35- Amare l'impossibile

P.O.V.
Michael

Gli occhi non la smettono di correre, impazziti, da una parte all'altra del teatro.
Non trovano pace, e intorno ci sono troppe voci, troppi frastuoni. Vorrei che per un attimo nessuno si muovesse. Che evitasse di ridere con tanta facilità, che smettesse di parlare e scherzare.

Vorrei che nessuno mi guardasse... da sopra questo palco. Dalle fila di poltrone rosse così come dalle quinte.

«Michael, va tutto bene?»

Pip fissa con sconcerto il mio assenteismo, questa vacuità che è impressa nel mio sguardo e si mescola a un senso di inadeguatezza che non provavo da tempo. Non riesco a risponderle mentre la mia attenzione viene rivolta verso due dei ballerini che, facendo stretching, mi raccontano a distanza dei miei sbagli.

«Hai per caso visto Jeremy?»

«No, non si fa vivo da giorni, anche Miranda lo cerca.»

«Credi che abbia lasciato il teatro?»

«È difficile dirlo. Quello è sempre stato un tipo strano.»

Inghiotto, d'un fiato, un calice amaro a base di veleno mentre ascolto questa conversazione, ignorato dagli interlocutori che la portano avanti, con Pip che mi fissa in attesa.

Non ho niente da offrire, a nessuno di loro.
Per questo fuggo via in un attimo, cercando rifugio nel mio camerino.

«Michael!»

Grida alle mie spalle la voce di lei, senza riuscire a raggiungermi.
Devo andarmene via di qui. Cercare di svuotare la mente.

Non ho fatto niente, continuo a ripetermi. Niente di male.

Vorrei che fosse così. Mi pulirebbe la coscienza. Ma la verità che mi racconta la mente è un'altra e non mi permette di fare i conti con il presente.

Devo andarmene.

Tornato solo, chiuso in quattro pareti che mi fanno da gabbia, gli occhi catturando la visione del portone d'emergenza che, fortunatamente, non è collegato all'allarme. Mi precipito verso di lui e l'attimo seguente sono fuori, per strada.
Il sole mi colpisce come il proiettile di un cecchino e l'afa della città mi priva di fiato, senza però impedirmi di correre, d'un tratto, verso una meta nota.

Ho bisogno di risposte e so che esiste solo una persona in grado di offrirmele. Non si è mai sottratto, ed ora ho necessità della sua guida per tornare a respirare.

I piedi calpestano i vari marciapiedi di Los Angeles, passano tra fila di turisti, evitano numerosi gruppi, e sfrecciano al fianco di bancarelle ed insegne pubblicitarie. Percorrono la strada che mi ha permesso di crescere, diventare l'uomo che sono, e si fermano, distrutti, solo dopo aver superato gli ultimi tre gradini che li distanziano dalla loro meta.

La mano si solleva in un pugno chiuso e batte contro la porta del retro cucina.
Nessuna risposta.
Provo ancora una volta... ed è il miagolio di un gatto randagio al mio fianco l'unico suono.
Precipito in una sensazione di panico che mi rende assente ma ancora lucido, quanto basta per sfuggire a questo vicolo buio e tornare sulla strada principale, di fonte all'insegna che, scopro con orrore, sta per essere smontata da due operai.
Poco più in sotto, come un perfetto capo cantiere, Isaac fissa il declino del suo regno e l'addio a questo posto, con le mani poggiate contro i fianchi nella posa dei supereroi, mentre intorno altra gente sta portando avanti e indietro, tra il ristorante e un furgone trasporti, i mobili della sua vecchia proprietà.

«Cosa sta succedendo? Isaac...?»

La sua testa non si volta immediatamente al mio richiamo, quasi avesse percepito la mia presenza alle sue spalle. Quando lo fa, però, mi rivolge un'espressione stanca, alquanto afflitta.

«Ce ne andiamo, Michael. Ci stiamo trasferendo.»

