25- I segreti; figli delle paure, schiavi delle speranze
Sono divenuto vittima di una dipendenza. Mai prima d'ora avevo provato quanto difficile fosse l'allontanamento da un peccato tanto lascivo da essere bisognoso di attenzione, rispetto, amore, eppure adesso lo conosco e credo quasi di non essere stato mai del tutto vivo, prima di questo momento.
Le sue cosce divaricate di fronte a me e la sua testa, sporta all'indietro, mi mostrano il segno della sua fragilità. Del suo modo spropositato di amare mentre la voce è racchiusa nel suo piccolo e delicato collo teso, malvagia prigione dalla quale vorrei che provasse a evadere, quando al contempo i suoi seni, rotondi e perfetti, si lasciano guidare dal ritmo feroce delle mie spinte. Le braccia abbandonate strette oltre la testa, nel tentativo di afferrare il lenzuolo, resistono ai miei attacchi con un approccio troppo flebile. Le mie, invece, sotto le sue gambe, le permettono di appoggiarsi a entrambi gli avambracci, in modo da sostenerla. Le sue spalle premute contro il materasso a scaricare il peso del corpo incurvato, la bocca... spalancata e rossa quanto le sue gote, mentre geme senza ritegno una supplica involontaria. Non ho alcun tipo di pietà da riservarle, e girandola di scatto, sotto sopra, glielo dimostro.
Il mio corpo sprofonda nel suo e non c'è alcuna consolazione in un atto del genere. Quello che cerco non mi basta, mi lascia disidratato a rincorrere l'insoddisfazione di una richiesta che non si può arginare, nonostante la supplichi.
I lampi di luce che vedono i miei occhi chiusi, il tremore delle mie mani, il sudore lungo il tutto il busto non sono niente. L'orgasmo che provo, sprofondando ancora di più in lei e stringendomela al petto, non è niente o quanto meno non è abbastanza, perché occorre solo che il suo viso si volti un poco, in direzione del mio, per farmi velocizzare il ritmo del cuore.
Quando esco, Cat limita la visione della sua sofferenza data dalla mia mancanza, lasciando che sia io solo a preservare il ricordo della sua lussuria, ancora inappagata. Tendo la mano verso il suo sesso, una volta privatolo del mio, e con una protesta noto il suo tentativo inutile di allontanarsi, perché il corpo, esposto alla sofferenza causata dalla mia fretta, adesso pare quasi non volermi più accettare, come se fosse troppo il peso a cui resistere.
Non riesco ad accettarlo. Le mie dita tornano in lei che, con un lamento, finisce per accettarle.
«Dimmelo di nuovo, Cat» sussurro al suo orecchio, percependo il seguente tremore e la stretta della sua mano che si rafforza, quasi fosse un guanto, attorno alla mia.
«No...»
«Perché no?» La sfido a parlare, arrivando con il medio a colpire la parete anteriore della vagina. Cat mugola, quasi le parole l'avessero abbandonata per sempre ma io ho bisogno che ripeta solo una piccola frase. Una minuscola, e fondamentale, frase.
Non vuole offrirmi nuovamente un simile regalo. Mi costringe a testare ancora di più i suoi limiti, voltandola su di un fianco in modo che la sua schiena risulti contro il mio petto e la sua testa sporta verso la mia. Adesso ho di nuovo la visione dei suoi occhi oltre che della mia mano, persa tra le sue gambe.
«Dimmelo ancora...»
Il suo intramontabile sorriso. La sua nuova sfida.
«No.»
Dura così poco la sua grinta. Le palpebre le si chiudono nuovamente quando si abbandona alla reazione di un corpo che ho imparato a conoscere e che coinvolge anche me, in una richiesta inespressa, prima che quell'onda calda e anonima, infrantasi poco prima in lei, torni a colpirla con l'alta marea. E prima che tutto sparisca intorno a noi, prima che questa sensazione celestiale di appagamento termini, riprendo il mio posto dentro di lei in modo da completare un cerchio reso simili all'infinito, a causa della nostra brama. L'amore si fonde all'agonia, la vita alla morte e non ci sono più confini di alcun tipo. Il mondo ha ripristinato il proprio asse e una dolce agonia regna sul silenzio. Il dolore dei muscoli e l'esigenza di due cuori, che ancora non hanno imparato a bastarsi.
