Non avevo mai colto la vera essenza dell'espressione "snake eyes", occhi di serpente, fino ad ora. Credevo si potesse riferire unicamente al colore dell'iride, o all'affilata forma che la ospitava ma tutto risiede, noto adesso, nella profonda oscurità della pupilla. Non è un caso se, nelle fiabe, i cattivi vengono associati all'immagine di questo animale. Un po' a causa della loro viscida condizione di vita, che li obbliga a strisciare piuttosto che avanzare, e un po' anche per la loro sottile e velenosa lingua lunga.
E anche Marina la possiede. Sembra detenere tutte le caratteristiche intrinseche a una serpe, pronta a spargere veleno in un fantastico rapporto di primitivo d'amore, capace di non rivelare la nostra nudità d'anima, dal momento che, per quanto riguarda il corpo, il mio veste ancora solo la seta.
Narciso era un cacciatore crudele che amava solo sé stesso, e la sua lapide mortuaria, in una condanna, ne riporta il nome, mentre si impianta nella sabbia del lago nel quale si era specchiato, ammirando il suo riflesso. In qualche modo, per la seconda volta nella mia vita, nel giro di pochi giorni, sono stato paragonato ad un uomo crudele. Miranda mi aveva affidato il principe Edmund ma è il ruolo al quale mi condanna Marina, prima ancora di fare la mia conoscenza, a bruciare come lava.
Cat mi aveva parlato di lei, nel tragitto che avrebbe condotto noi e Jeremy, Ben e Emily, al ristornate italiano. Ricordo le sue parole, mi aveva detto... che era una ragazza difficile, pronta a giudicare, e che non accettava repliche.
Mi domando se Caitlin avesse preso coraggio e le avesse parlato di me, essendosi resa conto di quanto la nostra storia stesse assumendo delle tinte sempre più definite, e se in qualche modo non fossi andato a genio alla serpe.
Immagino sia così, comunque, visto lo sguardo con cui ancora mi sta fissando, a fianco alla cattedra, e dal momento che stiamo parlando di miti greci, avendo già attribuito a me il ruolo di Narciso, scopro di aver bene in mente anche io il nome da darle.
Potrei chiamarla Pitia, sacerdotessa d'Apollo, Oracolo di Delfi, che era custodita dal grande pitone, drago - serpente, e che tanto si intendeva di futuro. Proviene da quella bestia come nel mito, e sembra quasi assomigliare ai quadri che la ritraggono, circondata da vapori ipnotici, con i suoi capelli neri e il suo viso affilato.
Possiamo giocare in due al gioco del fastidio, ma vale davvero la pena farlo? Perdere così del tempo quando posso trascorrerlo in compagnia della mia splendida Cat?
Forse no, e siamo in due a pensarlo. La lezione arriva alla sua conclusione, la maestra le congeda, e l'attimo dopo Marina ci volta le spalle, andandosene nella sua apparente calma.
Caitlin invece mi è ancora davanti, seduta sul suo piccolo palchetto con il carboncino in una mano e la faccia desolata, perché sono certo che non avrebbe voluto questo litigio.
Perché è nato, poi? Sicuramente per una sciocchezza, ma se mi riguarda allora la voglio conoscere, ancora di più se intristisce lei.
Il problema, e la fortuna di Cat, risiede nella bravura di saper fingere. Quando torna a fissarmi lo fa con un mezzo sorriso, ripristinando un finto stato di neutrale indifferenza, bellissimo riflesso che tanto amo. Che cosa ho da dirle? È ancora più bella quando si mostra tenera così, non voglio che perda la sua dolcezza.
Noto appena la Miller raggiungerci e attribuire il voto al suo ritratto, per poi soffermarsi su me con gratitudine, rivolgendomi una frase che a malapena odo.
«Michael, ti ringrazio molto, sei stato prezioso.»
«Si figuri, professoressa Miller, l'ho fatto con piacere» rispondo come un automa, rimanendo fermo nella mia postazione, mentre la chiamata in causa mostra un mezzo sorriso e fa correre gli occhi da me, a Katrina, al disegno, per poi compiere una saggia decisione.
«Un buon continuo di giornata. Katrina ti occupi tu di chiudere questo posto? Le chiavi sono appese a fianco alla cattedra.»
«Ma certo, professoressa.»
Quale concessione di libertà, da parte dei professori d'Arte di questo campus, ma come ha detto Cat? Noi artisti viviamo secondo altre leggi, e la furbizia ci asseconda nel comprendere quali possano essere quelle legate alla passione.