No, non voglio crederlo. Non voglio cedere a questa sfortuna.
Come posso evitare di vivere questo presente?
Il nome del luogo in cui ho lavorato, riso, scherzato e pianto, ormai non svetta più tra gli altri tetti presenti, venendo condannato, invece, al buio del camioncino rimasto in moto. No, non è possibile. Loro non....

«Te lo avrei detto. È stata una decisione presa da tempo.»

Vorrei che l'avesse fatto, perché così, adesso, non mi sentire uno straccio nell'aver confidato tanto in una persona, come non avevo mai fatto fino ad ora. Dandole fiducia, parlandole con sincerità al solo fine di vedermi miserabile come adesso, un vecchio soprammobile rotto che sta per finire dentro il camion dei trasporti.

«Quando? Quando me lo avresti detto?»

Capisco che la risposta possa essere difficile da trovare, per cui in un momento simile dovrei provare rancore, rabbia e odio nei suoi confronti, ma non mi resta che la tristezza e non so come combatterla.
Perché di solito era compito di Isaac scacciarla via.

«Perché te ne vai? Ci sono stati dei problemi?» Continuo a chiedere, per poter aver parole da ripetermi nella mente, in loop, nei giorni futuri.

«Il ristorante non è più quello di una volta, la clientela è cambiata e abbiamo troppa competizione intorno. Abbiamo preferito andarcene. Amo Los Angeles, ma forse non è il posto giusto per me... Potremmo aver fatto uno sbaglio, in passato, a trasferirci qui.»

Serro la bocca, stringendo denti e pugni, e torno a sentirmi il bambino di un tempo, vittima della sua stessa confusione.

«Non mi guardare così, piccolo principe. Si deve pur crescere, un giorno. È tempo che anche io ti lasci.»

Perché? Perché mi devono tutti abbandonare? Perché mia madre è dovuta morire, Isaac mi ha dovuto lasciare e perché il traguardo di un amore onesto, vero, è corso lontano?
Quale è il motivo della mia infelicità?
È dipesa da me? Da altri?

«Michael...» La sua mano si tende per toccarmi una spalla, ma io mi ritraggo di scatto con un fervore negli occhi che non so arginare.

«C'entra lei, non è vero? La donna di cui mi parlavi l'altro giorno, nel tuo ristorante.»

«Cosa? Certo che no.»

«Ma vivrete insieme, no? Hai trovato la tua pace.»

Sorride, in un modo triste, molto brutto.

«Se così fosse non dovresti essere felice per me?»

«Credevo che fossi più forte di così.»

«La forza non è resistenza, Michael. La forza è la resa, ma non si tratta di niente di tutto questo.»

«Credevo che amassi questo posto», commento, spalancando le braccia e sentendomi, stranamente, le lacrime scendere dagli occhi. «Credevo che tenessi a me. Come puoi abbandonare tutto quanto? I tuoi sogni, il tuo passato?»

Terribile.

Le prese di coscienza sono qualcosa di terribile.

Per te, e per chiunque riesca ad averle.

Perché nell'attimo esatto, entrambi, io e Isaac... capiamo che non sto parlando solo della sua storia ma anche della mia. Del pericoloso stallo che sto vivendo, al momento, con il teatro e tutto il resto. 
Ma se l'uomo di una volta al quale rivelavo tutti i miei segreti, un tempo mi avrebbe detto di sederci e bere qualcosa con calma, per discutere, quello di adesso non replica niente e mi fissa a bocca chiusa, quasi in attesa.
Comprende il mio dolore e pare non avere più armi. Nemmeno gli interessa più di me. Un mobile rotto. Un facile e vecchio ricordo.

Che delusione. Lo consideravo un padre, e non quello che ho avuto e mai amato, ma l'uomo perfetto, il mio idolo, la mia roccia, e cosa succede se, in un momento tanto difficile per la mia anima, qualche ladro toglie la pietra angolare dal mio muro pieno di crepe? La caduta del recinto, attorno al mio cuore, quando è da stimare?

