38- L'attimo

P.O.V.
Caitlin

Nella vita di ognuno di noi esiste un preciso attimo dentro il quale è contenuta tutta la nostra essenza. Quell'istante irreale che puoi decidere se cogliere, afferrare, oppure ignorare, tirandoti indietro.
Da quel preciso frangente, quella piccola parte di paradiso o inferno, viene stabilito chi siamo. Se il nostro coraggio ci dona ali, se la nostra paura ci fa bruciare tra le fiamme. È un sentimento che non si può spiegare, una reazione involontaria.

Quel giorno, se solo la mia voce fosse stata abbastanza forte, avrei potuto cambiare ogni cosa. L'intero corso di questa strana e ridicola fiaba. Mi occorrevano solo nuove parole, tra la sabbia e il mare, ma ancora erano imprigionate quasi contro il mio volere, senza che me ne accorgessi.

Che cosa sarebbe successo se solo ti avessi compreso? Se mi fossi fatta curiosa della tua unicità? Avrei veramente posseduto la forza per farmi avanti?

L'argilla, presente in questo momento sulle mie mani, è terra e acqua mescolate insieme, la magia che è la tua arte, quell'amore che hai e possiedi in te, come il più puro dei regali.

Quando si è pietrificata tramite la lava? Quando, quello che proviamo, si è dimostrato un simile sbaglio?

Vorrei tornare a quel tempo.

Vorrei tornare alla svolta dell'amore tra me e l'uomo che, credevo, avrebbe potuto salvarmi.

Nei minuscoli chicchi di sabbia di questa spiaggia i miei piedi affondano, lasciandomi avanzare verso un pittoresco tramonto che vede riflessi i propri colori, nello specchio del mare e nell'abrasone delle fiamme. Due elementi distinti, acqua e fuoco, che solo per questa notte decidono di legarsi insieme, promuovendo l'inaugurazione di questo evento, unico nel suo genere.

Un enorme telo bianco fa da passerella e file di sedie in plastica nere lo affiancano. Gli addetti si muovono veloci da una parte all'altra e la loro concitazione rispecchia l'angoscia che ho avuto in questi giorni, mentre rimanevo in attesa, ma adesso ogni cosa è al proprio posto. Le luci, il logo, i giornalisti e l'ingresso per gli invitati. Non occorre niente altro. Privata dei tacchi, nel mio vestito in oro verde, posso finalmente trarne il giusto guadagno. La soddisfazione.

Ispiro profondamente per poi lasciare andare tutto d'un colpo il fiato, rimanendo a fissare le onde del mare nel loro sciabordio lento di romantica poesia.

«Non mi sarei aspettato niente di meno da lei. Ha fatto un lavoro veramente superbo» dà vita al mio ego una voce particolarmente profonda e affascinante, calibrata nella composizione delle proprie frasi, e non posso fare a meno di sorriderle.

La sua presenza alle mie spalle somiglia alla sicurezza di un padre, attento osservatore dei movimenti della propria figlia in una piazza gremita di gente, e mi sento onorata nell'averlo affianco.
L'uomo con il quale condivido i miei geni non è mai stato ugualmente premuroso da dimostrarmi il suo rispetto, né mi ha mai trattato come sua tale.
C'era da immaginarselo, però, dal momento che nemmeno la donna, con cui ha diviso un cuscino ogni notte e un cuore, ha ricevuto un trattamento migliore.

«Sono felice che le piaccia.»

«Le mie aspettative non sono state deluse.»

Ritengo che possa essere il complimento migliore da ricevere da un uomo come lui. Non deve averlo detto a molti altri e mi lusinga, sul serio.

Volgendo la testa indietro mi rispecchio negli occhi della persona che, fino a poche settimane prima, mi aveva già visto vestire simili abiti. Dentro il mio laboratorio luminoso quanto sporco e disordinato. Quel giorno in cui mi aveva dato fiducia, e io non l'ho tradita.

«Per me è più che abbastanza.»

«Manca ancora un'ora all'inizio dell'evento. Che cosa ne dice di camminare insieme?»

«Non vedo perché no.»

La sicurezza, che dona questo benefattore di eventi mondani, è piacevole. Riesce a trasmettermi sensazioni positive ed è inevitabile il respirare a pieni polmoni questo nuovo vento fresco.

Socchiudo gli occhi per godermi le sensazioni appieno; il mare da un lato, il tramonto addosso, i nostri passi, le voci in lontananza di truccatori e modelle e molto altro, come l'anima di Los Angeles che si è fermata, nella sua corsa, ad osservare cosa sta succedendo lungo il suo lato balneare.

«L'oro le dona molto. Gliel'ho già detto?» Mi domanda il mio compagno di passi, ed io riapro gli occhi, sorridendogli dolcemente, per comunicargli quanto il suo pensiero sappia realmente confortarmi.

«La ringrazio. Non mi sono mai sentita a mio agio con questi vestiti. Troppo aderenti» rido appena, nervosa nel constatarlo, ma lui, fissando avanti, si limita solo a sorridere, chiudendosi nel suo silenzio.

I capelli grigi e la barba di media lunghezza gli attribuiscono anzianità allo sguardo ma occorre solo focalizzarsi nei suoi occhi celeste chiaro per capire quanti anni la sua anima, realmente, possegga.

Una specie di dolore indimenticato gli ha solcato la pelle in un sentiero fitto di rughe, agli angoli degli occhi, e in quei piccoli vicoli c'è la chiave dei suoi silenzi, i misteri che lo rendono affasciante quanto distante.