La Miller deve aver capito qualcosa su di noi, perché abbandona la sala in religioso silenzio, rotto solo dall'incitazione che sembra dare ai miei amici, nell'attendere fuori.
Contro le grate, la porta in vetro si chiude, subito dopo aver fatto passare il loro infinito numero di passi, ed ecco che finalmente siamo soli, io e lei. Questo cerchio di tele e cavalletti, il piedistallo quadrato, sopra il quale ancora mi trovo e nient'altro.
Improvvisamente, Katrina che posa il carboncino e che avanza.
Non allontano gli occhi dai suoi, spiando dalla mia seduta la marcia della sua sensualità. Il modo con cui mi osserva, mordendosi il labbro, fino ad arrivare a stazionare in piedi nell'apertura offerta dalle mie gambe, facendo scivolare un dito dalla spalla sinistra fino, lungo, gli addominali.
Quel tocco mi elettrizza e diverte al tempo stesso, mentre la sua attenzione mi strega, quasi tentandomi di ricambiare il favore. La verità, però, è che non voglio perdere il suo sguardo, neppure quando scende, seguendo il declino del dito e le parole ne sminuiscono, in parte, l'importanza.
«Allora... sotto questa seta c'è altro?»
Domanda, con spirito di informazione, faticando nel tornare ai miei occhi.
Sorrido divertito, non avendo però alcun tipo di imbarazzo.
«Scoprilo da sola.»
Le mie parole le provocano un lampo luminoso nello sguardo, un veloce bagliore che come una saetta schizza via, modificandola per sempre.
Lascio a Caitlin carta bianca, impazzendo non appena la sento sedersi a cavalcioni su di me.
Afferro i suoi fianchi, impedendole di cadere e di andarsene e dopo un piccolo irrigidimento, della durata di pochi attimi, lei non azzarda protesta.
Riprende a percorrermi con una mano il corpo, sfiorandolo da un lato e superando i miei fianchi, provocandomi brividi fino a scoprire la presenza dei boxer bianchi, sotto questo fine tessuto.
Separa le labbra facendo uscire un flebile "oh" divertito, che fa ridere anche me, ma solo per pochi secondi. Sento il suo peso, il contatto del suo corpo e la sua vicinanza mi dà alla testa.
La mente corre verso i suoi peccaminosi e osceni pensieri figurandosela nuda, ad occhi socchiusi e guance arrossate, mentre mi accoglie in sé, ancora seduti su questo panchetto.
«Un vero peccato» commenta, nella delusione avuta a seguito di questa scoperta.
«Le faccio sparire in un attimo se vuoi.»
«Credo che ci spingeremo troppo in là.»
«E chi lo dice?» Domando, nel tentativo di comprendere, e sollevo le sopracciglia intuendolo. «Marina?»
Al nome della sua amica stretta, Cat si adombra, sollevando le mani per passarle tra i miei capelli.
«Mi dispiace per quello che è successo...»
«Che cosa le hai detto, Cat?»
In risposta si stringe nelle spalle, posando la fronte sulla mia e chiudendo gli occhi. Non siamo mai stati tanto vicini, così a contatto, l'uno con l'altro.
«Le ho solo raccontato di noi.»
«Allora perché non approva?»
«Perché è l'unica persona a conoscere tutta la mia storia. Non crede che tu sia l'uomo giusto per me ma non ti ha conosciuto, si lascia vincere dai pregiudizi.»
«Di cosa stai parlando, Cat? Che genere di storia?»
«Un giorno te ne parlerò, promesso. Ma adesso desidererei davvero che vi chiariste. Siete entrambi troppo importanti e non mi piace questa situazione, non la voglio. Se sei d'accordo proverò a convincerla ad incontrarci insieme, tutti e tre.»
«Cat...»
Non amo supplicare il perdono. Non voglio mai convincere nessuno delle mie idee o tornare, senza alcun motivo, in ginocchio al cospetto di altri. Marina non è nessuno per me, e si è comunque atteggiata da maestra di vita. Mi è impossibile comprendere come possa aver ricevuto tutto l'amore della mia piccola Cat, ma se è così che stanno le cose, se è un desiderio di Caitlin, allora io lo esaudirò.
La bocca di lei si avvicina sempre di più alla mia, avanzando la sua supplica.
«Ti prego...»
