43- Una perfetta giornata in famiglia
P.O.V.
Michael
Il sangue pulsa nelle vene provocando un fischio assordante nelle orecchie che stempera, ed annulla, l'assenza di suono presente in questo archivio.
Passo una mano sul viso, poi l'arresto alle tempie, tentando di far passare quel dolore che mi porta a stringere gli occhi per poterlo sentire arginarsi. La verità è che la non visione dell'intorno centuplica il nero vuoto che mi offrono le palpebre serrate dal dolore, e non mi spinge ad altro che a sentir enfatizzato quello che provo e che mi toglie il fiato, quasi privandomene.
Dovrei uscire fuori, prendere una boccata di aria fresca.
Il telefono nella mia tasca vibra, e quasi inconsciamente lo porto all'orecchio, con gli occhi ancora chiusi e la fronte appoggiata alle cartelle che ho dinanzi.
«Pronto?»
«Michael?»
Occorrono dei lunghi minuti, trascorsi in attesa, prima che la mente ricolleghi questa voce femminile che sento nelle orecchie alla reale proprietaria, lasciandomi stupito di fronte all'imprevedibile.
«Stephany.»
«È da un po' che non ci sentiamo. Sì, insomma, da quando c'è stato il battesimo della piccola, credo.»
«A cosa devo questa telefonata, Steph?»
«Stavamo mettendo apposto casa, io e la piccola. Ormai ha quattro anni ed è la copia di suo padre» una leggera risata in sottofondo tenta di smorzare la tensione di questa strana situazione. Quando viene ripristinata, pochi istanti dopo, la serietà, il disagio nella voce della mia vecchia amica è palese. «Ecco, abbiamo ritrovato un reperto storico, una foto. Il nostro primo concerto, te lo ricordi?» Taccio, lasciandole modo di spiegarsi, così che mi possa venire fornita la vera sequenza degli eventi. «Ritrae me, te, Logan e Jeremy, di fronte alla fotocamera. Oltre a questo, ho portato a galla molti vecchi ricordi, di quando lavoravi da Isaac e venivamo a trovarti a cena, di quando eri a teatro...»
Dunque si tratta di nostalgia. Ecco che cosa l'ha spinta a chiamarmi. Il battesimo della piccola ci aveva costretto a riavvicinarci ma mai avrei pensato che i nostri rapporti sarebbero riusciti a sopravvivere al seguito della nostra partenza da Los Angeles, e ormai sono passati tre anni. Tre lunghi anni senza una chiamata o un solo accenno dalla vita che ci siamo messi alle spalle.
Riaverla addosso è un pesante fardello e una piacevole sorpresa, allo stesso tempo.
«Hai dovuto togliere un bel po' di polvere, allora» tento di farmi ironico, in modo da arginare il suo imbarazzo, e fortunatamente riesco nel mio intento. Stephany ride leggermente, di nuovo, stavolta però con sincerità, nell'istante stesso in cui Felip passa ad osservare il lavoro che al momento non svolgo.
«Sì, ma è stato piacevole, e in qualche modo mi è mancato.»
«Stefo, sono contento di sentirti, ma...»
«Mi farebbe piacere passare a trovarti, anche solo per un giorno» mi informa, spingendomi verso una sequenza di pensieri fastidiosi. Il fischio nella testa ritorna, come quello di una locomotiva a vapore.
«Che cosa ne pensa Logan?»
«Ne abbiamo già parlato insieme, ieri sera a cena. Siete i tutori legali di mia figlia, una specie di coppia di zii per la mia piccola, ed i nostri rapporti si sono chiusi in maniera troppo drastica. So che è stata solo la tua gentilezza a farti accettare di fare da padrino al battesimo, tu non dici mai di no, specie a vecchi amici, però allo stesso tempo sento come se la questione tra noi non si fosse ancora chiusa, nonostante gli anni. Quella vecchia discussione, al locale di Montegabbione, con Logan, ancora rovina i vostri rapporti. Mio marito non dice niente nei tuoi riguardi ma vorrei che anche per lui il passato rimanesse tale.»
«E che cosa posso fare, per aiutarti?»
«Non devi fare niente», risponde, e nonostante la distanza ed il tono basso di voce riesco a percepire il suo sorriso ingenuo di fronte alla mia richiesta, «solo accettare di prendere qualcosa insieme e conoscere mia figlia. Logan non potrà mai essere a casa questi giorni, per cui avevo deciso di portare con me la bambina in qualche viaggio, così che non ne percepisse la mancanza.»
