16- Il gioco della verità

Il cinguettio di piccoli uccelli accompagna il mio risveglio dal mondo di profumati sogni, spingendomi a chiedere se veramente ne esistano ancora a Los Angeles, di avventurosi volatili, le cui zampe non posino su ramoscelli di verde quanto su di un grigio sostegno cementizio, che colora la città. Ma poi mi ricordo che non siamo in America, quanto nel romantico posto dei sogni che è Roma, cuore dell'Italia, e che sopra di noi non è il soffitto della mia vecchia stanza quell'azzurro perfetto che ci colora lo sguardo, quanto un cielo limpido e privo di nubi.

La rossa chioma di Cat si muove contro di me così come fa il suo corpo, stirandosi e accoccolandomisi ancora più addosso. Siamo rimasti sul balcone per tutta la notte, e così ci siamo addormentati, con la mia schiena premuta contro il lato più corto di queste barriere in ferro, lei tra le mie gambe e la coperta blu a coprirci, obbligandoci a tenerci più vicini. Davanti agli occhi il cielo, e poco più in basso il Colosseo.

Non provo a svegliarla, resto immobile e vigile dentro il mio stesso sogno, senza poterla vedere in viso ma avvertendo il calore che scaturisce dal suo corpo e che entra in contatto con il mio.
Lei è qui, con me, nella bella e calda Roma, ancora dormiente in un'ora di punta che il nostro fuso orario indicherebbe come inizio mattinata.

Mi chiedo se sia stato uno sbaglio fuggire dai problemi che mi hanno intralciato la vita. Essere corso loro lontano per scappare dentro questo sogno che neanche sembra reale, ma che so che lo può diventare. Sono cosciente, in qualche modo, che possa trasformarsi in un'alternativa, un'altra via, e non la momentanea astrazione dai problemi. Concepirlo riesce a farmi credere, in qualche modo, che non sono un codardo ma che, anzi, ho preso coraggio per poter vivere di nuovo. Stavolta, si spera, con più serenità.
Le anticipazioni per adesso sembrano buone. Anzi, ottime, non appena Cat si struscia ancora una volta contro di me, facendomi quasi credere che lo stia facendo apposta. Ma dorme, ed è questa parte della sua bellezza: la spontaneità con cui si lascia andare, persino mentre ha paura.

Sollevo una mano, e nel sottofondo cinguettato di questa città, immensa natura, sfioro il profilo del suo viso, accarezzando la pelle riscaldata dal sole.

Le sue ciglia sono tanto lunghe, così, serrate come saracinesche, da farle ombra sulle guance e far discendere il mio sguardo lungo il suo appuntito naso, giù fino alle labbra socchiuse, splendide curve, che contengono l'abbandono del suo respiro. Delicato, come quello di un neonato.

Sono fermo dentro un pensiero che mi consiglia di non svegliarla, e rimanere così per un tempo indefinito, quando mi accorgo che la sua respirazione è cambiata, e allo stesso modo la sua posa.

Troppo tardi, è stato il sole a darle il buongiorno, o forse i miei molti pensieri mentre la fissavo, inebetito dal suo viso e dal suo profumo.

Dietro di lei, sorrido divertito mentre la sento contrarsi, muovendomisi contro, e non compio una sola mossa per permetterle da sola di adattarsi. Ma non posso desistere dal piegare in tono seducente la voce, per vedere la sua pelle arricciarsi, nonostante la coperta.

«Buongiorno, piccola Cat» sussurro vicino al suo orecchio, smuovendo pochi dei capelli rimasti liberi, ed ecco la sua reazione. Quel piccolo spasmo involontario confessato dal suo corpo. Mi piace, che sia così tanto sensibile e al tempo stesso spigliata. La rende donna, la rende pura, e in qualche modo solo mia.

«Buongiorno a te, occhi belli» sussurra, con una voce roca che accende come un fiammifero tutte le mie sinapsi, senza impedirmi di affilare ancora di più il sorriso, come il lupo cattivo pronto ad attaccarle un morso, vista la mia fame.

Dolcemente la sua testa si sporge all'indietro, e la punta del naso si ferma sull'arteria del mio collo, forse percependo il profumo del mio dopobarba, mentre Cat continua a mantenere serrati gli occhi, esponendomi la sua pelle diafana.

La coperta a quadri neri e blu è divenuta un inconveniente eccessivo, in grado di produrre sovrabbondante calore, ma non l'allontano perché, in qualche modo, ci isola dal mondo, e le impedisce di distanziarsi troppo, rimando agli estremi di un confine stabilito da braccia e tessuto, come una gabbia.

In una leggera carezza, il suo viso si solleva e si abbassa appena, sfiorandomi così con più dolcezza il collo e costringendomi a focalizzare l'attenzione sulle sue labbra. Tentatrici, troppo seducenti per poter resistere. La mia bocca è attratta, e poco dopo già sulla sua in una morsa tenera, lenta.

