21- Sulla pelle
Ricordo che Cat, alcuni giorni fa, ha definito quel qualcosa che esiste tra di noi come "un gioco", e non in senso dispregiativo.
Ancora una nuova sfida, che si era posta in obbligo di affrontare, per poter continuare a battermi, o vincermi, a seconda dei punti di vista.
Dove si nasconde la falla? Ogni giocatore la possiede.
Temo che la mia possa essere la passione che provo nei suoi confronti, e che si era resa materiale facilmente malleabile ai suoi voleri, così come avevamo notato il pomeriggio precedente, rimanendo insieme. Sarebbe interessante scoprire se per lei valga lo stesso, per quanto stia lottando al fine di possedere sempre il controllo.
Strategia, eco che cosa sta utilizzando mentre cammina dal lato opposto della stanza con degli occhi che potrebbero ardermi vivo.
Il divano, nel frattempo, si fa beffe di noi, ponendosi nella nostra esatta metà come la bandiera bianca della nostra guerra ed è troppo lontana la tregua, visto che stiamo lottando per conquistarla.
«Non ci avevo mai pensato prima, sai?» Esordisce nell'interrompere il silenzio mentre sfiora con i polpastrelli la costola di alcuni libri in mostra.
«A che cosa?» Sono dunque costretto a chiederle, andandole incontro con due calici di vino rosso in mano. Sono appena le diciotto di un giorno qualunque, interno alla nostra vacanza. Lei non ha ancora perso il sorriso e me lo dedica, osservandomi avanzare.
«Alla nostra particolarità.»
Aggrotto la fronte senza comprendere, accomodandomi quindi sul divano dopo essere sceso a un compromesso: la mia sosta, prometto, sarà solo momentanea. Mi ha incuriosito troppo la mia dolce gatta con la sua riflessione ponderata, tanto da costringermi a immergermi nel suo fiato per fare i conti col suo pensiero.
«Ci hai riflettuto in questi giorni?»
Annuisce, dedicando un'altra occhiata alla libreria. «Siamo molto simili, non trovi? Di carattere così come di gusti personali.»
«Sì, Cat, siamo simili.»
«Un americano e un'irlandese con la passione per la letteratura italiana.»
Sorrido, allungando il braccio lungo la spalliera del sofà e accostandomi il bicchiere alle labbra. «Non è così strano.»
«Ma neanche così naturale. Direi che insolito sarebbe più corretto.»
«Che cosa vuoi sapere, Cat?»
Lentamente la sua testa si volta, soffermandosi quindi su di me e ignorando lo scaffale alle sue spalle.
«Lo scopo del viaggio era conoscerci, no? Ed io voglio conoscere tutto.»
«Partendo da "Il trionfo della morte"?»
«Se ti va...»
Con lentezza continuo a bere il vino, regalatoci da Logan, mentre i miei occhi scorrono su di lei che timidamente mi raggiunge e si accomoda al mio fianco, così come aveva fatto nella mia casa a Los Angeles, ovvero in posizione fetale. La testa si appoggia allo schienale, vicinissima alla mia mano, facendo così scivolare i dolci riccioli che le incorniciano il viso. Rimango immobile a fissarla, curando con dolcezza i suoi tratti affinché la memoria li preservi e poi sono invitato a dar nutrimento alla sua curiosità.
«Da piccolo amavo molto leggere, mi soffermavo su qualsiasi cosa scritta sulla quale potessi imbattermi: sulle testate dei giornali, sui cartelli pubblicitari, sulle avvertenze, ogni cosa... bramando un libro che mi facesse evadere dalla realtà più di ogni altra. Ma non avevo i soldi per comprarne, di alcun tipo, così non appena ero libero dagli impegni scolastici scappavo in biblioteca, esattamente dove mi hai trovato.»
Dolcemente le sorrido, in maniera spontanea, e lei ricambia, lasciandosi illuminare lo sguardo da un breve bagliore contenente una scia di magia.
«Riuscivo a passarci delle ore, alle volte, senza che mio padre lo scoprisse. Non amava che mi dedicassi alla lettura perché riteneva che un vero uomo fosse in grado di formarsi da solo, affrontando di petto i problemi della vita senza stare con il capo chino su delle pagine. La riteneva una perdita di tempo ma io amavo farlo.»
