37- Finzione

P.O.V.
Michael

La vita di un uomo è composta da tre grandi atti: l'incoscienza di sé stessi, la fremente consapevolezza e la calma.
Nei miei trentanni, vivo al centro di questa esperienza. Faccio quotidianamente i conti con l'eccitazione e il senso di nuova scoperta che si contrappone con tutto ciò che ritengo già di conoscere. Si può dire con superbia, o con sincera consapevolezza del proprio essere, che il risultato non cambia.

E non esistono parole per descrivere ciò che sto provando al momento.
Stasera è la grande sera.
Stasera è la sera della recita e da quelle sedute rosse non ci saranno più gli occhi di semplici giurati a valutarmi... ci saranno quel paio di iridi che cambieranno il mio futuro, e lo rivoluzioneranno spingendomi sempre più in alto, verso dove voglio arrivare.
Non c'è niente che si possa vietare a noi stessi.

Sono pronto per questo sfida. Il trucco è completato, i vestiti sono pronti e ogni più piccola rima è dentro la mia testa come un ritornello.
Ogni cosa è come deve essere ed ora quel palco mi aspetta, vuole che gli dimostri quello che sono in grado di fare.

Un uomo dalla regia mi raggiunge, parlando dentro il suo microfono ad archetto con il resto dello staff.

«Michael! Ho fatto quanto mi avevi chiesto.»

«E allora?»

«Non può venire. Sì, insomma, la tua ragazza non può essere presente. Non sono riuscito a capire molto ma era in riunione con dei clienti, appena può mi ha detto che ti raggiunge.»

Da una parte sono infastidito della sua assenza. Dall'altra sento come se dovessi affrontare questo enorme ostacolo da solo.
Traggo un profondo respiro per poter far pace con il mio cervello.

«D'accordo... fa lo stesso, ti ringrazio.»

«Tra pochi minuti apriamo il sipario.»

«Sei riuscito a vedere Pip?»

«Credo che stia finendo di aggiustare il vestito a una delle ballerine, dall'altra parte delle quinte.»

Annuisco e lo congedo con una pacca sulla spalla, prima di andare a raggiungere la mia fedele consigliera, puntualmente con un ago fermato in bocca.

«Capisco che non hai carne, ma se continui a muoverti bucherò qualche tuo osso!»

«Non c'è tempo per questo, tra poco andiamo in scena!»

«Nemmeno nei tuoi sogni ti lascio uscire nuda su quel palco. Questi vestiti sono una mia responsabilità.»

Tossisco appena, per potermi far sentire, ed ecco che questa piccola ed esuberante sarta mi presta la sua attenzione.
Spalanca gli occhi, quasi non credesse alla mia tranquillità.

«D'accordo, te ne puoi andare tu. Forza, sciò, sciò» manda via la ballerina, permettendole di volare alla postazione che le spetta, poi torna a me.

«Come stai?»

«Sono nervoso.»

«La tua ragazza sarà tra la platea?»

«Probabilmente stasera non riesce a venire. Magari a fine serata mi raggiunge...»

«Ahh, festeggerete insieme, eh?»

Mi viene da ridere e non commento, spostando gli occhi su altro per non far tradire la mia superbia.

«Allora, come credi che andrà? Improvviserai le parti che non ricordi?»

«Mi sono imparato tutto, Pip. Tutto chiuso qua dentro», commento con fierezza, picchiettandomi la tempia con furbizia.
Pip solleva il sopracciglio allo stesso modo di Cat, e mi fissa con cinismo.

«D'accordo, grande eroe, vedi di farti valere, tra poco si va in scena. Su, tornatene anche tu al tuo posto.»

Eseguo quell'ordine ridendo e facendo ritorno dall'altro lato delle quinte. Il palco è buio e le luci sono appena soffuse contro lo schermo del sipario. Una tenue musica melodica accompagna l'attesa dell'inizio durante il quale una processione di persone, membri della troupe e nuovi tecnici del suono, mi batte su una spalla un susseguirsi di auguri.
Li ricambio cordiale, battendo in loro risposta la mano, finché non catturo la figura di un ragazzo al mio fianco, con degli abiti di scena fin troppo noti.