Quando si allontana, il nostro bacio emette un piccolo schiocco, come una specie di firma che mi manda in visibilio. Spalanco gli occhi trovando i suoi già all'interno dei miei, ed ecco che vengo accompagnato, nell'ascesa, da una fila di parole cariche di promesse. Che ci rappresentano, in ogni loro parte.

«Che cosa facciamo oggi?» Rimane ancora a fissarmi subito dopo averlo chiesto, in attesa di una scaletta mentale che però non ho, perché non mi sono fatto programmi.

«Vediamo... che ne diresti di iniziare con una colazione all'italiana? Brioche dolce ordinata a una bar, un cappuccino con molta schiuma, un bicchiere di acqua, qualche sigaretta mentre si gode del panorama...»

Ha ben inteso la mia mancanza di programmazione, e ne sembra felice. Dovrebbe proprio, di solito calcolo tutto al minimo dettaglio ma non oggi, non con lei che ha deciso di intraprendere questa avventura insieme. La sua presenza potrebbe scombinare molti piani. Adesso, per esempio, non mi muoverei da questa posa, continuando a tenerla stretta nonostante avverta la morsa della fame, tornata come un'insopportabile inquilina da dopo il pranzo con Isaac.

«Questo posto è una mezza pensione, la colazione è nell'offerta.»

Scuoto il capo lentamente, divertendola fino allo stremo. «La camera è bella ed ha un'ottima vista... ma questo posto è una topaia quindi no, no, mangeremo fuori, e visiteremo la città insieme. Che ne dici?»

«Mi sembra perfetto, ma prima devo farmi una doccia» commenta, sollevandosi e districandosi con lentezza la coperta di dosso, e anche me, sfortunatamente.

La osservo ancheggiare per la stanza, recuperando qualche capo di vestiario dalla valigia stesa a terra, rimasta sigillata dalla sera prima. Poi il balsamo, lo shampoo, il bagnoschiuma...

«Hai bisogno di una mano?» Chiedo divertito, mordendomi il labbro mentre rimango nella mia postazione, e ancora una volta comprende bene l'antifona. Infatti inclina la testa, e mi mostra un sorriso, in parte finto, in interezza bellissimo.

«Credo di essere abbastanza grande per riuscire a fare da sola, grazie» mi risponde, per poi darmi la schiena in modo tale che vi possa scorrere lo sguardo e fantasticare, pure, di percorrerla con una mano o con la bocca.

Peccato.

Accendo una sigaretta nel cittadino trambusto delle dodici, mentre aspetto Cat di fronte alla porta dell'ostello. Al di sotto delle scarpe, questa specie di pietrisco storico, per di più in discesa, mi abitua a una situazione completamente diversa dalla quotidiana distesa di grigio catrame, quasi assicurandomi che persino il mio incedere, in queste giornate, possa essere diverso. Eppure sono sempre le stesse scarpe, la stessa mente, lo stesso corpo, ma capisco che è il cuore che cambia, che si adatta, secondo nuove abitudini, a una neonata condizione. Così come ha fatto con la ragazza che scende, trafelata e di corsa, le scale fino a me, per poi chiudersi alle spalle il pesante portone in legno di questo posto.

La voce prende una strada differente, decidendo di sua spontanea volontà di non pizzicarmi le corde vocali, e la sigaretta non riesce nemmeno ad ustionarsi con completezza rimanendo, inebetito pendente, come unico decoro delle mie labbra, che non le prestano nemmeno la sufficiente attenzione ad impedirle di cadere.

Cat indossa una gonna arancio scuro, lunga fino alle ginocchia, con una fila di bottoni marroni che evidenziano la metà esatta della stoffa, mentre la cintura di pelle, stretta in vita, impedisce a una maglia bianca a maniche corte, con stampato un dipinto, la fuga, ma è un altro particolare a stregarmi. I suoi capelli sono sciolti. O almeno quasi completamente. Una piccola forcina ne sostiene due estremi opposti, dietro la testa, lasciando liberi i restanti riccioli, ed io sono come stregato.

È proprio vero che una donna con l'acconciatura libera dai fermargli è ancora più bella, in qualche modo notevolmente più seducente, e mi domando se sia stato questo il suo scopo.

Immediatamente capisco però, dal suo leggero imbarazzo, che si tratta di fiducia. Sa che non glieli toccherei, non senza il suo consenso, quindi nonostante la calda giornata ha deciso di deliziarmi di un simile regalo e non posso esserne più che certo adesso: la vacanza è iniziata veramente nel migliore dei modi.