«Ed è così che hai scoperto D'Annunzio?»
Scuoto la testa lentamente, in un diniego che fa conoscenza con la sua curiosità.
«No... no è stato molto tempo dopo. Con gli anni sono stato costretto a seguire il modello di vita proposto da mio padre. Anche se non era più tra noi, la voce di quell'uomo continuava a marciarmi in testa e così mi sono fatto forza e sono entrato nel mondo del lavoro, rinunciando ai miei ideali di conoscenza e libertà, per così dire, finché non ho trovato Isaac. In una notte di pioggia, mentre vestiva la sua divisa da chef, mi ha aperto le porte del suo ristorante e al contempo mi ha ridonato un'anima. Sono tornato in vita grazie alla fiducia che nutriva in me e nella mia curiosità. Ho scoperto la mia passione per il teatro e approfondito quella per la lettura, tutto grazie a un libro che mi aveva messo tra le mani, al termine di un turno particolarmente lungo. Non ne avevo mai avuto uno che appartenesse solo a me e così lo avevo considerato come una sorta di prestito.
Prima ancora che potessi promettergli la restituzione, Isaac mi aveva chiesto di tenerlo, così da avere qualcosa con cui passare il tempo. Sapeva che vivevo da solo.»
«Ed era quello?»
«Era quello.»
«Se già ne possedevi una copia, perché ne stavi leggendo una in biblioteca?»
«Ci tengo molto a quell'edizione, e recentemente ha subito dei danni nell'attaccatura con il dorso rigido della costolatura. L'ho portata a riparare.»
«Però... che coincidenza assurda. Ad ogni modo Isaac è un uomo pieno di risorse.»
«Direi piuttosto un semplice curioso. Il libro era stato lasciato da un cliente che si era firmato "E.A.L." nella prima pagina di intestazione, e non era più tornato a riprenderlo. Il caro chef aveva finito di leggerlo la sera stessa della sua scoperta e poi aveva deciso di abbandonarlo, per mesi, nello scompartimento più basso del mobile della cassa, in attesa di restituirlo. Da lì, poi, era passato a me.»
«Questa è una storia molto bella.»
«No, è solo il mio passato.»
«In alcune occasioni mi capita di desiderare di averne fatto parte.»
«Per me è lo stesso, Cat. Mi viene da pensare quanto sarebbe stato bello conoscerti anni fa, magari nella tua terra. Dalla notte del nostro primo bacio non faccio che immaginarti come mi hai descritto: una ragazza che non la smetteva mai di camminare, a metà tra i monti ed il mare.»
«Non ero tanto spensierata.»
«E come eri allora?»
«Oppressa.»
«Perché?»
Sorride dolcemente ma non mi risponde.
Chinandomi appena verso il tavolo riesco a posare il bicchiere vicino al suo, rimasto intatto, per tornare quindi a lei facendomi poco più vicino. In automatico, con la destra, le sfioro una guancia accarezzando la sua pelle morbida e non vedendola protestare. Gli occhi mi seguono ed il suo corpo si accosta al mio non appena allunga una gamba, oltrepassandomi con il piede i fianchi. Potrei finire nella sua stretta, petto contro petto ma non riuscirei, così, a vedere la dolcezza del suo viso, quel miscuglio di paura e debolezza che sembra così raro trovarla sfoggiare.
«Chi ti ha dato quel libro, Cat?» Continuo a indagare, invece, tentando di non perdermi nel suo sguardo.
«L'unica amica italiana che ho... non era chiaro?»
Sospiro debolmente, non riuscendo a evitarmi di sorridere. Per quale ragione? Dovrebbe chiarirlo lei. Forse è una resa, o altrimenti semplice rassegnazione mentre il nome della serpe mi torna alla mente, chiedendomi di combattere con lei affinché il suo fantasma non infesti la nuova casa.
«Marina...»
«Sì... proprio Marina.»
«Ed io che speravo di non interrompere la poesia di questo attimo.»
«Hai ricevuto una doccia gelata eh?»
«Direttamente dall'Antartide.»
