27- Il critico teatrale
Due anni e mezzo dopo
La luce cambia spesso, nel suo splendore, e non mi riferisco alla costante rotazione solare nel lasso di una giornata.
Cat ritiene che i giorni, i mesi e soprattutto gli anni, portino il sole a mutare nella propria intensità, quasi che subisse un processo di trasformazione, quella sfera luminosa, in grado di farci accedere, come tramite un piccolo tasto, a tutte le fasi della sua crescita. O forse il discorso è ancora più ampio, e la mia ragazza non si riferiva che al fatto di dare le cose per scontato, nel corso del tempo, per poi tornarle a richiederle solo una volta percepita la mancanza.
L'età adulta ci accosta sempre di più si sogni dell'infanzia, allo sperare di riavere indietro un po' di semplicità ed è un'età complicata da affrontare poiché anche la maturità data dalla vita si fa seducente avvenenza da acquisire.
Sì, forse si riferiva a questo lei. Il problema principale è che parla per enigmi e lascia sempre a me il compito di interpretare le cose. Forse, però, è quello che ci si aspetta da un'aspirante artista in procinto di entrare nella famigerata giunga di mostre ed eventi, piena di belve ferocie e di critici pronti a far a pezzi le sue tele di colore.
Spero che il colloquio di oggi le possa andare bene. Da quasi tre anni a questa parte che stiamo insieme la sua arte è mutata molto, articolandosi con colori più sgargianti per quanto mantenessero, mio malgrado, ancora un legame stretto con l'inconscio e quindi con figure del tutto immaginarie.
Riesco ad apprezzare solo i suoi quadri della pittura contemporanea, perché la amo ma non glielo perdono. Ha un talento smisurato per i ritratti, tanto che più volte è riuscita a strapparmene uno, creando una sua privatissima collezione personale di cui è orgogliosa e gelosa.
Voglio che emerga in questo mondo non solo perché è la donna che amo ma perché è un'artista, in tutti i sensi. Sregolata, con la mente sulle nuvole ma con un'apprezzabile riguardo, grazie ai piedi vincolati a terra, per i limiti del mondo reale e le sue costrizioni. Non ho mai visto nessuno in grado di eguagliarla delle sue compagne di corso, a eccezione di Marina. Sfortunatamente, anche la serpe ha del talento, e lo devo riconoscere a denti stretti, per buttare giù il boccone amaro.
Cat merita di essere in vista molto più lei ma per il momento il successo che tanto bramiamo non ha bussato alla sua porta, esortandola a lasciare solo numeri di telefono per dei miseri colloqui, composti da quarti d'ora, che la riportavano a casa con l'umore a terra e una bocca, piegata all'ingiù, da consolare.
Se solo potessi parlare per lei, allora forse li convincerei ma Cat vuole camminare con le sue gambe ed ha severamente vietato ogni mia iniziativa. Mi pare ingiusto, vorrei dire la mia, ma come lei non si intromette nel teatro allora io non ho il compito di intromettermi nella sua carriera lavorativa. Lasciamo ad altri il compito di farci a pezzi.
Così sia, ognuno di noi si assume i propri rischi, come sto facendo io al momento sfidando l'intensità del sole dalla finestra a tutta parete della casa di lei, tenendo stretto tra le mani il copione della mia parte, composto come è da più di cento pagine.
I soldi stanno girando bene a teatro, proporzionalmente al rischio dato dall'interpretazione di personaggi sempre più difficili, ma amo mettermi alla prova. Che vengano pure a me i problemi, so come affrontarvi. O almeno, so a chi tornare, una volta completamente disintegrato.
Il rumore della chiave nella toppa interrompe, proprio in un momento simile, la mia orda di pensieri, spingendomi ad alzarmi in piedi per accoglierla ed eccola qui: almeno dieci tele sotto ogni braccio, un cappotto lungo che simboleggia l'arrivo inevitabile dell'inverno, dei tronchetti che evidenziano i suoi passi stanchi, un paio di affusolati jeans e una maglietta nera, di lana, che manifesta l'umore impresso nel suo sguardo. I capelli, perfettamente acconciati prima di uscire, si sono tramutati in un nido di uccello per quella furia con cui deve aver preso a intrecciarseli, dopo averli leggermente accorciati dal parrucchiere.
«Come è andato il colloquio?»
Per poco non mi uccide con lo sguardo. «Vuoi sul serio parlarne?» Domanda, facendo cadere a terra tutte le sue tele, con stanco abbandono. «Vieni qui, voglio un bacio» si lamenta, ad occhi chiusi e con la testa abbandonata all'indietro, facendomi sorridere per la sua richiesta.
Ho una semplice tuta mentre lei è uno schianto ma non mi sento certo da meno, quando lei esige la mia presenza. Mi faccio avanti senza esitazione, poso le mani attorno al suo viso e l'attiro a me, per un bacio pieno della giusta carica.
Stanotte vorrei fare l'amore, dal momento che i suoi scontrosi vicini, con il loro desiderio di fare due chiacchere ieri notte, ce lo hanno vietato, quindi si può dire che questo sia una specie di biglietto da visita, per un'attrazione che ormai conosce fin troppo bene e che per fortuna ancora non si nega. Potrei uscire pazzo se il suo amore diventasse scostante. Non mi piace perdere alcuna sorta di vizio, quindi vorrei ripristinare il normale circolo delle cose.
Che cosa ne pensa lei?
