20- In acque profonde
Mia madre credeva che i testardi fossero destinati a vivere una vita breve, a causa del loro stato di perenne cattività che li aveva resi forse un po' più malati del normale. A una simile teoria non sono mai andato contro, perché ritengo che possa esserci un fondo di verità anche ai malesseri dell'anima, eppure prego che una sorta di lasciapassare mi risparmi dall'abbandonare questo mondo vestendo gli stessi anni della mia genitrice. Mai prima d'ora avevo trovato donna più cocciuta di lei ma a quanto pare Cat tenta di conquistare il primato.
Il suo corpo mi passeggia vicino mentre la sua guardia, costantemente alzata, è la colpevole del processo che pone alla gogna ogni sua libera intenzione.
Sto cercando di allontanarla, di intimorire quell'assassina di idee e colpirla affinché si disperda in questi sentieri inesplorati, così da non tornare più a noi... ma non è affatto facile. Aderendo quasi come una seconda pelle è più difficile da scacciare, come un vizio proibito che si finisce per accogliere.
«Ecco che si rivelano le tue intenzioni... ci siamo finti dentro un bosco, quindi» constata la piccola e bellissima donna alle mie spalle, facendomi sorridere al ricordo della sua malsana idea riguardo le mie volontà per il viaggio: non voglio certo ucciderla e seppellirla in una foresta, ed è qualcosa già di rassicurante visto lo snodo di percorsi, quasi del tutto uguali, che ci siamo lasciati alle spalle. No, desidero esattamente il contrario. Voglio riportarla alla vita vera e forse so come fare.
«Quali sono le tue ultime parole, piccola gatta?»
«Dopo la mia morte, non lasciare il ritratto che ti ho fatto a nessuno.»
Volto la testa con un sorriso, dal momento che una richiesta simile non me la sarei mai aspettata.
«Non sei soddisfatta del tuo operato? Dici che dal vivo rendo di più?»
Allontana gli occhi da me, forse per sbollire più lontano la sua rabbia, ed è bello che in qualche modo inizi ad essere priva di armi. Mi piace combattiva ma detesto che sia schiva, e ritengo che le due cose insieme non possano convivere.
Vediamo cosa può arrivare a desiderare lei dopo una giornata simile. Essere schierati sullo stesso campo di battaglia non potrebbe che favorirci, anche se ho l'impressione che le piaccia sfidarmi, sulla sponda opposta della nostra utopica riva, con tanto di occhi, arsi dalle fiamme. Riesce a tenermi testa e lo adoro, quanto allo stesso tempo lo detesto.
«Peccato non avere con noi i cari Stephany e Logan. Sicuramente, abitando in questo piccolo paesino, hanno già avuto modo di percorrere queste strade, e ci avrebbero fatto evitare il rischio di perderci.»
Non sono certo che stia parlando di questi sentieri pieni di edera. C'è una metafora, perché in realtà stiamo percorrendo tutt'altra strada, e dovrebbe capire che è solo nostra, nessuno prima l'ha mai percorsa.
«Non credo che ci potrebbero essere d'aiuto.»
«E perché mai?»
Arresto la marcia per arrivare a parlarle direttamente a pochi centimetri dal viso, e piego la voce affinché possa essere udibile solo a noi, senza risvegliare le divinità dei boschi.
«Perché siamo in un'area con divieto d'accesso» la informo, mettendo in rapporto la metafora alla vita vera perché è così, non dovremmo trovarci in questa area del parco, ma per quello che ho in mente di certo non mi aspetto la presenza di un pubblico.
«Stiamo infrangendo le regole? Sul serio? E il tuo senso del dovere?» Polemizza alle mie spalle non appena mi volto, quasi credesse di poter ferirmi.
«L'infrangerlo, alle volte, mi permette di ricordare che esiste, e poi di che ti lamenti? Non vi è alcun un viaggio degno di nota che non abbia sfidato la legge. Abbiamo solo preso la via più lieve dell'illegalità ma se vuoi trasgredire con qualcosa di più solido...»
«D'accordo basta così! Mi ero fatta un'idea del tutto sbagliata di te», commenta sollevando entrambe le mani in aria mentre avanza, «non sei così ligio come pensavo. Vai ai concerti, conosci persone fuori dall'università... sembreresti quasi una persona normale con una schiera abnorme di amanti.»
