato di venire qui... solo per avvicinarmi a quell'offerta di lavoro?

Rivivo il ricordo di noi due, sdraiati sul divano della sua vecchia casa vicina alla ferrovia sovraelevata, che fissiamo l'annuncio di case vicino al mare, scartando gran parte della costa americana.

Non riesco a credere che possa essere collegato, non voglio.

«Inoltre, il socio fondatore...» parte con il dire, ma Evie lo interrompe per potermi posare una mano sul braccio e fissarmi.

«Katrina, va tutto bene?»

Annuisco leggermente, tramortita nel vedere quel piccolo cenno di preoccupazione.

Avrei giurato che l'avesse fatto a posta di mettermi di fronte un simile personaggio, eppure è come se non lo avesse voluto fino in fondo, o non l'avesse completamente previsto.

Lascio perdere il suo mistero, e mi limito ad annuire.

«Sì, va tutto bene, ma il mondo dell'arte l'ho abbandonato da tempo, ormai ho perso interesse.»

«Un vero peccato», tiene a rendermi partecipe della sua opinione il ragazzo che poi mi tende la mano, mostrandomi le nostre mancanze. «Comunque non mi sono ancora presentato, io sono Reiner.»

«Un nome di origini tedesche» noto, vedendolo quindi annuire.

«Sì, lo è da parte di madre», interviene il suo amico, «e anche io, ma da parte di padre», si riferisce quindi a Evie che sorride, divertita.

«Dei veri duri.»

«Perché hai rinunciato al mondo dell'arte?» Mi chiede quindi Reiner, ignorando gli altri due.

«Perché un investitore è tanto interessato all'argomento?»

«Se si investe in qualcosa significa che a quel qualcosa si tiene.»

«Questo è meno un comportamento da duri, ma lo accettiamo» continua Evie nel suo sproloquio, distratta però da un altro uomo presente a questa serata. Indosso porta un turbante a scacchi rosso e bianco, tipico dell'Arabia, ed è affiancato da molti altri personaggi dell'oriente. Immagino che possa trattarsi del diretto interessato per l'intervista.

«Non sono più in grado di ricevere la giusta ispirazione, per così dire» rispondo, per dar pace alla sua curiosità, e questi sorride.

«Alle volte non è importante saper fare, basta conoscere o anche solo intendersene. Io, per esempio, non dipingo affatto, né mi diletto nell'applicarmi in qualsiasi altra mansione artistica, perché non ne sarei in grado... ma mi piace apprezzarla, e investire in lei mi permette di attribuirle il giusto valore.»

Non è un personaggio tanto negativo in fondo. Migliore, senza dubbio, del viscido stupratore che mi aveva torchiata. Peccato che lavori per la Land Art ed io non voglia averci niente a che fare.

«Purtroppo non ho soldi da investire.»

«Hai il tuo talento, e niente può valere di più.»

«Nemmeno mi conosci.»

«Sei a fianco di questa giornalista, quindi devi avere sufficiente grinta e dote, nell'essere chi sei.»

Adesso siamo entrambe sorprese. Reiner manifesta il suo mezzo sorriso, e anche il suo amico, un certo Noel, ha una nota di divertimento, sotto tutte quelle piccole rughe di espressione.

«Dunque sapete chi sono», commenta Evie, sentendosi battuta al suo stesso gioco. «E avete deciso comunque di avvicinarvi.»

«Abbiamo voluto correre il rischio.»

«Allora sono pronta a conoscerti meglio, signor Noel, dal momento che sai bene che sono pure sposata. Accetterei volentieri quel ballo, ma niente di più.»

«Un ballo, per poter arrivare più vicino all'imprenditore turco, immagino.»

«Sei più sveglio di quanto si pensi.»

Volteggiando sulle note del fascino, i due si allontanano, lasciando me e Reiner da soli.

Il ragazzo mi guarda, da sotto quei capelli mossi con astuzia, in una confusione perfettamente controllata e ricca di fascino. È riuscito a catturare la mia curiosità, proprio come Noel ha fatto con Evie, pur portandosi con sé anche la mia ira.

«Quindi, tu sei Katrina?»

Non mi sono nemmeno presentata, ma grazie a Evie, Reiner è riuscito a scoprirlo comunque.

«Sì, è così», mento, sentendomi in qualche modo protetta da questa piccola bugia che ancora mi maschera.

«Vuoi ballare?»

«Sono fidanzata.» Ecco che il momento è giunto. La pesante carta della verità viene abbandonata sul tavolo.

«E sei più fedele della tua amica sposata, a quanto pare.»

«Sai anche tu che lo sta facendo solo per avere l'intervista dal magnate.»

«E il mio amico solo per fare la conoscenza di quell'impavida giornalista di cui ha tanto timore quanto interesse. Ognuno ha i propri scopi.»