«Mmh, è un bel bacio questo» commenta, facendomi sorridere, per poi mordicchiarmi le guance e le fossette che sono divenute la sua nuova ossessione.
«Felice che abbia gradito.»
«E non c'è altro?» Mi sorprende nel chiedere. Spalanco gli occhi.
«Che cosa cerca, giovane pittrice?»
«Beh...» la sua mano mi accarezza il torace, scatenando reazioni ancora impossibili da gestire. «Ieri notte siamo stati interrotti, quindi pensavo di...»
Non le permetto nemmeno di continuare. La isso contro il mio corpo, facendola ridere, e con lei a marsupio supero la zona del suo laboratorio, dove svetta il quadro del nostro primo incontro, fino a raggiungere la sua stanza. La lancio sul suo letto, procurandole una risata catartica e finalmente posso fare pace con questa giornata fatta di ripetizioni di versi, e frasi impossibili da ricordare.
«Vediamo se ricordo il punto nel quale ci siamo fermati. Allora, tu eri così...» mi procuro a toglierle il maglione, la maglia e i tacchi, lasciandole addosso i pantaloni. Ieri sera erano pantaloncini di flanella poco ostacolanti ma non mi importa, spariranno presto anche quelli. «Mentre io invece...» proseguo, sfilandomi la tuta, sia nel pezzo di sopra che in quello di sotto, rimanendo in semplici boxer.
«Ottima memoria» commenta lei, squadrando dall'alto in basso il mio corpo e inclinando la testa, per approfondire la conoscenza.
«Vediamo di fare il successivo passo, che ne dici?»
«Sono tutta tua.»
«Un uomo potrebbe abituarsi a una frase simile», la informo, salendo carponi sul letto per poterle sfilare i jeans.
«Abituati pure», mi risponde, sollevando i fianchi affinché possa levarle pantaloni e slip insieme.
È il turno quindi del reggiseno, che lancio alla parte opposta della stanza, lasciandola nuda.
«Pronto a continuare la conoscenza?»
«Me lo chiedi mentre sei nuda, Cat?»
«Dove è il preservativo?»
«Nella primo sportello a destra del comodino.»
Segue le indicazioni, afferrando la quadrata busta argentata e aprendola con la bocca mentre io mi sfilo i boxer, pronto a ricevere la ricompensa per questa agonia.
Sogno da tutto il giorno di tornare a far parte di lei. Non ho nemmeno bisogno di preliminari, per quanto la sua bocca addosso sia diventata, sempre più, uno spettacolo particolarmente gradito.
«Vuoi che te lo metta io?»
«Mmh, accomodati» le copio la battuta, facendola sorridere e avanzare, così da mantenere la sua promessa per poi lasciarmi un bacio in piena bocca.
Le sollevo la gamba, pronto per la mossa successiva quando a un tratto il telefono suona. Mi blocco. È la suoneria del lavoro e anche Cat lo sa. Poso la fronte su di lei, in bilico su di una decisione troppo difficile da prendere ma è lei a farlo per me.
«Avanti, Michael, rispondi.»
Sospiro pesantemente, venendo per la seconda volta privato dell'atto più sincero e bisognoso con la mia donna. Nemmeno guardo il numero che chiama, mi metto seduto alla sponda del letto e mi passo una mano sul viso, rispondendo un debole "pronto" all'interlocutore dall'altra parte.
Ricevo un brivido quando odo la voce di Stephany.
Lavoro un paio di palle, questo è approfittarsi di un errore compiuto in buona fede.
La sua voce squillante si insinua come un tarlo nelle mie orecchie o come un suono troppo acuto che ti continua a rimbombare dentro, nonostante sia passato.
Poco da fare. Ormai ha gettato acqua fredda sui miei bollori, arrivando probabilmente anche all'ascolto di Cat.
«Sì, Stephany, ho capito, ci saremmo. Tra un quarto d'ora siamo giù, promesso.»
Butto giù senza che mi risponda, abbandonandomi all'indietro sul letto dopo essermi tolto il preservativo. Chiudo quindi gli occhi e mi passo nuovamente una mano sul viso, sentendola poi muoversi per arrivare al mio fianco.
«Ha parlato dell'incontro, non è vero?»
«Mi ero completamente dimenticato che avevamo promesso di esserci.»
«È un evento importante...»
«Ma a me non me ne frega un'accidenti.»
«Con Logan sei riuscito a fare pace dall'ultima visita a Montegabbione, è il caso di riallacciare completamente i rapporti, sono passati anni.»
Apro appena gli occhi solo per poterla vedere sollevata sul mio viso, come immaginavo che fosse.
«Quello che volevo era stare a casa con te a fare l'amore» ammetto, suscitando un suo sorriso sincero.
«Hai detto un quarto d'ora, in fondo, no? Ho qualche idea su quello che possiamo fare, e soprattutto quello che ti piace che ti faccia» commenta, scivolando lungo il mio corpo fino ad inginocchiarsi ai piedi del letto, ed io chiudo gli occhi. Pronto a disperdermi dentro la sensazione di un momento che, con lei, vorrei che non finisse mai.
Colori accecanti, poco buongusto e la scelta di un caffè pessimo, per poter parlare con serenità. Ma non critico, Cat mi ha chiesto di non litigare, quindi che sia questa "particolarmente felice" coppia a fare gli onori e portare avanti un discorso.