Ascoltando quel tono di voce il mio cuore si scioglie, e una mia mano si anima per poterle accarezzare con lentezza la schiena.
Sento che rabbrividisce, solo per un attimo, prima di posare un debole bacio sulla mia bocca nell'istante in cui il tocco si ferma sulla sua spalla.
Chiudo gli occhi, assaporandola nella delicatezza con cui ci imprigiona, poi mi accorgo che c'è una cosa che desidero da tempo chiederle.
Mi allontano da lei con lentezza e arrivo a parlarle vicinissimo, assaporando ancora nel mio il suo respiro.
«Perché non ti sciogli mai i capelli?»
«Lo hai notato?» Chiede, riuscendo a rubarmi un nuovo bacio. Forse per distrarmi, forse per intenerirmi, o più semplicemente per togliermi la voce, facendomi impazzire il cuore dentro il petto.
«Dimmelo, Cat.»
«Non mi piace se qualcuno me li afferra. Se li tocca, o se li sfiora.»
Al momento sono tenuti su semplicemente dal gioco di un pennello, avente lo scopo di raccoglierli, e servirebbe così poco per farlo sparire, ma non voglio farlo. Desidero che sia lei a compiere quella mossa, ben sapendo che non oltrepasserei il suo limite.
L'unica forza che uso... è nel riprendere a baciarla, approfondendo l'incontro delle nostre lingue, stringendola tra le mie braccia. E Caitlin reagisce, risponde alla mia richiesta appoggiando entrambe le mani intorno al mio viso, per avermi ancora più vicino.
Il suo sapore... il suo profumo, il suo seno contro il mio petto nudo, le sue labbra, a un tratto i suoi denti, tutto è follia. Passione all'ennesima potenza, un desiderio che mi esplode dentro, impedendole di andarsene. Dalla mia vita, da questa stanza così come dal racconto del suo passato dal quale tanto scappa.
Cat geme contro il mio viso e quel suono mi manda in visibilio, costringendomi a riappropriarmi nuovamente di lei, affinché non ci sia niente a separarci.
Ma dei colpi battono contro la porta, e so bene da quale impazienza provengano. Infastidito, desidererei ignorarlo ma Caitlin è la più guidata dalla ragione, tra noi due, e ci costringe a separarci, proprio ora che le cose iniziavano a farsi interessanti.
Non perdono di bellezza, però, non appena si alza in piedi, sollevandosi da me con gambe tremanti, e mi mostra il suo imbarazzo, dipinto da un complesso di occhi schivi e gote paonazze, incredibilmente tenero.
«Forse sono gli alunni della lezione successiva» ipotizza, ma io, scuotendo la testa, annullo l'esistenza di una simile idea.
«No, è Jeremy.»
«Jeremy?»
Il suo stupore mi porta a ridere.
«Non faccio sul serio il modello, ero venuto qui per altro, insieme a lui. A quanto pare, però, la sua pazienza ha raggiunto il limite.»
«Beh, avresti potuto esserlo... » commenta solo, a bassa voce, tornando con lo sguardo verso terra.
Inclino la testa da un lato, incantato da un simile spettacolo, solo per pochi attimi, prima di farla tornare dritta. Arrivo ad alzarmi in piedi di colpo, così da raggiungerla con più calma.
Spalanca gli occhi nel vedermi avanzare, e le sono sempre più vicino. Fronteggio il suo stupore e non gli permetto di vincere, chinandomi verso il suo orecchio per renderla partecipe delle mie intenzioni.
«Questo mi fa ricordare una cosa...» le dico unicamente, prima di superarla. Scendo da questo palco rialzato e raggiungo la sua postazione, voltandomi al seguito, in modo da fissarla dopo che ha fatto lo stesso. Un unico, piccolo, sorriso, prima di spostare gli occhi da lei e privarmi di fiato, vedendo la sua tela, il mio ritratto.
Rimango stregato dalla dolcezza delle linee, dal gioco dei chiaro scuri, dall'anima che sembra sia stata in grado di intrappolarvi. Sul serio lei mi vede così? In questo modo?
A causa di tutto quello che è successo manca il titolo, ma non è importante. Ci sarà modo di scriverlo, non appena mi avrà conosciuto. Non appena mi vedrà solo tramite i suoi occhi, senza basarsi parzialmente sull'opinione di altri.
«Puoi tenerlo, se vuoi» commenta lei, forse notando il modo con cui lo analizzo.