«Di nuovo.»
In una valle completamente coperta dalla neve un pover'uomo si perse, smarrendo per sempre la strada di casa. Non ricordava più da dove potesse prendere origine qualsiasi suo tipo di pensiero perché il limbo, ormai, lo aveva costretto a camminare per sempre, passo dopo passo, nelle sue logore scarpe scolorite dall'età. In questi polpastrelli che, al momento, marciano sulla pelle di lei, appena scoperta, quasi stessero perlustrando un territorio alla conquista. Di che cosa? L'eremita, ormai, non lo sa più, perché la terra lo ha privato del respiro. Di quella specie di libero arbitrio che ancora gli faceva credere di non essere tanto succube, del mondo così come di lei, e adesso è troppo tardi. La neve lo ha imprigionato in una trappola eterna. In una gabbia da cui non è più certo di volere fuggire.
«A che cosa stai pensando?» Sussurra la voce di Cat mentre mi è stesa affianco ed i miei occhi la guardano. La mia mano non si arresta, continuando a percorrerle il ventre e disegnando una spirale infinita di sentimenti intrigati, pelle d'oca, raffigurativa di quello che sento.
«A noi», le rispondo con sincerità, mentre rimango posato su di un fianco, con la testa sorretta da un palmo.
Lei non replica niente. Semplicemente arriva a farsi più vicina, imitando le mie carezze. Gli occhi si chiudono involontari alla percezione del suo primo tocco, quasi volessero donarmi spontaneamente la cecità affinché possa godere appieno di ogni suo tipo di tortura, dolce quanto battagliera.
Prima le guance, le tempie, le labbra. Poi il collo, le clavicole, il petto. Le lascio fare ciò che vuole prima di passare il braccio attorno alla sua vita e accostarmela, quindi, addosso, tornando a essere pelle contro pelle.
Il mio naso si seppellisce tra i suoi capelli così da carpirne il profumo mentre la mano è ormai posata sulla sua schiena nuda. Candida, e perfetta, neve. Se solo non fosse per...
Le palpebre si serrano alla percezione di quel dolore. Le sopracciglia si incrinano in una smorfia di fastidio ma è il cuore a subire il più violento fato. Non vorrei davvero pensare al momento in cui delle gocce di peccaminoso sangue hanno bagnato la sua terra perfetta e ammarolato le radici, nascoste al di sotto del suolo. Quella caduta, il principio di qualcosa con cui si è trovata a fare i conti. E che ha affrontato da sola. Da sola.
Impossibilitato a sorreggere lo sguardo che, sento, mi sta dedicando rifuggo via da ogni sua innocenza. Perché Cat ha l'animo sensuale di una donna, che si offre senza limiti alla mia brama, e la dolcezza di una bambina fragile, ancora troppo innocente per un uomo come me mentre viene osservato dai suoi occhi cristallini. Da un mondo che ancora le risulta perfetto.
Le mie labbra si scontrano con il suo ventre e lo viziano con una fila di baci, risalendo lungo il seno mentre una mia mano le sfiora le costole. Molti brividi l'attraversano mostrandomi la sua reattività, o le conseguenze di un piacere provato, costringendo il mio sguardo a soffermarsi su quella specie di terremoto. Il capezzolo teso del suo seno si staglia nella semioscurità della stanza, illuminata solo da quella piccola luce calda che era stata accesa nella richiesta disperata di scoprirsi anche con gli occhi, oltre che con i sensi. Grazie a lei, riesco a non perdermi la reazione del corpo di Cat a queste piccole carezze, delle mie mani così come della mia bocca quando torna a depositarsi su di lei.
L'agonia a cui la costringo è solo il riflesso della mia sofferenza nell'essere stato privato di un segreto tanto importante e Cat la accetta. Non riesce più ad allontanarsi da me così come io non riesco a farlo da lei.