Il ghiaccio è già stato rotto con una prima avance di Cat in direzione di Stephany, qualche commento sciocco tra ragazze a cui la mia donna non sempre si presta ma ciò che c'è di vero è che i colloqui le hanno insegnato ad approcciarsi particolarmente bene, specie a persone che detesta, tanto che non mi sorprenderei di sentirla invitare Emily per una cena.
Ormai la nostra relazione, protratta negli anni, le ha dato una cementificata solidità in grado di garantirle sicurezza e forza. Ha ispessito il suo carattere, e non potevo augurarmi niente di meglio. La mia Cat sta diventando sempre più bella sotto i miei occhi, sempre più donna ed io sono fiero di lei, ben oltre l'inverosimile.
«Allora, Steph, quale è la bella notizia?» Si spinge ancora a domandare lei, dopo una serie infinita di discorsi che sembravano non avere né capo né coda.
L'intervistata si attorciglia le mani. Il suo compagno idiota, che per tutto il tempo come me non ha emesso parola, adesso sorride divertito, pronto al lancio della bomba che presto sta per essere librata nell'aria.
«Beh, forse ve lo sareste aspettati già ma... abbiamo avuto una figlia, e vorrei che foste voi due i padrini della piccola.»
Spalanco gli occhi, colpito da una simile rivelazione. La pancia dove l'aveva nascosta? Sì, i suoi vestiti sono stati spesso fuori forma ma non avevo notato niente di strano. Cat invece non sembra affatto sorpresa e le sorride, gentile, con una clemenza che non lascia superstiti.
«Siamo molto felici per te, Steph, sul serio. Quando è nata?»
«Pochi mesi fa.»
Effettivamente si notano piccole mutazioni del suo corpo, e come un ispettore, disgustato dal fastidio che gli viene arrecato, seguo le tracce di quel mutamento con ispida razionalità.
Che cosa ci ha chiesto? Di essere i padrini? Entrare in una chiesa, genuflettersi e tutte quelle cose lì? Non sono molto convinto di voler fare un corso accelerato su come educare il figlio, preso in custodia, nei canoni cristiani che Stephany e Logan seguono alla lettera. Dio mi abbia in gloria, per rimanere in tema. Preferisco passare oltre ed evitare questo inutile scherzo.
«Ci penserete?»
«Ma certo», continua a parlare per entrambi lei, e devo dire di invidiare la sua neonata affabilità. «Ci penseremo ma adesso ditemi, che nome le avete dato?»
Lo chiede per semplice gentilezza o è davvero interessata? Cat si è ricreduta per quanto riguarda i figli? Che cosa ne pensa della gravidanza, protetta da tutte le precauzioni del caso? Non ne abbiamo più parlato in questi anni ma io, preso da non so quali pensieri, sono arrivato a fare le mie ricerche e ho scoperto che è possibile. Ci è possibile avere un figlio nostro, e quella affermazione mi ha fatto battere il cuore. È vero, il rischio del contagio esiste ma la medicina ci assiste come il migliore degli dei, quindi se solo volessimo, se solo lo desiderassimo allora noi...
Il pensiero si sfalda nell'intravedere la crepa dietro la maschera di Cat.
Sta fingendo. Osteggia un sorriso irriverente che sono già arrivato a conoscere ed identificare come una specie di bandiera della guerra, nei nostri litigi sempre meno rari.
Se finge vuol dire che ancora non lo desidera, e se ancora non lo desidera allora, forse, sono ancora in tempo per convincerla. Può bastare tenere tra le braccia la fragile corporatura di una neonata? Mi auguro che sia così, per cui è la mia voce a sovrapporsi alla sua, troncando a metà tutti i convenevoli scambi discorsivi.
«Lo faremo» proclamo, sorprendendo tutti attorno a questo tavolo, fuorché me stesso. Logan sembra il più stupito ma forse, in fondo, da me se lo aspettava un atto simile. Come lo classifica, nel suo modo patetico? Da eroe, sì, o da uomo perfetto impossibile da eguagliare. Non mi sono dimenticato delle sue parole, o dei vaneggiamenti suggeriti dall'alcol.
Farebbe meglio a lottare se vuole guadagnarsi di nuovo parte della mia stima. L'azione che sto per compiere non è certo da eroe, manifestandosi per il più meschino ed egoista degli atti. Cat è riuscita ad accorgersene?
La sua testa si è voltata in direzione della mia, con stupore e rabbia, quasi volesse che decidessimo insieme, come era giusto che fosse, ma ormai il dado è tratto. Se pensa di sfuggire per così tanto al tema della maternità allora io, sempre più frequentemente, arriverò a sottoporglielo. Può fare quello che vuole ma voglio che sia decisa mentre nega un qualcosa di così fondamentale ad entrambi.
«Sul serio, Michael? Io... non so cosa dire» commenta estasiata Stephany, e della sua gratitudine non me ne faccio di niente, è Cat che voglio stupire e se qualcuno, un simpatico ubriaco che dirige la mia vita, è all'ascolto allora magari posso riuscire a farcela. Occorrerà forse del tempo, e qualche altro sacrificio.
«E che cosa è che comporta, per la precisione?» Domanda in merito Cat, tornando con lo sguardo sulla neo mamma, in modo da apparire convincente.
«Alcuni incontri con il prete pomeridiani che possono esservi di formazione, poi non dovete fare assolutamente nulla. Siete entrambi battezzati e avete ricevuto qualche sacramento?»