«Puoi credere quello che vuoi sul suo conto ma a me si è rivelata preziosa. Non avevo alcun tipo di autostima, una volta arrivata in America, perché ancora non avevo imparato a credere in me stessa. Mi ha fatto da guida e mi ha evitato di piangere, qualche volta.»
«Ecco che adesso avrei voluto conoscere anche questo tuo lato fragile...»
«Lo avresti fatto a pezzi.»
«Perché dici così?»
«Perché tu sei uno tsunami, Michael. Passi e spazzi via tutto quello che hai intorno, me compresa.»
«Non puoi crederlo sul serio» commento sorpreso, continuando a sfiorarle la guancia.
«E perché non dovrei? Purtroppo, è stato proprio questo ad attrarmi di te, al nostro primo incontro.»
Stupito da una simile confessione su di noi, arresto la mano e rimango immobile nel suo sguardo, per sentire il continuo di una parte di storia che ancora non sono stato in grado di conoscere.
«Eri così serio, imperscrutabile, mentre te ne stavi chino sul tuo libro» inizia a dire, con un tono di voce appena più basso del precedente e che vorrebbe piegarsi in un sarcasmo forzato, capace di smorzare la pesantezza dell'attimo. «Avevi la fronte crucciata e gli occhiali da lettura che poi non sono riuscita a vedere più.»
«Ti piacevano?» Domando, per alleviare la tensione e lei sbuffa, in segno di approvazione.
«Da pazzi, ti stavano veramente bene, anche se è difficile rendere brutto un uomo come te.»
«Perché ti sei avvicinata, Cat?»
«All'inizio l'ho fatto solo per gioco. Volevo distrarti e cercare di scacciare la tristezza che ti aleggiava intorno. Poi però tu mi hai guardata in un modo che non so descrivere... hai corso al mio fianco, abbiamo raggiunto la sede. Credevo che non ti avrei rivisto e poi ecco che sei capitato alla mia mostra, di fronte al mio quadro.»
«Caitlin...»
«Siamo anime affini, l'ho capito subito.»
Non so veramente se il gioco possa essere questo ma decido di mettervi fine. Mi sporgo avanti in un attimo, verso la sua bocca, e finisco per baciarla duramente, venendo all'istante ricambiato. Perché Cat non si tira mai indietro. Cat geme disperata sulle mie labbra, mi tira i capelli, mi circonda di intraducibili silenzi ma non scappa mai perché mi ha visto e desidera starmi vicino.
Possiamo esserlo più di così ed esserlo per sempre.
Tirandomela addosso la stringo a me, esortandola quindi subito dopo a stendersi, al di sotto del mio corpo.
La sovrasto e non smetto di baciarla, avvertendo le sue gambe stringermi all'altezza dei fianchi, intrappolandomi.
Mi sembra di impazzire.
«Così andiamo oltre, Michael...»
«Voglio fare l'amore, Cat.»
«Qui?»
«Dove vuoi ma adesso.»
Adesso che non ci sono vincitori, in questo mondo di mezzo nel quale lei mi ha aperto il suo cuore e tanto mi basta.
Confusa da un simile esigenza, cambia repentina d'umore e geme disperata mentre le mordo le labbra, per poi venire abbandonata non appena mi sollevo, piegandomi sulle ginocchia.
Dal basso vedo le sue guance incredibilmente rosse, il suo tentativo di immagazzinare fiato, i suoi occhi lucidi ed il petto che si solleva e abbassa, e rimango incantato da una simile visione. Cat è di una bellezza unica e nemmeno sembra accorgersene.
In fretta, sfilo la maglia facendola passare oltre la testa e avverto appena la dolce pressione delle sue mani, mentre è intenta a sfilarmi la cintura. Si è sollevata come me, ed ora a una differenza minima di altezza mi spoglia, aprendomi la cerniera dei jeans, come l'ho sognata fare in queste notti. Piegandosi leggermene in avanti, con la bocca si sporge verso il mio petto e lo bacia. Delicatamente, sento le sue labbra socchiudersi e la lingua passare tra loro, accarezzandomi la pelle.