«Al contrario di quello che pensa Marina non sono tanto narcisista. Preferirei che lo tenessi tu, piuttosto.»
Nella sua camera magari, in modo da vederlo ogni sera, prima di andare a letto, giusto per accattivarle i sogni, e rido solo al pensiero. Katrina non dice niente, ma ogni silenzio è un assenso dunque avrà anche questa parte di me. Quella utopica, probabilmente la migliore.
«Dovresti andare. Jeremy ti aspetta.»
«Vieni con me.»
«Dove?»
«A teatro. Siamo venuti per prendere dei costumi e ora dobbiamo consegnarli. Ci saranno anche le prove del nuovo spettacolo ma non mi intratterrò a lungo. Dopo se vuoi possiamo stare insieme.»
«Anche io ho una richiesta.»
«Di che tipo?»
«Ho esposto dei miei quadri in una nuova mostra, mesi fa. Ormai è terminata e l'allestitore mi ha suggerito di andare a prendere le opere rimaste invendute. Non ho una macchina, come ben sai, e le tele non sono poche. Avrei bisogno di una mano.»
Annuisco, ben disposto a passare dell'ulteriore tempo insieme, e questo, incredibilmente, rende persino lei felice.
«D'accordo dunque, solo un'altra domanda. Il teatro richiede abiti normali, o questa veste da antica Grecia?»
Rido divertito da questa situazione assurda. «Ho i miei abiti, quindi mi conviene cambiarmi ma tu non voltarti, se vuoi. Ormai hai già visto quasi tutto.»
Solleva gli occhi al soffitto, di scatto, non appena inizio a districare il drappo, correndo via veloce da me e da questa specie di spogliarello. Un vero peccato.
Lascio cadere la veste di seta, imitando il sorriso nato sul suo viso.
Muoversi nella nostra città non è affatto facile ma ho deciso comunque di esserle di supporto ed è per questo motivo che sto camminando a passi sempre più visibilmente lenti con le tele dei suoi lavori sotto braccio.
E non mi sarei mai privato di una simile esperienza. Non solo perché, trascorrendo del tempo insieme, veniamo esortati sempre di più a conoscerci ma anche per il fatto di essere riuscito a raggiungere la sua anima in silenzio quando, entrando in quel museo, ero rimasto affascinato dalle altre opere eseguite di suo pugno che aveva deciso di esporre.
In quella vernice mi era stato permesso di far parte della sua arte e del suo modo di vedere il mondo, facendomi rendere conto la mia incapacità di stancarmi nello scoprirla.
Perché Caitlin è affascinante, divertente, e incredibilmente accattivante, in maniera costruita forse, o solamente in parte, eppure... voglio avere la soluzione al suo mistero subito, così da poterla tenere tra le braccia come sto facendo con questi dipinti.
Procedendo alle sue spalle, resto a fissare la sua nuca scoperta, pensando al vantaggio tratto da quell'acconciatura sempre imposta. Mi piacerebbe posarvi un bacio su quella pelle, sentire il profumo sul suo collo, avvertire la pulsazione della carotide, immaginare se è per me che velocizza il suo battito, e vivere in quello spazio, così, a contatto con lei. Il suo tocco mi fa bene, l'ho scoperto persino nella stanza del vecchio magazzino.
Il pensare a quel luogo mi riporta a Marina, e Marina mi spinge a pensare al fatto che gli amanti, solitamente, debbano avere una menzione più importante degli amici. Mentre stavo con Sebastian, almeno, nei riguardi di Jeremy era così, ma il mio amore non era stato battuto dall'intromissione di un terzo agente quanto dalla polvere da sparo.
C'erano troppe battaglie con Sebastian, troppa guerra, niente di buono, permettendomi di ricordare solo negli aspetti positivi le confessioni che ci eravamo fatti, totalmente esenti nel mio rapporto con Jeremy.
Katrina, ragazza di Los Angeles, utopica città, quando ha conosciuto Marina? Erano già amiche, fin dall'infanzia? Spiegherebbe la conoscenza dell'Oracolo di molti eventi della sua vita.
Spero che possa parlarmene, per arrivare ad armi pari, una volta giunti di fronte, ben consapevole che tale evento non sarà tardivo.
«Va tutto bene? Ce la fai a trasportarle? Siamo quasi arrivati» mi dice, ed io le rispondo affermativamente tornando sulla strada che stiamo compiendo per arrivare a casa sua.