«Comunione e cresima» testimonia a suo favore Cat, sorprendendomi per la formazione cristiana che persino lei è stata portata a seguire.
«Sì» emetto con un sibilo, confermando la sua versione dei fatti anche per quanto possa riguardarmi, sentendo nuovamente il disgusto per discorsi pieni di omofobia da parte del prete.
«Allora è già un grande passo avanti! Vi comunicherò le date degli incontri, così mi direte se possono starvi bene» continua a blaterale Stephany e da questo momento in poi mi dissocio da ogni loro conversazione, tornando mentalmente attivo solo una volta tornati, io e Cat, a varcare la soglia di casa.
«Hai avuto proprio una bella idea. Bravo.»
Il tono che usa è molto ispido ma io decido di farmene gioco.
«Ti ringrazio, avresti fatto lo stesso.»
«Ci pensi che, se dovesse capitare loro qualcosa, quella bambina verrebbe affidata a noi? E non solo per seguire i propositi della fede cristiana. Sei uscito fuori di testa?»
«Non riesci a gestire una bambina piccola?»
«Non la voglio una bambina piccola, non sono in grado di tenerla. Vedi questa situazione! Non ho nemmeno un lavoro stabile e riesco a tirare avanti solo vendendo delle tele che vengono persino svalutate, rispetto al prezzo che ho versato per crearle!»
«Avanti, Cat, respira profondamente» le chiedo di fare, tornando a prenderla tra le braccia nell'ingresso del suo appartamento. «Non è successo niente, è solo un colloquio andato male. Presto avrai il posto che cerchi e andrà tutto per il meglio.»
«Almeno tu hai il tuo teatro che sembra andare a gonfie vele.»
«E alle calcagna ho l'affittuario, che vuole la retta prima della fine del mese.»
«Ecco io...»
La timidezza la porta a interrompersi e un evento del genere mi fa sorridere.
«Tu... Cat?»
«Stavo pensando che, sì, insomma, potremo iniziare a vivere insieme. Che cosa ne pensi?»
Vorrei scoppiare a ridere di gioia. Era da tempo che speravo me lo chiedesse. Come capita sempre tra di noi, però, prevale la voglia del gioco, così con serietà emetto:
«Vuoi provare a vivere con lo stipendio di un attore famoso?»
Sgrana gli occhi, orripilata dalla frase emessa, quasi che potesse in un certo qual modo usarmi realmente come un oggetto da strizzare per fare uscire le monete mensili. Il vero problema è che abbiamo aspettato fin troppo. Prima di questo momento avevamo imparato a correre, a fare tutto velocemente, ma poi ci eravamo frenati, forse a causa della sua precauzione. Sono contento di essere ripartito alla carica.
«Ora ti strozzo sul serio.»
«Non vedevo l'ora che me lo chiedessi.»
«Davvero?»
«Sicuro ma andiamo a vivere da me» faccio finta di mettere le mani avanti, vedendo il suo viso modificato dall'orrore. Sta pensando allo scorrere del treno, lo so, e a quelle poche stanze che fanno di me, a tutti gli effetti, uno scapolo. Credevo si fosse abituata, almeno allo scorrere del treno, per quanto non ci sia paragone tra la mia zona e la sua. Il difetto di questo posto è la lontananza dal teatro, e la presenza di vicini alquanto fastidiosi ma per lei posso fare questa eccezione, se è ciò che desidera.
«Veramente, io...»
«Pensa a ieri sera, ai tuoi cari vicini» le dico desiderando, quantomeno, di far pagare per quel brutto scherzetto che mi ha tirato, rispondendo alla loro voglia di discutere di questioni campate in aria. Inoltre voglio anche scoprire se il fastidio è stato reciproco.
Sembra ricredersi sulle sue intenzioni, in effetti. Forse la voglia di fare insieme l'amore può portarmi alla vittoria di una guerra che nemmeno stavo combattendo.
«In effetti sono dei vicini invadenti.»
«Puoi dirlo forte.»
«Non troppo, perché non credo che i muri siano tanto spessi», se la ride divertita, ed io mi mordo un labbro per l'ironia.
«Mh... allora chissà quante cose avranno sentito. Vorrei strappare le orecchie al bravo maritino, così non si eccita più sentendoti gemere» commento, afferrandole in una mano il sedere e strizzandolo con decisione. Mi appartiene, come ogni parte di lei.
È possibile avere il costante bisogno di dover appagare questa eccitazione?
«A me sta bene tutto, Michael, basta essere insieme.»
«Il tuo appartamento è più grande e con l'insieme dei nostri guadagni possiamo dividercelo. Non ho problemi a trasferirmi qui ma voglio da parte tua la promessa che non darai più tutto quello spazio a quei due sciacalli. Dalla mano possono arrivare a chiederti pure il braccio. Resta nel tuo e facci entrambi felici, che ne pensi?»
«Agli ordini, mio caro attore» sussurra sulla mia bocca, supplicandomi quasi che la baci e lo faccio, intrappolando gentilmente le sue labbra. Il discorso di Stephany sembra quasi essere stato del tutto soppiantato e ne sono felice. Non avrei certo retto un estenuante confronto del genere, alle dodici di mattina.
«Devo andare a teatro...» le commento sulla bocca, addentandole il labbro inferiore.
«Non puoi restare ancora un po'?»
«Cat...»
«Cinque minuti...»