Dalla borsa in stoffa, che tiene su una spalla, riesce ad afferrare un paio di occhiali marroni dal taglio circolare e inforcarli, mentre continuo ad analizzare la sua bellezza nel meraviglioso clima romano, che la risalta.

«Allora...» inizia a dire, recuperando anche il telefono e digitando delle parole a prima vista brevi... iniziando a fare piccoli passi in una direzione, e poi in un'altra. Sembra aver messo il navigatore, e non sapere bene dove andare. Il nord non deve essere dalla sua parte, così come il ricalcolo del programma.

«Da' qui» le chiedo, afferrando il telefono e bloccandoglielo, per poi nascondermelo in tasca. Emette un piccolo sbuffo che mi fa sorridere, nonostante tutto.

«All'avventura, non ti ricordi?» Continuo a domandare, ma lei intreccia le braccia sotto il seno. Mossa completamente a mio favore perché lo risalta.

«Vuoi veramente girare come un vagabondo in una città come Roma? E come pensi di visitarla tutta?»

«Non la viviamo se stiamo con gli occhi attaccati a uno schermo, vedendo se la strada imboccata è giusta. Ora camminiamo insieme, fianco a fianco, troviamo un bar che ci piace e ci fermiamo lì, prima di ripartire verso qualche magnificenza architettonica e non.»

«Certo che ti piace proprio comandare...»

«Non sai quanto, piccola gatta» commento divertito, arrivandole più vicino e nascondendo ufficialmente la sigaretta dentro il suo contenitore di carta.

Sollevo una mano, quindi, e la accarezzo in viso, perché Roma è bella ma è ancora più fantastico esserci con lei, già incline alla protesta quanto alla resa.

«Che cosa pensi, Cat?»

«Quanto staremo a Roma?»

«Qualche giorno, poi si riparte.»

«Verso dove?»

«È una sorpresa.»

«Sai già come sorprendermi, non c'è bisogno di grandi gesti. Non sono una ragazza tanto romantica.»

«Direi il contrario, sai?» Respiro sulla sua bocca, gustandomi il suo buonissimo profumo, per quanto sfortunatamente gli occhiali da sole mi impediscano di leggere la sincerità dietro quelle lenti. «Sei concreta, e molto materialista, ma questo non ti vieta di sognare. Avanti, divertiamoci, abbiamo pochi giorni in questa fantastica città. Che cosa vuoi vedere per primo? Il Colosseo? I Fori Romani? L'arco di Costantino? L'Altare della Patria?»

«Il Colosseo, e l'Altare della Patria. Ma anche il Pantheon e Piazza Navona.»

«Vedo che abbiamo gli stessi gusti, allora. Faremo tutto, ma dopo un bel caffè. Avanti, vieni.»

Le tendo una mano, incentivandola a prenderla, e lei non esita. Ci permette di iniziare a camminare in direzione del termine della strada, sempre più vicini al cuore storico della città.

Rampicanti di verde edera decorano le facciate e i divisori in legno, da esterno, dei bar sparsi per strada, o dei piccoli edifici commerciali, mostrandoci l'alternanza della vegetazione a un colore di tinta scolorita, facente la funzione di intonaco. Si tratta però di una specie di corrosione, data dal sole, che aggrada, facendoci avvertire nel profondo l'anima di questo nuovo mondo. Inoltre, ci accompagna in un sentiero di vicoli, suoni e odori, che sanno di casa e di tranquillità.

Tengo stretta la mano di lei e cammino con calma, per poter godere anche del calore del suo braccio contro il mio e alle volte le sorrido appena, voltando lo sguardo senza che possa vedermi. Perché, come la ragazza curiosa che immaginavo che fosse, osserva tutto con attenzione.

L'insegna di un bar dall'aspetto curato, ed un carattere antico quanto moderno, si presenta a noi nell'incrocio di due vie, mostrandoci anche il beneficio visivo che se ne trae, una volta seduti alle sue sedie esterne.
Riparati da degli ampi ombrelloni bianchi, e schermati ancora una volta da rade pareti di verde, una volta accomodati al tavolo i nostri occhi vedono ancora di sbieco il Colosseo, ma anche una monumentale scalinata, incastra nel volume di due case. I bambini vi giocano, protetti dall'ombra degli alberi e delle abitazioni, facendo rimbalzare la palla sui piedi, così come sulle gambe, mentre alle loro spalle, a una quota più alta della nostra, vi è come un sentiero immerso nel verde sul quale marciano famiglie, coppie, e anche qualche paio di carrozzine.

Traggo respiro da questa pace, dopo aver ordinato al cameriere per entrambi la colazione, ed ecco che posso tornare a lei, analizzandola come la vedo fare con il resto.

«Come hai dormito stanotte?»

Alla mia richiesta la scopro sorridente, e dopo la vedo togliersi gli occhiali, beneficiaria come i ragazzini dell'ombra creata apposta.