Precipiterò a terra molto presto? Faccio pena. Persino a lui, che è smosso dal compianto.
La sua mano si tende ancora, vorrebbe afferrarmi.

«Avanti, Michael, parliamo.»

«Non ho niente da dire! E poi, che te ne importa?»

«Michael...»

«La competizione con il vicinato, la clientela che muta... l'uomo che ho conosciuto si sarebbe fatto beffa di tutti questi problemi e si sarebbe rimboccato le maniche. Tu vuoi solo andartene, e allora fallo. Fallo e non preoccuparti di quello che ti lasci indietro, tanto non è niente di prezioso, no?»

«Adesso sei ridicolo.»

«NO! Sono solo ferito da migliaia di problemi, Isaac!» Urlo sul suo viso, con le mani che appena tremano. Cerco una calma almeno vocale, per poter riprendere a ragionare.

«Venire qui è stato uno sbaglio, adesso me ne vado», sibilo, fissando poi con disgusto il guscio vuoto che è rimasto di questo posto. «Certo... se non fosse stato per il caso... allora forse non avrei nemmeno saputo che te ne stavi andando. Me lo avresti detto, sì, e quando? C'è rimasto almeno un tavolo là dentro?»

«È successo qualcosa a teatro?»

È successo qualcosa a me. Al ricordo del passato che avevo rimosso dal mio cuore, ed ora, a causa sua, mi sento come un pluriomicida incapace a togliersi di dosso il sangue. Non importano i detersivi, le numerose docce o l'assenza di liquido scarlatto, accertata dal riflesso di uno specchio.
L'anima è inevitabilmente dannata.

Ho peccato di una depravazione che, ormai, alberga dentro di me e che non potrà smacchiarsi a sufficienza per essere degna di Caitlin.

Perché non lo avevo pensato prima? Veniamo da due mondi opposti, e lei è troppo. Troppo per me.

«Fai i tuoi bagagli, e non osare tornare», pronuncio a denti stretti, voltandogli le spalle con difficoltà, lottando contro me stesso.

«Non sei cambiato affatto. Sei ancora viziato come un tempo. Le persone che escono dal tuo cuore lo fanno per sempre. Nessuna via di ritorno, nessun perdono. Basta solo un qualcosa che vada contro i tuoi piani e tutta la tua fiducia collassa, come un castello di carta!»

Mi volto, mentre già mi trovo a metà strada. Il suo tono non ha una provocazione nascosta in sé ma solo l'aspro sapore della certezza.
Quale sfacciataggine, mostrare i miei errori al vento così.

«Tutto ciò che dici non ha più importanza, ormai. Vedi di dimenticarlo.»

«E sarà sempre così, Michael? Sarei sempre arrabbiato per qualcosa che non controlli?»

Sempre. Costantemente in lotta con queste emozioni che sono reazioni chimiche, impossibili da intrappolare dentro dei becher.

«Che cos'è questo?» Continua a domandare. «Il tuo modo di dimenticare il passato o quello di non rimanere ferito? A cosa stai rinunciando veramente, Michael?»

Sorrido, dandogli le spalle.

«Sai, su una cosa credo che tu abbia ragione. I tempi cambiano, e anche tu lo hai fatto. Il ristorante non è più un lavoro per te, e credo nemmeno il ruolo di tutore. Dovrai necessariamente reinventarti.»

Non aspetto alcuna risposta, semplicemente me ne vado, lasciando alle spalle l'uomo che mi ha cresciuto e che, come accaduto con tutti i miei affetti, per ultimo, mi ha abbandonato.

P.O.V.
Caitlin

Non vedo l'ora di condividere con Michael questa novità. Il mio nuovo lavoro. Questa fantastica offerta che non posso proprio rifiutare. Ma dove è scappato il mio tenero e appassionato ragazzo? Dove si cela e perché non si fa vedere?

Nascondino mi piace, la provocazione pure e dal momento che i nostri gusti si assomigliano molto credo di aver interpretato in maniera giusta la sua celata richiesta. "Andare dalla montagna".