«Sostituisci Jeremy?» Domando, e questi annuisce, facendomi notare il suo nervosismo.
Errore molto grave. In questa vasca di squali mai far intendere la realtà.

«Sì, dal momento che non si è più fatto vivo alle prove, Miranda mi ha dato l'incarico.»

«Vuol dire che avremo delle scene insieme. Mi raccomando, presta attenzione. Stasera non posso proprio fare brutta figura» gli confesso, e la cosa lo fa sorridere falsamente.
Non c'è troppo da ridere, è così. Non mi farò rovinare la carriera da un giovane attore appena arrivato.

«Tra pochi minuti si va in scena! Tutti pronti!» Urla un uomo dalla regia, e distrattamente sfioro il corno che Pip mi ha regalato. Poi lo ripongo nuovamente dentro la tasca dei pantaloni e stiro il collo, piegandolo da una parte all'altra.

Il ragazzo al mio fianco non fa niente di scaramantico e mi domando quanto possa conoscere le regole di questo teatro. Sembra fin troppo tranquillo ma non me ne curo. Non appena l'atto va in scena.

Dal mio celato buio, osservo l'arte prendere vita nel legame che lo spettacolo offre tra musiche, scenari, balli ed elogi, recitazioni che rievocano il passato e quel mondo che non siamo riusciti a vivere ma che possiamo riscoprire, tramite trucchi che lo riportano in vita.

Poco dopo arriva il mio momento, e quasi i piedi mi tremano entrando nuovamente a far parte di questa utopia ma poi... tutto si muove in discesa, e le parole vengono lasciate libere di spaziare, la poesia del mio copione prende forma e tutti gli sforzi di questi mesi vengono messi insieme, con un'armonia che mi porta alla tranquillità.

Quando arriva il turno del nuovo arrivato non gli tolgo gli occhi di dosso, tenendo sotto controllo ogni sua mossa.
Devo dire che si sa muovere bene, nonostante l'imbarazzo della prima volta. Riesce a calcare con giusta grinta il palco e non si lascia dominare dal timore, come invece credevo.

Ogni cosa sembra procedere nel verso giusto e quasi vorrei esplodere di gioia quando, ore dopo, il sipario torna a scendere fino a toccare il suolo.
Non posso credere che sia tutto finito, e che le preoccupazioni provate si siano concentrate, unicamente, solo in questa recita, ma credo che per tutto valga così. Le grandi scommesse, i più grossi esami, si concludono nell'arco di un secondo rispetto a quanto tempo hai impiegato per affrontarli.

Ora non mi aspetta che ricevere l'esito, nero su bianco, nell'intestazione di un giornale, rifletto mentre mi inchino, insieme al resto della compagnia, di fronte alla platea, tenendo il mento leggermente sollevato per poter vedere, attraverso l'oscurità, quel paio di occhi di falco che per tutto il tempo erano rimasti ad osservarmi.
Successivamente, tutto si conclude. Le mani si sciolgono, il sipario torna a fare da barriera tra noi ed il pubblico, gli applausi calano e vengono sostituiti dalle grida di giubilo.
Un grosso sorriso mi si forma in viso e non vorrei far altro che urlare via tutta la tensione, in modo che possa abbandonare per sempre il mio corpo.

Febbricitante, cerco quei pochi amici fedeli rimasti in questo mio nascondiglio e chiedo loro opinioni, in modo da macchiarmi di consapevolezza.

«Sei stato grande, Michael! Quando hai trovato il tempo per imparare tutto?»

«Giuro che mi hai messo i brividi!»

«Se quel critico non ti promuove è un pazzo!»

Mi cibo di tutto questo dolce sproloquio quasi che le parole fossero il più prelibato dessert al termine di un pasto. Fiero del conto, della cena e del posto, posso bearmi della vittoria, continuando a stringere tutte le mani che incontro per la via.

Liberato di un'enorme peso, quasi non mi sembra vero.