«Non basterebbero, ma ti prometto stasera che non mi staccherò da te. Aspettami stanotte.»
Addolcita dalla richiesta, cede al mio sorriso e lo ricambia, lasciandomi uscire con quella dolce visione da sempre in grado di annullare ogni malessere della giornata.
Torturo il copione mentre faccio avanti e indietro con i passi, quasi punendolo per la sua difficoltà. Il risultato, però, non mi offre alcun tipo di gratifica, e l'arcano rimane arcano, rifuggendo dalla mia mente.
Forse sto davvero invecchiando o ho la mente troppo piena di altri piacevoli ricordi costruiti con Cat, dei problemi riguardo il lavoro ed il mantenimento, milioni di altre cose, per poter continuare a registrare nuove emozioni e incamerarle. Prima era presto fatto: mi occorreva solo rendere tabula rasa tutto ciò che mi accadeva intorno, mettendo da parte lo studio, e concentrare i problemi verso un unico punto così da estrapolare la rabbia o il dolore che detta la teatralità. Questi due elementi non sono scomparsi quanto piuttosto affievoliti dal raggiungimento di una pace interiore che, al momento, fa vivere bene il mio corpo ma non la mia testa.
Non riesco proprio a impararle, queste maledette righe.
«Tutto bene?» Chiede Jeremy, affacciatosi sulla scena a studiare il mio malessere.
Lo fisso, forse con la mia poca volontà d'animo, prima di voltarmi su me stesso per compiere un piccolo giro circolare di passi, in grado di scaricare la tensione fino alla pianta dei piedi.
«Va tutto bene con Katrina?»
«Con lei tutto alla grande, e a te? Con Seima?»
Da pochi mesi, e senza che nessuno di loro due ci dicesse niente, io e Cat abbiamo scoperto che hanno preso a frequentarsi. Ancora la relazione è agli esordi ma se dovessi essere sincero avrei puntato tutto su Odette: ora la nostra piccola sarta tace in un angolo, a fianco di Pip, nel rancore di essersi lasciata andare un tipo simile. C'era da dire che Seima era un rischio da valutare, perché da quel loro primo incontro alla mostra, lo stesso che abbiamo avuto io e Caitlin, qualcosa in lui era cambiato, o quanto meno pareva esserlo.
«Che ne diresti, un giorno, di uscire tutti e quattro a cena insieme? A Cat farebbe molto piacere, e probabilmente anche a Seima» commento, ricordando un mezzo discorso fatto con la prima delle due, sotto le coperte, piacevolmente stupiti della loro relazione.
«Ci penseremo su.»
«Cat è un'ottima cuoca, io non rifiuterei» dico con un mezzo sorriso, ignorando qualsiasi tipo di espressione che ne segue. Fondamentalmente, non mi importa di cosa pensa del mio rapporto con lei e del fatto di essermi allontanato per sempre dall'uomo che ero una volta, anche se noto quanto questo alle volte gli generi stadi di immotivata tristezza e rabbia.
«D'accordo, ci saremo.»
«Perfetto, allora sabato sera a casa di Cat. Ti inoltro l'indirizzo.»
A malapena riesco a intravederlo annuire, assortito come sono nella lettura di queste pagine e maledico Miranda per avermi affidato un compito tanto difficile. È mai possibile? Ho bisogno di un minuto di pura calma e non sono certo che possa essere considerato come solitudine.
«Allora, piccolo principe? Come sta andando la scena?» Isaac sarebbe felice che il suo nomignolo stia andando a ruba dal momento che Pip lo usa come una bandiera patriottica.
«Ho qualche difficoltà.»
«Vuoi una mano?»
«I versi sono tutti in rima, è difficile con l'immedesimazione.»
«Magari non sempre devi del tutto immedesimarti. Riesci a calarti nei panni del protagonista e questo è molto bello ma forse c'è un equilibrio tra recitazione e esecuzione. Non importa che tu interpreti il tuo personaggio in pieno, basterebbe riuscire a trasmettere quanto basta delle sue idee.»
«Non mi viene tanto semplice.»
«Allora prenditi una pausa, stacca un po'. Magari hai bisogno di riposo.»
Sì, forse potrei averne. È una bella giornata, potrei perdermi a girare la città.
«Miranda dove è?»
«Sta parlando con un critico teatrale che assisterà alla prima. Dicono che sia un uomo molto puntiglioso ma ricco di conoscenze, letterarie e umane.»
Seguo con gli occhi la meta che Pip mi sta indicando con un cenno del capo e noto la presenza di un uomo, camuffato dal buio del teatro, dall'aspetto particolarmente curato, il corpo snello, i capelli bianchi e delle movenze quantomeno eleganti. Non riesco a scorgere il suo viso, eppure sono certo che presto lo troverò tra le mie file rosse.
«Come si chiama?»
«Dominic Lance.»
«Dicono che sia una carogna», tiene a precisare un ballerino che passa dietro di noi.
«Non c'è opera teatrale, o attore, che non abbia demolito, ad eccezione di una giovane lirica», commenta un altro, passandoci davanti.
«La sua famiglia è nel mondo dell'arte da molti anni», sento sussurrare da qualcuno.
«È vero, e in campi più disparati», dice un altro.
«Michael non ha niente di cui preoccuparsi», esordisce Ben, improvvisamente tra noi. «Quell'uomo è un tipo capace e non arriverebbe mai a dire niente di male sul tuo conto. Può essere il tuo trampolino. Vedi di giocare bene le tue carte.»