«Vuoi aprire questo argomento, Cat? Perché io non ho ancora posto le mie domande.»
«Solo nei tuoi sogni puoi credere che io ti batta con le relazioni senza impegno, e spero che la cosa non ti faccia gongolare troppo perché detesto quando ti crogioli nell'auto compiacenza.»
Oh! Se solo avesse idea di quanto vorrei farlo e quanto poco possa riuscire a farlo. Meno amanti, mh?
Sono costretto a tacere ma il buon umore, fortunatamente, non mi abbandona. Mi permette di avanzare ancora con lei dentro questo fitto bosco all'interno del quale, tramite la separazione delle chiome, riesce a filtrare anche un po' di luce solare, proiettando ombre di foglie sul nostro tracciato, scandito da massi e segni rossi e bianchi, dipinti sui fusti dei tronchi.
«Vuoi sapere quali sono le attrazioni di questo piccolo posto, e perché siamo venuti proprio qui, Cat?»
Nel chiederlo, volgo ancora una volta il capo, secondo il bisogno che mi spinge ad osservare la sua reazione alle mie parole. Non mi offre risposta, per cui sono costretto a procedere a quesiti.
«Come te la cavi a leggende? Questo comune è molto piccolo ma è ricco di storia e narrativa.»
«Mi affascinano. L'Irlanda ne è piena ma non ne conosco molte di qui.»
«Lascia che ti racconti, allora, piccola Cat. Stiamo per entrare in una storia d'amore» beffeggio fissandola, e stavolta la vedo sorridere divertita... ma appena, arricciando solo l'angolo destro del labbro superiore, in uno sbuffo di birichina circostanza.
«Sono certo che l'Irlanda sia il paese, per eccellenza, a farsi guidare dalle leggende e dai miti popolari, con folletti, maghi, creature magiche e quant'altro... ma persino questa piccola parte d'Italia ne preserva una minuscola concezione, ed ha permesso alla cultura popolare di creare la leggenda di un uomo minuto, una specie di gnomo inferiore a un metro, e di classificarlo sotto il titolo di "Gnefro". A quanto pare, è lui a custodire il posto verso il quale stiamo procedendo, e riesce a portare avanti il suo compito intimorendo i visitatori, con giochi di magia o piccoli dispetti. Non tutti però vengono condannati a un destino tanto bizzarro, pochi fortunati infatti possono beneficiare anche della spiegazione della leggenda di questi luoghi. Allora, ti ho incuriosito?»
«Molto... dov'è che risiede la storia d'amore?»
«Proprio in questi alberi, e nel rumore dell'acqua. La senti? Ci stiamo avvicinando.»
Il silenzio che ci avvolge, per alcuni secondi, ci permette di udire il respiro del fiume, poi i rami tornano a spezzarsi sotto i nostri passi e le foglie secche si piegano o svolazzano via, favorendoci nell'avanzare ancora. E come i nostri passi spingono il corpo verso la meta, anche la voce permette la ricongiunzione con un finale, che si attende con la stessa volontà di un inizio.
«I protagonisti di questa specie di fiaba raccontata sono Nera, una ninfa del luogo, e Velino, un giovane pastore. L'amore tra divino e umano era considerato impossibile, secondo il mito, e quindi punibile con una sentenza: fu così che Giunone, la dea protettrice degli animali e del creato, si vide costretta a trasformare Nera in un fiume, guidata come era dalla rabbia dopo essere venuta a conoscenza della loro passione.
Velino, invece, confuso dalla presenza di quel nuovo corrente d'acqua, credette che l'amore della sua vita vi stesse affogando, vittima di un deflusso improprio. Questo pensiero lo condusse fino al capofitto della rupe, dal quale ha origine la cascata, e lo spinse a buttarsi. E qui sopraggiunse l'intervento di Giove che, avendo assistito all'azione, prese una decisione: trasformò Velino in acqua e gli permise di ricongiungersi a Nera, in modo tale che potessero vivere in eterno del loro amore.»