«Voglio sapere tutto di te, ogni cosa», mormoro in un respiro che si scontra con il suo seno destro. «Che cosa ti piace? Come fai di solito l'amore?» Una sua mano si intreccia ai miei capelli e la sua bocca emette un gemito, molto lieve.
Lo ricambio con un piccolo bacio, molto vicino al suo ombelico nonostante abbia notato la sua reazione, involontaria, di irrigidimento. Chiudo gli occhi mentre la fitta di dolore rigira la sua lama nel mio petto.
«Voglio che impari a fidarti di me. Voglio che non ci sia più alcun tipo di segreto tra di noi.» La richiesta, disperata, di un simile approccio prende le sue origini dall'idea nata fin dal bar sulla costa di ieri; la percezione di aver trovato, finalmente, l'amore che cercavo e che non voglio certo più abbandonare.
«Come sei riuscita a vivere, per tutto questo tempo da sola, celando un passato del genere? Come?»
Le sue dita rafforzano la presa sulla mia cute, intensificando il bisogno che ho di lei e dei suoi occhi. Torno a loro, riaprendole le gambe per farmi nuovamente spazio, vittima incapace di arginare le intenzioni del mio corpo mentre torna nel suo.
«Dio... è così bello, non trovi?» Mormoro ad occhi chiusi, dando voce alle sensazioni.
Dai capelli, con le mani, scivola fino alla mia schiena e mi circonda con le sue fragili braccia, stringendosi a me in un modo tanto sincero da lasciarmi senza fiato. La sua bocca mi cerca e la lingua comanda il nostro bacio. Al contempo le sue gambe si intrecciano ai miei fianchi attirandomi, ancora di più, a far parte di lei.
«Cat, ti piace?»
«Da morire.»
«Cat... ti hanno mai detto che sei bellissima? Hai un corpo così pallido... incredibilmente morbido...»
«Neanche tu sei tanto male, mio caro attore.»
«No?» Sorrido.
«No.»
«Fa piacere saperlo.»
«Come se non ne fossi già a conoscenza.»
«Detto da te è tutt'altra cosa.»
«E perché mai?»
«Perché ha un valore.»
Tace, rimanendo in silenzio quasi dovesse assimilare la mia frase mentre io godo della morbidezza del corpo che ormai ha imparato ad accogliermi, tenendomi dentro di sé nel più intimo dei contatti.
«Ci rimarrei in eterno» mi sfugge di dire, e la frase sembra riscuoterla. Scoppia a ridere, arrivando ad accarezzarmi con entrambe le mani il viso.
«Accomodati pure.»
«Non è più nemmeno uno sfogo ma quasi...»
Non trovo le parole per esprimerlo ma per fortuna io e lei siamo sempre stati sulla stessa cresta dell'onda.
«... un bisogno.»
Stavolta tocca a me tacere ma non passa molto prima che torni a sussurrare contro le sue labbra.
«Cerco sempre, come un disperato, qualsiasi tipo di intimità con te.»
«Più di così?»
«Molto più di così.»
«Che cosa cerchi ancora, occhi belli?»
Sorrido nel percepire il suo rinnovato tono di sfida, per cui con i palmi torno a metterla alla prova, accarezzandole il profilo del corpo da entrambe le parti mentre la mia testa sprofonda nel cuscino, accanto alla sua. La mia voce è il grillo parlante che le sussurra all'orecchio. Le mie mani le onde del mare che le si avviluppano intorno.
«Partecipazione... desiderio...», parto con il dire, avvertendola incurvarsi con la schiena a causa delle mie carezze. «Complicità... divertimento», le addento il labbro inferiore con un morso inaspettato e leggero che la porta a ridere, e sorridere me. «Amore» confesso, occhi negli occhi, perdendomi. «Di qualsiasi genere esso sia.»
«Chiarisci la questione "genere".»
Scoppio a ridere, posando la mia guancia contro la sua perché non resisto alla vista del suo sguardo impertinente. «Puoi amarmi come vuoi.»
«Mh.»