Non mi intendo molto di motti e tradizioni, le culture mi appassionano, ma l'unica cosa che so dell'Islam ha origine dall'idea della perseveranza.

Sono nelle vesti di un Maometto febbricitante e giovane, felice, mentre corro tra le fila e fila di poltrone, rivestite in tessuto, del teatro nel quale lui si esercita. Qualche attore è sul palco... ma del mio amato Romeo nemmeno l'ombra, dove si è rifugiato?

«Katrina?»

Una voce mi chiama a sé mentre, senza fiato e con le mani poggiate sulle ginocchia, la schiena inflessa, fisso con la testa all'indietro la recitazione che sta prendendo vita, cercando di risalire alla storia messa in scena.

«Sì?» Rispondo al richiamo, voltando la testa quanto basta, e mi vedo Miranda di fronte.
Ha un mezzo sorriso ma non mi convince. Sembra pensierosa e affatto vicina al mio buon umore, tanto da riuscire a mandarlo via, in parte.

«Possiamo parlare?»

«Dove è Michael?»

«È uscito poco fa dal suo camerino, non so per andare dove» mi rivela, ed io, affamata, mi rendo conto presto della carestia delle sue informazioni.

«Allora mi scusi ma non ho tempo, devo andare a cercarlo.»

«Ci vorranno solo alcuni minuti, questione di poco.»

Dovrei desistere e uscire da questo posto. Lo capisco bene... ma la curiosità è sempre stata un mio problema e poi una piccola parte di me è consapevole che Miranda non mi si sarebbe mai rivolta, se solo non fosse importante.

La seguo come una banda di alunni, in fila indiana, segue la schiena della maestra durante una gita scolastica. Non le permetto mai di allontanarsi troppo dai miei occhi, perché questo posto è buio e sembriamo essere dirette verso uno dei soppalchi importanti, raggiungibili solo tramite strette, e celate, scale.

Una postazione alquanto strana ma una volta che l'abbiamo raggiunta mi accorgo, semplicemente, che è una delle poche dalle quali Miranda comanda.
I suoi fogli, e appunti, sono sparsi ovunque in questo piccolo spazio. L'acustica è delle migliori e anche la visione non lascia a desiderare.

Mi domando se, anche dal basso, si possa dire lo stesso di noi.
In fondo, da questo piedistallo in rosso e oro, sentiamo e vediamo tutto. Siamo ricambiate?

«Di cosa vorrebbe parlare?» Chiedo, anche se è una domanda stupida e me ne rendo conto.

«Di Michael. Da alcuni giorni è strano. Prego, accomodati. Ti faccio portare del caffè? Vuoi qualcosa?»

Prendo posto a una delle due sedute presenti, sotto sua gentile offerta, e nell'accomodarmi declino anche ogni sua premura.

«No davvero, grazie, sono apposto così. Che cosa mi stava dicendo riguardo a Michael?»

«Va tutto bene tra di voi?»

La domanda mi raggela.

«Sì, noi... stiamo andando a vivere insieme, non ne sa niente?»

Per lunghi minuti provo un assurdo timore. Temo di essere caduta nella trappola di un amore mal interpretato, vissuto solo dentro la mia testa, perché se così non fosse la sua adottiva madre avrebbe dovuto conoscerne i più infimi particolari mentre non sembra farlo... ma sono solo timori, inutili idiozie.
Michael mi ama, stiamo andando a vivere insieme. È una cosa successa da poco, sicuramente un giorno glielo avrebbe detto.

«No, non ne sapevo niente. Sono molto felice per voi, allora. Temevo che qualcosa fosse andato storto.»

Perché Miranda pensa questo? Dove è Michael?

Mi perdo, per alcuni secondi, dentro ai miei pensieri, prima di tornare a prestarle la giusta attenzione.

«È successo qualcosa?»