«Un racconto molto bello... e con questo vuoi dirmi che stiamo per vedere la cascata, senza pagare alcun tipo di biglietto?»
«No, Cat, ci beccherebbero. Le Cascate delle Marmoree sono meta turistica di un parco troppo grande e controllato. Stiamo andando verso uno dei sentieri creati dal fiume, il che è anche meglio.»
Scuote la testa divertita senza commentare, e una simile scelta mi spinge verso la curiosità in meno di un attimo.
«A che cosa pensi?» Le domando, per rendermi partecipe dei suoi privati pensieri.
«Al fatto che stiamo immagazzinando molte storie. Molti racconti, alcune leggende e anche altro...»
«Ti riferisci all'opera teatrale di Tenneessee?»
«"La gatta sul tetto che scotta", sì, ma anche "A porte chiuse", questa leggenda, "Il trionfo della morte" di D'annunzio...»
«Il tuo quadro» aggiungo, catturando la sua attenzione e sorpresa.
«Il mio quadro... la bocca della verità, la foresta luminosa.»
«Sono ricordi, Cat. Stiamo costruendo insieme dei ricordi.»
Non aggiungo altro, per evitare che fugga o si chiuda in se stessa, come tanto detesto vederle fare ma sembra decisa a non tornare nel suo nascondiglio, e posso tirare così un piccolo sospiro di sollievo.
«Vuoi seguirmi? È da questa parte» commento, facendo strada, e non passa molto prima di sentire nuovamente i suoi passi. Lo stesso vale per la voce, che impertinente torna a cercarmi.
«Tu lo faresti?»
«Che cosa, Cat?»
«Faresti quel salto... per amore?»
Sono costretto nuovamente a rallentare, e tornare vittima dei suoi occhi.
«Mi stai chiedendo se possono esserci limiti al mio modo da amare?»
«Non ti giudicherei. Non potrei mai, occorre sempre una sorta di prevenzione... così da non soffrire troppo, se la storia non dovesse finire bene.»
«Cat io offro tutto me stesso, pensavo lo avessi capito.»
«Fino a quel punto?»
«La domanda vera è se Giove mi avrebbe salvato. Non sono un tipo tanto facile da amare.»
«Perché dici così?»
«Perché ci ho provato, Cat. Ci ho provato e gli anni non me ne hanno che offerto conferma.»
«Stai pensando anche a tua madre, non è vero?»
Mi stringo nelle spalle, preso in contropiede, desideroso come sono di arrestare una simile fila di parole in modo da tornare in un porto sicuro.
«Sono sicura che ti volesse bene, anche se a modo suo. Una madre non può che amare il proprio figlio.»
«Ci si aspetterebbe lo stesso da un padre, eppure non l'ho avuto vicino. Poco importa, credo che sia stato meglio.»
Una specie di tregua enfatizza la rielaborazione dei dati che le sono stati forniti, e il risultato è una semplice constatazione che vorrei spalmare sopra ogni ferita:
«Non devi pensare al passato. Quello che sei devi valutarlo solamente per l'uomo che vive adesso, per ciò che sei diventato. Non importano gli esempi sbagliati. Siamo arrivati fin qui con le nostre sole forze. Tanto vale andare avanti.»
Le sorrido con dolcezza, in modo da rassicurarle la medesima cosa. Non voglio che si penta di niente, passato o futuro che sia, e che rifletta su ciò che sta avvenendo adesso, solo in questo momento.
Le afferro le mani e retrocedo sentendo sempre più vicino lo scorrere dell'acqua.
«Conosco il genere di persona che sono, e quello che voglio.»
«Sul serio?»
Annuisco lentamente, come a confermarglielo persino con un gesto tanto piccolo.
«C'è da vedere se anche tu lo vuoi» esorto con parole e sguardi di incoraggiamento, che le illuminano gli occhi.
«Se non so cosa è che vuoi allora non posso risponderti.»
Sta per arrivare a scoprirlo. Fin troppo presto il terreno sotto i miei piedi muta in un leggero declivio di radici, e polveri di terra sempre più sottili. L'acqua è più vicina, tanto da arrivarmi alle spalle come un nemico.
«Voglio entrare in questo fiume, Cat, e voglio che tu venga con me.»