«Molto bene, e tu?»

«Lo stesso, e non mi capitava da tempo, ad eccezione del giorno in cui sei rimasta da me. Chissà, magari sei un acchiappasogni.»

«Non riuscivi a dormire a casa di tua madre?»

Colgo della esitazione nella sua voce, quasi fosse consapevole che per me si tratta ancora di un argomento delicato, nonostante le settimane che sono passate.
Sarebbe ridicolo scendere già a patti con il pensiero di averla persa per sempre. Devo ancora imparare a convivere con il suo ricordo, così come mi chiedeva Cat di fare, e in qualche modo sta diventando più facile, con lo scorrere del tempo.

«Già da prima, purtroppo. Sai? I molti pensieri...»

«Ed io li scaccio via?» Chiede quasi ridendo, mentre le tazze da caffè ristretto e cappuccino, quest'ultimo per lei, ci arrivano dinanzi in un servizio perfetto.

«Sempre.»

La nostra attuale situazione mi ricorda il nostro primo appuntamento, mentre la rivedo nella mente compiere immensi giri a quel nero liquido per ritardare la risposta a qualsiasi mia domanda.

«Ci stai pensando anche tu?» Domanda giusto lei, forse scovando il mio modo di immettermi all'interno di un pensiero.

«A che cosa?»

«Al nostro primo appuntamento. Mi piace, sì insomma, che sia stato tanto spontaneo. In qualche modo ci permette di riviverlo ogni giorno, garantendoci di poter assaporare già con un buon umore la mattina.»

Mi mordo l'interno della guancia per impedire alla bocca di aprirsi in un ulteriore sorriso sincero.

«Sì, a quanto pare ti sei svegliata molto bene, questa mattina.»

«Il merito è tuo, occhi belli, sei un ottimo cuscino.»

«Al tuo servizio, tesoro, per ogni situazione» la beffeggio, continuando con lo stesso nomignolo usato in aereo, ma cosa ci posso fare? Mi piace.

Resta in silenzio, abbassando la testa e incassando la mia piccola vittoria, per poi afferrare con entrambe le mani la tazza, così da portarsela alle labbra.
L'attenzione si sposta su quelle falangi fini, delicate, per poi eclissarsi verso il resto e scendere a patti con la realtà.

«Sei molto bella... lo sai?»

No, non accetta i complimenti, ma questo non solo è stato gratuito. È riferito al suo piccolo atto di coraggio, e non può essere ignorato.

«Ti ringrazio... avevo voglia di sciogliermeli.»

«Una bella scelta. Approvo.»

A disagio, e riposta la tazza, le vedo far correre il palmo di una mano sulla nuca, quasi le dessero irritazione le ciocche intorno. O fosse a disagio, per un motivo che non mi è noto.

«Anche tu stai bene. Con i capelli tagliati più corti, intendo. Non ho avuto modo di dirtelo prima.»

Come un fulmine, l'immagine di lei a bocca spalancata che mi bacia, in preda alla passione, mi trafigge e ricorda anche la sensazione delle sue dita tra le mie ciocche. La chiusura dei sui pugni contro il mio cuoio capelluto, estremizzazione di una passione che mai mi aveva concesso di rallentare.

«È buono?» Chiedo in riferimento al cornetto sul quale ha attaccato solo un morso. Desidero allentare questi pensieri pieni di peccato, e credo che la purezza che governa al momento la sua voce possa permettermelo.

«Molto, adesso lo finisco.»

Nell'attesa, recupero la sigaretta che avevo abbandonato, incendiandola sotto i suoi occhi attenti che adesso sembrano analizzarmi.

«Posso chiederti una cosa? Una classica domanda che sicuramente ti aspetti?»

«Fa pure» le dico, soffiando via da un angolo della bocca il fumo che avevo immagazzinato.

«Hai già pensato a cosa fare? Sì, insomma, finito questo viaggio. Cosa vuoi fare con la tua vita.»

Si parla di sogni, quindi.

«Finita la nostra vacanza, tra tredici giorni, esatti, andrà in scena Re Lear e io dovrò essere sul palco, quindi reciterò.»

«E dopo?»

Mi stringo nelle spalle.
«Immagino che continuerò a farlo anche dopo, è quello che voglio.»

«Sembri molto deciso.»

Lo sono su tutto ma su di lei... su di lei aleggia qualcosa e io non sono in grado di interpretare che sia.

«E tu? A che cosa hai pensato?»

«Mi piacerebbe molto vivere della mia arte. Può non essere facile, non si fanno molti soldi con delle tele sconosciute ma io proverò a farmi riconoscere. La Miller dice che ho buon potenziale, forse sotto le sue direttive e conoscenze posso spiccare.»

Annuisco distrattamente, sicuro di questo.