Abbasso la testa, certa di non voler, in alcun modo, portarne avanti di miei. La breve nota di allegria che leggo nel suo sguardo sembra apprezzarlo, e dunque lascio che rimangano così, le cose, in questo buio limbo.

La serata procede con lentezza ma senza nessuno ostacolo. La presenza di Reiner al mio fianco allontana gran parte degli uomini che, viscidamente appesi al braccio delle loro signore, analizzando l'orlo del mio abito, lanciando sguardi.

«Attiri veramente molto l'attenzione.»

«Non è un complimento che solitamente apprezzo.»

«Non ti piace?»

«Può sembrarti divertente... Ma Evie mi ha invitato qui con lei, proprio per suscitare il contrario.»

«È una donna astuta, quella giornalista», commenta poco prima di sorseggiare una bevuta particolarmente forte, ordinata al barman. «Deve avere avuto un altro fine, io starei in allerta.»

«Forse non mi crederai, ma sto aspettando la fregatura da tutta la sera. Una volta mi ha spedita in prigione», commento divertita, lasciando ondeggiare il piede nel vuoto, avendo incrociato le gambe.

«Una ragazza con la fedina penale sporca, eccitante.»

Rido, divertita, avendo imparato a conoscere la sua ironia nel corso della serata.

«Un altro Negroni, Reiner?» Chiede il barman al mio compagno di bevute.

«No, Jimmy, grazie.»

Spalanco gli occhi, divertita dalla confidenza. Quando il ragazzo dietro il banco si allontana, dò voce al mio pensiero.

«Ma allora è proprio vero che, in feste del genere, bisogna tenerselo amico.»

«I barman hanno i loro segreti, non dimenticarlo mai.»

Rido divertita, lasciando scorrere lo sguardo verso Evie che, finalmente, è riuscita ad avanzare fino a un politico nigeriano con particolare precauzione.

L'uomo con il turbante, ormai, è poco distante.

«Otterrà la sua intervista?»

«Mi ha chiesto di portarti via.»

Spalanco gli occhi. «Che cosa?»

«Forse non vuole farti ripetere l'esperienza della prigione. Tra poco, qui, ci sarà un gran trambusto.»

«Non ti scomodare, prenderò un taxi.»

«Peccato che tu non possa andare a casa. Sono portavoce dei suoi desideri; la giornalista voleva chiederti una mano per la trascrizione dell'intervista di stanotte. Per questo mi ha pregato di accompagnarti, sono comproprietario di un hotel poco distante. Vi lascio il mio ufficio per riascoltare le registrazioni e riscrivere il tutto prima del giornale di domani.»

Aveva parlato fissando di fronte a sé, non incrociando i miei occhi, ma adesso il mio silenzio lo porta a fissarmi. Osservo all'interno di quel verde militare che gli colora l'iride e gli dona, tramite il taglio dei tratti che sfoggia, un'espressione costantemente divertita quanto attenta. Non è un uomo stupido, e sa a cosa sto pensando. Non è il caso che lo nasconda.

«Se ciò non è vero, e si dimostra solo una scusa per inchiodarmi nel tuo albergo di lusso, e chiudermi in una stanza per venire a letto con me, sappi che può finire male. La mia amica non è una stupida, capirebbe il gioco in meno di un attimo, ed io lo sono molto meno di lei, quindi attento a chi ti inimichi.»

Inoltre, se solo prova a toccarmi contro il mio volere, ho un numero da comporre oltre che una malattia infettiva. Basterebbe la mancanza di un preservativo, e il karma tornerebbe indietro a dargli uno schiaffo.

«Puoi non credermi, ma è così. Non so la ragione, ma la tua amica non vuole che il marito ascolti l'intervista. Forse, un modo come un altro per salvaguardarlo da segreti che si dicono questi grossi politici. Non ne ho idea ma comunque è ciò che mi ha chiesto. Puoi anche andare da lei, se non mi credi.»

Non è necessario che lo faccia, mi basta solo incrociare il suo sguardo per riuscire a capirlo.

Evie è vicino a quel gruppo di uomini capitolati dalla figura con il turbante, Noel appresso, ed è persa in una discussione che la spinge verso continui sorrisi. Non manca, però, di ricambiare il mio sguardo non appena lo intercetta.

Dietro quel pesante velo di trucco, tento di scoprire la verità. Provo a capire se sia il caso di fidarmi, davvero, di questa strana donna, ed in cambio... ricevo un'espressione che non le vedevo addosso da tempo, forse da quando ho fatto quello stupido discorso, su dei panchetti improvvisati a ristornate.

Lentamente la sua testa annuisce, mi rassicura di tutto ciò a cui sto pensando, ed io seguo quel movimento come se da esso dipendesse tutto, mentre quegli occhi... quegli occhi, che mi sono fastidiosamente noti dalla prima volta che ci siamo viste, di quell'azzurro chiaro mescolato a un verde leggero, appaiono quasi tristi della mia condizione.