Potrei credere che chiunque altro si possa essere sentito intimorito dai suoi modi impeccabili e dalla tranquillità, vittima di una maniaca decisione, che gli affina lo sguardo, tanto da renderlo spigoloso... ma io non sono così, non sempre, perché tra noi sembra quasi essersi costruito una sorta di legame. Quasi. Pare che riusciamo a essere capaci di comprenderci, e al tempo stesso rispettarci.
Non avevo mai provato una calma simile con una persona conosciuta appena.

«Le sue scarpe?»

Nemmeno mi sta fissando, eppure non ha ignorato i miei piedi nudi e la leggerezza con cui sto avanzando.

«Sono a fianco alla mia borsetta, su qualche sedia dell'evento», rispondo, «nessuna delle modelle le indosserà per questo ho deciso di non farlo nemmeno io. Inoltre, è piacevole non avere divieti.»

Mentre lo pronuncio, le dita dei piedi affondano ancora di più nella sabbia, giocando con questa superficie costantemente variabile per poi fuggire lontano dalla sua trappola.

«Gli angeli, dunque, camminano in punta di piedi.»

Resto ad osservarlo, cercando una spiegazione che non tarda ad arrivare.

Divertito si volta verso di me, e mi sorride in un modo buono mentre quegli occhi divengono ancora più vispi.

«Il suo collega mi ha anticipato che cosa intendesse fare di questo evento. Non se la prenda con lui, era un modo per scusarsi della buca che mi ha riservato il primo giorno.»

«E di cui non smetterò mai di scusarmi anche io. Non avevo ancora niente di pronto.»

«Non è importante, dopo che ha raggiunto un simile risultato.»

Il camerino improvvisato, a cielo aperto, delle modelle, si affianca alla nostra passeggiata per pochi e brevi minuti. Il tempo di notare truccatori e parrucchieri all'opera.
Una delle ragazze, con l'abito a lei riservato, solleva gli occhi per permettere a un'altra figura del personale di passarle la matita blu scuro a contorno degli occhi, per poi vederla sfumare con un ombretto.

Osservo, il tempo che basta, quel gesto di pura quotidianità per ogni donna, prima che l'uomo al mio fianco torni a parlare, recuperando la mia attenzione.

«Non mi ha colpito tanto l'originalità della sua idea, quanto la chiave di lettura che ha affidato a questa sfilata. Sono rimasto piacevolmente colpito. Affiancare gli angeli all'immagine della femminilità in qualche modo li rende più terreni, se pure non umani.
È riuscita a risaltare l'abito e la persona che le indossa al tempo stesso, lasciando una firma di sincerità. Una dote che apprezzo più di qualunque altra.»

«Non sono capace di dire le bugie, per questo ho deciso di far conoscere i veri angeli dei nostri giorni, attribuendo loro una visione più attuale. Si deve donare poesia all'ordinarietà, lei non crede?»

«Sì, forse è necessario. Ricordo cosa mi disse, lei, è una che omette, ma non mente. Questo le fa onore.»

«Lei l'ha mai fatto?»

«Mentire, intende?»

«Sì.»

«Solo una volta», sospira, «e ha cambiato il corso della mia intera vita.»

Vorrei conoscere quella che è stata la sua storia, ma proprio come ogni persona a questa terra, dentro l'animo di questo elegante uomo coesiste come un'anima divisa a compartimenti stagna. Un tempo qualcuno poteva averne posseduto la chiave ma ora pare essere persa per sempre.

Il controllo che esercita su quelle stanze è il suo potere e niente, ormai ritiene, glielo possa togliere.

«Ho una domanda per lei» esordisco a un tratto, attirando il suo sguardo.

«Mi dica pure.»

«Come si chiama?»

Scoppia a ridere della richiesta. «Mi scusi, ma preferisco rimanere anonimo per questo evento. Sa, far uscire il nome del benefattore non è mai una gran bella cosa, specie da quando organizzare questa sfilata non era nei miei intenti. Si tratta solo del favore per un amico.»

«D'accoro, allora. Se non mi dirà il suo nome io non le dirò il mio.»

«Troppo tardi, signorina Abrich.»

«Come...?» Nel corso della domanda mi blocco, presa in contropiede. Affino lo sguardo mentre inizio a marciare più lenta, ed espongo così i miei dubbi. «Ancora una volta Oscar, non è vero?»

Scuote lento la testa e poi solleva un dito, in direzione dei cartelli pubblicitari. Li stessi che ho tanto criticato nel corso del nostro primo incontro.

Sotto la foto di una modella, con addosso uno dei nostri prodotti, viene riportato il mio nome, e con esso il titolo di "event organizer & designer". Niente di meno.

«Ma certo, la pubblicità», commento, abbassando il volto con vergogna di fronte all'esposizione di una superbia non richiesta.

«Immaginavo anche che non fosse stata lei a promuoverla. Si è trattata di una costrizione da parte del rettorato?»

Muovo il capo verso la negazione. «No. Dei creatori di questi abiti di moda, Oliver e Betty. Per loro dovrei imparare a promuovere quello che faccio, sotto tutti i campi, così da far conoscere il mio nome.»

«E lei non lo ritiene importante?»

«Mi sembra una perdita di tempo, per me e per altri.»

«Perché dice questo?»

La spiaggia subisce una piccola svolta, e noi con lei, costretti così a compiere una leggera curva.

Il mare arriva a bagnarmi appena i piedi e il suo tocco freddo sono dita di sirene, che mi richiamano verso di loro, così da farmi sparire.
Ed evitare i problemi del mondo, con tutto ciò che comporta.

«Ho la mente confusa al momento. Non so che cosa voglio realmente fare.»

«Il logo è stata una bella riuscita. E anche la sua lavorazione a mano, si vede che ha talento. Chiunque altro si sarebbe accontentato dell'utilizzo di un software mentre lei si è rimboccata le maniche e ha preso pittura e pennello. Che cosa le fa credere di non poter portare avanti questa sua passione per il resto della vita?»