Uno dei truccatori mi viene incontro, passandomi uno dei panni usati per struccarsi.
Lo ringrazio distrattamente e mi arresto, notando il colore del canovaccio.
Viola.
Il viola, all'interno di un teatro.

Caitlin forse mi ha attaccato la superstizione, ma fin dal Medioevo il viola simboleggia la sfortuna per noi commedianti, ed è un'opprimente presagio che non favorisce le speranze.

«Portate fuori da qui questo straccio!» Urlo, tendendo la stoffa, ed immediatamente uno dei tecnici presenti nelle vicinanze mi viene incontro, togliendomelo dalle mani e portandoselo via.

Non ho bisogno di altra sfortuna, al momento. Voglio tutto quello che un uomo può chiedere.

Mi chiamo Michael Flint, ho trent'anni, una ragazza, un lavoro che amo, un sorriso in viso e la consapevolezza di stare ottenere tre volte tanto. Chi può vantarsi di avere una vita simile? Non baratterei il mio destino con nessun altro ed è fin troppo chiaro: sto per riavere tutto indietro, tutto quello che merito.

Chiudendomi nel mio camerino, è questa la consapevolezza che mi assale. Più nessuna oppressione sulle spalle, niente più motivi per litigare.
Un nuovo inizio. Ecco quello che mi aspetto.

Voglio ottenere una nuova vita, che mi smacchi dalle colpe della passata.

La porta alle mie spalle si apre, per permettere a un uomo sui cinquant'anni di affacciarsi sui miei pensieri intrappolati dentro questo nascondiglio, con stupore.

«Mi spiace, devo aver sbagliato camerino» commenta, fissandomi mentre mantengo il mio sorriso e quella tranquillità che nessuno mi potrà togliere.

«Si figuri, non c'è nessun problema. Cercava qualcuno in particolare?»

«Tenterò di trovarlo da solo, grazie.»

Prova ad allontanarsi, ma prima che possa riuscirci io ho già fatto la mia indagine. Abbigliamento curato, buona acconciatura e occhi particolarmente vispi, che rispecchiano la sua scaltrezza mentale.

«È un giornalista, per caso?»

Eccoli, proprio quelli. Alla mia richiesta si sono sollevati e tradiscono tutta la malizia che poteva passare in secondo piano, rispetto alla sua tranquillità iniziale.
Molto scaltro... fingere, addirittura, di sbagliare stanza per potermi venire a parlare.

«Vuole un'intervista?» Continuo a chiedere, sedendomi con le braccia incrociate mentre mi accendo una sigaretta e torno a fissarlo. Questi, scarica tutto il peso del corpo sulla mano che ancora stringe la maniglia, facendo rimanere l'altra all'interno della tasca.

Il completo sembra di buona fattura. Un tre pezzi blu scuro con tanto di fazzoletto al taschino, di un grigio che rispecchia le sottili linee impresse nella trama dell'abito.

«Dopo che le ho palesemente detto di aver sbagliato stanza?» Chiede, ed io mordicchio il polpastrello del pollice, allontanando dalla bocca la sigaretta.

«Ha visto lo spettacolo?»

«L'ho visto.»

«Allora saprà che sono l'attore principale. Esiste per caso qualcun altro meritevole delle stesse attenzioni?»

Stavolta è lui a sorridere. Non riesco a capire se con sincerità o meno. Forse l'ho forzato, forse è quello che voleva. Poco importa, adesso nessuno dei due ha via di scampo.

«Molto bene allora, se è disposto...» commenta, chiudendosi con lentezza la porta alle spalle.

Seguo ogni più piccola mossa che trasuda sicurezza ed eleganza, e che lo conduce a sedersi proprio di fronte a me, nella medesima posa.

«Non ha un taccuino?» Chiedo, notando la nudità delle sue mani.

«Non si preoccupi, tengo tutto a mente» mi risponde, piegando di nuovo la bocca in quel modo che considero provocatore e odioso.