«Ne sono certo, Cat. I lavori che mi hai mostrato erano fantastici.»

Ride dolcemente, come presa in contropiede.
«Forse erano ancora troppo immaturi e irrealizzabili, quelli. Si tratta solo di scarabocchi, ti ho mostrato delle fantasie. Sono certa che la realtà sia pronta ad alterarli enormemente, ma per ora sono rimasti semplici sogni.»

«Non smettere mai di mostrarmeli» le chiedo con fervore, ma l'ho messa a disagio. I suoi occhi sono corsi verso mete lontane, e dunque sono costretto a scendere a patti con il mio sentimento, acquietandolo.

«E non lavori per questo? L'artista non rompe la monotonia della quotidianità apportando il suo estro, che ha origine da un sogno?» Ho quindi modo di interrogarla su un qualcosa che le può essere più congeniale.

Dalì non aveva certo costruito orologi molli. Picasso non era sceso in piazza a denunciare la guerra e i bombardamenti, ma aveva dipinto la Guernica.
Può non essere uno di quei grandi, ma il principio di fondo è lo stesso e a qualcuno bisogna pur ispirarsi.

L'arte è la possibilità di rimanere bambini, nonostante si sia già grandi, e trasmettere con il colore ciò che normali occhi non vedono, così come il teatro esorta alla sensibilizzazione le menti più acerbe.
L'unica differenza, tra di noi, è che lei in qualche modo può fisicamente nascondersi, mentre io posso farlo solo mentalmente.
Il mio corpo è esposto, di fronte alla fila di rosse poltrone, così come il suo pensiero è a chiare lettere riportato dentro la cromatura del colore, su una tela affissa.

Ma per il resto, non siamo così distanti, e forse possiamo ancora possedere i nostri sogni. Forse. In questo acerbo primo momento di succosa possibilità.

«Non rinunciare ai tuoi desideri, Cat. Dimostrano la donna che sei, e niente varrà più di questo.»

Con dolcezza, dopo un lungo attimo, Cat mi sorride accettandolo, e al seguito di quel piccolo gesto mi riscuoto, recuperando padronanza di me nonostante la domanda seguente inclini il mio asse.

«Perché le tue parole preservano sempre una punta di peccato? Potresti voler dire tutt'altro ma ecco che c'è sempre una sorta di malizia, e non riesco a capire se sia volontaria.»

Poso i gomiti sul tavolo, come le ho visto più volte fare, e mi avvicino fino a lei.

«Si parlava di sogni. Ma, come si dice? I sogni son desideri.»

«Era volontaria la malizia.»

«Non sai la voglia che ho di baciarti e far scorrere le mani tra i tuoi capelli. Ieri notte ci siamo addormentati abbracciati ed è stato fantastico, ma stasera? Che succederà? Un letto da dividere in due è un'oasi molto intima e stretta per poterle sfuggire.»

«Non ti resterà che aspettare per vedere quello che verrà.»

«E con quale forza mi concentro oggi?»

Deve tenere molto all'arte, o provare già una folle passione per questo nostro nido d'amore, perché, per provvedere a riavere indietro la mia attenzione verso questi beni architettonici e pittorici, si avvicina ancora di più e mi bacia con dolcezza.

Possiamo anche decidere di battere un'ipotetico record, per me non ci sono problemi, rimarrei in eterno accostato a lei.

Il suo sapore è governato dall'aroma del caffè, ma risulta anche accompagnato da un sottofondo del suo solito gusto, esotico e dolce come il succo di un frutto maturo.

Sospiro pesantemente una volta allontanato, e tendo di ragionare su quello che non so, per quanto possa essere spiacevole.

«Cat... quanti uomini hai avuto prima di me?»

«Che cosa?»

Ha gli occhi spalancati adesso. La domanda l'ha messa in difficoltà ma io lo devo sapere.

«Avanti, parlami.»

«Perché lo vuoi sapere?»

«Perché voglio conoscere tutto.»

Perché bacia molto bene. Perché desidererei che non fosse stata di nessun altro, ma so per certo quanto questo mondo possa essere ridicolo, e quanto l'immacolata purezza sia quasi introvabile in tempi simili.

Perché vorrei che fossero state solo le mie mani a farla tremare così, e lo fossero anche in futuro, ma se il passato non vale niente allora potrei quasi definirmi soddisfatto.

«Non ho avuto nessuna storia seria. Solo un uomo mi ha cambiato, irrimediabilmente, e con lui sono stata insieme degli anni. È irlandese.»

Estremamente ermetica, si fa dono della sintesi quando più l'aggrada, ma io non dico una sola parola notando, magicamente, come di sua spontanea volontà sia portata ad aprirsi con me.