Mi stringo nelle spalle, realmente in difficoltà.

«Non saprei, mi è difficile da spiegare. Alle volte... è come se avessi un blocco, impossibile da aggirare. Lo scopo di un vero pittore è quello di raccontare qualcosa di sé o di ciò che gli sta intorno, e mi capita di sentirmi... incapace di ritrarlo.»

È la spiegazione migliore che posso dare. Non mi risulta facile il raccontare quell'universo di emozioni che mi investe, ogni volta che mi posiziono di fronte a una tela bianca.

Il suo silenzio si ciba del mio racconto, e così gli lascio il compito di poter rinnegare tutte le opinioni positive che si era fatto su di me.

Per l'incredibile mi sorprende, pronunciando una frase che non mi sarei mai aspettata.

«Se fa un passo indietro di fronte all'arte... allora significa che la rispetta troppo.»

Lo guardo con stupore, permettendogli di continuare a spiegare.

«Inoltre, credo che la sua sincerità le impedisca di fare le cose come vorrebbe. Forse ha paura di quello che potrebbe ritrarre. Forse la mano le trema, mentre afferra quel pennello. La ritrosità, di fronte a una tela bianca, può essere la stessa nei confronti della vita.»

Sedimentano come piccoli semi, queste riflessioni pronunciate con saggezza. Può avere ragione. Non riesco a esserne certa.

La confusione che ho dentro è vittima del medesimo caos.

«Non riesco ancora a risponderle ma giuro che non dormirò sogni tranquilli fin quando non ci riuscirò» prometto. Sembra divertirlo.

«E così scopro che nemmeno le piace arrendersi. Che piacevole novità.»

Il cuore, accarezzato, corre veloce nella propria sfida ai battiti. Mi permette di arrossire e credere fermamente a quello che mi è stato detto.

Con attenzione, poi, lo vedo recuperare qualcosa dalla giacca. Un piccolo volume rettangolare di uno spessore di un centimetro o due.

Mi porge quella piccola confezione regalo, nella sua carta rosso scuro, e la fisso senza capire.

«Tra le cose che sono venuto a scoprire si è palesato anche il suo rifiuto, per qualsiasi forma di guadagno tratto dall'organizzazione di questa sfilata. Mi sono chiesto che cosa spingesse una persona, sprovvista di lavoro, a non accettare ciò che le era dovuto e, ancora una volta, mi sono risposto che fosse solo l'amore per ciò che stava facendo. Può essere confusa quanto vuole, signora Abrich, ma non si allontani troppo da questo mondo dell'arte perché le appartiene, e lei appartiene a lui. Mi permetta quindi di offrirle questo piccolo regalo come ricompensa.»

«A che cosa?»

«All'avermi portato a credere nuovamente, e con fervore, in ciò che faccio per vivere. Avevo perso il rispetto per il mio lavoro. Inconsapevolmente, è riuscita a riportarmelo indietro.»

Non accetterei un simile "grazie" per qualcosa che ho fatto senza secondo fine, e mi impaurisce ciò che potrei trovare dentro questa scatola.

Sulla copertura è presente solo un piccolo fiocco che, nella sua estensione oro, riesce ad avvolgere completamente la rettangolare confezione.
Privo il contenuto di quella prigionia con esitazione, strappando la prima pelle, e scopro così una marca nota e inafferrabile.

Quando sollevo il coperchio della scatola rimango piacevolmente stupita. La bocca mi si spalanca, complice divertita.

«Così potrà segnare i suoi futuri appuntamenti con più precisione» mi beffeggia, con un divertimento non troppo celato, mentre io fisso con commozione la nuova agenda nera, di pelle, che mi ha donato.

È un dono bellissimo e ricorda la goffaggine della prima volta che ci siamo visti. Io che afferro, con molta pressione addosso, il pacco di post-it tenuti fermi dalla spilla arrugginita per poter cercare il suo appuntamento e lui che mi fissa in un silenzio divertito.

Al tempo stesso, però, fa riecheggiare il suo augurio. Desidererebbe che continuassi per la mia strada e non posso prometterglielo. Non del tutto almeno. Pur non impregnando un pennello sono certa, solo adesso, che non mi allontanerò.

L'arte mi ha salvata dalle terre del Donegal. Non lascerò che vaghi sola tra le strade di questa sconosciuta città.

«La ringrazio, veramente molto. È un bellissimo pensiero.»

«Mia moglie ne aveva una identica, gliela regalavo ogni anno.»

«È stato sposato?»

«Sì.»

«E che cosa è successo?»

«Mi ha lasciato, e non posso darle torto per averlo fatto.»

Un lieve silenzio cala tra di noi, fastidioso ma non insopportabile.

«La tradiva?» Domando piano, e ancora una volta quella bocca, viola e rosa, solleva l'angolo destro delle proprie labbra per potermi parlare con gentilezza.

«Un amore non termina con un tradimento. Si può dire, nel caso, che esso sia solo una conseguenza. Per la verità c'è molto altro. Mi dica, arriverebbe mai a mettere da parte la persona che ama?»

Il viso di Michael mi si presenta di fronte, in un primo piano triste che mi toglie il fiato.

«No, mai.»

«Lei ha un cuore molto più puro del mio, o forse tende solamente a illudersi. Io l'ho fatto, sono arrivato a dimenticarmi di lei. La troppa fretta, la superbia ma più di tutto l'ambizione di un'età che mi aveva accecato gli occhi, mi ha portato a dare per scontato il mio amore. Ne arrivai a dimenticare l'importanza, così come ho fatto questi anni per il lavoro che svolgo. Entrambi li ho trattati con superficialità, in momenti diversi della vita, non accorgendomi mai quando avevano bisogno della mia presenza. Ho lasciato loro solo un vuoto.»