Piacevole conoscenza. Non mi sarei aspettato niente di meno dal mondo del giornalismo. Un altro patetico damerino pronto a strapparmi dalle vene il sangue, e stavolta sono stato io a offrirmi come tributo. Un'ottima conclusione di serata.
Arrivo sempre a fare le cose più assurde, pur di aspettare Cat.

«Allora, mi dica, ha una prima domanda o devo parlare a ruota libera?» Mi informo.

«È capace di farlo?»

«Molto più di quanto crede. Nel corso degli anni le domande sono sempre state le solite, quindi mi stupirei se ci fosse qualcosa di nuovo.»

«E che cosa le chiedono?»

«Della mia vita privata, principalmente. Del mio passato, del mio amore per il teatro.
I vostri lettori adorano conoscere la vita degli altri, che siano personaggi più o meno in vista. Sono poche le domande legate alla mia recitazione. Piuttosto abbondano sul mio carattere, tanto da chiedermi se sia quello a prevalere, nell'ascesa della mia carriera.»

«Forse perché un simile comportamento si rispecchia anche nel suo modo di fare teatro?»

Sorrido, passandomi la sigaretta sulle labbra. «Un vero attore sa fingere. Tutto.»

Stavolta tocca a lui ridersela, osservandomi con stupore. «Lei pensa questo?»

«Ne sono più che convinto. La mia vita personale non dovrebbe mai rientrare in ciò che faccio.»

«Mai mescolare lavoro e casa...»

«Mai farlo» confermo, aspirando un'avida boccata di nicotina.
Quest'intervista è piuttosto strana, e sembra essere condotta secondo il filo della casualità. Mi domando se non fosse vero che stesse cercando qualche altro attore.
Al momento, nemmeno sembra convinto di quello che sto dicendo.

«Non la pensa come me?»

«Direi piuttosto l'opposto ma non vorrei davvero annoiarla...»

«La prego.»

«Vede, sta tutto nella visione che si può avere del teatro. Ci sono attori che utilizzano la recitazione per nascondere sé stessi ed altri che la usano come un riflesso.
Nel primo caso l'attore riporta semplicemente le battute di un copione con egregia maestria, alle volte capita, ma non fa altro che questo; trasporre la vita di una figura degna di nota.
Il secondo caso, invece, permette la vera immedesimazione, e porta l'attore ad essere un tutt'uno con quanto legge e crede. Tramite questo stratagemma, lo spettatore è spinto a pensare che non esistano interpreti migliori di lui, nessun altro per condurre un simile ruolo, perché occhi e orecchie vengono rapite da una magia incontrollabile e quella, quella, è la vera recitazione.»

«Ed io di che gruppo faccio parte?»

«Lei dove crede di essere?»

Abbasso la testa in direzione del tappeto persiano ai nostri piedi, mentre ragiono attentamente sulla calma, e la freddezza allo stesso tempo, temperate in una perfetta fusione nel corpo di quest'uomo.

«Era vero, quello che ha detto poco fa. Stava cercando un altro attore.»

«Sì, era vero.»

Ora ne sono convinto anche io, e questo vuole dire solo una cosa.

«Che cosa non le è piaciuto della mia interpretazione?»

«Oh, credo che dovrebbe chiederla ad un esperto. Sa, un uomo come lei...»

Ho il sentore che mi stia prendendo in giro. Me lo dicono i suoi occhi. Me lo dice quella bocca piegata in un piccolo ghigno, e non so per quale assurdo motivo io stia chiedendo consigli a un simile sfrontato. Non è un barbaro e non è clemente ma sembra intendersi d'arte e qualcosa di me non gli è piaciuto.
L'orgoglio mi spinge a scoprire di cosa si tratta anche se la testa lo odia, molto prima che possa tornare a parlare.

«Ma lo sto chiedendo a lei...»

«D'accordo, allora, se tanto insiste vuol dire che glielo dirò.»

Si accomoda con più serenità sulla sedia, intrecciando tra loro le dita delle mani posate sulle gambe che sono rimaste accavallate, con una tranquillità che gli invidio, sul serio.