«Si chiama Daighre, ci siamo conosciuti per caso. Dopo di lui ho avuto molti partner ma nessuna storia duratura, questa è la verità. Può offendere il tuo orgoglio di maschio, ma sono stata con molti uomini. Un po' per svago, un po' per sfogo.»

«Non mi importa, se non hanno avuto per te un significato.»

«Sul serio?»

La mente viene attraversata dall'immagine di Richard, l'uomo che l'accompagnò a teatro, e devo inghiottire un boccone piuttosto amaro prima di tornare a parlare.

«Sei andata a letto con Richard?»

«E tu con Emily?»

Riesco a malapena a deglutire, prima di darle la risposta corretta.

«È stato prima di conoscerti.»

«Vale lo stesso per me.»

Nonostante le parole di Pitia, la sua amica Marina, Cat mi sta dimostrando di non avere problemi con il sesso, o forse solo in parte, forse quando diventa importante.

«Tu non hai niente da dirmi?» Chiede lei con esitazione, cercando rifugio nei miei occhi, sperando che non la feriscano.

«Credevo di essermi innamorato, un tempo.»

«Di Sebastien?»

Annuisco lentamente, abbassando gli occhi verso il tavolo. «Ci siamo conosciuti sul lavoro, al ristorante di Isaac, lui faceva il barman. Credevo che saremo stati compatibili, al cento per cento, ma litigavamo spesso e al termine del nostro rapporto non facevamo che urlarci contro.»

«Per quale motivo?»

Questo interesse fa tornare alla mente una scena precisa: Sebastien che mi cammina davanti, nel piccolo monolocale che avevo affittato, e recupera le sue cose mettendole in una sacca molto grande, di fretta, prima di andarsene.

Mi stringo nelle spalle e le mostro un sorriso, per evitare che si rattristi con questa brutta e vecchia storia.

«Normali problemi di coppia, temo.» Non dice più altro ma in qualche modo sento di averla ferita. Le afferri una mano per poi rassicurarla a voce. «Non ho mai provato niente di simile prima. Mai.»

Faccio correre il pollice e finsco a farlo scontrare con il suo labbro inferiore, il più dolce.

«È come se fossimo uno solo alle volte, non trovi? Mi è facile parlarti, stare insieme, stringerti la mano, baciarti.»

Scendo ancora con gli occhi, abbassando di conseguenza anche il mio tocco, andando a sfiorarle il collo.

«Se continui così a stanotte non ci arriviamo» commenta a bassa voce, facendo nascere una breve risata dal fondo delle nostre gole.

«L'albergo si trova giusto una volta svoltato l'angolo, lo sai?»

«E Roma?»

Roma, quella promessa di pace eterna, è dentro i suoi occhi.

«Sei stata coraggiosa ad affrontare il nostro lungo volo areo, quindi mi sforzerò di non rinchiuderti in una stanza e approfittarmi di te, per le prossime dieci ore.»

«Magari sarò io ad approfittarmi di te.»

«Forza, fatti avanti.»

Stavolta è lei a sollevare le mani, intrappolando con una la mia destra, che ancora staziona sul suo collo con i miei occhi, mentre l'altra corre a ricambiarmi con la stessa tortura, scivolando a fianco delle mie labbra.

«Significhi molto di più. Lo sai.»

Il cuore, tribale tamburo, mi spinge verso una tachicardia gradita.
Adesso ho voglia eccome di portarla in camera.

«Arriverà il momento in cui dovrai dimostrarmelo» le ricordo mentre mi appoggio indietro con la schiena, sentendo scivolare il suo tocco.

«Lo faccio costantemente, e presto te ne renderai conto.»

Già lo faccio, ma mi piace stuzzicarla.
Ora però abbiamo una città da visitare.

Nella piena luce del giorno, poco dopo, la nostra passeggiata riprende e in essa Cat mi rivolge molti sorrisi. Il suo profumo non mi abbandona: gentile compagno mi ospita nella camminata di uno dei gironi del Colosseo fino ad altre bellezze. La magnificenza di Piazza Navona fino all'oculo del Pantheon, che la mia dolce accompagnatrice osserva adesso con meraviglia, posandosi una mano sulle labbra mentre contempla la sua magia.

«Lo sai che, secondo una leggenda medievale, l'oculo sarebbe stato creato dal Diavolo in fuga da questo tempio di Dio?» Le chiedo alle spalle, fissando con lei la luce che scaturisce dal piccolo cerchio ricavato dai gironi di calcestruzzo romano, tenuti su con sapiente leggerezza.

Le persone ci camminano accanto, a passi lenti, mentre piccoli granelli di polvere si fanno visibili nella controluce del sole.

Cat volta la testa di lato, concentrandosi adesso su di me, divertita.

«Los Angeles non ci abbandona mai, con i suoi angeli» nota, mettendo in chiaro quello che volevo, da sola, capisse.