«Facendo molto rumore, poco rumore...», inizio a prenderla in giro, curvando i fianchi perché si ricordi di starmi ancora ospitando dentro. «Gemendo parecchio o poco...» continuo, stavolta piantandomi nei suoi occhi e tocca a lei, a questo turno, sorridere e allontanare lo sguardo, segnando la mia vincita. «Non mi sei sembrata tanto silenziosa» le sussurro all'orecchio, scendendo con la bocca poi per morderle il collo.
«Nemmeno a me è sembrato che ti dispiacesse.»
«E chi ha detto questo?» Fronteggiandomi, torna al mio sguardo con un'espressione truce che viene accolta dalla mia, molto più tenera. «Non riesco ad allontanarmi di un passo da te, Cat. La questione è piuttosto evidente.»
«Quindi posso amarti come voglio...»
«Mh mh.»
«Lo stesso non si può dire che valga per te. Tu devi amarmi in modo monogamo ed esclusivo.»
«Ma che preoccupazioni ti fai?»
«Non voglio più alcun tipo di battute da parte di Emily, o di Stephany per quello che importa.»
«Sei gelosa, Cat?»
«La gelosia è per gli insicuri.»
«Ti fa male immaginarmi dentro di loro?»
Uno schiaffo si assesta contro il mio torace destro e una rabbia, incontrollabile, le serpeggia negli occhi. Fortuna che la gelosia fosse un'emozione da deboli.
«Non essere tanto arrabbiata, non ti avevo ancora conosciuta», la rimbecco, appesantendo la sua colpa. «Con te non c'è davvero paragone.»
Tento di baciarla, ma arrabbiata fugge da me prima che riesca ad afferrarla per il mento, e costringerla al mio sguardo.
«Non fuggire perché mi fa incazzare.»
«Sapessi quanto riesci a farlo tu con me.»
«Provi rabbia?»
«All'infinito.»
«Non dovresti. È da deboli, non è vero?» Amo da morire fare la guerra con lei, anche se la cosa migliore è fare pace. Strofino leggero il mio naso contro il suo, chiudendo le palpebre di fronte a ricordi dolorosi. «Anche se ci vuole una forza estenuante per preservarla.»
«Sei solo tu che la fai nascere.»
«Tengo solo testa alle tue provocazioni, però è vero che con loro non è mai stato così.»
Afferro a piene mani i suoi fianchi, affinché si muovano quanto basta da mandarmi su di giri. Stanco, non sono nemmeno più pienamente eccitato ma esiste sempre un filo sottile di tensione che ancora ci unisce e che è in grado di dar vita a scintille elettriche. Sembra quasi incredibile come il mio corpo non sappia rinunciare a lei. Come la mia mente nemmeno tenti di farlo.
«Mi sembra di aver già trovato tutto ciò che cercavo», confesso, più a me stesso che a lei per poi riaprire gli occhi e obbligarla, con una sola mossa, a incurvarsi ulteriormente, con un risultato particolarmente sexy, per tornare sopra di me come poco fa.
Stringo leggermente, in un palmo, il suo collo mentre Cat chiude gli occhi in maniera lenta, gustandosi con leggeri movimenti del bacino il nostro contatto. Poi la mia mano si apre e scivola sul solco dei suoi seni, lungo lo stomaco, giù verso l'ombelico fino a depositarsi sul suo monte di Venere e cercare quindi le sue labbra, nel punto in cui siamo uniti. Osservo la sua risposta al mio stimolo e l'abbandono che mi dedica riesce a sconvolgermi e desiderare di avere molto di più della sua resa. Muovo appena i fianchi per godere nuovamente di lei e del suo respiro, come una carezza addosso. Manifesto l'impazienza e il ritorno dell'ardore graffiandole con le unghie la schiena, portandola a gridare per un affondo troppo profondo, ed ecco che diveniamo una concatenazione di emozioni, difficili da sopportare ma facili da adorare.
«Non vuoi proprio alzarti da questo letto» commenta Cat in un sorriso, addolcendo il rimprovero del suo sguardo.