Già... proprio così, casa sua.
Nessun luogo di passaggio, atelier, laboratorio o altro. Direttamente la sua tana ed io sono impaziente di vederla, scoprire dove abita e dove si rinnova, immortalandosi nella pittura, o dove abbia marciato frenetici passi, in attesa di un'importante notizia.
Perché questo vorrebbe dire arrivarle ancora più vicino. Avere ancora più contatto tra noi, ed è ciò che desidero.
Eccoci quindi, siamo arrivati. Il portone, con affaccio sulla strada, è dipinto di un rosso acceso, in contrasto con il grigio scuro delle pietre che compongono la facciata di otto piani, a occhio e croce.
Cercando con una mano le chiavi di casa nelle tasche del cappotto lungo si appresta ad un magheggio, che osservo divertito, al solo fine di non far cadere niente.
Ci riesce, mette la punta di un piede contro la porta per farmi passare prima che possa chiudersi per cui supero l'ingresso e osservo l'importante scalinata che ci si prospetta dinanzi.
Sapevo che con lei niente sarebbe stato facile.
«L'ascensore è ancora in riparazione, per questo il cartello», mi dice puntando il dito di fronte a questa specie di sentenza, scritta nero su bianco, sopra la quale si sono soffermati i miei occhi. «Tu però hai fatto anche troppo, ho deviato molto la tua strada, e sono sicura che devi tornare a casa. È ancora giorno, però ecco, magari... non so...»
«Cat, non ci sono problemi. Ti aiuto a portare tutto su, quindi fai strada.»
«Sei sicuro? Non sarà facile, sono all'ottavo piano.»
Ne ero certo, prima ancora di iniziare a salire. «E quando mai lo è con te? Ma non importa, avanti saliamo.»
Non mi tiro di sicuro indietro, dopo essere arrivato fin qui. Tra di noi, con lei, al termine di queste scale. Non retrocedo, ci sarò, anche se non troppo come vorrei.
Mia madre ha bisogno di me, quindi non posso prolungarmi oltre il buio, sarei in pensiero, ma sono certo che Caitlin lo capirà, lasciando in sospeso l'eventualità di un nostro futuro incontro, possibilmente in assenza di Pitia.
Al momento però, nessuno di noi due si muove. Siamo in piedi, quasi fianco a fianco, alla nascita di queste scale, e me ne domando il motivo.
Porgo il quesito quindi senza chiedere, incurvando il sopracciglio nell'avvenenza di una domanda, e lei mi risponde con sufficiente sfacciataggine.
«Non credevi davvero che avrei accettato di salire otto rampe di scale, mentre tu stavi dietro a osservarmi il sedere!»
Si tratta di questo, quindi. Ottima veggenza in merito alle mie intenzioni, chi tra me e Marina è il vero Oracolo?
«Preferisci guardarmelo tu?»
«Oh, scusami, sei timido? Non lo avrei mai detto. Sai, ti ho visto poche ore fa quasi del tutto nudo.»
«Perché, tu lo saresti?»
«Ho il mio riserbo, Michael, e non me ne priverai.»
«Questo lo vedremmo... per adesso goditi la vista, piccola gatta» le dico, iniziando a salire le scale con le tele ancora sottobraccio ed un sorriso stanco, quanto innamorato, della sua testardaggine.
Resisto fino al quarto piano per poi non riuscire più a trattenere la frase arrogante dalle labbra, schiantandola sulle sue, senza voltarmi.
«Ti piace quello che vedi?»
«Sì, ma ho scoperto quanto mi intrigava tutto il pacchetto già quattro ore e mezzo fa, anche se devo dire che la posa di vecchio greco non attribuiva la giusta importanza anche all'altra metà. Questo fantastico retro ha tutto il mio rispetto!»
«Hai finito di prendere in giro?»
«E chi ha detto che sto mentendo?»
«Cat... »
«Miky... »
Volto la testa verso di lei, nell'udire quel soprannome.
«Ti prego, no. Non anche tu» commento ridendo, ma non riesco nemmeno a battermi come si deve.
«È così che ti chiama Jeremy, no? E Ben, Emily, e tutti i ragazzi del teatro.»
«Miranda no.»
«E come, allora?»
«Semplicemente Michael. Niente di più.»
«D'accordo, Michael. Vuol dire che forse troverò un modo tutto mio, per farlo.»
Non vedo l'ora, penso, proseguendo fino a raggiungere la porta di quella che credo essere la sua casa.