«E non potrebbe provare a ricongiungersi a lei? Ha ritrovato la fede nel suo lavoro, forse anche l'amore può avere una seconda possibilità.»

Non riesco a credere che tutto possa essere finito così, per una immatura mancanza, eppure lui non sembra convincermi del contrario.

«È veramente romantica...» commenta, nei miei confronti, ed in effetti lo sono, ma non mi permetto di mollare. Ho rinunciato a tutto, tutto quello che avevo. La mia dignità, quando ho scoperto l'hiv, le mie amicizie, quando me ne sono andata, le mie passioni, non appena mi vedevo costretta ad arginarle, il futuro da cui dipende il mio lavoro, non appena l'orrore di abusi verbali mi aveva portato a tradire il mondo dal quale proveniva. Ho lasciato tutto alle mie spalle ma l'amore... è la sola cosa a cui non ho mai rinunciato. Quella feritoia tramite la quale Michael è riuscito a passare, e non permetto a nessun altro di provare il desiderio di chiuderla.

«Ormai è troppo tardi. È morta.»

A niente e a nessuno... tranne che alla morte. Lei porta via ogni cosa ed è l'ultima mano che può chiudere gli occhi, anche al sentimento più puro.

«Mi dispiace molto.»

«Ormai sono molti anni e non l'ho mai dimenticata. Non si scorda mai qualcosa che non siamo riusciti a portare a termine. Ritengo che non fosse ancora la nostra fine, e che qualcun altro abbia deciso per noi.»

Accarezzo la pelle nera dell'agenda mentre i nostri passi ci spingono verso la fine di questa spiaggia e l'inizio dell'asfalto di strada.

Con la coda dell'occhio noto una piccola lacrima nascere anche nell'angolo dei suoi, poco prima che la sua mano la porti via veloce.

«L'ho annoiata fin troppo, la cerimonia tra poco avrà inizio. Dovevo giusto lasciarle il mio regalo e mi sono perso in chiacchere.»

«Non si preoccupi, mi ha fatto piacere ascoltarla.»

«È fin troppo gentile. Potrebbe veramente essere l'unico angelo, su questo litorale.»

«Si figuri, gli angeli non hanno macchie.»

«Perché, lei ne ha?»

Una insostenibile, sopra il cuore, dentro il sangue.

«Come ha detto, alle volte ho paura a raccontare di me.»

L'uomo senza nome, adesso, mi è dinanzi e mi fissa dritto negli occhi, con serietà.

«Quando mi ha avanzato la richiesta di una domanda... credevo che fosse riferita al mio lavoro, non al nome che porto.»

«Perché ha pensato questo?»

«Non vuole chiedermi niente, Katrina?»

«No... no, non le chiederò niente.»

«Sarei felice di ogni suo tipo di richiesta, non ha che da avanzarla.»

«Non le chiederò alcuna raccomandazione.»

«Per quale motivo?»

«Come immagina, non è nel mio carattere e poi non voglio illuderla, sono veramente ancora confusa sul mio futuro. Baserei l'inizio della nostra collaborazione su una bugia.»

Lentamente, gli vedo recuperare dalla tasca sinistra del cappotto il portafoglio ed estrarre un cartellino. Il simbolo della compagnia ha un che di creativo e artistico, non mi lascia alcun dubbio sull'importanza che può avere nella porzione di questo piccolo mondo.

«È il numero della mia segretaria. Può chiamare a qualsiasi ora del giorno, se mai cambiasse idea, e lasciare il suo nome. In questo modo, ci metterà in contatto.»

«Non posso promettere che lo farò ma... la ringrazio.»

Sembra soddisfatto anche di questa risposta ambigua. Nel frattempo, una leggera musica di accompagnamento, veloce e melodica, da inizio all' evento, lasciando scorrere la fila degli invitati.

«Sembra che stia per iniziare.»

«Dovremmo avvicinarci. Può esserci bisogno di noi» faccio notare, e lo vedo annuire leggermente.
Non appena raggiungiamo la ragazza all'ingresso, noto che si rivolge a lui senza indugio, arrivando a parlargli in un sussurro, in modo che gli invitanti non sentano. Io, però, scopro di esserne in grado.

«Signore, il suo ospite è arrivato, l'ho fatto passare.»

«Ti ringrazio, sei stata molto gentile.»

Lo scambio si conclude con un mezzo sorriso reciproco, qualche passo a mettere distanza ed ecco il mio sguardo confuso, che si interroga sua una simile segretezza.

Pare essere incline a mantenere il proprio riservo, ma poi si lascia andare alle confessioni, rivelandomi la verità.

«Si tratta di mio nipote, l'ho invitato a presenziare alla serata. Non manca mai agli eventi che sponsorizzo.»

«E non gli ha riservato un biglietto. La ragazza all'ingresso è stata mossa a cortesia.»

«A lui non è mai piaciuto accettare i regali, tenta sempre di sdebitarsi, motivo per il quale il suo ingresso è gratuito... ma non come semplice ospite, quanto come fotografo della serata.»

«E questo andrà a nostro beneficio?»

«Ci andrà, soprattutto per quanto la riguarda.»

«Che cosa intende?»

Dovendo camminare tra la calca di ospiti, i nostri passi si sono notevolmente dimezzati, lasciandoci procedere con la stessa tranquillità che caratterizza ogni suo discorso.

«Mio nipote ha molte conoscenze, nel settore dello spettacolo e dell'arte, proprio come me. Non mi stupirei se le sue foto passassero veloci di bocca in bocca. Lei può non gradire la pubblicità ma non si dimentichi l'importanza che possiede.»

«Vedrò di ricordarmelo.»

«Adesso la devo lasciare, le pubbliche relazioni mi chiamano. Ancora una volta complimenti per questa bella riuscita.»