«Non voglio generare inutili sospetti.»
«Michael... sono una donna sposata. Ho una figlia, e amo mio marito. Logan lo deve capire, non corro nessun rischio nel venire da te, ormai non provo più niente ma mia figlia... ci tenevo che conoscessi mia figlia. È una bambina troppo sola, dal momento che il lavoro ci assorbe, ed è tanto curiosa. Ti ha visto in diverse foto di famiglia, e per me è come se tu lo fossi, sul serio.»
Tento di far ordine nella mia testa, riflettendo sul fatto che la richiesta di Stefo non poteva capitare in un momento più strano o ambiguo. Io e Cat abbiamo litigato, e non sarà facile introdurre la mia vecchia amica nelle giornate.
«Per quanto ti tratterresti?»
«Uno... forse due giorni, avevo in programma di far visita anche ai miei genitori che, lo sai, non abitano troppo lontano da dove stai tu.»
Lo so, ricordo la clinica nella quale li aveva portati, e dove mi aveva proposto di inserire anche mia madre. Non mi ero mai deciso a farlo. Tenere un proprio genitore in un posto del genere mi era risultato così insensibile e frustrante... ma Stephany fa molto spesso loro visita, dunque non mi sorprende, nonostante la distanza dalla mia vecchia città. Si tratta delle sue origini dal momento che è nata e cresciuta qui.
«D'accordo, si può fare. Hai modo di prendere un volo il prima possibile, ed atterrare domani?»
«A cosa dobbiamo questa fretta?»
«Riusciresti a incastrarti nei giorni liberi che il mio datore mi ha appena riservato», e mi permetteresti di non trascorrerli da solo, in compagnia di Cat.
«D'accordo, non ci sono problemi allora. Domani saremo da te. Prenoterò già un hotel.»
«Puoi restare da me, se vuoi. Quando io e...» la voce mi si spezza, nel pronunciare il suo nome. «... io e Katrina siamo arrivati in Italia sei stata un ospite fin troppo gentile.»
«No, Michael, preferisco così. Ho una bambina piccola e non voglio affatto disturbarti in casa.»
«Sono felice di questa tua chiamata» confesso, lasciando scivolare via un masso dal cuore.
«Anche io, Michael, non hai idea di quanto lo sia.»
«Portati dietro quelle vecchie foto» le suggerisco in un mezzo sorriso, lasciandomi andare a una piacevole sensazione di spensieratezza che non provavo da tempo.
«D'accordo...»
«A domani, Stephany.»
«A domani.»
Chiudo la chiamata, sollevandomi dalla posa assunta e raddrizzando la schiena. Felip mi guarda con la coda dell'occhio mentre sistema le sue pratiche, forse resosi conto di quanto, tutto questo, mi abbia stancato, ma poco importa, il turno è finito.
È tempo di ritornare in una casa dove ho imparato a lottare con le unghie e con i denti. La stessa che un tempo mi offrì il giusto riposo, da qualsiasi problema del mondo.
Afferro il giubbotto e le chiavi della macchina, e con stanchezza mi avvio verso tale metà. Quando mi trovo di fronte il portone di ingresso della mia attuale proprietà la mano esita nell'inserire le chiavi all'interno della toppa. Le mani giocano con la sagoma di tutte quelle seghettature che aprono i lucchetti di tutto ciò che possiedo, al momento.
Non appena riacquisiscono coraggio e mi permettono di entrare, la prima cosa che mi raggiunge è l'odore della cena che Cat sta preparando in cucina.
Un tempo sarei andato verso di lei e l'avrei abbracciata da dietro. Le avrei spostato una ciocca di capelli dal collo e l'avrei baciata, proprio nel punto in cui la pelle era stata esposta. Ora non è più così. Ora, non appena poso le chiavi di casa al loro posto, la testa di Cat si muove di conseguenza e con quei suoi occhi affilati arriva ad osservarmi solo per una manciata di minuti, prima di tornare ai propri doveri.
Anche lei è ferita, ma a differenza mia prova più dolore che rabbia e ciò le impedisce di scagliarsi su di me per scendere a confronto.