Chiudo gli occhi per un attimo, gustandomi i suoi baci, prima di cercare la sua bocca affinché li approfondisca. Ed eccoci che cadiamo nuovamente sul divano, ed ho voglia di farle di tutto. Toglierle di colpo la maglia e sfilarle i pantaloni da ginnastica che aveva messo per stare in casa, sorprenderla poi nel compiere piroette con la bocca, leccarla... ma sembra non esserci quasi tempo per fare tutto insieme, così sono costretto a compiere poche mosse alla volta.
La strato di cotone a maniche corte è il primo a sparire, seguito dal suo reggiseno. Persa nella mia bocca, gode come me del nostro contatto pelle contro pelle, senza poter sentire la morbidezza che provoca l'avere il suo seno addosso. Mi piacerebbe giocare a parti invertite, essere io quello steso a beneficiare della sua audacia ma è davvero trascorso troppo tempo e altro non ne abbiamo, da dover passare divisi.
Sfidando l'ansito proveniente dalla sua bocca, a seguito del mio abbandono, scendo con le labbra a stuzzicare la pelle morbida del suo collo e subito dopo quella del seno, intrappolando tra i denti un capezzolo, mentre le mani continuano a trafficare e finalmente riescono a sciogliere il fiocco dei pantaloni.
Mordendola leggermente, richiamo la sua attenzione verso quello che sto per fare: chiudo le mani in due pugni, intrappolando la stoffa grigio chiara rimasta su di lei e la porto con me, assieme all'elastico degli slip.
Con una lentezza che non mi appartiene la lascio completamente nuda mentre la bacio. Sembra, quasi, di riuscire ad avvertire il brivido scaturire sul limite della sua epidermide.
«Michael...»
Richiamato da quella supplica, mi muovo per tornare ad essere schiavo della stretta di quelle gambe. L'apoteosi è ancestrale, mi sembra quasi di volare restando tanto vicino a lei, ormai schiavo della sua bocca come lo sono della sua eccitazione.
Guidato da quest'onda di peccato, scendo con le labbra lungo il seno fino ad arrivare molto vicino all'ombelico. I fianchi le si sollevano in risposta, in una sorta di tacito invito ma poi la sua voce torna tra noi.
«No...» supplica, ed i miei occhi si sollevano verso di lei, senza riuscire a capire.
Lo voglio più di ogni altra cosa, voglio amarla appieno.
«No?» Chiedo, ormai privo di fiato.
«Non mi piace» mi dice solo, ed io sgrano gli occhi, basito.
«Come può non piacerti il sesso orale, Cat? La maggior parte delle persone lo ama» e alle mie parole la sua bocca si restringe con sdegno, i suoi occhi corrono lontano ed io non so cosa realmente l'abbia infastidita della frase emessa, se l'accenno che ho dato del mio passato o la richiesta, affatto celata, di una spiegazione che non mi viene offerta.
Lotto con le sue gambe che tentano di chiudersi e allontanarmi da loro. Le afferro di fianco, steso come ormai sono e appoggiato ai gomiti, pronto a baciarla dove ormai desidererei essere da tempo.
«Non mi piace e basta» dice solo ma io scuoto la testa, nonostante non mi stia fissando.
«Non ti credo.»
«Non è qualcosa contro cui devi lottare, Michael, per farmi ricredere» afferma, rendendosi ancora più scostante e giuro che una frase del genere porta in sé un distillato di gelo ancora più affilato, con tanto di stalattiti, rispetto a quello nato al nome di Marina, qualche minuto fa.
«Te lo scordi.»
Si tratti di un altro blocco e voglio batterlo, per questo lotto contro la sua reticenza. L'eccitazione sul suo viso è ancora evidente ed io voglio condurla verso dove non c'è ritorno.
«Avevi detto di voler fare l'amore.»
«Anche questo lo è...»
«Michael, no!»
Stringo leggermente con più forza, e a causa del suo protestare finisco steso su un fianco, sempre nella sua stretta e con un gomito che, appoggiato come è all'imbottitura in pelle d'oca, mi permette di stendere il braccio e afferrarle con una mano un fianco, passando al di sotto di una sua gamba piegata, affinché non si muova.
Riesco a fulminarla con gli occhi e spiegarle quanto questa resistenza sia inutile, dal momento che entrambi ci desideriamo così. Mi risponde alla stessa maniera, celando un'eccitazione in grado di farmi impazzire e risultare quasi del tutto impossibile da combattere.