Confusa da una simile richiesta, stringe gli occhi senza riuscire a capire. Io abbandono le sue mani e poi lentamente, molto lentamente, slaccio i primi bottoni della mia camicia.
I suoi occhi precipitano subito su una simile azione e neanche provano ad allontanarsi.
Ormai sono nudo dalla vita in su. La camicia cade per terra.
È la volta delle scarpe.
Con la punta opposta al tallone preso d'assalto, tolgo una alla volta le calzature e le abbandono di lato, continuando a fissarla dritto negli occhi.
Il sole mi riscalda il torace, ma Cat colpisce più di un'abrasione all'ora calda del mezzogiorno, o delle tredici.
È tutto questo ed ora è immobile, che mi fissa quasi senza capire.
Non ho esitazione nel proseguire: afferro la cintura e la libero dal vincolo, in jeans, dei pantaloni.
Forse Cat aspettava solo il procedere di una mossa simile, perché sembra dichiararsi improvvisamente vinta. Sorride, anzi si morde un labbro, e sposta gli occhi lontano non appena lascia cadere la testa indietro, in una specie di resa tramite la quale non vengono rilasciati prigionieri.
«Perché vuoi che entri anche io? Se ci beccano finiamo nei guai.»
«Non l'hai sentita la storia che ti ho appena raccontato, Cat? Devi entrare, anche solo come segno d'amore.»
«E se per ora non ti amassi? Se provassi semplice attrazione?»
«Anche quella ne è un derivato, quindi saresti ugualmente costretta, ma ad ogni modo è il caso che tu smetta di ripetere queste falsità a te stessa, così potremo andare avanti. Non fare quella faccia, avanti... alla bocca della verità hai parlato così bene, è stato il tuo solo momento di sincerità? Che cosa ne dici? Mi raggiungi?»
Ad ora non indosso che dei boxer come ultimo velo a un pudore del tutto inesistente ma non voglio darle troppo potere. Nonostante questa reticenza sa bene chi di noi due abbia il coltello dalla parte del manico, quindi mi auguro che non lo usi troppo a suo vantaggio.
«Tu vuoi che entri» riflette ad alta voce, mentre mi vede retrocedere. Annuisco lentamente, facendole affinare gli occhi.
«E una volta che l'avrò fatto?»
«Una volta che sarai entrata, come me, senza vestiti, allora non dovrai fare niente, solo lasciarti guardare.»
«Non sono una statua.»
«L'aspetto è molto simile.»
«Senti chi parla.»
«Cat... non dire una frase del genere a un uomo, potrebbe pure emozionarsi, e da mezzo nudo non ci farebbe una bella figura...»
«Si è messo mezzo nudo da solo, quell'uomo» si esprime, con un metro di giudizio altissimo che sembra pronto a cadermi addosso come un enorme obelisco, mentre sfoggia le sue tacche di irraggiungibile ambizione più alte di questi stessi alberi.
«E non era quello che volevi? Da giorni non chiedi d'altro, e ora eccomi qui... perché non ti fai avanti?»
«Non hai capito il gioco, Michael.»
«Ah no?» Chiedo, continuando a retrocedere, e l'acqua pura, scaturita da questa sorgente di naturale bellezza, è fredda più di un ghiacciaio dell'Antartide, ma tento di non darlo a vedere per poterla incentivare, con una bugia, a procedere.
«No... o forse l'hai capito troppo bene, non so esprimermi» e incrocia le braccia al petto, quindi, dopo aver emesso la sua teoria. Le lezioni sul linguaggio del corpo svolte da Miranda si rivelano all'improvviso utili, donandomi la conferma che, ora più che mai, Cat tenti di farsi scudo.
«Illuminami, allora.»
«Il trucco non era nel riuscire ad averti nudo... ma nello spogliarti.»
«Un finale al quale ho accorciato i tempi. Dopo avermi avuto nudo che avresti fatto? Sentiamo se il sequel regge il confronto con il primo film.»
«Michael?»
«Mh?»
«Stai giocando slealmente.»
Scoppio a ridere ad un'affermazione simile e poi, una volta tornata la pace, torno a guardarla con tutta la dolcezza che può essere espressa.