Lascio che questa sua apatia diventi il nostro affetto più stretto, per quanto provi a scacciarlo non appena la mia voce torna a riferirsi a lei con un controllo del tutto volontario:
«Stephany verrà per qualche giorno con la piccola, desidera ricucire i rapporti. Se hai un giorno libero potremmo decidere di fare qualcosa, tutti insieme.»
«Lo sai che non ho giorni liberi» sibila, spostando una pentola dal fornello centrale a quello laterale, con un fuoco più basso.
Con i gomiti appoggiati al tavolo, dietro di lei, osservo la sua schiena e l'impassibilità della sua voce, dal momento che l'espressione risulta impossibile da leggere.
Sì, sapevo che non aveva giorni liberi, ma mi aspettavo che qualcosa potesse cambiare. Che finalmente si pronunciasse verso Raimòn con una pretesa, la richiesta di un giorno libero meritato, eppure non sembra decisa a ottenerlo perché non importa quanto tutto possa andare male, Caitlin non cambia.
Rimarrà la ragazza che non avanza richieste, che si accontenta, nonostante io mi stia allontanando sempre più da lei, fisicamente quanto mentalmente mentre mi sposto verso l'altra parte della casa, indeciso se dar vita a una nuova battaglia o lasciare a questa temibile calma piatta il duro compito di ucciderci.
Da dietro la montatura degli occhiali da sole osservo lo stormo di volatili che grava, come una nuvola, metri sopra il traghetto che ospita un centinaio di passeggeri, comprese le mie due vecchie conoscenze che mi accompagneranno in questa giornata.
La Paz, capitale della Bassa California del Sud, dista due ore di macchina da Cabo San Lucas da dove vivo, ma le ore sono volate piacevolmente, con il finestrino aperto, buona musica, e la consapevolezza di star per affrontare una giornata diversa dalle altre, e sono solo le nove di mattina.
Stephany mi aveva tenuto aggiornato di ogni spostamento per cui siamo riusciti a coordinarci bene con i tempi e adesso attendo solo che riescano a scendere da questa specie di piccola barca eccessivamente galleggiante.
Tra la folla di persone in attesa della discesa dei passeggeri, sono pronto a non perdere di vista alcun volto, pur di non lasciare sole e smarrite madre e figlia. Fortuna vuole che non debba impiegarci nemmeno troppo sforzo.
La piccola sfoggia una maglietta giallo canarino, con stampate sopra sagome di pesci stilizzati, e non poteva essere più utile o appropriata. Lo sguardo, per un attimo, si sofferma anche sul suo zaino, da dove pende il morbido portachiavi di una rana.
«Steph!»
Al mio richiamo, suo madre solleva di scatto la testa e mi nota, con la mano tesa, far loro cenno della mia posizione.
Mi sorride, e noto con sorpresa che non sembra essere invecchiata di un giorno. Stesso colore di capelli, stesso fisico e persino stessa assenza di rughe. Sul mio volto, invece, alcuni segni d'espressione si sono già incisi nella pelle e temo che la vita che faccio mi abbia invecchiato ulteriormente. Spero non di molto. Sono ancora troppo giovane per compiangermi.
«Michael!»
Mano nella mano con sua figlia, Stephany avanza nella mia direzione e mi raggiunge, lasciandomi due baci sulle guance. La ricambio, posandole una mano sulla schiena per tenerla vicina.
«Sono veramente felice di rivederti. Abbiamo persino avuto fortuna! Guarda che bella giornata!»
Le sorrido, dandole ragione. «Sì, Steph, è stata una fortuna.»
I miei occhi poi vengono catturati da quelli scuri della bambina che, dal basso, mi fissa con una strana espressione di curiosità e paura.
Le sorrido e mi inginocchio di fronte a lei, per poterla osservare a un'altezza pari.
«Ciao!» Esordisco, fissando con attenzione la somiglianza che noto con sua madre, ma anche con suo padre.
I capelli chiari appartengono a Steph ma la forma del viso è tutta di quel marito arcigno che nemmeno è riuscito a venire. Mi domando se fosse vera la scusa del lavoro.
Ad ogni modo è già un grande passo avanti il fatto che le abbia permesso di raggiungermi.