«Sembrava un copione imparato a memoria. Era impersonale, e niente affatto convincente.»

Le sopracciglia mi si sollevano spontaneamente, e con stupore non posso che mostrarmi basito di fronte a simili parole.

«Da che cosa l'ha percepito?»

«Non traspariva alcuna innocenza in lei, dunque non vi era feeling con il personaggio.»

«Innocenza?» Avevo interpretato quel lato del carattere come goffaggine e sbadattezza.

«Da solo non l'ha capito? Era ciò che, in parte, il protagonista richiedeva.»

A una simile affermazione non so come controbattere. Ho impiegato molto tempo a imparare le battute, volevo che fosse tutto perfetto.

Con odio fisso l'uomo che, in poco meno di due soli sproloqui, è riuscito a spogliarmi di tutte le mie certezze.

«E da quel poco che ho visto di lei non sembra nemmeno conoscerlo, un simile lato caratteriale. Le è completamente estraneo. Mi domando come un attore possa definirsi tale se non riesce ad essere sensibile, o empatico, verso tutto ciò che gli sta attorno. Vorrei davvero scoprirlo, ma temo che l'aspetti una lunga serata con altri giornalisti, senza dubbio più in gamba di me.»

Nessun uomo era arrivato a parlarmi così, per una mancanza di coraggio che rende questi trascrittori di informazioni tutti uguali, e una veloce consapevolezza cresce dentro di me.
Tutto questa grinta non può essere nata dal niente. Questa fiamma, che gli vedo ardere negli occhi e che sembra carbonizzarmi, non nasce da un semplice confronto. Sembra volermi dire qualcosa, sembra... comunicarmi una fila immensa di parole, quando il suo portatore incorruttibile inclina il busto per avvicinarsi ancora più a me, e fissarmi in un modo ancora più profondo, pessimo, per quel coraggio che non mi era mai mancato.

«Chi era venuto a trovare?» Domando, allontanando lo sguardo dalla pesantezza del suo.
Seguono lunghi istanti di silenzio, che ingigantiscono la mia umiliazione.

«Thomas Long, la nuova recluta della compagnia. L'ho trovato particolarmente espressivo e sincero. È riuscito a convincermi con molto poco.»

Annuisco, in una risata soffocata, mentre non riesco a credere all'impossibilità di questa scena. Il nuovo arrivato ha dunque già superato l'uomo che stava più in alto di questa patetica piramide.

«Va tutto bene, signor Flint?»

«Si figuri», sussurro, «mi sono sentito dire di peggio.»

Con la coda dell'occhio, rimanendo chino con la testa, vedo la sua attenzione passare lungo tutto il camerino, per poi soffermarsi sulla mia borsa, dalla quale sporge il mio libro.

«È suo?» Domanda, de "il trionfo della morte", ed io annuisco, distrattamente. «Sembra molto consumato.»

«Ce l'ho da tanti anni.»

«L'ho sempre detestato.»

Lo immaginavo.

Il mio interlocutore si alza dalla sua postazione per poter raggiungere con calma la porta, ma ancora una ultima volta la mia voce lo richiama.

«Sta andando dal signor Long?»

«Spero di riuscire a strappare anche a lui una confessione, prima del termine della serata, quindi sì.»

«Sono felice di aver avuto questa conversazione con lei» affermo, non appena la sua mano è tornata ad afferrare la maniglia e il suo corpo mi è rivolto con freddo distacco.

«Dice sul serio?»

«Certamente. Avrei detestato leggere una simile opinione direttamente sulla una rivista», mi esprimo meglio, e nonostante la lontananza alla quale ci permette di essere questa stanza lo intravedo sorridere, forse in una maniera per la prima volta sincera, dall'inizio di questa serata.

Ed eccolo qui, l'uomo elegante vestito di tutto punto nei suoi capelli bianchi, in questo comportamento austero ma affascinante, tanto lontano da qualsiasi pensiero che mi sarei potuto fare su di lui.

«Buona continuo di serata, Dominic Lance.»