«Cat, avanti. Vieni da me.»
Le farò fare pace con le reazioni che riesce a far nascere il suo corpo, la farò sentire bella perché voglio amarla, con tutto me stesso e senza provocarle mai del disagio, altrimenti peggiorerei tutto.
«Ci sono solo io... solo noi.»
Schierati di fronte, apparteniamo a due diversi mondi: il mio nuovo mare, che procede lento nello scontrarsi con il mio corpo, è pieno di luce mentre la sua terra ferma è governata dal buio, molto fitto ma pieno di piccole crepe. Sono le foglie a garantire spiragli, le mie parole a farle sollevare le mani... e intrecciare le braccia distendendole, così da afferrare nei palmi l'orlo della maglia e sollevarla, facendola passare oltre la testa.
Non posso far altro che rimanere immobile, e smettere di respirare.
Nel pieno giorno riesco a vedere le linee del suo corpo, il pallore della sua pelle, la curva... dei suoi fianchi, dei suoi seni, racchiusi in un reggiseno nero a balconcino che li risalta, con una tentazione che non ha pietà della mia anima.
Lei non ha pietà, mentre muove inconsciamente, ondeggiandoli, i fianchi, così da uscire da quella gonnella estiva che la tappava fin sotto il ginocchio.
Ecco le lunghe gambe che già ero arrivato a conoscere, anche se non così direttamente come adesso da rimanere stregato da una perfezione muscolare, in grado di unire la forza all'eleganza.
Le sue costole appena sporgenti, la pancia piatta, i lacci sottili degli slip tesi sui fianchi... quei seni, quelle labbra.
Caitlin è la mela del peccato che condannò Adamo ed Eva a sentirsi nudi, ed io non posso nemmeno darle un piccolo morso senza uscire definitamente dal paradiso, perché è questo che accadrà giusto? Una volta che l'avrò assaporata. Il vizio mi prenderà, rendendomi schiavo di un gusto primitivamente insaziabile, e la mia pena sarà il possesso di quell'atroce fame che mi ustionerà, più delle fiamme dell'Inferno.
Ma se mi aspettasse l'Eden? Se non avessi ancora messo piede all'interno dell'utopia e Cat stessa fosse la sua chiave d'accesso?
Demoni o angeli. Il mio nome non nasce per un semplice caso ma dal cuore religioso di mia madre, troppo indecisa tra l'impararmi ad amare o al tenermi tra le braccia di un problema che non le sembrava interessare. Ma questo Cat non lo può ancora sapere e adesso non mi va di parlare, perché non ho voce con cui esprimermi o emozioni da esternare.
Caitlin è quasi del tutto nuda, di fronte a me.
Avrei creduto che non sarebbe arresa tanto facilmente a questa lotta, eppure a quanto pare l'ha fatto.
L'acqua inizia a lambirle le caviglie e poi la accompagna lungo la sua discesa, con irregolari increspature. Non ho modo di pensare o di reagire, resto semplicemente a osservarla mentre si fa più vicina, finché non è a una distanza tale da poter essere calcolata con pochi passi.
Il fiume valorizza, con il suo riflesso, il colore degli occhi di lei. Le dona un lieve e tremolante dipinto di rughe veloci e schive per poi andarsene via, mutando e divenendo parte di un ciclo ancora più ampio di vita da non riuscirci a contenere nel suo sferico riflesso.
Non è me, però, che quegli spicchi di cielo, i suoi occhi, guardano, o meglio non è il mio volto. L'attenzione corre lungo tutta la mia armatura di pelle scoperta, non nascosta dalla trasparenza dell'acqua, in una specie di prevenzione di se stessa che cessa, non appena sopraggiunge il coraggio.
«E ora che mi hai qui, Michael? Che hai intenzione di fare?»
Forse non se ne rende conto, eppure sento che in qualche modo siamo riusciti a superare un importante ostacolo. Lei si è fidata. Ora mi è davanti ma deve arrivare ancora più vicino, perché il mio cuore e tutto ciò che possiedo cercano il suo contatto.