«Ciao...» mi dice con sospetto una bambina che, giustamente, è stata cresciuta con la consapevolezza di non dover dare troppa confidenza agli sconosciuti. Quindi, è il caso di non esserlo più. Le tendo la mano e la rendo partecipe di questa parte della sua vita della quale era stata privata, solo a causa del mio egoismo.
Non ha nessuno oltre me, questo zio un po' strano che vive dall'altra parte del paese, visto che i genitori di Logan non abitano insieme a loro e quelli di Stephany si trovano qui per un caso al quale non avevo affatto pensato. Quindi, ecco il padrino di questa strana e bella bambina che sembra essere piena di fantasia, con le sue calze colorate in tinta con la maglia fosforescente.
«Piacere, io sono Michael.»
«Io sono Grace.»
«Lo so», le sorrido, «ti ho conosciuta quando eri ancora molto più piccola.»
«Più di così?» Mi domanda, spalancando gli occhi e facendo ondeggiare i capelli delle due code, lisce, che le affiancano il viso.
«Sì, più di così» commento ridendo, poi sollevo la testa in direzione di Stephany, per sorriderle, sinceramente felice.
«Sei un amico di mamma?» Continua a chiedere lei, ed io annuisco.
«Sì, ma puoi considerarmi tuo zio.»
«Mamma non ha fratelli e nemmeno papà.»
«Infatti non siamo legati dal sangue, ma è come se fosse così» ammetto, per poi tornare con l'attenzione a Steph. «È davvero una bambina sveglia» le dico, portandola a sollevare la mano per poter accarezzare la testa della sua piccola.
«Molto, a volte sorprende anche noi.»
«Che ne dite adesso di andare?»
«Dove? Dai nonni?»
«No, Grace, dai nonni passiamo dopo» le ricorda la madre, portandola a sollevare la testa per poterla fissare, e quasi ascoltarla con più attenzione, prima di tornare a interrogare me.
«Allora cosa facciamo?»
«Ho organizzato una giornata molto particolare per noi.»
«Sul serio?» Domanda Steph, e io annuisco.
«Sul serio.» Per questo motivo la maglietta della piccola non poteva essere più adeguata. Tramite uno scambio di messaggi con sua madre mi sono informato su tutto ciò che la piccola potesse gradire, e ho scoperto piacevolmente la passione per il nuoto, nonostante la tenera età. Con questo, però, ho deciso di non scendere nel banale.
«Che cosa hai organizzato, Michael?»
«Hai mai sentito parlare di "Snorkelling"?» Chiedo stavolta io alla piccola, mentre sua madre spalanca gli occhi, forse colta da sorpresa e paura insieme.
In risposta mi vedo una testa bionda scuotere il capo in una chiara negazione, così faccio ancora più avvincente il mio mistero, abbassando ulteriormente la testa nella direzione della piccola in modo da farmi sentire quasi solo da lei.
«Nuoteremo con gli squali balena, e dopo ci faremo un bel pasto a ristorante.»
«Ci mangiamo lo squalo?» Chiede sognante lei, ed io strabuzzo gli occhi, sorpreso.
«No, vuoi mangiarti lo squalo?»
«Sì!»
«Allora prima lo dovrai prendere» le faccio notare, e questa annuisce con fervore.
«Sì, andiamo, andiamo!»
Mi sollevo di scatto, pronto per la partenza, e mi trovo il mezzo sorriso di sua madre che, restia, tiene le braccia strette al petto.
«Sicuro che non sia niente di pericoloso?»
«Sicurissimo. I denti degli squali sono smussati ogni mese dai sommozzatori.»
«Michael...» ride, e non posso fare a meno di accompagnarla.
«Sono innocui, Steph, è tutto apposto, è un percorso consigliato non appena visiti questi luoghi, solo che prima d'ora non sono mai riuscito a farlo e volevo sfruttare l'occasione.»
«Ci sai fare... anche con i bambini» nota, indicandomi con un cenno della testa la piccola che è già alla fine della strada, e che sono stato attento a non perdere di vista, nonostante stessi parlando con la madre.
Ad un'affermazione del genere non posso che rispondere in un modo goffo, con un mezzo sorriso, perché altro non sono in grado di replicare.
Prima d'ora non l'avevo mai constatato, ma può essere. È probabile che abbia nei geni la predisposizione alla paternità.
«Ho deciso di organizzare qualcosa per farvi godere un po' il soggiorno ma non appena la bambina si stanca, se vuoi, possiamo tutti accomodarci in qualche punto ristoro e parlare. Ho tutta la giornata a disposizione.»