Quando abbasso gli occhi lo faccio unicamente per vedere la distanza dalla mia meta ed è allora che noto qualcosa che prima non avevo mai visto, proprio al di sotto della sua coscia destra.
Al confine del suo sesso e dell'attaccatura della gamba si estende uno sfogo dalla colorazione rosso accesa, grande quanto la lunghezza del mio polso unito alla mano.
La sottoveste lo aveva nascosto, la luna a Roma lo aveva celato e l'acqua delle Cascate, vincolandomi alla visione di lei, a me di fronte, era stata in grado di occultarlo con i propri riflessi.
Un gioco di prestigio, al quale Cat si era prestata.
Non ne capisco la causa e osservo quell'irritazione senza comprendere.
Credo che non sia recente, nonostante la colorazione quindi sono costretto a interrogare lei per avere spiegazioni.
«Che cos'è questo, Cat?»
Immediatamente comprendo che non vuole rispondermi.
Il cuore precipita in caduta libera e si fanno largo le supposizioni. La voce le emette in un fremito.
«È una bruciatura?»
Al seguito della domanda i suoi occhi si chiudo e la sua bocca si serra, senza emettere una sola parola mentre io dipendo da essa, dal coraggio che potrebbe avere nel farsi avanti.
«Cat...» supplico il suo nome senza avere più fiato. «È per questo che non vuoi?»
Con maggiore forza serra occhi e labbra, scacciandomi dai suoi pensieri. Busso per poter rientrare, chinando il viso verso di lei e posando le labbra nell'interno della sua gamba.
«Non dovresti, Cat... non dovresti, perché sei bellissima.»
Lo credo. Ne sono certo. Per questo sposto la bocca e rilascio un bacio, molto lento, sul monte depilato di Venere che ospita una piccola scia di rossa peluria. La strada verso un paradiso che decide di negarsi.
Ho a malapena il tempo di sollevare gli occhi e notare una sua lacrima scorrerle lungo la guancia prima di vederla scivolare via e fuggire, completamente nuda, in una delle stanze al piano di sopra.
La sua assenza è la vera glaciazione, l'addio alle armi che ha compiuto andandosene piena di lacrime e abbandonando questo unico corpo morto, improvvisamente il nemico, sul suo terreno di resa.
Con l'istinto di gridare, mi sdraio di schiena sul posto che poco prima ospitava il suo corpo, e poso le mani sugli occhi, privandomi della vista.
Vorrei un milione di cose ma non sono certo di poterle ottenere.
Specialmente adesso che vedo sfumare il motivo per il quale lottare poiché da solo mi sembra impossibile da raggiungere.
Credevo che stessimo giocando insieme, che stessimo vivendo per ottenerlo ma Cat mi ha lasciato da solo e nell'aria aleggia una promessa infranta. Il silenzio torna a circondarmi e con esso anche una leggera nebbia nera, ad avvolgere il piano terra e i miei pensieri, improvvisamente resi muti.
La camera da letto è immersa nel più completo buio e nemmeno ricordo come sono riuscito a raggiungerla. Sono steso al centro del letto, con un braccio posato sulla fronte, cosciente solo in parte del raggio di luce che scaturisce dalla porta in affaccio sul corridoio, oltre la quale avverto i passi di lei.
Resto immobile, aspettandola, e poco dopo la odo raggiungermi, con una leggerezza di fata.
L'aria si impregna del suo profumo prima ancora che il vento, proveniente dal corridoio, la conduca fino a me... arrivando a vederla sdraiarsi, con dolcezza, lungo il mio corpo in una simbiosi perfetta. I miei occhi, però, non la vogliono vedere e occorre molto tempo prima che lei possa convincerli.
Quando tornano sul suo viso, notano per prima la tristezza, seguita dal rimpianto. Sembra quasi chiedermi di dimenticare l'incidente di qualche ora fa, ma come potrei? Spero non creda di poter convincermi perché finalmente sono riuscito a entrare in contatto con uno dei suoi misteri e non mi ritraggo di fronte alla verità.