Con disperazione, volgo lo sguardo verso Pip che sembra avere pena del mio nuovo stato emotivo. Ben ci abbandona, tornando dietro le quinte a trafficare con i costumi di scena mentre la mia amica mi posa una mano sulla spalla, in segno di conforto.
«Prenditi qualche ora di pausa, te le meriti.»
I passi conducono verso mete che la mente non si era spinta a proporre. E' incredibile come si possa sempre ritrovare la strada di casa o quanto io sia destinato a tornare, costantemente, di fronte a questo ristorante dal quale ha avuto inizio tutto. Il suo salone a vetri enfatizza l'ingresso presente in facciata, quella porta da un solo battente che ospita il nome del locale, ma nonostante ciò decido di usare l'entrata secondaria, ovvero quella delle cucine.
Non sorprende trovarle vuote, sono a malapena le quattro del pomeriggio, eppure sono certo che il capo della baracca possa trovarsi qui, da qualche parte.
Assottiglio gli occhi, mentre passo tra i ricordi, e l'attimo dopo sono nella stanza interrata e allestita con i tavoli e le tovaglie, dove anni prima ero stato a mangiare con Cat. Niente in questo posto è cambiato. Tutto rimane fermo nella sua mutazione da decenni, come la posa assunta dal cinquantenne ristoratore con la sua barba lunga e la sua sigaretta, sempre tra le labbra.
Con occhi stanchi mi squadra, quasi sapesse, in un giorno simile, di trovarmi qui.
«Ben arrivato, Michael. Prego, accomodati.»
Non me lo faccio ripetere due volte, ed a passi lenti raggiungo la postazione più lontana dalle scale che conducono al piano superiore, nel punto in cui mi aspetta Isaac.
Afferro una sedia, sottraendola alla proiezione ortogonale del tavolo e mi procuro a mettermi di fronte a lui, abbandonando il corpo all'indietro.
«Non prepari i menù della cena?»
«Poca voglia di fare.»
«Siamo in due.»
«Sì, ho sentito. Nuovo critico in città, Dominic Lance.»
Sgrano gli occhi, stupito. «C'è qualcosa che può sfuggire alle tue orecchie?»
«Un tempo è stato cliente assiduo di questo ristorante. Veniva sempre con il nipote e la sua amata finché, una sera, i due litigarono troppo ferocemente, lasciando il piccolo seduto tra di loro in silenzio. La donna se ne andò via nel suo abito beige senza emettere più un fiato, lo ricordo come se fosse ora. Da quel giorno Dominic non è più tornato, questo posto gli stava stretto.»
«Che tipo era?»
«Un uomo molto curato.»
«Più di te?»
Scoppia a ridere, passandosi una mano sulla lunga barba e mettendo in mostra i suoi anelli spessi, oltre che la collana presente poco più sotto, composta da sfere in legno, quasi come fosse un rosario, affinandosi nell'imitazione a V dello scollo della maglia in lino bianca.
«Sono solo un potevo ristoratore, io. Un uomo grezzo che tenta di farsi una cultura tutta sua, però guarda che ragazzo ho tirato su. Tu si che puoi fargli competizione, magari riuscirai persino a tenergli testa.»
«Non riesco a ricordare più le battute.»
«È normale.»
Lo fisso senza capire.
«Cosa è normale?»
«Che il teatro, per te, passi in secondo piano. L'hai sempre visto come una scappatoia ma adesso hai Katrina. Hai trovato l'amore, no? Non cerchi altro.»
Il cuore precipita in caduta libera, sentendosi dire con semplicità questa piccola frase.
«Credi che dovrei rinunciare?»
Scuote la testa in un diniego, per poi far cadere la cenere della sigaretta in un posacenere al suo fianco, con pochi colpi dell'indice.
«No, hai talento, dovresti continuare. Al tempo stesso sii consapevole di questo: non sei più il ragazzino che ha passato la porta di questo ristorante, ormai quasi dieci anni fa. Sei diventato un uomo ed è quello che mi aspettavo da te. Inutile piangersi addosso se una cosa non riesce, vedi di affrontarla.»
«Credo che Cat sia ciò di cui ho bisogno», ragiono a capo chino, riflettendo ancora sulle sue parole di poco fa.
«Allora trai da lei la forza che ti serve.»
«Non si può considerare egoismo?»
«In tutti questi anni non hai capito che l'amore è anche questo? Chi parla di altruismo è un finto moralista. Di certo quella donna in beige aveva ben altri motivi per litigare con Dominic.»
«Lo classificano come uno spietato, che fa a pezzi i testi teatrali.»
«Lo è ma tu ne hai paura?»
«Quanto timore si può avere per una persona?»
«Forse è un uomo fortemente segnato da ciò che ha passato. La mancanza d'amore spinge sempre a incattivirsi, non lo sai?»
«Sembrano le parole di un innamorato...»
«Sì, passano delle donne da questo ristorante ma una su tutte ha attirato il mio sguardo.»
«Come si chiama?»
«Julienne.»
«È francese?»
«Proprio così.»
«Hai sempre odiato le francesi.»
«Noto che cogli l'ironia.»
«La potrò mai conoscere?»