Me ne offre conferma, voltandosi nella giusta direzione, una volta arrivata al pianerottolo, ed ecco che, finalmente, riesco a accedere al suo rifugio.
E devo dire... che è molto bello. Non posso che darle ragione, la luce filtra dalla finestra in un modo assolutamente spettacolare, grazie alla giusta altezza del piano e alla predisposizione nell'assorbire il sole, nell'ora più favorevole. Oltre a questo, poi, noto molto gusto in merito all'arredo e particolare cura nella disposizione degli oggetti, così come nell'aspetto delle piante.
Non mi sono mai soffermato a notare niente di tutto questo, in altre situazioni, ma ora l'attenzione corre veloce a carpire ogni dettaglio che la rappresenti, e sono certo che, se solo passassi un dito su un qualsiasi mobilio di questo posto, non troverei nemmeno una traccia di polvere.
Katrina deve essere così, una ragazza predisposta a prendersi cura delle cose, delle persone, pur non ricevendo niente in cambio, stando male non appena qualcuno di essi termini nel fare lo stesso.
«Tranquillo, posa pure tutto dove ti capita. Vuoi qualcosa da bere? Un caffè? La macchinetta è già accesa, ci metto un attimo» si fa gentile ospite, correndo da una parte all'altra, solo per direzionarsi verso la cucina.
«Mi fai compagnia?»
«Volentieri.»
«Allora accetto.»
Si mostra felice nel ricevere una simile approvazione, probabilmente attesa, e in un attimo parte a darsi da fare, muovendosi alla ricerca delle capsule.
Nel frattempo io continuo a fissarmi intorno, trovando la famosa e ampia finestra che la ritrae nella foto profilo di Whatsapp, confermando la sua appartenenza alla dimora che la ospita.
«Senza zucchero, non è vero?»
Se ne ricorda, quindi.
«Sì, amaro, ti ringrazio.»
Abbandono la mia postazione per raggiungere il tavolo dove mi aspetta, ed eccoci nuovamente faccia a faccia, alla stessa altezza, seduti dinanzi a una tazzina da caffè.
«Conosci da molto Marina?»
«Da quando sono venuta qui... ormai sono tre anni.»
Nessuna amicizia di vecchia data dunque, ma un rapporto tanto stretto che l'ha portata a confidarsi.
«Ti va di raccontarmi qualcosa?»
«Ero molto scettica nei suoi confronti. Abitava, e abita, in un altro appartamento di proprietà della mia stessa affittuaria, ed era spettato a lei, il primo giorno, mostrarmi la casa. Ricordo di aver pensato che non fosse molto alla mano, e che probabilmente preferiva essere altrove, ma l'altra le aveva lasciato le chiavi, dovendo andare fuori città per lavoro, quindi era il suo obbligo.
Quel mazzo di chiavi mi aveva salvato da molte crisi di pianto, impedendomi di viverle da sola, perché erano riuscite sempre a condurla, per futili motivi, fino al mio appartamento. Mi chiedeva sempre come stessi e il motivo per il quale piangessi.
Mio malgrado, con lei, mi sono aperta molto, tanto da non aspettarmi più scuse per la sua presenza.»
Ascolto attentamente, cercando di non mostrare la delusione nell'essere ancora all'oscuro di tutto, ma lei mi afferra le mani, costringendomi a tornare nei suoi occhi.
«Andrà tutto bene, vedrai. Sono certa che imparerete ad andare d'accordo, o a sopportarvi, come faccio io con Jeremy.»
Inventa una piccola risata in grado di incurvarmi le labbra solo un piccolo istante, ma non ho più frasi da dire. Ignoro questo discorso prendendo un sospiro profondo, prima di tornare a parlare.
«Allora? Non mi mostri il tuo laboratorio? La famosa stanza piena di luce?»
Scuote la testa in direzione di un no, suscitando la mia sorpresa, ma ben presto si preoccupa di chiarire.
«Un passo alla volta, no? Non è ancora il momento per tutti i miei segreti.»
Dovrebbe vestire i panni di una battuta ma non risuona affatto come tale.
La frase emessa è una ladra, e ci priva della spensieratezza, costringendoci a un silenzio momentaneo, quanto breve.