Con una mano, muove le dita come serpi lungo il mio torace. Lo fa lentamente, tenta di distrarmi ma io continuo a fissarla, vittima ma solo in parte.
«Se a me non piace questo non vuol dire che non possa piacere a te» commenta, fissandomi spudorata negli occhi, ed io non commento, evitando di mentire.
Interpreta la mancanza di risposta come un assenso e così, armata della sua veste argentea e ricamata, scivola dolcemente con il busto creando attrito con il mio corpo, ancora nudo dalla vita in su, e poi scende con una mano.
La sfido con gli occhi, arrabbiato della sua falsità, ed è solo una volta raggiunti i boxer che la blocco.
«Non provarci» ringhio, stringendo la sua mano nella mia con forza, arrestandola. Noto come riesca a nutrirsi della mia furia e tenti di non darlo a vedere, per continuare questo patetico gioco di seduzione vestito come scusa.
«Mi hai detto che è come fare l'amore, no?»
«Non voglio più godere da solo» sibilo, spingendola a farsi più vicina.
«Allora prendimi.»
La bocca, appena socchiusa, pronuncia l'invito al peccato ed io mi perdo con lo sguardo nell'apertura dei suoi cancelli, nella lingua che si intravede appena ma tanto mi basta.
«È bello, non è vero? Tornare e sapermi comunque eccitato, pronto ad essere di nuovo tuo al solo comandare delle tue labbra.»
«Per me è lo stesso.»
«Allora perché non ti lasci amare? Perché non ti fai conoscere, Cat?»
«È complicato. Io sono complicata.»
«C'è chi lotta nonostante i suoi problemi per poter vincere.»
«E credi che non lo stia facendo?»
«Non abbastanza.»
«Sono tornata perché non volevo addormentarmi rimanendo in litigio con te. Tu non lo vuoi?»
Nemmeno riesco a risponderle. Visto l'umore che indosso, la mia bocca è serrata per non ammettere una verità che avrebbe facile vita. Credo che la oda, quasi fosse una specie di richiamo per il suo amore. Con lentezza, infatti, torna a muovere i fianchi e mi si struscia addosso, creando un dolce attrito tra la sua veste e i miei jeans.
Forse pensa di convincermi. La lascio continuare ad oscillare perché il contatto è piacevole, e vorrei davvero che non smettesse. Vorrei arrivare più in là ma non posso, non posso prenderla con la rabbia, non voglio, non in questo stato.
Afferro i suoi fianchi in una sorta di protesta che riesce a serrarla ma non a bloccarla. Si lascia trascinare come il mare guidato da una tempesta, ed è così che sono costretto, da un desiderio immortale, a muovere nuovamente le dita tra le sue gambe, per scoprire quanto le piaccia.
Con un gemito particolarmente profondo, Cat si piega in avanti nascondendosi nel mio collo, vittima come è della mia mano che la sta scavando a fondo.
Soddisfatto della sua eccitazione, quasi non mi interessa mentre prova a ricambiare. Sopra gli strati di tessuto riesce ad afferrarmi ma io non le consento di fare niente, contro il mio volere.
Di colpo mi rigiro per trovarmela nuovamente sotto, con il fiato spezzato.
In affanno, mi osserva con degli occhi in parte colpevoli e per il restante testardi. Afferro il suo mento affinché me li indirizzi contro.
«Non ti importa che io sia arrabbiato?» Le sibilo addosso e per alcuni momenti rimane immobile a fissarmi. La mano destra le intrappola la faccia, la sinistra, posta sulle costole, la vincola a letto ed è una forma di controllo che impongo, sentendo che ogni cosa è pronta per scivolare via.
Pochi istanti dopo, però, i suoi occhi si bagnano anche di dolcezza esausta, lasciandomi il loro pensiero come una supplica.
«No, Michael. Non importa.»
Ed è con questo pensiero che torno con le dita dentro di lei, spingendole in profondità affinché possa godere di questo contatto che le spalanca la bocca, costringendomi a introdurvi la lingua così da assaporare la sua lotta.
Scalpita leggermente mentre continuo a infliggerle la mia tortura, e le mie dita si bagnano ancora di più del suo desiderio. Tento di non pensarci, deciso a portare a termine la mia missione ed è proprio mentre il suo corpo trema delle prime abrasioni fornite dal piacere che la possibilità mi si manifesta di fronte, e fortunatamente riesco a coglierla.