«Ancora una volta, grazie.»

L'uomo dai mille misteri si allontana, destreggiandosi in un approccio di sorrisi e strette di mano che lo conducono fino a un gruppo di quattro persone. Lo osservo da lontano prima che Betty, la stilista della serata, mi affianchi.

«Prevedo un gran successo, e parte del merito è senza dubbio tuo.»

«Ricevo troppi complimenti, questa sera.»

«Li meriti tutti. A questo proposito, ho una richiesta. Voglio che sfili come ultima modella.»

«Di che parli?»

«Solo un po' di trucco sugli occhi e qualche sorriso. Come abito puoi tenere il tuo, se preferisci, ma devi iniziare a farti conoscere. Più di una persona mi ha chiesto di te.»

«Betty, non so se ne sono in grado...» commento con angoscia, ma non vuole che ceda ad alcuna sorta di dubbio.

«Senza discutere! Le ragazze del tuo vecchio istituto ti adorano e anche io. Quindi, recupera il tuo coraggio! Al termine della sfilata percorreremo quella passerella insieme.»

Dal suo discorso non vedo alcuna via d'uscita dunque sono costretta ad annuire.

«Molto bene, ci vediamo dopo allora. Ricordati del trucco!»

Per la seconda volta, in questa serata, vengo abbandonata in questo gruppo di invitati. Appoggiata ad un tavolino bianco, particolarmente alto, a fissare il vuoto riservato a quella passerella.

Pensare che dovrò percorrerla riesce già a trasmettermi angoscia.

Con ancora tra le mani l'agenda che mi è stata donata, scelgo la via più semplice: strappare il cerotto. Raggiungo la mia borsa, lascio il regalo, e mi incammino in direzione dei truccatori. Finisco a sedere su uno sgabello, di fronte a un piccolo specchio, mentre intorno camminano o volano, semi vestite, queste donne angelo.

«Non occorrerà molto, Katrina. Betty mi ha detto di fare delle semplici linee in oro con l'eyeliner, come per le modelle» mi informa la ragazza che mi è affianco, armata già del suo pennello ad inchiostro dorato. Annuisco, arresa, e le lascio fare.

«Katrina?»

Apro gli occhi a quel richiamo e noto una ragazza particolarmente piccola che mi guarda. Ha i capelli corti e pieni di riccioli, neri come la pece, e un viso particolarmente arrotondato ma non infantile. Sembra carina ma non mi pare di conoscerla. In mano ha uno dei vestiti della sfilata e ago e filo nell'altra.

«Sì? Ci conosciamo?»

«Hai promosso tu questa serata?»

Annuisco distrattamente, e la trovo che sorride di colpo, quasi ne fosse sorpresa.

«Scusa, ma...» parto con il dire, pronta ad ammettere di non ricordarmi di lei, quando a un tratto mi anticipa.

«Sono una amica di Michael, mi chiamo Piper. Lavoro con lui a teatro, o meglio... lavoravo.»

Sorpresa della coincidenza mi lascio andare a un sorriso sincero.

«Davvero? Ho sentito molto parlare di te, sei la nipote di Miranda, vero? Felice di conoscerti!»

Le tendo la mano, e l'attimo dopo la vedo posare con fervore le cose su uno dei panchetti qui presenti per potermi ricambiare.

«Anche io ne sono felice. Ti ho intravista per caso alla lezione della Miller, diversi anni fa, per questo mi ricordo di te.»

«Il giorno che Michael ha fatto da modello?» Chiedo ridendo, mentre la truccatrice al mio fianco procede nella sua linea di eyeliner.

«Sì, proprio quel giorno. Il solito esibizionista.»

Sembra conoscerlo bene ma dovevo aspettarmelo. Michael mi ha sempre parlato particolarmente bene di lei e devo ammettere che ero curiosa di conoscerla.

«Perché mi hai detto che "lavoravi"? Non sei più a teatro con lui?»

«Non te l'ha detto?»

Aggrotto le sopracciglia, senza capire.

«Che cosa?»

«Katrina... Michael ha lasciato per sempre il teatro.»

A questa risposta gli occhi mi si spalancano, e non riesco a comprendere bene che cosa voglia dirmi. Michael, ha lasciato il teatro? Per quale motivo? Era la sua passione. Mi avrebbe detto se qualcosa non andava, almeno che...

«Si tratta dell'ultima recita. Non è andata bene, il critico teatrale gli è andato contro.»

Non posso crederci, avrei giurato che sarebbe andato tutto per il meglio mentre invece... ogni cosa è andata tanto storta da far perdere, persino ad un uomo come lui, la passione.

«Che cosa mi stai dicendo, Pip?»

«Hanno parlato, e a quanto pare a Dominic non è piaciuto quello che ha portato in scena. Deve averlo considerato troppo artefatto, non saprei dirtelo. Michael ha discusso al telefono con mia zia, dicendole che mollava tutto. Non so altro.»

Sono passati tre giorni da quella serata, e in casa aveva finto che andasse tutto bene. Non mi ha parlato né mi ha lasciato entrare nei suoi problemi. Avevo capito che qualcosa non andava... ma mi aspettavo che fosse lui a fare la prima mossa, venendomi incontro. 

E, senza dubbio, non mi aspettavo che potesse essere un fatto tanto grave.

«Hai idea di dove sia adesso?»

Scuote il capo, negativamente. «Non ci parliamo da giorni.»

«Con Jeremy sei in contatto?»

«Neanche lui è più tornato a teatro... penso che abbiano litigato, ma non ne sono certa.»

Quante cosa mi ha nascosto, fino ad ora? Più che la rabbia, ad assalirmi, è un'improvvisa tristezza. Perché avrei pensato che, da solo, si decidesse a parlarmene. Perché temo che con Jeremy possa essere successo qualcosa di grave e perché il pensiero di non essere la sua confidente, in momenti simili, mi conduce a una tristezza tale da rubare il buon umore di questa serata.