Poso con delicatezza entrambe le mani sulla sua schiena nuda e l'avvicino a me, in modo che possa essere ancora di più in simbiosi con quello che le sto per fare provare: in un silenzio rotto solo dal cinguettio di qualche piccolo volatile, le mie mani l'accarezzano leggere, come se un soffio di vento prendesse il loro posto.
È bello non avere parole per un momento simile. Capire la necessità di battute quanto di vuoti, silenzi, anche tra di noi... perché grazie a quelli sento il battito del mio cuore che sta correndo ad un ritmo feroce.
Il suo, inoltre, non è da meno.
Adesso riesco a percepirlo, approfondendo ancora di più l'avventura delle mie mani. La bocca, poi, la raggiunge posandosi sul suo collo con una carezza dischiusa, capace di bramarla... e forse è in questo istante, mentre siamo entrambi leggermente inarcati e tanto vicini nella nudità da sfiorarci, che si accorge di quanto la veneri.
Con la bellezza che sfoggia, non può essere altrimenti.
Solo Cat è così... solo con Cat emozioni del genere sono possibili da vivere.
«Michael... che stai facendo?»
«Non sono Velino, Cat, sono Giove, e sto provando a farti sciogliere.»
«Sono già liquefatta, puoi smettere.»
«E perché mai?»
Non posso lasciarla andare ora, non ci riesco.
Inarcandola leggermente contro di me, riesco a guadagnarmi il suo respiro, rubandolo come fa un orfano, cittadino del mondo, con un pezzo caldo di pane.
«Questo non ci serve» affermo, attaccando il laccio del reggiseno con poche mosse, prima di riuscire a slacciarlo.
Finisce a riva, evitando il contatto con l'acqua per un soffio ma lei non ci fa caso e poco dopo nemmeno io.
Ha i seni nudi e non prova a coprirseli.
Risalgo con dolcezza la mano che era rimasta ferma al centro della sua schiena, e in qualche modo le suggerisco di premersi contro il mio corpo.
Quando lo fa, una dolcezza improvvisa mi persuade, e mi rende completo.
«Questo volevo» affermo, sospirando di piacere e accarezzandola con entrambe le mani. Rafforzando la presa delle braccia così da crearle una barriera intorno.
«Solo questo? Ti accontenti di poco.»
Vengo mosso da una risata ma l'eccitazione la lascia morire presto.
«Prova a goderti solo questo momento, piccola gatta, come si sta tra le mie braccia?»
Si muove leggermente, quasi mi stesse testando, con una punta di disagio che riesco a cogliere, e fa sorridere.
«Devo confessarlo... molto bene.»
«Per me vale lo stesso, sai?»
«Sei comodo?»
«Mh... sì, sei molto morbida.»
Non resisto alla tentazione: afferro le sue gambe e permetto loro di stringersi intorno ai miei fianchi. Il mio volere la diverte, tanto da spingerla a far compiere la stessa fine alle braccia, che si avviluppano intorno al mio collo.
Dio, che bellezza. La natura, l'acqua, lei. Questi fantastici occhi che mi osservano.
Non siamo mai stati tanto in intimità nemmeno dentro un letto, ed è veramente bello che nasca così spontanea.
«Raccontami qualcosa, Cat.»
«Che cosa ci tieni a sapere?»
«Qualsiasi cosa, anche la più banale. Te l'ho detto, no? Questo viaggio ci serve per conoscerci.»
«Ed eccoci nudi!»
«Beh, ti avevo detto, anche, che forse quello era inevitabile. Parlo meglio senza vestiti addosso, sai? Mi fa sentire più a mio agio.» Risulta naturale anche il prenderla in giro, ed è una strana curiosità: di solito non scherzo mai. Lei non sa fare battute e io non so divertire ma forse una situazione del genere era riferita ad altri, senza considerare un noi che ci rende esplosivi.
«Mmh e sul palco preferiresti essere nudo, quindi?»
«Sono nudo.»
«È una bella cosa.»
«Non sempre.»
«Perché dici così?»
Mi stringo nelle spalle debolmente, quasi dichiarassi, persino io, una specie di tregua.
«Sono esposto.»
«Ma senti...» commenta, muovendosi leggermente contro di me e portandomi a stringere i denti. «Chi di noi due ha paura, dunque?»
«Non muoverti troppo, Cat.»
«No?»