«Non nello specifico, si è trattato piuttosto di alcuni segnali. Michael non è stato molto in sé ultimamente ma avrei detto che fosse ansia da prestazione scenica, o qualche altro tipo di timore...»

«Si riferisce al critico che presto verrà a vedere la vostra esibizione, non è vero?»

Sorride, o meglio mostra un piccolo ghigno, mentre si accomoda, in una posa molto elegante e probabilmente più comoda, sulla sua seduta.

«Dominic Lance. Niente di meno», commenta, posando quindi il gomito sul balcone rivestito di tessuto e fissando il palco.
«Un pezzo da novanta nel mondo dello spettacolo. La voce che i giornalisti aspettano di sentire, per poter scrivere opinioni firmate sul giornale. Ogni attore avrebbe timore della sua presenza, persino il più navigato, come Michael.»

«Ha molta fiducia in lui, nonostante ciò, mi sbaglio?»

«L'hai visto recitare, no? L'ultima volta i tuoi occhi erano pieni di pianto. La causa è solo l'amore o c'è dell'altro?»

L'emozione, al ricordo di quell'attimo, torna prepotente nella mia mente e mi fa sorridere per la sua portata.

«No, è molto bravo.»

«Ma ha un limite, però, come tutti» definisce, abbassando la tazza e lasciandola, ormai vuota, sul piccolo tavolino presente tra di noi.

«E sarebbe?»

«Oltre la superbia? L'ossessione per la perfezione, nonostante sia consapevole che nessuno di noi può raggiungerla o può vestirne i panni. Michael cerca, da sempre, sfide più grandi di lui, tesori inestimabili che poi... sente quasi inadeguati, nelle proprie mani. Capita a tutti: desiderare la luna, volerne uno spicchio e poi accorgersi, di improvviso, di aver fatto un grosso danno.
Solitamente la ricerca e la presa di coscienza dell'errore sono accompagnati da momenti specifici della sua vita, per questo mi ero chiesta se fosse accaduto qualcosa.
Vive in un mondo perfetto, Michael, da sé stesso creato in cui non ci sono problemi o difficoltà. Sempre il sole, e la tranquillità dell'acqua che scorre. Un mondo magico che, però, si inclina nel proprio asse se qualcuno si decide a volerlo smuovere.»

«Adesso capisco perché Michael si fida tanto di lei. Sembra conoscerlo molto bene, come una madre.»

«Vorrei farlo, ma quel ragazzo è un mistero e occorreranno ancora molti anni prima che venga del tutto decifrato. Per voi quanti ne sono passati?»

«Stiamo insieme da due.»

«Credo che il cammino per comprendersi possa essere ancora molto lungo, allora, per entrambi.»

Resto in silenzio non avendo la forza di decidere se andarle a favore o contro, restando ferma dentro un disagio evidente.

«Concordo su quanto ha detto del suo carattere ma ritengo anche che non debba puntare troppo in alto, così da non rischiare di fallire.»

Miranda mi sorride, forse in accordo con quanto ho detto.

«Ti ha mai parlato della sua infanzia, Katrina? Del posto da dove viene, del suo passato o della sua famiglia?»

«In parte, sì. Lo ha fatto.»

«Allora capisci bene che il suo bisogno di perfezione non verrà colmato tanto facilmente. Michael punta al cielo, Katrina, punta ad avere tutto ed è testardo, oltre che tenace. Per molti questo è un aspetto positivo ma sbagliano a definirlo tale. Assomiglia a una condanna. Lo rende simile a un topo in gabbia di fronte alle difficoltà, senza vietargli di comprendere che in quella cella ci si è intrappolato da solo, quasi con masochismo. Alle volte credo che voglia punirsi, per essere l'uomo che è, in ambito di sessualità come di mentalità. Altre, invece, credo che la sua mente sia troppo fredda e razionale per farlo. Forse viviamo entrambi in una contraddizione perenne.»

«Che cosa posso fare per aiutarlo?»