Fuggo via, da lei, dal suo corpo, da questo letto, mettendomi in piedi oltre il termine del materasso. Lei rimane distesa, priva di fiato e forse, in parte, cosciente di quello che mi sono spinto a fare.
Questo è lo stato di insoddisfazione verso il quale mi conduce quando decide di non parlarmi, spero se ne ricordi perché è una ferita ancora aperta.
«Avrai il resto, Cat. Avrai tutto non appena ti deciderai a parlarmi.»
«Sei uno stronzo» geme in un tono di voce molto basso, vittima della sua afflizione.
«E tu hai appena perso la prima sfida del nostro gioco, vedi di ricordartene.»
«Hai deciso di farti odiare.»
Posando i palmi sul materasso, vicino ai fianchi di lei, mi piego sul suo viso affinché possa sentirmi bene.
«Credo fermamente, Cat, che l'odio e l'amore siano la stessa cosa.»
Affilando gli occhi per trafiggere i miei, si reincarna nella vesti di una furiosa vendetta e tanto mi sta bene. Può fare quello che vuole, purché lotti. Non voglio più rimanere da solo, quindi che affili gli artigli. Sono pronto a qualsiasi ferita risulti in grado di lasciarmi.
La luna si mostra nel cielo nero come uno spicchio di perfetta purezza che rischiara le nubi, e valorizza le stelle, lasciando traccia del suo riflesso tra gli alberi ed i percorsi di un fitto bosco, pronto a trarne beneficio così come faccio io.
In piedi di fronte a una vetrata che apre al mondo la casa, dal cielo al soffitto, sono immobile per poter studiare in tranquillità la bellezza di una natura incontaminata, selvaggia, almeno come lo è il cuore che ho lasciato tra le coperte della stanza al piano di sopra.
«D'accordo. Va bene, si gioca come vuoi tu.»
Potrebbero sembrare le parole di un incantesimo ma è Cat a pronunciarle, scendendo come una furia le scale.
«Attenta a quello che desideri» commento non appena mi volto per seguire la sua marcia.
Si mostra portatrice di un fascino particolare, oscillante, come un pendolo, tra infantilità e rabbia. Esiste qualcosa di più bello di una donna spogliata delle proprie convinzioni e del proprio volere?
«Ho capito quale è il tuo problema, sai? Tu vuoi avere il controllo su tutto, al limite del normale!» Scoppia, gesticolando con le mani in aria e scatenando tempesta.
Arrivo a sorridere sul suo viso che si è reso sufficientemente vicino da permettermi di notare i suoi piccoli nei, sulla mascella destra e su di un lato del collo.
«Trenta e lode alla furiosa Katrina!»
«Oh, hai ripreso a chiamarmi così?»
«Ti infastidisce?»
«E perché mai? Mi sono presentata io in questo modo!»
Provo ad allungare una mano in direzione del suo fianco per studiarne la reazione, e mi compiaccio del suo sobbalzo, partecipe di un desiderio che non ci ha abbandonato.
Vorrei lasciarla bruciare nel suo fuoco ma risulta difficile se continua a fissarmi così.
«Avanti, Cat, dimmi quello che mi devi dire.»
«Io Stephany non la sopporto. Sul serio. La considero una superficiale, idiota, platinata ragazza ma tu ci sei andato a letto! Per non parlare dell'altezzosa Emily che non ha fatto altro che giudicarmi e provare a intimorirmi a quella patetica cena. Devo essere una stronza per venire a letto con te? Che cos'è, una sorta di feticismo o fantasia sessuale? Le ragazze che esercitano la propria autorità ti eccitano?»
«Da impazzire» commento, fissandola dritta negli occhi e ustionandola, perché vorrei davvero capisce quanto è bella in un simile istante.