«No.»
«E perché no?»
Evito di risponderle perché lo sa bene, e perché principalmente al momento non risulto esserne in grado.
Sposto gli occhi solo per un momento sul resto e poi continuo.
«Ci conosciamo così bene sotto molti aspetti e poi abbiamo un vuoto totale in altri, anche i più banali.»
«Vuoi sapere il mio colore preferito, Michael?»
«Posso indovinarlo.»
«Avanti, allora.»
«Credo che sia l'arancio. Forse una sfumatura di ambra. Ti vesti molto spesso con tessuti simili, anche se ho un'indecisione... credo che sia da considerare anche il verde.»
«Mi piacciono entrambi.»
«Ma quello che preferisci?»
«L'ambra.»
«Sì, addosso ti sta molto bene.»
«E il tuo?»
Mi mordo un labbro, guardandola in viso, e stringendomela ancora più vicino, godendomi il contatto.
«Il rosso» confesso, e l'espressione le si affila. Capita che accada, ed è sempre di una sensualità unica, sconvolgente.
Una sua mano, ormai bagnata, si muove al fine di spostare una ciocca di capelli caduta avanti, oltre al profilo lievemente accennato di una frangia.
Osservo le gocce d'acqua che vi rimangono impigliate e la colorazione della cute divenire più scura, assottigliandole le ciocche, una volta entrata a contatto con la trasparenza.
«Ma non mi hai ancora provata addosso.»
Una scintilla di pura adrenalina cade dal cielo e mi percorre tutto il corpo, elettrizzandomi fino ai piedi e portando l'acqua a uno stato di ebollizione.
«E dove pensi di stare adesso?»
«Allora ti piaccio?»
«Da impazzire» non esito nel risponderle.
«Se è così allora non dovresti essere ingiusto» suggerisce, venendo a posare la bocca sulla mia spalla.
«Non so di che ingiustizie parli.»
«Vuoi essere certo che io sia unicamente tua, prima di portarmi a letto. Mente e cuore, l'ho capito. Posso accettarlo, ma vedi... mi hai fatto un grande torto.»
D'improvviso, le sue mani poste dietro la mia nuca si allentano per scivolare, quindi, lungo il mio corpo. Sulle spalle, sulle clavicole e poi una sola delle due si muove verso i miei addominali. L'aria si mostra nuovamente rarefatta, producendo tra noi dolci respiri pieni di calore.
«Vuoi che sia la sola a ricordare il tuo tocco, e questa è un'ingiustizia bella e buona.»
«Cat...»
«Lasciami fare, Michael. Non voglio certo essere la sola in questo stato.»
Nemmeno sa di cosa parla. Si sente addosso uno svantaggio che nemmeno possiede, attraverso il quale sta per mandarmi al tappeto, una volta e per sempre.
Con la mano continua a scendere, ed io inizio a non avere più pensieri per la testa.
«Non devi...»
«Ma voglio» afferma, respirando sul mio viso ad occhi chiusi e finendo con una mano al di sotto dei miei boxer. «Non puoi ritrarti, Michael. Non puoi.»
Non voglio.
Non voglio farlo.
Chiudo gli occhi anche io e mi godo la sua carezza, intorno al mio sesso, all'apparenza leggera. Poi Caitlin cerca le mie labbra e si muove leggermente contro il mio corpo.
Finisco per perdermi, irrimediabilmente. Non ho più fiato.
Gemo una protesta che cerca l'approdo alla pace ma riesco solo a far aprire i suoi occhi, il che è anche peggio perché la sua eccitazione fa crescere a dismisura la mia.
Quegli occhi celesti, le pupille leggermente più spalancate, la bocca socchiusa, il leggero respiro che la smuove.
Vorrei essere tra quelle labbra, e non soddisfatta della situazione Cat si china in avanti lasciandomi un bacio mozzafiato, ma non è quello che intendevo.
Mi va bene lo stesso, però, anzi più che bene, mentre lotto con la sua lingua per ottenere terreno, così come sta lottando la sua mano con la mia eccitazione, sempre più rigida.
È passato un tempo indefinito, non so quanto ne sia trascorso tra baci, morsi, leggeri graffi, carezze e ancora baci... ma non riesco più a resistere, non so se è quello che vuole ma non riesco più a trattenermi.