Smascherato, ora non ha più scudi con cui ripararsi ma sembra esserne felice.
Detesta la finzione eppure, in qualche modo, la utilizza.

«Buona serata a lei, signor Flint.»

La porta si chiude alle sue spalle, lasciando dentro questa stanza tutto il mio dolore.

La meta di questa tratta mi è ignota, ma la guida non si arresta e, furiosa, mi conduce fino a un piazzale esente dalla gente, sul pietrisco del quale si vede lo skyline della città.

Scendo, sbattendo la portiera, e poi urlo con tutto il fiato che ho in corpo verso questa città.

Dopo sono vuoto, grezzo, un guscio incapace di contenere in sé altro dolore.

Poco prima avevo creduto di aver ottenuto tutto e poi... mi era stato tolto. Ed ora che mi rimane? Niente. Questa è la verità.

Afferro il cellulare con rabbia e compongo il numero della persona richiesta. Mi risponde quasi all'immediato.

«Michael?»

«Sono fuori.»

«Che cosa?!»

«Mollo tutto, Miranda. Lascio il teatro.»

«Che cosa è successo?»

«Lo vuoi sapere davvero? Ho parlato con Dominic Lance, e la nostra chiacchierata non è stata proprio come immaginavo.»

«Non puoi mollare tutto per l'opinione di un solo critico. Sono anni che sei nella compagnia. Non lanciare la tua vita al vento, così.»

Già, sono anni, e che cosa ho ottenuto?
Se anche il più grande dei critici teatrali mi accusa di mettere in scena una finzione, se lo stipendio che ricevo bastava a malapena a pagare l'affitto, se mi sento sporco, adesso, violato anche nel luogo che consideravo più sicuro, che cosa mi resta?
Isaac se ne è andato ed ho solo Caitlin, l'amore della mia vita, la donna per la quale farei di tutto.
Voglio davvero regalarle una vita così?
Piena di questi patetici alti e bassi che mi condannano a urla e pianti?

La mia recita è una finzione, dal momento che la uso per nascondermi, ed io non sono un attore.
Tolto questo che mi rimane?
Un patetico uomo che per anni ha avuto muscoli doloranti per i troppi lavori e la mente sempre troppo arrabbiata,incattivita a causa sua e delle persone che incontrava.

Sembra incredibile pensare che le cose, lì, a quel tempo, sembravano quasi andare meglio di adesso.

«Miranda... non posso farlo. Ricordi cosa mi hai detto, quando ci siamo conosciuti?»

«Che la troupe sarebbe diventata la tua famiglia. Che saresti stato in grado di trarre forza da loro, se avessi creduto nel nostro lavoro.»

«Ho perso quella fiducia, Miranda. In me, in quello che faccio, negli altri. Non è più il mio posto. Voglio ricominciare da zero... vivere una vita diversa per me e Katrina.»

«Stai mentendo, anche se non te ne rendi conto. Sei solo deluso e un giorno te ne pentirai.»

«Non posso saperlo con certezza. Non adesso.»

Un lungo silenzio ne consegue dall'altra parte della cornetta.
Miranda sta ragionando sulle mie parole e, forse proprio come sta capitando a me, nella mente le stanno passando milioni di ricordi,  momenti durante i quali il nostro legame era più forte che mai e la nostra volontà... praticamente indistruttibile.

«È un addio, quindi?»

«È un addio, Miranda» mormoro, accorgendomi di star spingendo ora, io, via una persona importante dal mio cuore.
Niente più Isaac... niente più Miranda.

«Passa domani a ritirare la roba dal tuo camerino, ti lascio l'incasso della serata. Dopo potrai scegliere la vita che vorrai.»

Serro gli occhi, convincendomi che questa possa essere la via migliore per non provare più dolore ma nonostante tutti questi accorgimenti il cuore finisce per intaccarsi lo stesso e so già cosa mi mancherà.
La percezione che avevo del mio teatro, quel luogo per nascondersi, un porto sicuro al quale attraccare.
Da adesso in poi non sarà affatto facile.

Il mare aperto è pieno di insidie ed io ho appena imparato a nuotare.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top