«E allora fine dei giochi! Io non sono affatto così! Mi hai sentito? Sono una ragazza insicura! Ed è stato a causa di altre persone che sono stata portata ad esserlo. È colpa di mio padre, di mio fratello e, qualcuno mi perdoni per gli sbagli che ho commesso, anche di quello stronzo di Daigher! Non importa il fascino che può provocarti la donna in tiro, con un calice in mano, che per casualità hai incontrato ad una mostra. Io divento lei, alle volte, solo per proteggermi! Può esserci qualcosa di vero ma non avrò mai la sua completa certezza, perché quella figura nasce da un'altra vita che non è la mia, quindi grazie di questo pensiero. Di avermi portato a Roma, a Terni, alle Cascate delle Marmoree, alla foresta luminosa o anche solo nel tuo teatro ma se non c'è posto per me cosa ci capito a fare? Se riesco a farti uscire, con tutta tranquillità, da una stanza da letto senza eccitarti nean-...»
Non le offro il tempo di continuare. Mi chino verso di lei e la bacio. La intrappolo addosso affinché senta quanto il mio battito stia correndo come un pazzo, contro il suo petto. La sua confessione mi ha offerto qualcosa di nuovo in merito al suo passato ma riguardo al suo comportamento non c'è niente che già non sapessi o intuissi.
Cat è bella semplicemente perché è lei: testarda e sensuale alle volte, timida ed impaurita in altre. Appare come un bocciolo, contratto, di una rosa, e forse le occorre del tempo per sbocciare sul serio, trasformandosi così nella sensuale donna che è in realtà.
Poso una mano sul suo viso impedendole di scappare, nonostante senta come un accenno di protesta da parte sua. Fortunatamente riesce ad avere vita breve.
«Si può sapere di che parli?» Esalo in un respiro contro le sue labbra, non appena guadagno sufficiente forza da privarmene.
«Non ti faccio nessun effetto.»
«Credo di averti dimostrato il contrario, alle Cascate e su quel divano.»
«Te ne sei andato come se nulla fosse.»
«Allora dammi modo, la prossima volta, di restare. Inizia a parlare, Cat, altrimenti ti garantisco che ne avremmo ancora meno occasioni, in futuro.»
«Vedi? Come se non ti toccasse.»
«Non sei mai stata tanto lontana dalla verità, piccola gatta.»
Con dolcezza le accarezzo il viso, per rassicurarla delle mie certezze, quando un tratto bussano alla porta ed i miei occhi si spostano sull'infisso in legno.
L'orologio che porto al polso segna appena le dieci di sera quando mi trovo ad aprire il portone di casa, vedendomi di fronte la bionda chioma di Stephany e l'acrobazia del suo sorriso, dolce curva ritrovata alla rovescia sul viso stanco di Logan, che sembra quasi non aver voluto in alcun modo trovarsi qui.
«Ciao Michael, come stai? Siamo passati per un saluto!»
All'udire la voce di lei, alle mie spalle sento Caitlin sbuffare, incamminandosi per la casa forse al fine di nascondersi. Lancio un occhiata a Logan per verificare che non l'abbia vista in sottoveste ma sembra tutto sotto controllo: con una faccia afflitta e dipinta dalla costrizione, osserva a testa bassa i gerani all'ingresso, a segnaletica dell'entrata.
«Avete avuto un bel pensiero, grazie.»
«Katrina dov'è? Pensavamo di uscire in città, se vi va.»
«Esiste qualcosa di aperto in questo luogo sperduto?» Domando con curiosità, e Stephany annuisce.
«Giusto uno o due locali, ma chiudono a mezzanotte. È un modo per passare due ore insieme, se non avete altro da fare.»
Picchietto il dito contro il portone, in modo da riflettere, e poi arrivo a sorridere per l'unica opzione in grado di farmi dimenticare il letto dentro il quale mi aspetterebbe lei, a fine serata.
«Molto volentieri. Dateci giusto il tempo di prepararci.»
«Vi aspettiamo qui!»
Accogliendo tale distacco, socchiudo la porta sul loro sorriso, vincolandoli allo spazio esterno della tettoia così da fornire loro modo di parlare, e subito dopo Caitlin esce dalla cucina.
Nemmeno mi fissa mentre si avvia per le scale, con i pugni chiusi e ferrea nella sua posizione mentre invece io mi gusto il sapore della sua bocca rimastomi tra le labbra, assaporandolo con la certezza di aver già bevuto il drink più dolce della serata.
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