Ero felice fino a poco fa, per quanto ignara. Pronta a godermi il frutto di questa serata mentre adesso vorrei, invece, solo correre da lui. Ma non posso farlo, perché ho una responsabilità.

«Eccoci, siamo pronti.»

La truccatrice mi libera dalla sua prigionia e mi permette di tornare in direzione degli invitati, con passo incerto. Parte di questo lavoro ha perso il proprio spessore, ma mi sforzo di sorridere, malgrado tutto.

Alcune persone che mi conoscono si congratulano con me per il logo e l'organizzazione, mi stringono la mano, si destreggiano in rassicurazioni per il mio futuro. Tento di stare al loro passo ma nella mia testa rivedo solo il viso di Michael e vorrei che avessimo parlato insieme di questo evento, così saremo stati qui, fianco a fianco.

Al microfono delle voci si alternano, illustrando lo scopo promozionale dell'evento, poi lasciano spazio alla musica, alle modelle che, con le loro ali di carta pesta tinteggiate e il trucco scenico che le paragona ad angeli, avanzano con sicurezza su questa spiaggia, marciando con grinta ed eleganza al tempo stesso.

Lascio che i miei occhi vengano catturati dalla loro bellezza, nonostante la tristezza regni sovrana nei miei e non riesca a trovare pace.

Mi concentro, per un attimo, sull'uomo che mi ha regalato l'agenda pochi attimi fa, prima di tornare ai sorrisi degli invitati e delle altre persone presenti. Al suono dei tacchi delle modelle che poi, a un tratto, vengono sostituiti da lenti click. 

Registro quel suono, e tento di capirne la provenienza, quando lo sento replicare ed una figura spicca sopra le altre.

Dei riccioli biondi si fanno, di colpo, soggetti del mio campo visivo. Appartengono a un ragazzo alto, vestito di un cappotto marrone scuro, mentre la pelle è particolarmente chiara. Le sue dita si mostrano lunghe e sottili mentre premono il pulsante della fotocamera. La stessa che mi sta celando il suo volto, visibile solo per un terzo, data la posa con la quale la sua figura si erge dritta.

I piedi separati e distanti, le gambe tese, il busto appena torto.

«Katrina... è il momento, dobbiamo salire in passerella» mi dice, lunghi istanti dopo, Betty in un orecchio, ed io annuisco e mi lascio guidare.

La sua mano mi esorta fino a un tratto, i suoi passi mi accompagnano fino a metà del percorso... e poi mi lasciano sola, di fronte a un gruppo di persone che si è appositamente alzato in piedi e che ora applaude entusiasta. Nella mia direzione e in quella dei due stilisti che mi hanno affiancata.
Ormai sola, in questa prima linea, sorrido, e mi chino la testa gentilmente, accogliendo questi complimenti che non credo di meritare.

E poi, sollevata la testa, vedo lui.

Michael è in piedi in lontananza ed i suoi occhi sono su di me. Un braccio lungo il fianco e l'altro piegato in modo da far congiungere la sigaretta alle labbra, mostrando la sua sicurezza... e la bellezza data dall'intensità dei suoi occhi.

Il cuore corre veloce per la sua presenza qui, per questa strana sorpresa, e finalmente posso tornare ad essere felice sul serio.

Aspetto che i saluti giungano al termine e che gli applausi scemino prima di allontanarmi da questo gruppo di persone e poter, finalmente, raggiungerlo.

La sabbia si fa terreno favorevole ai miei passi. La nostra vicinanza mi permette di cogliere anche quella tristezza che, con quel suo mezzo sorriso, sembrava volermi nascondere. E solo quando sono a pochi metri da lui velocizzo la mia camminata, tendendo le braccia così da stringerlo, l'attimo dopo, e poter affondare la testa tra la sua spalla e il suo collo.

Mi ricambia subito, stringendomi a sé come se da questo dipendesse tutto, come se non avesse voluto far altro in questi giorni passati assieme al distacco, nella nostra casa. Permetto a questo dialogo silenzioso di procedere nelle proprie battute, finché la curiosità non diviene troppa.

«Come hai saputo dove trovarmi?»

«Pip mi ha scritto un messaggio.»

«Michael...»

«Dobbiamo parlare. Sì, è il momento di farlo.»

Annuisco con fervore, e poco dopo lo sento che mi allontana, per potermi fissare negli occhi prima di prendere la mia mano per permetterci di camminare fianco a fianco, distanti dalla folla e più vicini alle onde del mare.

P.O.V.
Michael

Non ho avuta altra scelta, a seguito del messaggio di Pip. Poco importava l'umore che da giorni veste il mio corpo, poco importava del resto.
Cat stava per partecipare ad un suo evento particolarmente importante, avrei dovuto essere al suo fianco... e così ho fatto, sono arrivato fin qui. Ho seguito la musica, le luci, gli applausi ed ho osservato la sfilata delle modelle. La perfezione di questa serata da lei organizzata.

Ed in un primo momento ho provato rabbia.
Rabbia, perché circondata da questo mondo, sorridente affianco al suo tavolino, Cat sembrava felice e nel giusto contesto che attendeva da tempo il suo ingresso. Soddisfatta e completa, come adesso non mi sento io.

Alla rabbia era sopraggiunta l'invidia. Poi,
la tristezza.

L'ho osservata avvicinarsi a quel palco, preoccupata della possibilità di fare brutta figura, quasi tremante, e mi ero arreso alla bellezza sfoggiata da quella donna forte.
Avevo ceduto alla sua forza e all'improvviso tutta quella specie di rancore che provavo per lei, quella sorta di gelosia nei suoi confronti... di colpo erano scomparsi, notando il suo sguardo triste, nascosto dietro l'approccio di un sorriso.