Sospira, lasciando una nebulosa grigia di nicotina. «Occorre del tempo prima che possa presentarle i miei figli» commenta, includendomi tra di loro. La particolarità principale è che io non sono vittima di una scappatella, o di una sveltina contro il furgone dei rifornimenti: lui mi ha cresciuto come il migliore dei padri e sembra quasi non voglia prendersene il completo merito ma è così. Altrimenti non ritornerei mai al suo ovile ogni qual volta mi sento perso. Questo è un dato di fatto.
«Sì, capisco che sia difficile riunirli da ogni parte del mondo.»
Se la ride divertito, perché la sua indole da Don Giovanni lo ha portato ad avere molte relazioni, anche se nessuna duratura, fino ad ora.
«La tua ironia non se ne è andata. Eccezionale.»
«Vuoi una mano con i tavoli?»
«Ricordi ancora come si fa?»
«Puoi giurarci, certi insegnamenti non si scordano.»
«Ed il teatro?»
«Può aspettare. Per il momento ho bisogno di distrarmi un poco.»
Mostra l'accenno di un'espressione dubbiosa, perché come al solito è riuscito a interpretare la mia angoscia, e come da routine finge di non farsene di niente, lasciando correre. Si alza quindi dalla sedia, spegnendo del tutto la sigaretta e lisciandosi, con una mano, la camicia bianca di lino in tinta con i pantaloni, conclusi poi da delle espadrillas, all'apparenza molto comode, che gli donando più un look balneare che di città.
«Fosse mai che ti rendi utile, una buona volta» commenta, facendomi sorridere, e poi nella sua completa calma torna in cucina.
Sono divertito ed emozionato per quello che sto per fare. L'attesa di lei è sempre una piacevole agonia di cui non mi privo, al solo fine di vederla felice. Con una mano, stancamente, mi trovo a muovere il ciuffo di capelli divenuto più lungo sulla fronte, così da scacciare via i pensieri e allontanarli per sempre.
Ho la testa china quando sento i suoi passi, concitati, farsi sempre più vicini, e curioso sollevo il capo, scontrandomi con dei ricci rossi più ricci del solito, una abito beige a maniche lunghe, con sopra una pelliccia bianca, e delle gambe, decorate da calze nere, da paura.
Il colore del vestito, però, mi ricorda il discorso avuto con Isaac riguardo al nuovo critico, e solo per un attimo il mio umore si abbassa.
Occorre solo che lei si mostri stupita, però, della sorpresa che sto per riservare alla nostra serata per riuscire a cancellarmi del tutto il malumore.
Le porgo le chiavi della mia macchina a cui sono appoggiato.
«Ta-dan!» Esclamo a bassa voce, facendo oscillare il mazzo come nei peggiori trucchi di magia.
Mi fissa senza capire per lunghi attimi e poi sgrana gli occhi.
«Non puoi fare sul serio.»
«Mi hai detto di non saper guidare. Quale momento migliore della notte per imparare? Rischi di non ferire nessuno, quanto meno.»
Ho bisogno di scacciare via i brutti pensieri e usare lei è il modo migliore per riuscirci. Gradirei pure un bacio ben assestato ma posso concedermi tutto, con il dovuto tempo.
«Non posso crederci.»
«Avanti, salta su.»
Mi mostra la sua impazienza, una volta alla guida. Inserisce la chiave con un gesto fluido e ascolta subito le mie indicazioni sul freno, sulla frizione e sull'acceleratore. Sembra incamerare tutte le nuove nozioni velocemente, il gesto di staccare il piede con calma dal pedale della frizione quando viene cambiata la marcia in modo tale che la macchina non sobbalzi e tutto il resto. Riesce a stupirmi con un bel risultato di perfetta guida che si protrae per diversi metri. Ancora troppo poco. La macchina di colpo si spegne, quasi avesse tirato il suo ultimo respiro di vita.
«No, non sono capace» commenta subito la rossa, sfidando il volante con una stretta impressionante delle mani.
«Devi solo fare pratica. Avanti, riprova.»
Voglio che acquisisca la sua autonomia e, più di tutti, voglio essere stato io ad avergliela concessa.
Forse è un discorso maschilista del classico uomo che vuole stare al potere, le femministe andrebbero su tutte le furie, eppure è il controllo che pretendo di avere per poter gestire la sua vita, piuttosto che occuparmi della mia. E poi è divertente, assistere alle sue espressioni buffe e ad ogni suo ghigno di fastidio.
Vorrebbe lottare e vincere e, al tempo stesso, quasi arrendersi e scendere dalle vettura. La conosco bene, ed è solo tramite i miei consigli che riesce ad andare avanti. La macchina avanza senza sobbalzi, nera come la notte, fino a una zona particolarmente isolata, fuori dal centro città. Una specie di zona industriale, dove non ho idea di cosa possiamo trovare a quest'ora tarda. Sembra non curarsene ma nella sua distrazione decido di inserire la sicura alla macchina, che non si sa mai. Vive ancora nel mondo delle fiabe, la mia giovane rossa, ed è molto tenero.
«Ce l'ho fatta! Hai visto Michael? Ho imparato a guidare!»
Sorrido con ironia, scorrendo gli occhi lungo la sua figura. «Complimenti, molto brava. Ora devi solo imparare a rispettare i sensi di marcia e i cartelli stradali, e sarai una guidatrice provetta.»
Mi fulmina con gli occhi e decide di non lasciarsi scappare il mio rimprovero.
«È mai possibile che tu non perda mai occasione di prendermi in giro?»
«Sei tenera quando ti arrabbi.»