Non so dire perché ma lo sguardo di Evie è mutevole, e non si adatta ai discorsi. Alle volte mi viviseziona come fossi la sua più acerrima nemica, altre invece quasi pare compatirmi. Volermi bene in un modo che io associo alla pena ma che forse è molto altro, quasi rispetto.

Anche io ne provo molto nei suoi riguardi ed è per questo motivo che mi decido a seguirla.

A darle ragione, persino questa volta. A fidarmi, come ho fatto solo con un'altra persona, la sola della quale mi sia realmente innamorata.

«No, non serve. Possiamo andare» dico in direzione di Reiner, e questi si solleva dallo sgabello incentivandomi a fare lo stesso.

Non tenta alcuna forma di contatto e con le mani in tasca se ne va nella direzione della sua macchina, lasciando che lo segua.

Sono ancora vicino al bancone del barman, occhi negli occhi con Evie, mentre tutto il mondo scorre, a pensare che questa donna coraggiosa, questa donna che mi fissa con odio e amore al tempo stesso, sta per fare l'intervista che cambierà la sua vita e subito dopo mi lascerà andare.

Senza più niente che non sia il lavoro e la casa, senza più quei consigli che mi tramortiscono o quelle scenate assurde di folle ragione, e mi accorgo che è stato con lei che ho iniziato nuovamente a correre. Dopo il primo incontro con Michael, alla biblioteca, non ho più avuto un vero complice, nessuna figura che mi affiancasse in velocità, tenendo il ritmo del mio respiro. Dalla vita non avevo avuto altro, se non delusioni e quella specie di litigio con Marina... mentre la sua amicizia è stata come una carezza sopra al cuore.

Ed è per questo motivo che, circondate da una folla di strani personaggi con turbanti, tatuaggi rossi di piccoli cerchi tra le sopracciglia, kimoni maschili e femminili giapponesi e figure in giacca e cravatta, mi trovo a sorriderle, con sincerità, avvolte come siamo dalla cultura di un mondo che ci ospita. Ed Evie mi ricambia, con gentilezza.

Altro non serve. Con un legame sono tornata a sentirmi ospite di un pianeta che mi accoglie mentre credevo mi stesse gettando via, tranquilla come sono adesso tra figure di potenti che stanno per essere sovvertiti dalla forza delle parole, ed è questo ciò che accade nel sentirsi vivi.

Non è solo un cuore che batte, ad alimentare questa condizione, ma è un mente, un'idea, un legame, che funziona, e lascia scorrere con prepotenza il sangue nelle arterie, ricordandoti che le cose possono andare male, ma che in compenso, di tutto ciò che hai fatto e potrai fare, riuscirai a farti ottenere molto altro.
E solitamente è inversamente proporzionale a quel poco che credi di meritare.

L'ingresso del palazzo è enfatizzato dalla presenza di una grande scritta, che ne riporta il nome. La macchina vi si sofferma dinanzi ma non muore, nello spegnimento del motore, come mi sarei aspettata che facesse, una volta raggiunta la meta.

Reiner mi guarda di sottecchi, destreggiandosi in un piccolo sorriso, ma non accenna nemmeno il più piccolo gesto, volto a sbloccare questa situazione d'un tratto confusa.

«Non mi accompagni?» Domando, solo per riuscire a farmi interprete dei suoi silenzi.

«Ti sei preoccupata, e non poco, quando ti ho detto che ti avrei portata fino a qui. E lo capisco, quindi ho deciso di rimanere in macchina. Tra poco Evie ti raggiungerà, puoi stare tranquilla.»

Apprezzo la galanteria, e ringrazio che mi venga offerta tramite un piccolo sorriso. «Se puoi farti stare sereno ora mi fido, puoi venire con me.»

«L'ufficio non è tanto distante dall'ingresso, non ti perderesti» commenta, indossando i panni del gentiluomo, e devo dire che non mi dispiace.

«Grazie.»

Abbassa il capo, ricevendo quella piccola parola che ho detto dal cuore. Afferro la borsetta e mi procuro di aprire la portiera prima che la sua voce mi arresti per poco.

«Sai... la Land Art Society, sì, ecco, so che non ti convince perché ormai pensi di aver voltato le spalle ai tuoi vecchi interessi, ma è come una macchina, sempre a caccia di nuova gente. Artisti o altro che siano.»

«Mi stai proponendo un colloquio?» Domando, divertita e con una punta di disagio.

La sua testa si abbassa, per poter fuggire al mio sguardo. «Non è niente di personale, sono felice di averti conosciuta questa sera. Sei una ragazza simpatica ed era inevitabile scambiare due parole, visto che Noel ci voleva provare con Evie.»