«Stargli vicino, semplicemente. Non credo che Michael abbia bisogno di altro. Sentire di aver conquistato uno dei suoi obbiettivi impossibili... può essere sufficiente a calmarlo.»

Le sue parole mi restano dentro mentre, poco più in sotto, la piccola folla riunita di spettatori batte le mani in sincrono al termine della sceneggiatura di prova, chiudendo con un applauso anche la nostra conversazione.

P.O.V.
Michael

Ormai sono immobile da tempo, in attesa di un'ordine che mi dica di avanzare, e affrontare con coraggio questa fredda porta di ingresso che, nel suo mutismo, mi chiude fuori.
Nervoso, carico di ansia, sono drasticamente consapevole di ciò che mi aspetta dall'altra parte: una Catlin che con un solo sguardo sarà in grado di comprendere tutto.
Come potrò fuggire al giudizio del suo sguardo?

Apro il portone di casa e avanzo lungo le stanze a testa bassa, trascinandomi fino alla cucina per prendere un bicchiere d'acqua.
Bevo e mi meraviglio del silenzio. L'attenzione d'un tratto sale e mi permette di passare da una camera all'altra per accorgermi che di lei... non c'è traccia.

Sei ancora al laboratorio?

I polpastrelli digitano veloce la domanda, arrivando a bloccare subito dopo il telefono, presi dal nervosismo.

No, sono andata via.

Stai tornando?

Per la verità sono già a casa ma volevo
prendere una boccata d'aria. Mi raggiungi?

Aggrotto la fronte senza comprendere, poi nella mente si fa largo un'idea e il corpo la mette in pratica con risolutezza e angoscia, certo di aver trovato la soluzione.

Supero la parete finestrata del soggiorno arrivando sul balcone, proseguendo quindi a dritto. Salgo i pochi gradini esterni e ecco che la trovo; seduta, con le ginocchia al petto sul pavimento di questo tetto piano, fissa lo skyline della città nelle sue luci notturne.

Beneficiando, invece, della visione di lei, il rimorso torna a uccidermi, per via di quei capelli, di quel sorriso, di quel corpo che ho venerato e scolpito nella memoria. Di quella serenità che la governa e che sembra l'idillio della terra promessa.

Un uomo onesto si accomoderebbe al suo fianco e le racconterebbe per filo e per segno cosa lo preoccupa ma io non lo sono mai stato.
Per questo motivo non lo farò, per paura, per codardia.
Per il timore che ho di perderla sollevando un argomento non ancora aperto, non ancora chiuso, tra di noi.

Un uomo migliore sentirebbe in sé il diritto di stare al suo fianco, e io non ce l'ho.
E la causa non è uno stupido bacio. Non è Jeremy o quello che ci è capitato, ma è l'uomo che gli anni mi hanno dimostrato che sono e fa paura e rabbia, alle volte. Una rabbia incredibile. 

«Ti siedi vicino a me?» Domanda, voltando la testa quel poco che basta per fissarmi e sorridermi appena, con estrema dolcezza.

Abbasso lo sguardo, stazionando mentre vorrei solo correre via.

«Fa freddo. Rientro in casa.»
Riesco a voltarle la schiena e credere che per oggi, tra noi, la questione possa essere finita, quando la sua voce mi richiama a sé, impedendomi di andare.

«Michael...»

Stavolta gli occhi si chiudono, solo per godere di quella supplica. Come vorrei che tra noi fosse tutto più semplice.

«Siediti al mio fianco. Parliamone.»

«Non c'è niente di cui parlare.»

È il momento giusto per rientrare.
Riesco a fare giusto una fila di passi mentre la sento sollevarsi in piedi, e l'attimo dopo afferrarmi il braccio. Nemmeno esercita forza. Potrei sottrarmi con facilità. Eppure è come se mi avesse afferrato il più forte degli dei pagani, e stesse usando uno dei suoi poteri per convincermi a restare.

«Ti prego, non scappare.»

«Non lo sto facendo» mormoro, per quanto mi renda conto della mia bugia.