«Da adesso in poi non fuggirai più, ne sei consapevole?»
«Michael?»
«Sì?»
«Non si può fuggire... se nemmeno si tenta di scappare.»
Sorrido, divertito da un tale pensiero, e sporgendomi in avanti la bacio.
«Credo che abbiamo finito le riserve di vino.»
Scivolo con gli occhi lungo il suo corpo parzialmente nudo e coperto da un lenzuolo, rimanendo stregato dalla perfezione di quelle pieghe porpora contro la sua pelle.
«Nemmeno nello scaffale più in basso?»
Solleva il suo solito sopracciglio da streghetta, fulminandomi con uno sguardo divertito.
«Vuoi che mi chini, non è vero?»
«Per la verità vorrei che quel lenzuolo sparisse. A che ti serve?»
Prendendo dal frigo una delle sue bevande piene di zuccheri, torna a lenti passi verso di me, appollaiato su questo divano senza, ovviamente, niente addosso. Lo sguardo le cade palesemente sui miei addominali e forse verso qualche centimetro più in sotto, eppure niente le vieta di pronunciare la sua difesa.
«A vedere sempre la stessa torta ci si stanca di mangiarla.»
Paleso l'indifferenza che provo, nei confronti delle sue parole, e poi controbatto.
«Non l'ho nemmeno assaggiata la torta.»
Eh sì. Il riferimento è al sesso orale e lo coglie, sventolando la sua sconfitta.
«Questa è una bella risposta. Bravo.»
È un buon segno che inizi a scherzarci sopra. Forse possiamo fare grandi passi avanti, restando insieme, come arginare il sentimento di inferiorità che prova, nei confronti di tutto e tutti. Primo passo: far sparire il lenzuolo. Fatto. Ora è nuovamente nuda mentre mi è seduta accanto ed io mi avvicino, al fine di accarezzarla.
«Credo che sia arrivato il momento di parlare. Non pensi anche tu?»
«Puoi chiedermi quello che vuoi.»
Risulta difficile iniziare a farlo. Non ingigantire una questione tanto delicata che però non mi provoca alcun fastidio, a confronto di ciò che è costretta a patire lei, per le sue mancanze caratteriali e per le intellettive di altri.
«Quel giorno al laboratorio, quando ti sei tagliata ed io stavo per mettere in bocca il tuo sangue...»
«Ho rischiato un piccolo infarto, lo confesso.»
«Devi prestare molta attenzione a tutto, non è vero? A te stessa ma anche agli altri.»
«Il mio lavoro di pittrice mi consente di passare molto tempo da sola e di esprimermi, senza particolari rischi. Ho sempre amato cucinare ma stare nel retro di un ristorante, con la frenesia degli ordini intorno e i coltelli, non è la cosa migliore da augurarsi. Rischio di fare del male, accidentalmente, a qualcuno e non è ciò che voglio.»
«Chi altri lo sa, oltre a me e Marina?»
«L'uomo della saliva di cui ti raccontavo», sorride tristemente, a quel ricordo patetico, «e la mia famiglia.»
«Per questo sei voluta fuggire da loro? Non riuscivano ad accettarlo?»
«Ritenevano che la colpa fosse mia e della mia "libertà". Per me la sessualità non è mai stata un tabù, e sono stata una tra le prime ragazze del nostro paese a parlarne con spigliatezza grazie anche ai miei studi che la raffiguravano come arte, o un momento eccelso. Per quanto non la conoscessi, sapevo che era fondamentale in ogni tipo di amore, e questa mia predisposizione all'accettazione mi hanno fatto passare come una ragazza di facili costumi, pronta a concedersi a qualsiasi situazione e uomo. Era nel pensiero di tutti. Nelle persone della mia stessa età e nei miei familiari.»
«È una cosa ridicola.»
«Potrebbero avere avuto ragione su qualcosa.»
«No, Cat. È ridicola e basta.»
I suoi occhi dolci sembrano inteneriti dalla mia presa di posizione, e di nuovo sognanti come un tempo.
«Questo mi ha portata a chiudermi un poco, quanto basta a non essere più la ragazza di prima.»