«I tuoi lavori sono molto belli. Tu, sei molto bella, mentre parli dell'arte, di ciò che ti appassiona. Hai una luce particolare intorno e spero che tu possa non perderla mai» ammetto con candore, volendo rivelarle le parole che la sorpresa, e la mancanza di respiro, mi avevano impedito di pronunciare in quel salone privato dell'esposizione.
«Tratto con amore tutto ciò a cui tengo, Michael.»
Sì, questo lo avevo capito da solo, da ogni sua parola o gesto, ma per quanto mi riguarda? Io rientro in questa categoria?
La soluzione a questo quesito mentale mi viene offerta poco dopo, non appena Caitlin si alza, venendosi a sedere su di me.
Non più come prima, tiene le gambe chiuse e torce il busto per poter essere cuore a cuore e per riuscire a posare le braccia sulle mie spalle, soffermando il viso contro il mio collo. L'esatto punto sul quale mi sarei soffermato io, se le situazioni fossero state invertite.
Niente è importante se non questo istante in cui mi tiene tra le braccia, l'attimo in cui la ricambio stringendola a me in una piccola mossa, ed è qui che il tempo si ferma, intrappolandoci dentro questo sentimento inspiegabile.
All'infuori di noi non esiste più niente, suoni, rumori, case, oggetti, ma unicamente sensazioni, come il calore del sole, in quel suo unico raggio, che ci colpisce in pieno, riscaldandoci.
Se solo potessi scegliere alcuni momenti da ricordare per sempre questo sarebbe uno di quelli. Non morirebbe nella noia degli anni, non scomparirebbe.
Rimarrebbe eterno come noi, portatore di questi ricordi non detti e mondi non svelati, come detriti della nostra storia, sgretolati ma parte di una meraviglia inestimabile.
Trafitto da queste sensazioni e dalla loro portata, sposto gli occhi per arrivare ai dipinti incorniciati, che abbiamo trascinato lungo la strada, venendo colto da un'idea di cui la rendo partecipe.
«Quale pagamento desidera per donarmi una delle sue opere?»
La richiesta le fa sollevare il capo, e incontrare nuovamente l'allegria.
«Non lo so, ci dovrei pensare» mi rivela però, facendomi intuire quanto sia stato capace di coglierla impreparata.
«Sono pronto a posare una seconda volta, in modo che lei possa completare il ritratto della mia persona. Magari mi spoglio di nuovo e le mostro quello che ha tanto gradito nel salire le scale.»
Scoppia a ridere, posandosi una mano sulla faccia, sconsolata.
«Dio, tu non hai davvero pudore!»
«E credi che non mi sia accorto di quanto ne abbia tu? Sei sempre nascosta nei tuoi abiti, Cat, quasi come se cercassi un rifugio o non volessi che ti guardassi troppo. Vuoi apparire anonima, in qualche modo, ma non ne hai motivo.
Parlami, quindi, piccola gatta, aiutami a capirti. In quale vita hai perso un po' della fiducia in te stessa? Quanto ti piacciono i miei occhi mentre ti guardano?»
«Moltissimo.»
Risponde unicamente, senza provare a sbilanciarsi verso le vere risponde che richiedo.
«Sempre? Ogni volta che ti guardo?»
Annuisce lentamente, senza sbilanciarsi ma nascondendo in sé un sentimento profondo.
«Vale lo stesso, sai?»
Stavolta sono io a posare la fronte sulla sua e chiudere gli occhi, per permettere al cuore di rallentare.
«Ti va di vedere un film insieme, sul divano?»
«Dopo devo tornare da mia madre. Una nostra conoscente l'accudisce quando io non ci sono ma non rimarrà ancora per molto.»
«Mi piacerebbe incontrarla, un giorno.»
«Non è più come una volta, ma sono sicuro che anche lei ne sarebbe felice.»
Mi allontano solo per vedere la sua espressione serena e poter dare la mia sentenza.
«Solo un paio di ore, d'accordo?»
«D'accordo.»
Momenti da passare con lei, abbracciati su un divano a scambiarci effusioni come degli adolescenti, e niente di più ma mi sta bene. Con lei mi va bene tutto, anche impostare il canale su una ridicola sit-com e non guardarla affatto. Restare in silenzio, fermi, tra le reciproche braccia, e non parlare d'altro.
La vita è composta anche di questi momenti, semplici carezze in grado di farci sentire vivi, e mai prima d'ora ho sentito di appartenere così tanto a qualcuno, ma lei si era presa praticamente tutto.
E io non ho fatto altro, non farò altro, che permetterglielo.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top