«Non sono la sola ad aver notato il tuo comportamento, anche Miranda è preoccupata. Oggi sono passata da teatro. È stata lei a dirmi che sei corso via durante le prove.»

«Avevo bisogno di pensare.»

«A che cosa? Parlamene.»

«Te l'ho detto... non è importante.»

«Perché hai paura di dirmelo? Credi che peggiorerebbe qualcosa tra di noi? Io ti amo, Michael. Non ho mai provato niente di simile. Da quando stiamo insieme sono cambiate molte cose e con loro anche io. Non importa quello che potrai dire, niente modificherà quelli che siamo o quello che provo. Lo capisci, non è vero?»

«Perché stiamo discutendo di questo?»

Regna un enorme silenzio, prima che Caitlin possa trovare il coraggio di continuare.

«Perché adesso sembri quasi non amarmi.»

Le sue parole mi trafiggono, e mentre le sono di spalle, con un braccio teso all'indietro e sorretto dalla sua mano che leggermente trema, mi scopro esente di fiato, con gli occhi spalancati e un dolore che sembra correre come corrente elettrica lungo il nostro contatto.

Un sorta di terremoto le fa oscillare la voce come un pendolo, nel buio di questo crepuscolo.

«Perché imponi difficili distanze quando qualcosa ti fa male. Fuggi all'estero quando il presente si fa troppo opprimente, cercando altrove la bellezza.»

Roma passa nei nostri pensieri, e nel suo manto trascina in se anche tutti i ricordi della nascita del nostro amore.

«Perché non parli, e non sai quanto il tuo silenzio mi possa fare male. Ti ho cercato per giorni mentre la notte non riuscivo nemmeno a sentirti vicino. Dove te ne eri andato?»

«Stavo scappando», confesso.

«Perché?»

Apro leggermente gli occhi, sporgendo la testa all'indietro e sentendo il principio di alcune lacrime mentre il respiro è rotto, e tradisce il mio animo.

«Perché non può funzionare. Siamo troppo diversi, Caitlin.»

«Che cosa provi per me?»

Taccio, non potendolo confessare.

«Mi ami?»

Troppo. Troppo, per questo non la posso ferire.

Il suo corpo si accosta alla mia schiena e la sua voce si fa più vicina al mio orecchio. Il cuore mi batte in tachicardia di fronte a queste emozioni note.

«Se mi ami allora non puoi scappare. Non sono un traguardo irraggiungibile, Michael, e tu non sei sbagliato. Siamo perfetti l'uno per l'altra e ci amiamo. Ti prego, non dimenticartelo.»

Le sue braccia mi stringono da dietro, cullandomi dentro un caldo abbraccio ed è dentro quel conforto che mi sgretolo, che lascio il mio respiro libero di fuggire, rotto, dai polmoni e vibrare nell'aria. Che permetto a una sola lacrima invisibile di solcarmi la guancia mentre fisso anche il cielo e quelle poche stelle che la città ci permette di vedere.

Poi la ricambio. Poso le mie mani sulle sue, e arreso le stringo con forza. Quasi la sento sorridere ed è assurdo quanta pace riesca a trarre dalla sua felicità, perché il merito è mio e di nessun altro.
Ci contagiamo, costantemente, e il vivere separati ci provoca solo dolore.

«Grazie» sussurro, facendo scorrere le nostre mani intrecciate per poterle rendere sempre più vicine, e Cat me lo lascia fare, posando le labbra sulle mie spalle con un piccolo bacio. Il mento, quindi, prende il posto di quel lascito, e la sua bocca si fa vicina al mio orecchio, cullandomi la pelle con il suo respiro.

«Io ci sarò sempre, Michael. Questo tetto è zona neutrale, lo useremo ogni volta che dovremo chiarirci e parlare. Ci stai?»

Annuisco debolmente e volto gli occhi per poterla fissare. Mi perdo in quel celeste, in questa donna che è il cuore che, un tempo, mi era stato stappato dal petto.