Non è mai stato facile interpretare quell'espressione ma io la conosco. Capisco il perché della sua nascita, ormai da tempo. Comprendo... di essere nei suoi pensieri, anche in questa sua serata di vittoria.

Niente ci può allontanare, niente. Il nostro amore è più forte e vorrei che non ci fosse nessun'altro adesso. Che fossimo soli, occhi negli occhi, in modo tale da parlare.

Mi aveva accontentato poco dopo, riuscendo a focalizzarsi su di me, stupita e sorpresa del mio arrivo.

Proprio la reazione che speravo di suscitare, penso adesso. Non mi ero mosso di un passo, avevo aspettato che mi raggiungesse, l'avevo stretta al petto... ed ora mi accorgo di quanto sia necessario parlare.

Sì, dobbiamo parlare, e la stringo per mano per riuscire a farlo.

I passi ci portano lontano, vicino a degli scogli che fanno come da limite a questa spiaggia.

La notte governa il nostro incontro, condannando il mare ad essere una presenza inquietante, invisibile e rumorosa, non appena si infrange contro le pietre sulle quali siamo seduti, in attesa.

Capisco che tocchi a me iniziare il discorso e non so bene come altro fare, se non aprendo il mio cuore e la mente, esprimendo ciò che vi sta passando.

«Voglio andarmene, Cat.»

I suoi occhi si spalancano, presi in contropiede, mentre i miei si abbassano verso le sue gambe lasciate scoperte da questo bellissimo abito oro che indossa.

Sotto le luci dei riflettori, con questo trucco addosso, sembrava una visione mistica. I capelli sciolti, le spalle nude, ed il seno enfatizzato dallo scollo a barca.

La mia bella ragazza, la mia gatta sul tetto che scotta, che si prendeva la propria vittoria, pur rimanendo infelice per me, quella parte oscura della sua vita.

«Hai lasciato il teatro» commenta, confermandomi così quanto Piper non sia in grado di tacere su questioni personali.

Annuisco, distratto.

«L'ho fatto.»

«È stato per quel critico, Dominic Lance?»

«Non sono più in grado, Cat. Non è il mio posto, voglio reinventarmi, con te.»

La sua espressione è persa, il vento le scompiglia appena i riccioli mentre i piedi, nudi, sono appoggiati al freddo di questa liscia pietra, contro cui si battono le onde.

Resto a fissarla, tentando di leggerla, e scoprendo di esserne in grado.

«Non lo vuoi anche tu, Cat? Una nuova vita insieme.»

«A cosa stai pensando?»

Sorrido. «A una nuova casa. Ricordi quello che ci siamo promessi? Una casa vicino al mare. Poi stavo immaginando una nuova routine. Un nuovo lavoro, una nuova famiglia... la nostra.»

«Michael...»

«Mi avevi detto che quella porta si era socchiusa» le ricordo, e l'angoscia le bagna per un attimo gli occhi.

«Ricordo cosa ho detto.»

«E ne hai paura, adesso?»

«Michael, non so che fare, mi chiedi di partire. Di lasciare tutto e andarcene, quando avevamo appena iniziato a stabilirci con regolarità.»

Una fitta mi trapassa la mente. Forse gelosia, forse rabbia, forse semplice fastidio nel percepire di non essere fianco a fianco, in questo discorso.

«Vuoi dire... ora che tu hai iniziato a regolarizzarti. Una casa, nuove prospettive di lavoro...»

«Non essere cattivo.»

«La sfilata è andata bene.»

«Tu dici? Perché non sono riuscita a godermela, visto che ero concentrata su di te!»

La bocca mi si storce di lato, in quello che vorrebbe mostrarsi un sorriso ma non lo è affatto.

«Beh, mi dispiace tanto.»

Cat osserva quella smorfia, con orrore e sofferenza, prima di distogliere lo sguardo.

«Smettila.»

«Vuoi guardarmi, Caitilin?»

«No.»

«Vuoi guardarmi negli occhi e dirmi quello che pensi di fare?»

«E tu vuoi dirmi perché hai chiesto a Marina di andarsene, lasciando a me la sua proposta di lavoro?»

La domanda mi prende in contropiede. Non credevo lo sapesse, ma a quanto pare la serpe ha parlato. Dovevo immaginarmelo. Non sa uscire di scena senza i botti di Capodanno.

«Lo sai perché l'ho fatto. Per te. Tu faresti lo stesso?»

«Non è stato bello, Michael. Ed io non lo volevo.»

«Sei triste perché adesso è lontana?» La provoco, cercando lo sguardo che tenta di allontanare sempre di più, ogni volta che si incrocia con il mio.

«Sono triste perché ho scoperto che non siamo in grado di confrontarci. Di parlare, come persone normali.»

«Lo stiamo facendo adesso, no? Cat... si tratta di una cosa importante, ti sto chiedendo di cambiare vita insieme. So che sei disposta a farlo, so che mi ami, quindi che cosa ti trattiene ancora dal dirmi di sì?»

«Non voglio iniziare una nuova vita con dei segreti.»

«Di cosa parli?»

«Perché hai litigato con Jeremy?»

Stavolta tocca a me allontanare lo sguardo. È lei a cercarmi, ma io scappo via da ogni suo giudizio.

«Perché è un'idiota.»

«Michael... la verità.»

«Perché mi ha baciato! D'accordo? Perché è innamorato, e una parte di me lo sapeva da tempo!» Le vomito addosso, girandomi di colpo verso di lei.

Questa azione la spinge a generare piccole e brillanti lacrime, della quale nascita mi pento l'attimo dopo.

«Ti ha baciato?»

«Caitlin...»