Sfioro le sue labbra dolci con la punta delle dita, e poi le intrappolo appena per passarvi al di sopra il pollice.
«Mi farebbe piacere riavere quella vecchia irlandese, per casa.»
«Hai una ragazza completamente nuda alla tua mercé, non ti basta?»
«Magari posso avere entrambe. Che mi dici di quello sfogo alla gamba?»
Richiamata l'attenzione su quella sua specie di ferita, Cat vi passa al di sopra le mani, impaurita della mia possibile reazione. «Ti dà fastidio?»
«Perché dovrebbe?»
«Ce l'ho da tempo, non riesce ad andarmi via. Ho un tipo di pelle affatto d'accordo a far andare scomparire le cicatrici.»
«Di cosa si tratta?»
«Marina ha un modo tutto suo, italiano, di chiamarlo. Dice che è "Il fuoco di Sant'Antonio", una forma di herpes che manifesta la possibile presenza della malattia, insieme a una serie di altri piacevoli dolori come febbre, fitte muscolari, brividi, gola infiammata e ghiandole gonfie. Ho avuto tutto questo e molto altro, un piacevole regalo.»
«E di solito appare sulle gambe?»
«Non unicamente, per la verità può venire fuori ovunque ma quella è una zona particolarmente colpita.»
«Ti ha fatto male?»
«Si è trascinato avanti per dei mesi. Non voleva saperne di andarsene, nonostante le medicine e le varie cure. Alle volte succede.»
«E il resto?»
«Una passeggiata. Mi sono trascinata avanti come uno straccio per settimane, nella mia vecchia casa.»
«È assurdo che nessuno sia stato dalla tua parte.»
«Alle volte chi ti vuole bene non sempre è disposto a difenderti. Più si è vicino a qualcuno più lo si dà per scontato.»
Una simile riflessione riesce a colpirmi in un punto particolarmente fragile dentro il mio cuore, ferendomi al pensiero di poter incappare sempre nel solito errore, con furioso rimpianto.
«Non dovresti più aver paura di niente, Cat. Io sarò sempre dalla tua parte e l'unico modo che hai di contagiarmi è con un rapporto sessuale non sicuro ma abbiamo sempre usato il preservativo, o con la trasfusione di sangue.»
«Con lo scambio di siringhe, nel caso avessi una propensione per le droghe o i tatuaggi, e con la gravidanza. Ecco come posso trasmettere la malattia, e in nessun altro modo.»
La mia mente si sofferma sulla parola "gravidanza", formulando un pensiero che ancora non aveva preso le sue forme, nella mia mente.
«Vuoi dire che non avrai mai dei figli tuoi?» Mio malgrado la voce si arrochisce un poco, nel domandarlo.
«Non voglio rischiare di contagiare nessuno, Michael, tantomeno mio figlio.»
Abbasso gli occhi decidendo, al contempo, di lasciare cadere l'argomento. Può esistere l'adozione, in fin dei conti, eppure è decisamente troppo presto per fare dei programmi. L'immagine però di lei, con il pancione dato dalla maternità, si dissolve lentamente dalla mia testa, sostituita dalla speranza che un giorno possa ricredersi.
Forse esistono metodi per evitare la trasmissione. Forse l'età che indossa non la spinge ancora alla deriva di certi pensieri e forse molto altro, milioni di pensieri che a momento lampeggiano come luci di insegne a neon nella mia mente, a volermi dire che un figlio è un impegno fin troppo importante ma cos'altro mi rimarrebbe? Il teatro, quindi solo il mio lavoro, e l'amore che provo per lei... potrei farmi carico di un figlio, ho ventisei anni e non sono più uno scanzonato privo di affetti. Cat può essere la mia nuova famiglia. Io ho bisogno di lei per costruirmi un futuro pieno dell'amore che abbiamo l'uno per l'altra. Non ci poteva essere persona più perfetta, e complicata, di lei.
«Ti sei incupito.»
«È una tua scelta, ed è troppo presto per parlarne.»
«Per te quanto è importante?»