«Ogni volta che vorrai.»

La luna ci fissa in compagnia dei suoi astri quando Caitlin si solleva sulle punte e mi bacia, lasciando che le nostre mani si continuino a stringere, dandosi forza, con reciprocità.

P.O.V.
Marina

Mai sono stata brava a orientarmi o a sottostare a delle regole. Mai sono risultata capace di realizzare un mio pensiero d'istinto, con forza e capacità. Ci è voluto del tempo, una grande dose di coraggio e autostima che mi ha pesato sulle spalle come il più temerario dei massi ma ora eccomi qui, di fronte a una scelta.

La carta regalo sui toni del verde e dell'oro si illumina al seguito del passaggio di una vettura esterna, e attira il mio sguardo stanco.
Si tratta del suo regalo, un oggetto come tanti che, però, non ho più voglia di offrirle.
La mente sta pensando ad altro di ben più costoso e difficile da conquistare.

Cosa dovrei fare?

Il telefono si illumina e riporta il nome di mia sorella, assieme alla sua immagine ironica mentre strizza all'obbiettivo un occhio.

Ti aspetto in aeroporto, Mary?

Le mani non riescono a digitare una risposta, ed è la solita me battagliera a bloccarle.
La fragile ragazza che sono dentro queste mura di casa avrebbe presto ceduto il posto e ogni suo diritto, chinando la testa e lasciandosi schiacciare per quanto sapesse che la sua non poteva essere affatto chiamata vita.

Ho lottato tanto per conquistarmi un posto in questa immensa città. Mi sono persa e ritrovata. Ho usato più di un'arma. Più di una frase fredda. Più dell'indifferenza, all'occorrente.
Ho portato avanti le mie passioni e l'ho fatto senza dipendere da altri, con sacrifici e risultati, ed ora... eccoci arrivati alla fine della corsa.
Un aereo, un biglietto di imbarco con la data di domani e un pacco regalo.

Vorrei ridere e al tempo stesso compiangermi. Deprimermi per la sfortuna interna alla mia vita ma è la risata che vince, e di fronte a questa finestra, nel cuore della notte ed unicamente nel mio maglione beige da casa, abbinato a dei calzettoni bianchi, la mia mano corre ad offrire il polso come piedistallo a una testa troppo piena di problemi. Dalla finestra di fronte filtrano le ombre delle foglie degli immensi alberi che sono come sentinelle, per la mia casa e per il vicinato. Creano un gioco di pizzo sulla mia maglia, un ricordo di spensierata allegria dentro un orto botanico, io e Cat insieme con altri otto colleghi, pronti a preparare un'esame importante.

Glielo devo. Lo devo all'amica di un tempo, la sola con la quale non ho mai usato maschere o stratagemmi. Quella sorella acquisita che per molto tempo ha tremato dentro la sua pelle, per intolleranza, rabbia e infelicità, oltre che per un passato che non è riuscito a spezzarla.

Nelle mani ho una tazza di cioccolata calda, della stessa marca che preparavamo insieme e che, la maggior parte delle volte, abbiamo finito per bruciare.

La sorseggio e comprendo il dovere di tornare a scoprirmi il cuore, deporre l'ascia di guerra così da poter fare pace. Perché Katrina, o quale che sia il suo vero nome, merita la felicità. La merita più di chiunque altro. La merita più di me. E questo perché le sue mani e il suo cuore sono rimasti intatti dalle ferite di un'altrui ignoranza.

Forse ho sbagliato fino ad ora, forse ho introdotto tra noi troppo del mio passato, forse è lei ad avere ragione su Michael, su molti altri aspetti dei nostri litigi, sull'arte e sul mondo del lavoro.
Forse non lo sapremo mai ma non posso toglierle il beneficio del dubbio.

Le domande sono il nettare di adulti bambini che non smettono di sognare e l'ingenuità è la loro linfa.
Non posso rubarle quell'oro.
Deve ancora vivere in lei.
Deve sopravvivere, per lei.

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