«Oh, vuoi la tenerezza? Aspetta, che ora ti massacro.»
Lo facesse pure, sono pronto a tutto. A una distruzione completa quanto parziale, non è importante, basta che serva a farmi dimenticare, anche solo per pochi istanti.
Nei graffi di una finta protesta, Cat finisce a sedersi sopra di me, nel sedile del passeggero. Mi squadra con occhi caldi e con un respiro accorciato dalla concitazione che l'ha fatta muovere nella mia direzione.
Resto stregato da quella bocca che mi accoglie nel suo respiro caldo, e poi mi perdo nei suoi occhi, più cristallini del mare.
«Va tutto bene, Michael?»
Annuisco leggermente, sollevando le mani in modo tale da scontrarmi con il profilo del suo corpo, accarezzandole le curve.
Dolcemente mi ricambia, partendo dal mio viso mentre mi tiene stretto tra le sue gambe, e mi guarda per tutto il tempo negli occhi quasi tentasse di decrifrarmi.
«C'è qualcosa che ti preoccupa.»
«È solo riguardo al teatro.»
«Niente su noi due?»
Sorrido della sua preoccupazione, non riuscendo a credere al genere di pensieri che la sua mente ha coltivato.
«Andare a vivere insieme è un passo importante» prosegue, abbassando gli occhi, senza però smettere di accarezzarmi. «Lo capirei, insomma, se tu non ne fossi ancora pienamente convinto.»
«Cat, lo voglio fare. Voglio vivere con te e lasciare pure un patetico buongiorno, sul pianerottolo, ai tuoi vicini.»
«Li hai presi proprio in odio» commenta divertita posando la sua fronte contro la mia e strusciando il suo naso al mio.
«Puoi giurarci. Sai che bello sarebbe l'andare a vivere da soli, lontano da tutto?»
«Le ville disponibili costano molto, e quelle con un prezzo più accessibile sono lontani chilometri dalla città, in una di quelle periferie decadenti e piene di ladri.»
«Non mi farebbe paura niente.»
«È vero, provieni da posti del genere.»
«Allora che ne pensi?»
Lascia cadere la testa all'indietro, in una risata piena di ironia che quasi non riesce a credere a quello che le sto chiedendo. Nel frattempo rimane su di me, lasciandomi ancora attraversare da scosse elettriche.
«Di cosa? Abbiamo a malapena i soldi per l'affitto!»
«Ma ti piacerebbe, non è vero? Una bella casa vicino al mare.»
Sorride ora, dimenticandosi l'ironia. «Si, Michael, mi piacerebbe.»
«Con una spiaggia che ricorda Recanati e con uno spazio tutto tuo, per poter dipingere i tuoi quadri.»
«È un sogno, vedi di tornare alla realtà.»
«Nemmeno quella mi dispiace più di tanto. Ho la donna che amo a cavalcioni su di me, in un parcheggio isolato.»
«Che idee ti stai facendo?»
«Mi sembra che ci fosse uno spettacolo lasciato in sospeso, tra di noi» commento, avvicinandomi alle sue labbra per lasciarle un dolce bacio, particolarmente lento.
«Vuoi farlo qui?»
«Quanto sei affezionata a queste calze?»
«Nemmeno un poco.»
«Ottimo.»
Sono le prime a venire rovinate dalla mia furia e poi non occorre niente per tornare ad essere tutt'uno.
Chiudo gli occhi mentre la pioggia inizia a cadere dal cielo e scorrere lungo i vetri del nostro abitacolo. Le luci dei lampioni si fanno sfumate macchie circolari, prive di una forma sensata quando il calore dei nostri respiri si scontra con il freddo invernale dell'esterno e crea condensa sui vetri. Nuvole dei nostri sospiri mentre tentiamo di essere sempre più vicini. Affondato nel suo corpo, ho il ventre teso per poterla raggiungere fino in fondo mentre lei, già distrutta dal piacere, sembra combattere contro i brividi che precedono la passione.
Il preservativo è ancora tra di noi come una barriera impossibile da battere ma io fingo di non dargli alcun peso, perché quello che amo, più delle reazioni generate nel mio corpo, è dividere questo momento con lei. Non vorrei nessun altro, nessun'altra, se non Cat ancora tra le braccia, mentre tenta di non dichiararsi vinta e, con tutte le sue forze, si aggrappa al mio poggiatesta per avere maggiore spinta. Dall'alto, i suoi occhi macchiati di piacere si soffermano nei miei, incastrandosi in una posa eterna, mentre i corpi rispondono alla reciproca eccitazione con movimenti sempre più frementi, concitati nel voler arrivare alla fine e perdersi per sempre.
Intrappolerei questo attimo. Congelerei... l'istante esatto in cui Cat getta la testa all'indietro, cadendo nel vortice di un orgasmo che mi coinvolge.
Fermerei tutto, il tempo, gli anni, i pensieri, lasciando solo cadere questa pioggia che sta spazzando via ogni cosa, ripulendo il mondo e creando un ritmo di ticchettio sui nostri cuori esausti.
Minaccia dello scorrere dei minuti e, oltre a questo, evidenziazione della purificazione di questo attimo condiviso e reso perfetto. Dal tempo atmosferico così come dal nostro umore, oltre che dalla serie di parole non dette che non è stato necessario pronunciare.
Perché gli amanti riescono a interpretarsi persino nei reciproci silenzi.
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