«Non lo so, Cat, non ne ho idea. Ma mi piace che tu mi abbia già incuso nel tuo futuro.»
Gli occhi le si abbassano, intimiditi. «Scusami, io... sto correndo troppo.»
«No, Cat. Non lo stai facendo.»
La mia mano, ancora sul suo viso, si destreggia in una carezza sincera, al fine di rassicurarla.
«È solo che... non ho mai vissuto niente del genere. Ho sempre vissuto nella paura.»
«Non mi è difficile crederlo.»
«Mentre tu sembri aver accettato tutto fin con troppa facilità.»
«Questo perché so di cosa sto parlando. La sieropositività dell'hiv non è aids, quindi è una malattia pericolosa ma da tenere sotto controllo. Il tuo corpo deve riuscire a preservare il tuo sistema immunitario affinché non venga del tutto danneggiato e passi al successivo stadio, e da lì a una condizione seria. Può spingere alla morte, quest'ultima, se non curata, e si parla nel caso di aids. Eppure esistono test, cure per fare in modo che l'eventuale virus non si propaghi.»
«Sei informato.»
«Mi piace saperle, le cose.» E poi il rapporto con altri uomini rende anche inevitabile una simile presa di conoscenza. Forse anche Cat può immaginarlo ma fortuna vuole che non sollevi l'argomento, assieme a tutte le sue preoccupazioni, in una giornata simile che già ne possiede di proprie.
«Sai pure dei dati?»
«Non sono uno studente tanto puntiglioso.»
«Non si direbbe, da un centodieci e lode. Io invece li conosco. La matematica mi è sempre piaciuta e i numeri mi hanno dato da tempo conforto, con la loro esattezza. So per certo, infatti, che lo 0,8% di adulti tra i 15 e i 49 anni, a livello globale, è contagiato dal virus, che la Nigeria è il paese più colpito e che, ad oggi, in Irlanda i casi sono saliti del 3,3%, con tanto di divieto, per i gay, di donare sangue. Non pensi che sia assurdo, tutto questo?»
«Più che assurdo. La paura fa fare cose insensate.»
«Pure a te?»
«Specie a me.»
«Vuoi sapere cosa realmente non ha un senso? Ho sentito assurdità di ogni tipo.»
«Avanti, parla.»
«La possibile trasmissione del contagio per la puntura di un insetto. La gente su Internet ci crede! Per un insetto, ma io dico, è mai possibile?»
Sorrido della sua espressione buffa, con una voglia irresistibile di abbracciarla mentre la mente genere l'immagine di lei, stesa a letto con il pc davanti, pronta a gettare al vento imprecazioni verso sconosciuti commentatori seriali.
«Povera la zanzara.»
«Ritengono anche la piscina, come un luogo di rischio. Mi avresti mai invitata a entrare nelle Cascate se lo avessi saputo?»
«Se tu me lo avessi detto, e non fossi entrata, ti ci avrei trascinato con forza nell'acqua» commento, sbilanciandomi in avanti per ottenere un altro suo leggero bacio, e faccio i conti con il suo sorriso, appena accennato.
«Ho avuto timore del niente.»
«Come ho detto, la paura fa sbagliare.»
«Quando hai sbagliato?»
«L'ho fatto spesso, e con molte persone. Isaac compreso ma lui sapeva gestirmi. Un altro capo mi avrebbe fatto perdere il lavoro nel giro di un solo turno mentre lui è stato più un amico, che un datore. È l'uomo migliore che abbiamo mai incontrato, sono felice che tu l'abbia conosciuto.»
«Anche Logan ha reagito in modo irrazionale.»
Sospiro con sufficienza, tentato di scaricare la tensione che il suo ricordo comporta. «Sì, lo ha fatto ma almeno ci ha permesso di venire qui, a Recanati.»
Posa la sua testa contro il palmo sollevato della mano, mentre il gomito affonda nella testata del divano creando delle pieghe che rievocano quelle del vecchio lenzuolo, ormai abbandonato a terra. La mente recupera la percezione della sua nudità e dell'impertinenza con cui mi fissa, in una femminilità consapevole del mio sguardo addosso.