Non è però all'interno di questa enorme stanza circolare, e sotto la cupola sorretta da otto piloni, che avvertiamo, con completezza, il rapporto con il cielo.
Lo facciamo sulla terrazza dell'altare della Patria, di nuovo stretti nel medesimo abbraccio nel quale ci aveva trovati il mattino. Io dietro di lei, contro la sua schiena, e lei con il viso rivolto verso la magnificenza di fronte.

«Non ho mai chiesto niente, sai? Ai miei genitori, ai miei amici supplicandoli di donarmi dell'affetto» le sento dire con voce bassa, contro il forte respiro del vento, alla nostra quota. Il marmo bianco dell'imponente edificio commemorativo ci circonda, facendoci come da piedistallo sopra questa città. «Ma vorrei questo, per un tempo indefinito, solo questo, solo noi.»

Mi manca il fiato per poter replicare una frase che metta in mostra la mia stessa volontà, quindi, testardo e da sempre troppo orgoglioso, le rispondo solo con una domanda che però lei riesce a interpretare.

«Dove vuoi andare, ora?»

Inclina la testa quando basta per tornarmi a vedere, e sorridermi.

Dopo un tempo indefinito, finalmente la macchina bianca di un taxi accosta, mossa a pena per quella specie di stupido balletto che stavamo per compiere al centro della strada, fatto di mani al cielo, risa, e una sfida nel farsi notare, in modo da poter vincere.

Non so bene da chi sia stato attratto, di noi due, questo buon samaritano, ma per fortuna adesso possiamo sedere sui sedili anteriori di questa carrozza e annunciare la nostra destinazione.

«Allora? Dove vuoi andare?» Le chiedo a bassa voce, in una complicità che aggrada, e a cui risponde senza esitazione.

«Non lo sai?»

Cela un brillante luccichio dentro gli occhi.

«Ci può portare in via Urbana, per favore?»

«Non te stà a preoccupa', ce se mette un attimo» sento dire all'autista, e riconoscendo la voce allontano l'attenzione da lei, sforzandomi di non scoppiare a ridere.

Ma non esistono altri tassisti oltre questo simpatico omaccione che ci trascina da una parte all'altra?

«Buonasera, si ricorda di noi?» Chiedo, dopo aver cercato la giusta concentrazione per non mostrarmi divertito, ma è tutto vano non appena gli vedo spostare il retrovisore, sul quale è ancora appeso lo stemma di Roma, per studiarci con più attenzione.

Nel riflesso, io e Cat siamo spalla contro spalla, e le nostre mani sono unite, le gambe accostate, secondo una vicinanza che scopre la nostra intimità.

«E che un me lo ricordo? Siete i due fidanzatini di stamani. Come sta ad andà? »

«Tutto bene. Roma è veramente bella

«È uno spettacolo, figliolo mio, ma è più bella di notte, con la luna.»

La macchina riparte e nella tratta scorro con gli occhi lungo il profilo di lei, inclinato da un lato, prestandole la stessa attenzione che mostra per il mondo all'infuori del finestrino, prima che la sua voce torni a parlare, trascinando un dito contro il vetro.

«Michael, puoi chiedere perché c'è quella fila laggiù?»

Certo di capire il punto che ha indicato prima che possa scomparire, verificando poi che non mi è affatto noto, quindi mi rivolgo a questa nostra specie di guida turistica interattiva, di certo pronta alla conversazione.

«Ehm, scusi, signore...

«Sono Cesare

E certo, chi altri sennò?

«Cesare, piacere, io sono Michael e lei è Katrina. Volevamo chiederti il perché ci sia questa fila di turisti, proprio qua, poco distante» e gli indico pure con un dito il punto identificato, spingendolo ad allontanare tranquillamente gli occhi dalla strada nonostante la grande velocità, ma sembra non avere problemi.

Questo signore con l'affanno, una maglia a maniche corte rossa, i capelli radi e nemmeno un filo di barba sulle sue guance grosse, ha tutta la pazienza del mondo per poter lodare le caratteristiche della sua città e darci indicazioni, mentre guida a ottanta chilometri orari in queste strade urbane, dieci più del limite consentito.

«Là dici? Ma perché ce stà la bocca della verità

Apro appena la mia, di bocca, sorpreso, avendo dimenticato di quell'attrattiva.

«Che cosa ha detto, Michael?» Domanda Cat, incuriosita.

«C'è la bocca della verità laggiù.»

«Come?»

«Scusi, c'è modo di accostare

«Sicuro

La macchina si sofferma, senza sobbalzi, a lato di questa via che ha come nome "Petroselli", in grado di unire l'Altare della Patria e il Circo Massimo in una perfetta congiunzione di strade, dove appunto risiede, preservata in un piccolo volume costruito, la famosa "bocca della verità".
Devo ammettere di conoscerla solo grazie al film "vacanze romane" con la bella Audrey Hepburn e l'affascinante Gregory Peck ma Cat sembra proprio non avere idea verso cosa stiamo andando incontro, quindi c'è da divertirsi.