«E tu l'hai ricambiato?»

Nell'oscurità di questo buio, mi accorgo che a un tratto le sue mani iniziano a tremare. Fisso quelle brevi scosse, percorso come sono da questi sentimenti incontrollabili e alterni.

Arrivo a coprirle con le mie, per proteggerle. Per cercare di non farle vincere dalla paura, e in qualche modo funziona. Cessano, per alcuni istanti, di rabbrividire di questo vento emozionale, tentando di far fronte alla mia sicurezza.

«Caitlin... io ti amo, mi senti quando te lo dico?, ti amo. Come potevo ricambiarlo?»

«L'attrazione è un'altra cosa.»

«Perché stai pensando a questo? Stavamo parlando di altro.»

«Perché non mi hai mai raccontato cosa è successo con Sebastien. Perché temo che, da un giorno all'altro, tu possa cambiare idea in merito a quello che provi per me. Finiscono anche gli amori più convenzionali, figurarsi quelli vittime di così tante variabili.»

Non mi è difficile comprendere il suo timore. Il capo si china verso la scogliera, e la voce mi rimane intrappolata tra le corde vocali, per lunghi attimi.

«Non voglio ricordare quello che è stato con lui. Non mi sono comportato bene, ho mandato tutto a puttane, e non c'entrava niente che fosse un uomo. Non è importante, Caitlin, non lo è. Non voglio più percorrere gli sbagli di un tempo, per questo voglio allontanarmi da qui. E voglio che lo facciamo insieme.»

Le nostre mani sono rimaste intrecciate. Nonostante i nostri sguardi potessero diventare, di colpo, schivi, quelle non si sono allontanate, simbolo che continua a rimanere sempre presente, per noi, una sorta di speranza.

Fisso il viso di Cat, mentre si asciuga con il dorso della mano delle lacrime per rimanere, quindi, a fissare il confine del mare.

La sua espressione è risoluta, coraggiosa, come pregavo potesse tornare a essere.

«E..? Una casa sulla spiaggia, e poi? Cos'altro avevi detto?»

«Una nuova routine.»

«Credo sia necessaria, se vogliamo re inventarci.»

«Un nuovo lavoro.»

«Hai già pensato a qualcosa?»

Si volta verso di me, chiedendomelo apertamente. Ha capito che non voglio più avere niente a che fare con il teatro ed ora si aspetta la novità, ma non sono in grado di offrirgliela.

«No. Tu... c'è qualcosa che tu voglia fare?»

Scoppia a ridere, in un modo molto triste. «Non hai idea di quanto io sia confusa, adesso.»

«Vuoi smettere di dipingere?»

«Ti sarai accorto anche tu che non c'è più un nuovo quadro, in casa.»

Sì, lo avevo fatto, ma pensavo si trattasse solo di un blocco passeggero, destinato a sgretolarsi.

«Come tu stai pensando che il teatro non faccia più parte della tua vita... temo che la pittura non sia più parte integrante della mia» prosegue, illustrandomi come le nostre vite stiano camminando pari passo.

Lascio che il silenzio collimi i nostri pensieri, ponendo la sua presenza al posto di quella di altre parole, che non sarebbero affatto di conforto, o sufficienti.

«D'accordo, e che altro?» Prosegue nel chiedere, sollevando appena qualche dito dalla stretta della mia mano, per poi rafforzarmeli intorno.

«Una nuova famiglia» sussurro piano, timoroso di questo argomento.

«Vorresti un figlio. Vista la nostra età ed il termine degli studi, per entrambi sarebbe arrivato il momento di averlo.»

«Non lo decide nessuno, spetta solo a noi volerlo.»

«E ne desidereresti uno nostro, Michael? Vorresti vedermi con la pancia grossa della gravidanza?»

Tremo nel dire di sì, e mi accorgo di non essere nemmeno in grado di farlo. Non è importante, però, perché lo comprende da sola.

«Non so se sarò in grado di farlo. Ci sono metodi farmacologici che vietano la trasmissione del virus, con gravidanze assistite e misure terapeutiche ma avrei troppa paura che qualcosa possa andare storto.»

«E l'adozione?»

Sorride. «Credi che la nostra sia un tipo di vita stabile, per poter avere il consenso per l'adozione?»

Non replico, essendo il principale promotore del fermento, all'interno di questa coppia, e riporto ancora una volta il silenzio.

«Forse con il tempo, quando ci saremo sistemati.»

«E del resto che mi dici? Della piccola alla quale dobbiamo fare da padrino e madrina, e tutto il resto?»

«Faremo in modo di esserci, per lei, ogni volta che servirà. Del resto non mi interessa niente.»

L'ho quasi convinta, riesco a vederlo, e dentro di me un moto di speranza mi porta a stringerle con più forza le mani, cercando in quella stretta il conforto che basta per poter essere certo di lei.

«Caitlin... accetterai?»

Con i piedi pericolosamente vicini alla morsa del mare, il vento a scompigliarci leggero i capelli, il freddo di questi massi sotto di noi, la musica lontana della sfilata, la sovrapposizione di voci in lontananza e gli applausi. In tutto questo, siamo vicini, insieme, in un universo parallelo e privato. Soli, a decidere della nostra sorte e del coraggio con il quale ci mettiamo alla prova.

«Non ho una casa. Ho solo una famiglia, Michael, e quella sei tu. Ti seguirei anche in capo al mondo, temo.»

Separo le nostre mani in modo tale che siano solo le mie a circondarle il volto, e intrappolarlo mentre poso la mia bocca sulla sua, con lentezza, in un bacio calmo che ci priva di fiato.

La sua fronte poi si posa contro la mia, i nostri occhi sono chiusi e questo istante si ferma, lasciandoci l'ultimo ricordo della nostra Los Angeles.

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