«Ho come l'impressione che non visiteremo niente della città.»
«Restano tre giorni, Cat. Che cosa vuoi vedere?» La prendo in giro, dal momento che siamo consapevoli entrambi di quanto il materasso di quel letto, al piano di sopra, ci richiami a sé al pari del canto di una sirena. Di quanto sia ospitale quel tavolo alto della cucina o anche solo questo divano, con lei nuda al di sopra.
«Il mare mi piace molto», commenta mentre mi avvicino.
«Ma lo abbiamo visitato ieri», faccio notare, ormai a un passo dalla sua bocca. Cat segue con gli occhi la mia, divertita da questo dolce gioco di seduzione.
«Allora il centro città.»
«Un posto desolato e pieno di sole. Il tuo scrittore, a quanto pare, era un tipo monotono che si perdeva a fissare le siepi, lamentandosi della pressione esercitata dal padre.»
«Non lamentarti di quella poesia! È bellissima e ha molta musicalità, nonostante ne abbia letto solo la traduzione.»
«Un giorno l'italiano te lo insegno.»
«Non ci tengo a imparare le parolacce in un'altra lingua.»
«E le frasi sporche?»
«Michael!»
Rido di lei, sfiorandole un seno e conducendola quindi a una serietà che è una sorta di domanda, successivamente postami.
«Che cosa vuoi fare?»
«E tu, giovane itinerante?»
«Beh...»
Le sue guance si arrossano ed io scoppio a ridere, vedendo una simile ingenuità palesata in maniera tanto esposta.
«Beh io sono stanco, mi hai sfinito quindi che ne pensi di un'altra attività?»
«Vuoi fare punto croce?»
«Che ne dici di preparare da mangiare, piuttosto?»
Non sa perdere, ed è un comportamento fin troppo infantile il lottare, spudoratamente, per averla vinta contro regole che sono state già scritte.
I giochi da tavolo si susseguono l'uno dopo l'altro, generando moti continui del suo fervore che si conclude con un ennesimo:
«Stai imbrogliando! Mi prendi in giro!»
Ma non lo stava facendo affatto per cui è arrivato il tempo di recuperare la mia ricompensa.
Arresa alla stanchezza, la sua testa si capovolge all'indietro, oltre il confine del tavolo con un sospiro caldo. Esausto da questo nostro ultimo carnale confronto, esco da lei venendo scosso da un terremoto di brividi, e compiendo un passo indietro mi appoggio, con i fianchi, allo sportello a sinistra del forno, sfilandomi il condom di dosso. Senza fiato e forze mi trascino fino al cestino, buttandolo dopo averlo chiuso in un nodo, e torno fino a lei, posando le mani ai lati della sua testa e inchinandomi in avanti per poterle lasciare piccoli baci da clavicola a clavicola.
«Quindi è questo che si prova. Non ne avevo idea, Michael, non ne avevo proprio idea.»
Nemmeno io ma è cambiato tutto. Quello che abbiamo, il desiderio che proviamo, è un fuoco impossibile da spegnere che ci tramuterà presto in cenere, come negli amori più estremi e romantici. Non mi importa, siamo noi per primi a farci a pezzi, quindi quello che verrà dopo sarà un destino inevitabile per entrambi. Lo accetteremo. Accetteremo il rischio, forse, di non avere più niente da donarci per continuare a vivere così, senza rimpianti.
«Non vuoi ripetermelo, non è vero?»
Gradirei di nuovo un "ti amo" ma una simile ammissione, per lei, è una sconfitta del nostro gioco, una perdita di indipendenza che la renderebbe mia unica vittima e, in effetti, è quello che desidererei avere. La sua resa, la sua completa confessione. Una specie di sottomissione dalla quale rifugge, per non essere sconfitta.
Sorride e si morde il labbro, senza nemmeno scuotere il capo in un dissenso che significherebbe il suo rifiuto.
Non mi arrendo, abbiamo ancora una vita davanti. Anni interi per coltivare parole, e speranze.
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