«Scendi anche tu, Cesare?»

«Solo per fumamme una sigaretta. Voi ragazzi godetevi l'oracolo

Cat ancora non capisce la situazione ma per fortuna il marasma di gente presente fino a poco prima si è diradato, e poco dopo diveniamo gli ultimi della fila. Molto presto i prossimi ad entrare.

«Di che cosa si tratta, Michael?»

«Hai mai visto "vacanze romane"?» Scuote la testa in direzione di un no. «Quindi non hai idea di cosa ci aspetti dentro?» Ancora un debole no, ma fattosi più curioso.
Decido di modificare un po' le carte in tavola, rendendo il gioco più interessante.

«Dimmi una verità, Cat, qualcosa che ci riguarda.»

«Per esempio?»

«Per esempio potresti dire... che vorresti che fossimo felici, che ti impegnerai sempre al massimo per permetterci di esserlo, oppure prometti qualcosa. La "bocca" deciderà se ciò che desideri è la realtà.»

«E tu farai lo stesso?»

«Sì, farò lo stesso.»

«Molto bene, allora ti dirò cosa ho pensato una volta dentro.»

Annuisco distrattamente, prendendomi del tempo per poter fare lo stesso, ed ecco che dopo pochi minuti, circondati ancora dal tramonto delle sei, siamo di fronte all'immenso e circolare mascherone che, al tempo dei romani, aveva la funzione di tombino.
L'effige della divinità con la bocca aperta, da cui una volta veniva defluita l'acqua e che adesso risulta arida, visto che il disco è posato in verticale su un semplice capitello corinzio, si mostra di fronte a noi e attende la nostra verità.

Non è rimasto più nessuno degli altri turisti, solo la figura della donna nella divisa italiana di polizia e poco più lontano Cesare, appoggiato al suo bianco taxi. Il silenzio si circonda e le nostre parole sono tanto distanti dalle orecchie di altri da apparire solo nostre.

«Dimmi la tua promessa Cat e dopo posa una mano nell'apertura di questo disco. Rappresenta un volto, ma anche un Dio, un fauno, e la verità. Secondo la leggenda, se il simulacro si accorge che menti allora te la morde, ecco tutto.»

«Non è molto affascinante.»

«Hai paura di dire delle bugie, Cat?»

Indispettita da questa domanda raddrizza le spalle, facendosi più coraggiosa. «Già mai.»

«Allora forza, parlami prima che ci chiudano dentro.»

«È una promessa la mia, sai?»

Niente di meglio...

All'interno di questa specie di piccolo santuario, la sua certezza si fa forza, e la mia curiosità brama, finché non vengo raggiunto dalle sue parole che si manifestano come un balsamo, in grado di guarire l'anima.

«Prometto di farti realmente felice un giorno, di donarti tutto l'amore che sembri desideroso di ottenere, e che altri non ti hanno ancora dato. Prometto di esserti vicina, quindi, come nessuna lo è stata e di ascoltarti, quando vorrai parlarmi e quando non lo vorrai. Questa è la mia promessa.»

Queste parole, tanto belle, sono concluse quindi dal leggiadro volo della sua mano, che si accosta sempre di più all'apertura di pietra, arrivando ad incastrarcisi fino al polso.
Il mascherone non reagisce e la lascia andare, e lei lentamente, senza aver abbandonato i miei occhi, torna composta, in mia attesa.

«Prometto di non ferirti mai, Cat» affermo, rimanendo immobile di fronte a lei, prima di tendere una mano.

La mia piccola gatta sembra attenta, e forse stregata dalle mie parole. La romantica dolcezza di queste non si dimentica, ma io ho sempre sognato di rivivere la scena di quel film tanto poetico, quindi non mi esento dal compiere la seguente mossa.
Fingo di rimanere incastrato con la mano e emetto un piccolo grido, cosa che la spinge a precipitarmisi contro per aiutarmi, almeno finché non si rende conto della messinscena.

Tiro fuori il palmo, che accuratamente ho nascosto dentro la manica della giacca, e Cat mi tira un piccolo pugno sul petto, per poi ridere dolcemente, esaurita dalla mia volgare sfacciataggine.

«Sei davvero un idiota» mi dice con rabbia, ma io riesco a scorgere tracce nel suo sorriso, persino dentro il profondo oceano rosso della sua furia, mentre si avvia verso il taxi, e non posso che ridere e inseguirla, per poi strapparle un bacio prima che Cesare monti nuovamente al volante e ci conduca verso l'albergo e la nostra notte, senza dubbio carica di promesse.

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