L'ho stretta con molta forza, e adesso non la lascio andare mentre la vincolo a me con ancora più grinta.
Sento di stare per raggiungere il culmine, un tremito leggero sta per salirmi lungo il corpo ed il calore si concentra solo in un punto al centro dello stomaco.
A lui mi arrendo, pronunciando una supplica che non ha destinatari se non la sua costante attenzione.
Mormoro quella frase, quasi totalmente priva di senso, dopo un gemito roco e scaturito in maniera del tutto naturale.
L'eccitazione arriva, l'orgasmo mi assale e non posso che arrendermi ad esso. Vengo, intorno alla sua mano. Addosso a lei che sembra essere ancora più calda di prima, più morbida, donna, tanto da intimorire con la sua bellezza.
Sono sfinito. Con poche mosse è riuscita a distruggermi.
Sposto la testa indietro, privo di fiato, per tornare a vederla in viso, lasciando il rifugio che avevo cercato contro la sua spalla.
Possibile che sia ancora più bella?
Non può essere, eppure deve perché non l'ho mai vista così.
Senza dubbio è soddisfatta dello stato nel quale mi ha ridotto, niente da dire, se non quelle parole che potrebbero graffiare.
«Direi che sei Velino, adesso» si spinge al commento, tornando a posarmi le braccia sulle spalle. La osservo senza capire, con la sola voglia di stendermi, portandomela addosso, oltre che di averne ancora, della sua bocca, del suo corpo per intero.
Sembra si stia per preparare ad una battuta e il che mi incuriosisce, facendomi aguzzare mente e occhi, ritornando all'attenzione iniziale.
«Ti sei senza dubbio sciolto in quest'acqua...»
Non posso farne a meno. Inevitabilmente rido con lei e di lei, chinandomi in avanti e posandole la fronte sulla spalla.
Ricambia con amore tornando a stringermi a sé, con molta dolcezza.
Sì, in quest'acqua ho lasciato anche una parte della mia anima.
Se solo concepisse quanto la faccia apparire una bambina la manifestata approvazione di un evento, piegato a suo vantaggio, allora dimostrerebbe pieno controllo su ogni suo tipo di azione.
L'argomento in tema non risulta inerente ad alcun tipo di infanzia eppure quel sorrisetto impertinente sembra condurci entrambi, come su una strada spianata, a ripercorrere quegli anni. Non posso fare a meno di calpestarla, quella tratta, mentre osservo le sue movenze in cucina.
La sottoveste che ora sfoggia come un trofeo, i capelli sciolti, le gambe particolarmente nude.
Seguo il tutto con la coda dell'occhio, mentre continuo a tagliare i pomodori per la cena, e non mi lascio sfuggire la sua audacia. Il modo con cui si succhia l'indice, dopo averlo macchiato di salsa, e solleva gli occhi verso di me.
Che vuole che faccia? Vago verso una risposta di puro "tutto", è solo necessario che chieda. Ma non lo fa, e non so quale genere di nuova tortura sia adesso questa, se la sua o la mia.
Probabilmente appartiene al mio girone dell'inferno, constato, mentre si piega in avanti proprio di fronte a me per prendere qualcosa, forse di inutile, dagli sportelli posti in basso, e rimettendosi quindi in piedi.
Rimango imbambolato per alcuni istanti, prima di provare a tornare nuovamente a lavoro.
Non ci riesco per molto. Cat si intromette tra me e il bancone della cucina, strusciandomisi addosso e togliendomi il fiato, per alcuni istanti.
Deve aver notato l'immobilita che d'un tratto mi abbraccia. La mia posizione con in mano un coltello, rivolto verso il tagliere in legno, lo sguardo perso nel vuoto e anche qualsiasi sorta di pensiero, scritto a chiare lettere.
«Lo vincerò io questo gioco, Michael, puoi starne certo.»
Le sue parole sono una sensuale minaccia che si pone come firma alla ritirata che compie, lasciando la cucina e portandosi dietro i miei occhi, inevitabilmente, oltre che il mio sorriso.
Chissà... forse potremo vincere entrambi.
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