«Allora ci stava provando!» Commento ridendo, e vedo che anche il suo sguardo si macchia di allegria. La testa, per un attimo, gli si volta a fissare oltre il finestrino.

«Sì, ma non sarebbe stato niente di serio. Non ti ho mentito, è davvero affascinato da lei e da tempo la voleva conoscere.» Lascio che prosegua nel suo discorso, senza interromperlo nuovamente. «Ecco, il fatto è che...»

Non importa che continui. Lo capisco da sola. Prima, si scopre che conosce Evie e poi, a metà sera, se ne esce dicendo che ognuno ha i propri scopi. È chiaro, è un imprenditore, e un uomo a caccia di talenti, dovevo capirlo subito.

«Sai anche chi sono io. Mi conosci dalla sfilata di Los Angeles, non è vero?»

Ecco che torna al mio sguardo, e la sincerità con cui mi fissa mi mostra la bontà delle sue intenzioni.

«Non avevo fatto niente di particolare, che cosa ha quell'evento di tanto sensazionale? Specie per un uomo importante come te?»

«Forse la carta pesta, tinteggiata, per le ali», mi prende per un attimo in giro, ma poi torna serio. «Per la verità non saprei spiegartelo, ma è stata per molto tempo sulla scrivania della nostra azienda, ed ho una mia supposizione...»

«In merito a...?»

«Credo di conoscere lo sponsor di quella serata, e anche il fotografo che ha fatto gli scatti per le varie riviste. Non ne sono certo, ma vorrei una conferma alla mia teoria.»

Mister L e suo nipote, il ragazzo alto e dai riccioli biondi al quale ho visto intrappolare le modelle in uno scatto, prima del mio discorso sul palco.

«Mi dispiace, ma non so dirti il suo nome, non lo conosco.»

«Non esito a crederlo, ma forse, se ti unirai al nostro gruppo, potrebbe farsi vivo e confermarmelo. Siamo particolarmente in vista e lanciamo spesso, sul mercato, giovani artisti.»

«Quindi vuoi usarmi come esca?»

«Quanto sono stato sgarbato?»

Scuoto la testa, divertita del suo imbarazzo. «Nemmeno un po' ma non posso essere a tuo favore. Come ti ho detto non sono certa di voler partecipare. Il mondo dell'arte è precario, non ho più ricevuto alcuni stimoli... e per il momento ho bisogno di soldi, per poter continuare a vivere qui.»

«Certo, lo capisco.»

La sua delusione è evidente, ma non posso far niente per curarla. L'alternativa significherebbe mentire.

Poso il manico della borsa su di una spalla e lo guardo un'ultima volta, facendogli intendere la mia ritirata.

«L'ufficio è l'ultima stanza, in fondo, sulla destra.»

«Ti ringrazio del passaggio, Reiner, e della tua proposta. Buona serata...»

«Buona serata», mormora, e con questo ultimo augurio scendo dalla macchina, seguendo le sue indicazioni.

La porta scorrevole risveglia il sensore al mio arrivo e mi lascia accedere alla hall, fino alla stanza che la mia nuova conoscenza mi ha indicato.

Le persone mi passano accanto ma non faccio loro caso, raggiungendo la maniglia della porta.

Con calma la apro, facendo i conti con tre pareti, non ancora illuminate dalla luce elettrica, e una vetrata direzionata verso un giardino.

Sono pronta ad accomodarmi e attendere Evie, una volta trovato l'interruttore, quando nella ricerca gli occhi mi scivolano sulla presenza di una figura.

Si erge in piedi, vicino alla vetrata, e la notte la rischiara appena, identificando il suo profilo.

Mi immobilizzo, con il cuore che rallenta nella paura di trovare un nemico di Evie pronto ad attendere il suo ritorno, ma quello che provo non è niente a confronto dell'attimo esatto in cui il volto dello sconosciuto si inclina nella mia direzione, venendo illuminato dalla trasversale luce notturna che proviene dall'esterno.

Adesso ho perso completamente il battito nel vedermi, di fronte, una persona che non mi sarei mai aspettata in un luogo tanto sicuro, consigliato da Evie, eppure è qui, a due passi.

Non noto niente che non sia la gentilezza dei suoi tratti, la tranquillità con cui mi ha aspettato, a braccia intrecciate al petto, con una spalla appoggiata contro il muro dal quale nasce il principio del vetro, e l'espressione, gli occhi, gli occhi, di un marrone color del cioccolato fuso. Gli stessi che mi hanno fissato di rimando da dentro l'oblio dei ricordi.

Sebastiaen è di fronte a me, con lo stesso sguardo calmo e allo stesso tempo triste che ha avuto Evie nel fissarmi andare via, e non sono quasi in grado di sostenerlo.

Non riesco più a respirare... in questa notte troppo ricca di sorprese.

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