«Credevo che saresti venuto con Katrina...»
«Lavora.»
«Non ci raggiungerà?»
«No, temo di no» ma non ho veramente voglia di tirar fuori questo argomento adesso, quindi fingo che vada tutto bene, e gli occhiali da sole mi aiutano a mascherarlo, per quanto non ce ne sia mai stato bisogno.
Posso essere un attore mediocre, ma mai prima d'ora qualcuno dei miei conoscenti è riuscito a leggere in me qualcosa che non volessi mostrare. Anzi, qualcuno c'è stato, e con lei ho deciso di trascorrere la metà della mia vita. Con la sua eccezione, nessun altro, e questo merito le va riconosciuto: ha visto in me altro oltre a ciò che non volevo mostrare.
Deve prendersi questo onore, anche se sembra che abbia iniziato a dare per scontate troppe delle cose che abbiamo imparato a condividere.
Fisso il piccolo corpo di Grace avvolto dalla muta. Il boccaglio arresta il suo flusso continuo di parole, lasciando agli occhi, la sola cosa scoperta, il compito di dimostrarmi tutta la sua eccitazione.
«Uno...» inizio a contare al suo fianco, mentre l'istruttore ci fissa divertito come la madre, nella nostra stessa posa e negli stessi abiti, pronti alla partenza.
«Due...»
Il sole ci ustiona tramite questa doppia membrana in pelle, ma stiamo per congiungerci alla freddezza del Golfo della California, una volta gettati da questo gommone.
«Tre!» Termino con il dire, tappandomi poi il naso per vederle fare lo stesso e tutti insieme, io, Grace, Stephay e l'istruttore ci spingiamo all'indietro, di schiena, dalla nostra posizione da seduti, e l'attimo dopo cadiamo sotto il profilo cristallino dell'acqua, entrando a contatto con gli abissi.
Dentro sé il mare ci mostra un'infinita mole di tesori che non eravamo riusciti a captare solo con gli occhi, e ci spinge ad arrivare sempre più a fondo, verso il suo cuore, fin dove ci è permesso, per poter vedere gli esemplari che vi abitano.
L'istruttore ci consiglia un percorso e, da bravi alunni, lo seguiamo in fila indiana dentro queste pesanti pinne. Di fronte a me le gambe di Grace si muovono veloci mentre tentato di imitare quelle della mamma, che a sua volta non perde di vista l'istruttore. Scoperte poi le specie di pesci multicolori e di squali, siamo in grado di allontanarci con sicurezza da essi per poter girare loro intorno e scoprire anche molto altro, come i coralli o le stelle marine, il patrimonio subacqueo che riesce a guadagnarsi la sorpresa e l'ammirazione della piccola, oltre che la mia felicità.
Una giornata del genere, piena di emozioni semplici, mi riempie di buon umore, specie non appena Stephany si volta diverita per potermi guardare dritto negli occhi, attraverso la muta e gli occhialini, ed esprimermi tutta la sua gratitudine.
Una perfetta giornata in famiglia, afferma una voce fastidiosa e impertinente nella mia testa.
Strizzo gli occhi tentando di farla andare via, ma quando li riapro vedo con la coda di uno di essi qualcosa muoversi, al limite del mio campo visivo.
Mi sembrava di aver scorto una veste bianca, e una chioma di capelli, spugnosi come alghe, di un biondo particolarmente chiaro.
Deve essersi trattato dell'immaginazione, mi ricredo subito dopo, di certo non è stata una sirena a comparirmi dinanzi eppure non mi meraviglierei se anche quella creatura immaginaria fosse partecipe di questi meravigliosi abissi.
La nostra visita si conclude solo con lo scadere del tempo offerto dalla bombola dell'ossigeno e non appena tutti e quattro torniamo a galla priviamo le labbra del boccaglio e torniamo a respirare l'odore della salsedine, al limite di queste spiagge.
Il sole porta Stephany a stringere gli occhi, il sale del mare le ha sempre dato fastidio, mi ricordo, e quei raggi caldi non sono favorevoli al suo disagio. L'azione mi porta a ridere, perché mi ricorda quanto in realtà non sia effettivamente cambiata, e Steph cavalca i miei pensieri, iniziando una lotta di schizzi che mi vede perdente di fronte a due energetiche donne. Lascio che vincano, tra scoppi di risate e occhiate curiose degli altri turisti ancora sul gommone delle immersioni, con questo sole nella sua ora più alta e una miriade di piccoli pesci che corre impazzita a creare vistose collane di gioielli, intorno alle nostre caviglie.
Grace gioca divertita con una strana versione di pasta messicana ai fagioli, nel ristorante che affianca la costa balneare dove siamo rimasti per gran parte della mattinata. Io e Stephany, invece, osserviamo il suo stupore per ogni cosa presente intorno con un mezzo sorriso, dal momento che tale condizione l'ha costretta ad avere ancora di fronte il primo piatto mentre noi, ormai, abbiamo terminato il pranzo.
«Hai avuto una gran bell'idea. Era da tanto che non mi divertivo così» mi informa Stephany, rivolgendomisi, ed io annuisco, confermandole lo stesso.
«Sì, anche io.»
«Rivedere questa vecchia amica ti ha fatto bene? Ed io che pensavo fossero passati troppi anni di silenzi.»
«Mi ha fatto piacere incontrarti di nuovo, e soprattutto conoscere la piccola» le confesso, mentre l'attenzione della chiamata in causa, al momento, viene conquistata dalla figura di un uomo mascherato che sta suonando un Bolero latino messicano. «Inoltre, a volte ripristinare il passato può fare bene. Hai portato quelle vecchie foto con te?»
«Una richiesta prima: domani dovrò andare a fare delle commissioni per i miei genitori. Devo comprare loro alcune medicine e inoltre devo firmare delle pratiche per il loro soggiorno, dopo aver parlato con il medico di base. Ti scoccerebbe tenere Grace per due ore? Il tempo per riuscire a fare tutto senza sentire tutti i suoi lamenti di protesta.»
«Siamo diventati migliori amici, non l'hai visto?» Le domando, in riferimento a quello che abbiamo appena passato. «Non ci sono problemi, posso tenerla, ma perché me lo hai chiesto prima di darmi le foto? Hai paura di un mio eccesso di rabbia?»
«Sei incontrollabile alle volte, Michael, e non sempre il passato ti va a genio.»
«Sono disposto a tornare a farci pace. Allora, queste foto? Dove sono?»
Stephany annuisce con dolcezza, afferrando la borsa.
«Le ho proprio qui.»
Tendo la mano, in modo da riuscire ad afferrarle, e con un po' di indecisione le vedo afferrare quelle stampe 10x12 affinché possano tornare tra le mie mani.
La prima che passa sotto i miei occhi è proprio quella del concerto, che ritrae me, Stephany, suo marito e Jeremy con le braccia spalancate per potersi appoggiare l'uno all'altro. Abiti quasi inesistenti, a causa del caldo infernale di quella giornata, e due coppie di sorrisi che ricordano la nostra allegria.
I capelli di lei erano particolarmente strani, lo noto, ma niente a che vedere con la bizzarria delle vesti di Logan. L'attenzione poi passa a Jeremy che, nella sua semplicità, si mostra essere lo stesso di sempre.
Una strana sensazione mi trapassa, nel ricordo di come ci siamo separati bruscamente. Quella notte... quella notte chiusa con uno sbaglio che mi aveva macchiato di peccato, e che ancora mi brucia addosso, in una sensazione di errore.
Il suo amore era sempre stato tra noi. Lo vedo adesso, riguardando questa vecchia foto.
Scorro con le immagini, tentando di scacciare i pensieri, venendo investito da altri milioni di ricordi che però riescono a farmi sorridere con nostalgia, fino a farmi arrivare alla fine.
Il ristorante di Isaac, un bancone da servizio bar particolarmente alto. Io nella mia divisa da cameriere, Stephany e Logan come semplici ospiti, ed alle mie spalle Sebastian, con lo shaker da barman tra le mani e un sorriso malizioso, mentre lo fisso provocatorio.
«Il passato: ricordi e sbagli» mi beffeggia Steph, portandomi a sollevare gli occhi, e non posso andarle contro.
Rimetto apposto tra loro le foto e poi le chiudo tra le mie mani, nascondendole nella tasca interna del giubbotto, al lato sinistro, picchiettandomi sopra il cuore, dove rimangono guadagni e rimpianti.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top